6 Ott 2023

La guerra del fentanyl e la strana storia del sottomarino nucleare cinese – #806

Scritto da: Andrea Degl'Innocenti
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Torniamo a parlare della crisi degli oppioidi negli Usa e delle nuove sanzioni contro la Cina, accusata di incentivarla nell’ambito della cosiddetta “guerra ibrida”. Cina di cui i giornali parlano anche per una questione strana, di un sottomarino nucleare che sarebbe rimasto impigliato in una trappola decretando la morte dei 55 membri dell’equipaggio. Parliamo anche di un nuovo caso di una ragazza malmenata dalla polizia e finita in coma in Iran, di Giannini che non è più direttore della Stampa e infine della nuova puntata della nostra inchiesta mensile sul rigassificatore. 

Ci sono un po’ di novità sulla questione degli oppioidi negli Usa. Saprete, forse, che esiste una roba chiamata crisi degli oppioidi. Dalla fine anni novanta/primi duemila negli Usa si è assistito al moltiplicarsi di casi di dipendenze da sostanze a base di oppio, causate principalmente da un utilizzo, diciamo generoso, di farmaci antidolorifici che ben presto si tramutavano in una dipendenza. 

Ne abbiamo già parlato ma vi do qualche numero per farvi capire di cosa stiamo parlando perché è impressionante. Tra il 1999 e il 2021 ci sono stati all’incirca 1 milione di morti per overdose da farmaci e sostanze illecite. Solo nel 2021, i decessi in totale sono stati 106.000. Di questi decessi, oltre la metà sarebbero stati causati da oppioidi. nel 2022 negli Stati Uniti sono morte più di 100.000 persone per overdose di droga, di cui 82.998 per overdose da oppioidi. Quindi ecco, parliamo di queste cifre qui. Più di 80mila morti all’anno, oltre a una serie di conseguenze sociali devastanti, interi villaggi rurali devastati, neonati nati con la dipendenza dagli oppioidi e così via. Nonostante siano queste le dimensioni del fenomeno, è solo dal 2017 che l’amministrazione Usa ha riconosciuto il problema.

Il motivo di tanta e tale reticenza è che buona parte di queste morti sono dovute a delle politiche molto lasche nei confronti delle case farmaceutiche, se non a casi di corruzione vera e propria. In pratica alcune aziende sono state accusate di aver convinto medici di base a prescrivere molto facilmente questi farmaci, e a chiudere gli occhi di fronte ad ordini assurdi, evidente segnale di una dipendenza che si stava diffondendo. 

Nel 2019 è iniziato primo grande processo contro la Johnson & Johnson, in Oklahoma, processo che si è concluso con una sentenza che è stata definita storica: l’ordine di pagare 572 milioni di dollari per i danni umani e sociali provocati dai prodotti della casa farmaceutica. Un’altra casa farmaceutica, la Purdue Pharma, produttrice dell’oppioide Oxycontin, è stata accusata da un’inchiesta del NYT di aver cercato di trarre profitto curando una dipendenza che lei stessa aveva contribuito in maniera determinante a creare, e di averlo fatto con cognizione di causa. 

Vi faccio tutta questa premessa perché c’è una novità che riguarda la Cina. Che c’entra la Cina? Be’, c’entra. Forse. In pratica diversi esponenti della politica, della politologia e dell’intelligence degli Stati Uniti stanno accusando da anni la Cina di essere dietro l’aggravamento della crisi degli oppioidi, che starebbe alimentando rifornendo il mercato nero americano dei componenti chimici con cui si possono “cucinare” alcune di queste sostanze. In particolare il fentanyl, il farmaco cento volte più potente della morfina che sta uccidendo migliaia di persone.

È una desi detta della “guerra ibrida”, sostenuta da molti politici repubblicani e però anche suffragata da alcune indagini indipendenti che hanno appurato l’esistenza di legami estesi tra i produttori cinesi e i narcotrafficanti messicani e statunitensi. La Cina ovviamnete ha sempre negato.

L’amministrazione Trump ha introdotto le prime sanzioni nei confronti dei produttori cinesi sospettati di rifornire cartelli messicani e trafficanti statunitensi, mentre la presidenza Biden, oltre a proseguire la politica delle sanzioni mirate, ha annunciato l’intenzione di formare una coalizione internazionale contro il traffico di stupefacenti. 

Ed è su questo fronte che c’è una novità abbastanza grossa. La riporta Aljazeera: Gli Stati Uniti hanno imposto sanzioni e lanciato accuse contro decine di aziende e individui cinesi che ritengono coinvolti nel commercio illegale di fentanil.

I funzionari statunitensi hanno descritto le loro azioni, che includono accuse contro aziende e dirigenti cinesi accusati di pubblicizzare, produrre e distribuire sostanze chimiche precursori di oppioidi sintetici come il fentanil, come l’ultimo sforzo nella lotta contro la crisi di overdose più mortale nella storia degli Stati Uniti.

Oltre ad accusare otto aziende, martedì il Dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti ha incriminato anche 12 dirigenti dell’azienda per il loro presunto ruolo nel traffico di droga. Nell’ambito dell’azione coordinata, il Dipartimento del Tesoro ha annunciato sanzioni contro 28 persone e aziende, soprattutto in Cina ma anche in Canada. Le sanzioni li escluderanno dal sistema finanziario statunitense e vieteranno a chiunque negli Stati Uniti di fare affari con loro. Nessuno degli accusati è stato arrestato, ma Garland ha dichiarato che i pubblici ministeri intendono “consegnare alla giustizia ognuno di questi imputati”.

Come ha dichiarato ai giornalisti il procuratore generale degli Stati Uniti Merrick Garland: “Siamo qui oggi per consegnare un messaggio a nome del governo degli Stati Uniti. Sappiamo chi è responsabile dell’avvelenamento del popolo americano con il fentanyl. Sappiamo che questa catena globale di approvvigionamento di fentanyl, che si conclude con la morte di americani, spesso inizia con aziende chimiche in Cina”.

La Cina dal canto suo ha accusato il governo americano di usarla come facile parafulmine e capro espiatorio. Anche qui siamo di fronte al classico caso in cui è nessuno ne esce pulito. Il governo americano ha taciuto il problema per anni, consentendo ad alcune aziende di speculare sulle dipendenze ed è intervenuto quando era troppo tardi. Al tempo stesso è probabile che quello cinese stia adesso approfittando di questo punto debole nel ventre della società americana per attaccarla con strumenti di guerra ibrida. 

Restando più o meno in tema, c’è un mistero che da mesi sta tenendo banco, non proprio in prima pagina, ma comunque sui media di mezzo mondo. Stiamo parlando di una notizia piuttosto strana, pubblicata come esclusiva dal tabloid britannico Daily Mail ad agosto, e poi ripresa dai quotidiani di diversi paesi. La notizia è che un sottomarino nucleare cinese con a bordo 55 marinai sarebbe rimasto impigliato in una trappola per imbarcazioni sottomarine NATO nel Mar Giallo e i membri dell’equipaggio sarebbero tutti morti.

Eh? Sì, è quello che ho detto anche io. Che vuol dire? Partiamo mettendo le mani avanti: i dubbi su questa notizia sono diversi, a partire dal tabloid che la pubblica che diciamo non è famoso per l’accortezza e l’attenzione alle fonti nel riportare le notizie, tant’è che ad esempio nel 2017 Wikipedia ha deciso di smettere di utilizzare il Daily mail come fonte per le proprie pagine. Detto ciò, in questo caso almeno un fondo di verità sembrerebbe esserci, anche per via dell’atteggiamento diciamo sospetto del governo cinese.

Come scrive il corrispondente di Repubblica Antonio Guerrera, “Il tabloid sostiene di avere un’esclusiva scottante. Avrebbe avuto accesso a documenti segreti che non sembrano lasciare dubbi: «L’incidente è avvenuto il 21 agosto scorso alle 8.12. Per la Cina, sarebbe una tragedia come quella del russo Kursk, 23 anni fa, il disastro più grave di sempre per un sottomarino militare”.

Il tabloid riporta il contenuto di un rapporto dei servizi segreti del Regno Unito, i marinai sono morti in seguito a un guasto catastrofico dei sistemi di ossigeno del sottomarino che ha avvelenato l’equipaggio. Il capitano del sottomarino della Marina militare cinese PLA “093-417” sarebbe tra i deceduti, così come altri 21 ufficiali.

L’incidente è avvenuto alle 08.12 locali e ha causato la morte di 55 membri dell’equipaggio: 22 ufficiali, 7 ufficiali cadetti, 9 sottufficiali, 17 marinai. Tra i morti c’è il capitano colonnello Xue Yong-Peng.

Secondo le nostre conoscenze, la morte è stata causata da ipossia dovuta a un guasto del sistema del sottomarino. Il sottomarino ha urtato un ostacolo di catene e ancore utilizzato dalla Marina cinese per intrappolare i sottomarini statunitensi e alleati.

Ciò ha provocato guasti ai sistemi che hanno richiesto sei ore per riparare il sottomarino e riportarlo in superficie. Il sistema di ossigeno di bordo ha avvelenato l’equipaggio dopo un guasto catastrofico”.

Ufficialmente, la Cina ha negato che l’incidente abbia avuto luogo. Sembra inoltre che Pechino si sia rifiutata di richiedere assistenza internazionale per il suo sottomarino colpito. Il rapporto del Regno Unito sulla missione fatale recita: I servizi segreti riferiscono che il 21 agosto c’è stato un incidente a bordo mentre si svolgeva una missione nel Mar Giallo.

Al momento non esiste alcuna conferma indipendente della presunta perdita del sottomarino cinese. Pechino ha respinto le speculazioni open source sull’incidente definendole “completamente false”, mentre anche Taiwan ha smentito le notizie diffuse su internet.

Il Mail Plus ha contattato la Royal Navy per discutere i dettagli contenuti nel rapporto britannico, ma le fonti ufficiali hanno rifiutato di commentare o offrire indicazioni. 

Un sommergibilista britannico ha fornito questa spiegazione: “È plausibile che ciò sia avvenuto e dubito che i cinesi avrebbero chiesto il supporto internazionale per ovvie ragioni. Se erano intrappolati nel sistema di rete e le batterie del sottomarino si stavano scaricando (è plausibile), alla fine i depuratori e i sistemi di trattamento dell’aria potrebbero essersi guastati.

Insomma, se questa roba è vera, non è una roba da poco ed è di quelle che potrebbe mettere molto in imbarazzo il governo cinese. 

Torniamo a parlare di Iran, perché nonostante le proteste che vanno avanti da oltre un anno, potrebbe essersi verificato un nuovo caso Masha Amini. Una ragazza sedicenne è in coma dopo un diverbio con la polizia morale. Per capire meglio cosa sta succedendo ho ricontattato Samira Ardalani per farci raccontare la situazione:

AUDIO DISPONIBILE NEL VIDEO/PODCAST

Torniamo in Italia per una notizia che riguarda il mondo del giornalismo. La prendo dal Post: “Il giornalista Massimo Giannini non sarà più il direttore del quotidiano La Stampa. Dal 7 ottobre sarà sostituito dall’attuale vicedirettore della Stampa, Andrea Malaguti. Lo ha annunciato Gedi News Network, la divisione del gruppo editoriale GEDI che oltre alla Stampa controlla Repubblica e diversi quotidiani locali.”

In un comunicato stampa l’amministratore delegato Corrado Corradi ha detto che Giannini tornerà a Repubblica, di cui in passato era stato a lungo vicedirettore, «con il ruolo di editorialista e commentatore, oltre che autore di podcast».

Malaguti invece ha 57 e lavora da molti anni alla Stampa, dove fra le altre cose ha fatto il capo della redazione sport, della cronaca di Torino, il corrispondente dal Regno Unito e il cronista parlamentare. Corradi ha detto che Malaguti avrà il compito di «rafforzare il legame unico tra La Stampa e i lettori del suo territorio», quindi verosimilmente di aumentare la copertura degli affari locali del quotidiano, riducendo quella nazionale.

Non è chiaro quale sia la logica dietro a questa scelta, mi limito a notare che continuano gli sconvolgimenti nei giornali posseduti dal gruppo Gedi, dopo l’Espresso, MicroMega e appunto adesso La Stampa.

È venerdì e quindi è tempo per una nuova puntata della nostra inchiesta mensile ligure sul rigassificatore. Nell’articolo di oggi, a firma sempre di Emanuela Sabidussi, andiamo ad esplorare qualcosa che spesso i giornali ignorano, di meno oggettivo e magari impalpabile: lo stato d’animo delle persone. 

Ne emerge un ritratto davvero significativo di una popolazione, quella di Vado Ligure, il comune dove dovrebbe essere spostato il rigassificatore, già toccata da vicende delicate, come il processo che ha coinvolto i manager della Tirreno Power accusati di disastro ambientale e sanitario colposo per la gestione della centrale elettrica a turbogas della zona. Ma anche dalla presenza di discariche e altri impianti inquinanti.

Un comune piccolo, di poco più di 8000 abitanti ma dove (paradossalmente) appare enorme, quasi incolmabile la distanza con una classe dirigenziale distante, anzi ormai praticamente assente visto che il comune è attualmente commissariato. 

Insomma, una storia che vi invito a leggere con attenzione perché ci mostra come la realtà sia fatta di tanti strati, come dietro ogni grande opera ci siano tanto interessi politici, geopolitici, strategici, quanto, in fin dei conti, le voite delle persone che quei luoghi li abitano tutti i giorni. 

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