19 Giu 2024

La morte di Noam Chomsky riportata da (quasi) tutti i giornali, che non è vera – #952

Scritto da: Andrea Degl'Innocenti
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Ieri sera attorno alle 22 italiane molti fra i principali quotidiani italiani, dal Corriere, al Sole, al Fatto Quotidiano, dedicavano le loro homepage alla morte del più grande linguista e per alcuni intellettuale vivente: Noam Chomsky. Che però non è morto. Poi la notizia è sparita senza lasciare traccia e questo ci dice molto, ahimè, del giornalismo nel nostro paese. Parliamone. Parliamo anche della visita di Putin in Corea del Nord, di Ursula von der Leyen che avrebbe ritardato l’uscita di un dossier scomodo per ingraziarsi i favori di Giorgia Meloni, di alcune novità da Israele e infine di un clamoroso retroscena dell’approvazione della Nature restoration law.

Ieri in tarda serata, orario italiano, i giornali hanno iniziato a dare la notizia della scomparsa di uno dei linguisti, pensatori, critici più celebri e influenti del nostro tempo. 

Così inizia l’articolo che apre l’homepage del Corriere della Sera alle 21:40 circa di ieri sera. “Geniale e poliedrico, Noam Chomsky aveva aperto nuovi orizzonti alla linguistica, ma era altrettanto noto per le sue radicali prese di posizione politiche e aveva offerto contributi importanti anche in campo filosofico. Il professore emerito del Massachusetts Institute of Technology, scomparso all’età di 95 anni in Brasile dove era ricoverato in ospedale per le conseguenze di un ictus, era stato definito «forse il più importante intellettuale vivente» dal «New York Times», giornale che lui aveva duramente criticato in molte occasioni. E solo questo basta a dare la misura del suo prestigio”.

Dopo il Corriere della Sera, a ruota, avevano iniziato a dare la notizia della scomparsa di Chomsky tantissimi altri giornali italiani. Il Sole 24 Ore, il Fatto Quotidiano, il Giornale e tanti altri giornali medio piccoli. 

Peccato che la notizia fosse falsa. Mi sono insospettito ieri sera quando ho visto che nessun giornale in lingua inglese dava la notizia, a parte un blog sconosciuto dal nome hacker News. E allora ho continuato a monitorare la cosa finché attorno alle 22,50 di sera la notizia è iniziata magicamente a sparire dalle homepage, spesso senza lasciare traccia. Solo il Sole 24 ore ha pubblicato un breve trafiletto in cui scriveva:

“Sarebbe falsa la notizia della morte di Noam Chomsky che si era diffusa nella tarda serata. È stata smentita dalla moglie Valeria dopo le voci che si stavano amplificando. Il sociologo e linguista americano, 95 anni, considerato uno degli intellettuali più influenti a livello mondiale e critico degli Stati Uniti è ricoverato in un ospedale di San Paolo, in Brasile, dopo essere stato colpito da un ictus circa un anno fa”.

Gli altri hanno semplicemente rimosso la notizia senza che ne rimanesse traccia. Se non avessi seguito tutta la vicenda in diretta, nemmeno me ne sarei accorto. Eppure, questa cosa ci dice molto dei rischi del giornalismo. 

Innanzitutto: come è possibile? Facendo un po’ di ricerche ho visto che la notizia del sito americano era stata ripresa da un giornale web italiano chiamato L’Identità. Che ha pubblicato per primo la notizia falsa circa 20 minuti prima del Corriere. Suppongo che un giornalista del Corriere l’abbia ripresa da lì e sia corso a pubblicare il coccodrillo, ovvero quel tipo di pezzi che le grandi redazioni hanno già pronti quando muore un personaggio famoso. 

Una volta che un pezzo è pubblicato sul Corriere, così come su Repubblica, diventa automaticamente vero per il resto dei giornali italiani. Tutti danno per scontato che il Corriere verifichi le sue notizie e quindi non si prendono la briga di farlo. E quindi, per rincorrere l’immediatezza, viene meno l’accuratezza e si danno notizie false.

Ora, ci sono 4 errori gravi in tutta questa vicenda. Il primo, in ordine cronologico è quello de L’Identità, che ha ripreso un rumor, una voce di corridoio che circolava su blog americani, su Reddit, su Twitter e l’ha pubblicata: non p che essere un giornale piccolino autorizza a pubblicare notizie senza una accurata verifica della veridicità, soprattutto trattandosi si un evento sensibile. Il secondo è quello del Corriere che prende una notizia da un giornale minore e la da per buona senza verificare. Il terzo è quello di tutti i giornali che hanno seguito il Corriere: non che se una notizia la da il Corriere, allora siamo esentati dall’obbligo di verificarla.

E il quarto? Il quarto è il più grave, quello che a mio modo di vedere è alla base della attuale mancanza di fiducia delle persone verso i giornali e i giornalisti. Perché sbagliare è umano, si sa. La vera differenza la fa quello che si fa dopo aver sbagliato. La deontologia vorrebbe che si facesse una rettifica, e che fra l’altro alla rettifica fosse data la stessa rilevanza della notizia originale. Ciò significa che tutti i giornali che ho citato e le decine di altri che hanno sbattuto la notizia in homepage del sito avrebbero dovuto scrivere “Scusate, abbiamo sbagliato” sempre in prima pagina, a caratteri cubitali. Sapete quanti l’hanno fatto? Zero, almeno fra quelli che ho potuto verificare. Solo il Sole ha pubblicato quel mezzo trafiletto, in cui peraltro non è che dice “ci siamo sbagliati”. Dice solo “la moglie smentisce i rumors” senza fare riferimento che il Sole stesso aveva dato credito a quei rumors pubblicando la notizia.

Ecco, credo che questo, lo ribadisco, sia l’errore più grave. Perché se io, lettore, avessi visto una onestà nell’ammettere lo sbaglio e nel chiedere scusa, potrei credere che anche in futuro, davanti ad altri errori, troverei smentite ed ammissioni di colpa. Così, come faccio a fidarmi? Credo che se i giornali vogliono combattere il dilagare delle fake news di cui ci si lamenta sempre all’ordine dei giornalisti e nelle redazioni, dovrebbero ricominciare dal costruire un rapporto più onesto con i propri lettori. Qui siamo proprio alle basi, su. 

Ieri sera è anche iniziata la visita del presidente russo Vladimir Putin in Corea del Nordl, visita di due giorni che è anche il suo primo viaggio nel paese dal 2000 e il primo di un leader straniero a Pyongyang dopo la pandemia da coronavirus. Molti giornali internazionali danno grosso risalto a questo fatto, spiegando come, al netto delle differenze di dimensioni fra i due paesi, gli aiuti che arrivano dalla Nord Corea siano diventati fondamentali per il leader russo. 

Leggo dal Post: “A settembre il dittatore nordcoreano Kim Jong Un era andato in Russia e quella visita aveva segnato l’inizio di una relazione più stretta fra Russia e Corea del Nord, paesi entrambi molto isolati all’interno della comunità internazionale. Era stato fatto un accordo, ufficialmente negato dalle due parti in causa, per l’invio di armi nordcoreane alla Russia, che le utilizza per sostenere l’invasione dell’Ucraina”.

La visita di Putin in Corea del Nord segna un ulteriore allineamento dei due paesi, definito da Kim Jong Un «un rapporto indissolubile di compagni d’armi». Per la Russia non sono in gioco solo i rifornimenti di munizioni, ma anche il sostegno della Corea del Nord nel più ampio scontro di Vladimir Putin contro l’Occidente. Questa vicinanza complica la politica degli Stati Uniti in Asia, mette pressione alla Corea del Sud, principale alleato dei paesi occidentali nell’area, e può limitare le decisioni degli organismi internazionali per isolare il regime nordcoreano.

Che sta avendo già diversi effetti anche a livello internazionale. Ad esempio a maggio la Russia ha messo il veto in sede Onu sul rinnovo dei controlli sull’applicazione delle sanzioni internazionali alla Corea del Nord. 

La visita di Putin, accompagnato da ministri e alti funzionari, durerà due giorni, poi la delegazione russa andrà anche in Vietnam. L’articolo racconta poi i rapporti altalenanti fra i governi dei due paesi. Putin fece una visita ufficiale in Corea del Nord nel 2000, il suo primo anno da presidente, incontrando il padre dell’attuale leader. Ma in seguito i rapporti fra i due paesi rimasero piuttosto tiepidie la Russia approvò anche le numerose sanzioni internazionali verso la Corea del Nord a partire dal 2006, dopo il primo test nucleare condotto dal regime.

Le cose sono cambiate radicalmente dopo l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia nel 2022: il notevole isolamento internazionale del regime di Putin e l’interruzione di molti rapporti commerciali con i paesi occidentali che hanno approvato le sanzioni ha riavvicinato le due nazioni. La Russia si è rivolta inizialmente alla Corea del Nord alla ricerca di nuove fonti di approvvigionamento di armi per aumentare le proprie disponibilità, ridotte dal costante uso nella guerra in Ucraina e dalle sanzioni internazionali. La Corea del Nord ha una buona disponibilità di proiettili di artiglieria, razzi e altre munizioni, seppur di qualità considerata bassa. Ha invece bisogno di praticamente tutto il resto, a partire da cibo, energia e carburanti, nonché di tecnologie di alto livello per sviluppare il suo programma militare, missilistico e nucleare, nonché quello di satelliti spia.

Da qui questo sodalizio. L’articolo spiega anche che almeno per la Russia potrebbe essere un sodalizio temporaneo e di comodo, perché una volta finita la conversione bellica dell’economia russa Putin avrà a disposizione armi ben più avanzate e potrebbe essere interessato a riallacciare i legami con la Corea del Sud.

In questi giorni post elettorali, mentre i vecchi parlamentari stanno concludendo il loro mandato e i nuovi sono già volati a Bruxelles per le procedure di rito, in vista di entrare in carica, si parla molto della formazione della nuova Commissione europea. 

La Commissione europea è l’organismo che ha l’iniziativa legislativa. Ovvero: le proposte di legge in Europa nascono da una proposta della Commissione. E poi vengono approvate in parallelo dal parlamento e dal Consiglio Ue, in un processo che si chiama trilogo, finché non si arriva a una versione accettata da entrambi questi organismi. 

La commissione viene eletta su proposta del Consiglio europeo (quindi dei capi di stato dei Paesi membri) e con l’approvazione formale dal Parlamento. Per questo in questi giorni Ursula von der Leyen sta facendo un po’ il giro delle sette chiese per capire se gode del consenso da parte dei capi di stato europei, per un eventuale Von der Leyen bis. 

Von der Leyen è l’attuale Presidente della commissione, che se vogliamo fare un parallelismo abbastanza inesatto, ma che comunque rende l’idea, è come se fosse la presidente del consiglio dell’Ue. 

E in tutto ciò, il giornale americano Politico ha pubblicato un’inchiesta in cui mostra come Von der Leyen abbia cercato di rallentare, se non di insabbiare un rapporto sulla scarsa libertà d’informazione in Italia, con l’obiettivo di ingraziarsi la nostra premier Meloni. 

In pratica secondo quattro funzionari europei, c’è un’indagine della Commissione che evidenzia una repressione dei media liberi in Italia da quando Giorgia Meloni è diventata Primo Ministro nel 2022. Ma questa indagine è contenuta nel rapporto annuale sulla situazione dello stato di diritto negli stati membri dell’UE, che doveva uscire il 3 luglio ma è stato rinviato a data da destinarsi, una data successiva alla nomina del nuovo presidente della Commissione.

Questo ritardo è molto insolito e sembrerebbe politicamente motivato, questa almeno la tesi dei funzionari anonimi che hanno denunciato la cosa, dato che von der Leyen sta cercando il sostegno di Meloni per ottenere un secondo mandato. Anche perché In passato, il rapporto ha provocato tensioni tra l’UE e paesi come Ungheria e Polonia su questioni di libertà dei media e riforme giudiziarie. 

Tre dei quattro funzionari sentiti da Politico hanno dichiarato che il rallentamento nel trattare le questioni relative all’Italia e allo stato di diritto è visibilmente collegato agli sforzi di rielezione di von der Leyen. Un quarto funzionario ha invece difeso questo ritardo nell’uscita del rapporto sostenendo che l’obiettivo è evitare l’impressione che sia collegato alle discussioni politiche in corso sulla rielezione di von der Leyen. 

Qualunque sia la causa, è una roba un po’ strana, soprattutto visto che Von der Leyen ha reso la lotta per le questioni legate allo stato di diritto un punto focale del suo primo mandato, è stata lei a istituire questo rapporto annuale e ha persino spinto per congelare i fondi destinati all’Ungheria per preoccupazioni riguardo all’indipendenza giudiziaria. Ora, improvvisamente, tutto questo sembra passare in secondo piano. 

Torniamo velocemente sulla questione Israele. Ci sono alcune novità. Una ci arriva proprio dalle piazza e dalle strade del paese, con il NYT che racconta di “Migliaia di israeliani che sono scesi in piazza a Gerusalemme lunedì per chiedere elezioni e il ritorno immediato degli ostaggi detenuti a Gaza in una manifestazione che è seguita alla recente decisione del Primo Ministro Benjamin Netanyahu di sciogliere il suo gabinetto di guerra”.

Come racconta l’articolo, “La protesta fuori dalla Knesset, il Parlamento israeliano, ha evidenziato le pressioni contrastanti a cui è sottoposto il primo ministro israeliano da parte di elementi conflittuali della società israeliana”.

E in tutto ciò anche a livello internazionale continuano le proteste, le pressioni e i boicottaggi. Oggi è il terzo mercoledì del mese ed esce la nostra rassegna siciliana scritta da Elisa Cutuli e condotta da Selena Meli, che pensate un po’, racconta proprio di come anche in Sicilia, nelle università, le proteste contro il governo Netanyahu stiano sortendo i loro effetti. Ho chiesto a Selena di farci qualche anticipazione.

Audio disponibile nel video / Podcast

Altre novità dal paese sono le seguenti: Vi ricordate il molo che il governo Usa aveva costruito a Gaza fra grandi proclami per facilitare l’arrivo di aiuti umanitari? Ecco, il NY Times racconta che le operazioni del molo temporaneo che gli Stati Uniti hanno costruito lungo le coste della Striscia di Gaza, per rafforzare la distribuzione di aiuti umanitari alla popolazione civile palestinese, si concluderanno «probabilmente con settimane di anticipo rispetto a quanto previsto inizialmente». 

I rappresentanti di alcune organizzazioni umanitarie hanno detto al «New York Times» che la struttura, costata circa 230 milioni di dollari, avrebbe «ampiamente fallito la sua missione». La struttura è stata attraccata circa un mese fa, ma è stata operativa per circa dieci giorni, dopo essere stata danneggiata dal maltempo e diverse sospensioni delle attività per motivi di sicurezza. Alcuni funzionari militari statunitensi, ha scritto il quotidiano, avrebbero detto alle organizzazioni umanitarie presenti a Gaza che il molo potrebbe essere smantellato già il mese prossimo. 

Sempre ieri sera si è diffusa la notizia che ci sarebbe un piano israeliano di battaglia per il Libano. Leggo sul Corriere (qui la notizia è confermata anche da altre fonti, tranquilli) che “Il capo del Comando Nord dell’IDF, Ori Gordin, e il capo della Direzione delle Operazioni, Oded Basiuk, hanno approvato i piani di battaglia per il Libano. Lo si apprende da fonti militari. In una dichiarazione, l’Idf afferma che i generali hanno effettuato una valutazione, durante la quale «sono stati approvati i piani operativi per un’offensiva in Libano». 

In pratica il governo d’Israele ha avvertito che dopo il 7 ottobre non può più tollerare la presenza di Hezbollah lungo il suo confine con il Libano, e ha avvertito che qualora non si raggiungesse una soluzione diplomatica, passerà all’azione militare per spingere Hezbollah verso nord. Insomma, Netanyahu e compagnia continuano a soffrire del complesso di accerchiamento. Il problema è che la politica estera aggressiva, credo, sortirà gli effetti opposti e aumenterà l’odio verso Israele. Non lo renderà un luogo più sicuro, ma più pericoloso.

Ieri raccontavamo di come a sorpresa è stata approvata la legge europea sul ripristino della natura, la Nature restoration law. Ecco, devo dire che il retroscena pubblicato oggi da alcuni giornali è ancora più sorprendente, e da un lato emozionante, oserei dire.

La Nature Restoration Law è questo regolamento europeo molto importante che impone agli stati membri di ripristinare sistematicamente alcuni ecosistemi naturali chiave danneggiati. Anche se la versione approvata è un po’ annacquata rispetto al disegno originale è comunque davvero una legge innovativa e fondamentale.  

Che rischiava di restare in un cassetto perché alcuni governi, fra cui il nostro, erano contrari, mentre Austria e Belgio si astenevano e quindi non si raggiungeva la maggioranza qualificata necessaria all’approvazione in sede di Consiglio Ue. Poi alla fine la ministra dell’ambiente austriaca,Leonore Gewessler, ha votato a favore sbloccando la situazione.

Ecco, la cosa clamorosa è che Gewessler ha votato a favore andando apertamente contro le indicazioni del suo governo. 

Prima della seduta la ministra ha detto: «fra 20 o 30 anni quando parlerò con le mie due nipoti e mostrerò loro la bellezza del nostro paese e di questo continente, e loro mi chiederanno “cosa hai fatto quando era in gioco tutto”, voglio poter dire loro che ho fatto tutto quello che potevo». E poi, appunto, ha votato a favore.

Ora, non so se le parole della ministra fossero vere e sincere, se fosse mossa da altri interessi, non posso sapere cosa avesse in mente. Una parte di me vuole credere alle sue parole, un’altra parte di me mi invita a frenare le emozioni e portare avanti un razionale scetticismo. Qualunque sia la realtà, resta – per me – una bella storia. Un po’ meno per il resto del governo austriaco, che sta facendo ricorsi su ricorsi per invalidare il voto. Ma pare che non ci sia niente da fare. La legge è passata.

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