L’ESCALATION IN UCRAINA
Sull’Ucraina ci sono un po’’ di novità. La tensione tra Russia e Occidente continua a salire, e Putin continua a mostrare che la possibilità di un’invasione dell’Ucraina da parte di Mosca è tutt’altro che remota. Ieri hanno fatto il giro del mondo le immagini, pubblicate dal ministero della Difesa russo, che mostrano le unità della 150esima divisione dei fucilieri che si dirigono verso il poligono per le esercitazioni militari nella regione russa di Rostov, al confine con l’Ucraina. Inoltre da settimane i russi organizzano manovre in Bielorussia e in Crimea facendo suonare a tutto volume gli organi della propaganda.
Secondo Pierre Haski, di France Inter tradotto su Internazionale, quello di Putin potrebbe anche essere un enorme bluff per mettere alla prova i paesi Nato e vedere come reagiscono. Quindi vediamo, come stanno reagendo?
Sembrano emergere due approcci. I britannici e gli statunitensi, dice Haski, moltiplicano gli avvertimenti a proposito di una guerra imminente, rimpatriando il personale da Kiev. Sull’altro fronte Parigi, Berlino e Bruxelles non vogliono lasciarsi trascinare in questo gioco al rilancio ma al contempo non intendono cedere alle pretese russe.
Ma se andiamo un attimo sotto al velo dei proclami, anche sotto all’allarmismo americano e inglese potrebbe celarsi non poca strategia. Boris Johnson potrebbe usare la minaccia di una guerra imminente anche come cortina fumogena per nascondere i recenti scandali che l’hanno travolto, legati alle feste private nei giardini della sua residenza governativa durante il primo lockdown.
Biden invece, lo ha detto anche piuttosto francamente, non è poi così interessato alle sorti dell’Ucraina, e la sua posizione ferma sembra più dovuta a una questione di apparenza, nel dover mantenere fermamente le redini della Nato, che a una reale intenzione bellica.
Insomma, tutta la questione potrebbe essere anche un enorme gioco di mosse e contromosse, in cui nessuno vuole davvero arrivare fino in fondo. Solo che è un gioco rischioso, perché poi va a finire che la guerra succede, a un certo punto.
In tutta questa situazione, come si comporta il nostro paese? Sta un po’ nel mezzo a dire il vero. Rappresenta il fronte più moderato, in Europa, per via dei tanti interessi sia energetici che anche delle aziende italiane in Russia.
Aziende che proprio ieri mattina (mercoledì 26 gennaio) hanno partecipato a un incontro in videoconferenza con il presidente russo Vladimir Putin, con l’obiettivo di approfondire e se possibile espandere le relazioni economiche tra Italia e Russia. L’incontro era stato programmato prima della crisi ucraina, ma il fatto che non sia stato annullato, è comunque significativo.
L’incontro tra Putin e gli imprenditori è stato organizzato dalla Camera di commercio italo-russa e vi hanno partecipato alcuni degli imprenditori e manager più importanti e noti d’Italia (tra gli altri: Marco Tronchetti Provera di Pirelli, che è anche co-presidente della Camera di commercio, Gabriele Galateri di Genola di Generali, Andrea Orcel di Unicredit, l’ex presidente di Confindustria Emma Marcegaglia).
Pare che Draghi abbia fatto pressioni per annullarlo, e che abbia di fatto chiesto ai manager delle aziende partecipate dallo stato tipo Eni di non partecipare. E in effetti Eni, Saipem e Snam si sono sfilate un po’ all’ultimo. Ma l’incontro c’è stato. Non che sia emerso niente di che, Putin ha parlato di come sta fornendo gas all’Italia a prezzi super scontati, e cose di questo genere. Ma la notizia è che l’incontro ci sia stato.
ELEZIONI DEL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA
Restiamo in Italia, visto che ci siamo, per altri due argomenti di stretta attualità. Tipo l’elezione del Presidente della Repubblica. In realtà non ci sono grosse novità, continuano le fumate nere, e con ieri si sono esaurite le 3 votazioni nelle quali era necessaria la maggioranza dei ⅔, da oggi basta la maggioranza semplice, che comunque sembra ancora lontana.
ESTENSIONE GREEN PASS?
Invece sta circolando molto sui giornali la notizia che il governo starebbe pensando a un’estensione a tempo indeterminato del Green pass dopo la terza dose del vaccino. La notizia non è ancora esattamente una notizia, è più una dichiarazione, quindi prendetela per quello che è.
Insomma, pare che il governo – forse, non si sa bene, magari dopo l’elezione del PDR, in attesa che l’Aifa si pronunici sull’opportunità di fare o no una quarta dose – voglia fare in modo che il GP non scada più dopo la terza dose. Il che, se fosse confermato… come dire… me ne sfugge il senso dal punto di vista sanitario. Cioè, se come sembra anche l’effetto della terza dose svanisce piuttosto in fretta nel tempo, a 5-6 mesi dal richiamo averla o non averla non è poi così rilevante nel contenere l’epidemia.
Quindi, premesso ciò, se si stima che non ci sia più bisogno di fare richiami perché l’epidemia si sta trasformando in endemia, o perché dopo un certo numero smettono di funzionare, o perché si vede che il green pass non sta funzionando, o per qualsiasi altro motivo… beh, a quel punto avrebbe senso eliminarlo proprio (cosa che peraltro era il suo obiettivo iniziale, essendo una misura temporanea!). Prolungarlo all’infinito, lascia intuire che comunque ci sia l’intenzione di mantenere questo strumento anche quando non servirà più, il che sembra solo uno sfoggio di potere, un non volerla dare vinta a chi non si è vaccinato, o per dirla con Sileri un “voler rendere la vita difficile ai pericolosi No vax”. Si, lo ha detto davvero, a di Martedì. Poi è tornato un po’ sui suoi passi, ma tant’è.
Comunque, ne riparliamo se e quando la cosa diventerà più di un rumor.
LAVORARE DA CASA
Va bene cambiamo argomento. Torniamo a parlare di lavoro, perché un nuovo report questa volta tutto italiano sembra suffragare l’osservazione, che abbiamo fatto più volte qui su INMR, che il mondo del lavoro sta andando incontro a grossi sconvolgimenti. Ne parlano, fra gli altri, Repubblica e Vita.
Nell’anno appena trascorso un terzo dei lavoratori dipendenti in Italia, 7,2 milioni, ha lavorato da remoto. Un trend che conferma in parte, anche se in misura un po’ minore, quanto osservato nell’anno precedente, quando a lavorare da casa sono stati 8,9 milioni di lavoratori. Si tratta, ovviamente, dell’effetto pandemia, ma i pennacchi di questo effetto potrebbero diventare più strutturali. Vediamo come mai.
Innanzitutto, lo stesso studio (che si chiama “Il lavoro da remoto: le modalità attuative, gli strumenti e il punto di vista dei lavoratori”, condotto dall’Istituto Nazionale per l’Analisi delle Politiche pubbliche, INAPP) mostra che quasi la metà dei lavoratori vorrebbe continuare a svolgere la propria attività in modo agile almeno un giorno la settimana. Quindi le persone sembrano aver gradito, al punto che – pare – sarebbero persino disposte a ridursi lo stipendio.
Secondo punto, potendo continuare a lavorare in smart working, oltre un terzo degli occupati ha dichiarato che si sposterebbe in un piccolo centro magari vicino alla città dove lavora adesso, in provincia o nell’entroterra, e quattro persone su dieci invece si trasferirebbero in un luogo isolato a contatto con la natura. Il che va abbastanza a braccetto con i finanziamenti per ripopolare i borghi previsti anche dal Pnrr, che ha stanziato un miliardo per i progetti di rivalutazione di 250 borghi.
Al di là delle tendenze, quest’ultimo dato se ci pensate è abbastanza emblematico. Il lavoro è, almeno nella percezione che ne abbiamo, un ostacolo al fare la vita che vorremmo. Poi, appunto parliamo di percezione, eh, nel senso che qui entrano in gioco anche le scuse che ci raccontiamo per non cambiare vita, ma anche prendendolo per quello che è questo dato fa riflettere. Il lavoro forse è un aspetto ancora più emblematico del denaro e delle religioni nel mostrarci come dei sistemi complessi evolutivi possano creare dei risultati completamente strampalati, o come, per dirla in altro modo, la sommatoria di tante cose che hanno una loro logica possa essere una roba completamente illogica.
Pensate di essere un extraterrestre che osserva le società umane: vede tante persone che si affannano a fare una cosa che spesso non amano, e in nome di quella rinunciano a fare scelte di vita che li soddisfino veramente per produrre cosa? Molto spesso prodotti o servizi che consumano risorse, inquinano, distruggono l’ambiente e fanno stare le persone peggio. Sto iper semplificando, ovviamente, non sempre è così, ma quanti dei lavori che svolgiamo nelle nostre società “evolute” sono davvero utili?
FONTI E ARTICOLI
#Ucraina
Internazionale – Per scoprire se Putin sta bluffando bisogna prepararsi al peggio
il Post – Sull’Ucraina l’Italia ci va piano
la Repubblica – Russia, nuove esercitazioni militari al confine con l’Ucraina: carri armati nella regione di Rostov
#lavoro
la Repubblica – Smart working, un lavoratore su 5 accetterebbe una retribuzione inferiore pur di non tornare in ufficio
Vita – Oltre 7 milioni di persone lavorano da remoto
#caro vita
Internazionale – Gli universitari che si organizzano per arrivare a fine mese
#migranti
Euronews – La Polonia alza la recinzione anti migranti al confine con la Bielorussia
#rating
Valori – L’industria dei rating e delle certificazioni è davvero affidabile?
#inquinamento
The Guardian – Better air in lockdown may have saved hundreds of lives in Europe, study finds
#bitcoin
Euronews – Bitcoin tra dubbi e rischi. Monito dell’FMI a El Salvador sull’uso della criptovaluta