25 Giu 2024

Julian Assange è libero! Il fondatore di Wikileaks patteggia ed è e già rientrato in Australia – #955

Scritto da: Andrea Degl'Innocenti
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Julian Assange è un uomo libero ed è già uscito dal carcere e rientrato in Australia. Lo so, nemmeno io volevo crederci, ma è proprio così. Parliamo anche dei ballottaggi nelle principali città italiane che hanno premiato il centrosinistra, che ha eletto sindaci e sindache in tutti e 6 i capoluoghi di regione in ballo. Anche in questo caso però pesa sul giudizio la forte astensione, e forse ha pesato anche l’approvazione della legge sull’autonomia differenziata. Torniamo anche a parlare dell’attentato islamista in Daghestan, degli Usa che aprono una nuova unità nel Pacifico, di immigrazione, lavoro e demografia nel Nordest e infine di un’interessante sinergia in difesa dei primati in Amazzonia.

La notizia è arrivata nel cuore della notte, non la troverete ancora sui giornali di oggi, eppure è clamorosa, incredibile, inaspettata. Quando l’ho letta la prima volta, fra il sonno, ho pensato ad uno scherzo e invece parrebbe tutto vero. 

Va bene, va bene, calma, contegno. La notizia è questa: Julian Assange è un uomo libero! Ve la leggo dal sito del Corriere: “Il fondatore di WikiLeaks, ha accettato di dichiararsi colpevole di un reato relativo al suo ruolo in una delle più grandi violazioni di materiale classificato americano, come parte di un accordo con il Dipartimento di giustizia Usa che gli consentirà di evitare la reclusione negli Stati Uniti e di tornare in Australia. Lo riferisce la Cnn, citando documenti recentemente depositati presso la corte federale. Il patteggiamento deve ancora essere approvato da un giudice federale, ma dovrebbe essere una formalità. 

La stessa Wikileaks ha annunciato: «Assange è libero». Ed è proprio già letteralmente libero. Ha infatti lasciato la prigione di Belmarsh ieri mattina, senza che nessuno lo sapesse, ed è stato rilasciato dalla giustizia britannica nel pomeriggio all’aeroporto di Stansted a Londra, da dove si è imbarcato su un aereo e ha lasciato il Regno Unito.

Vediamo meglio l’accordo con gli USa: secondo i termini del nuovo accordo, i pubblici ministeri del dipartimento di giustizia Usa chiederanno una condanna a 62 mesi, che però Assange ha già scontato. La pena infatti equivale agli oltre cinque anni che Assange ha scontato nel carcere di massima sicurezza a Londra mentre combatteva contro l’estradizione negli Stati Uniti. 

Il patteggiamento riconoscerebbe dunque il tempo già trascorso dietro le sbarre, consentendo ad Assange di tornare immediatamente in Australia. 

La notizia, lo ripeto di nuovo ma più per me che per voi, perché faccio fatica a crederci dopo tutti questi anni, è emozionante e incredibile. Assange era accusato di 18 capi di imputazione per aver diffuso carte top secret (contenenti crimini di guerra dell’esercito americano) e rischiava 175 anni di prigione.

Il mese scorso, un tribunale del Regno Unito aveva stabilito che Assange aveva il diritto di fare ancora appello contro l’estradizione negli Usa. Che già era sembrata una vittoria. Adesso, la libertà. Che dire, ne riparleremo, cercheremo di capire come sta adeso, cosa farà. Intanto però, celebriamo questo fatto importantissimo, per Julian, per la sua famiglia, e per l’informazione libera di tutto il mondo. 

Domenica e fino a ieri alle 15 si è votato per i ballottaggi in diverse città italiane per eleggere i nuovi sindaci e la giunta comunale. Come sono andati? Diciamo che il centrosinistra ha vinto soprattutto soprattutto nei centri più grandi. 

Il centrosinistra ha vinto infatti nei cinque capoluoghi di regione – Firenze, Bari, Perugia, Campobasso e Potenza – dopo aver vinto a Cagliari al primo turno, due settimane fa. I ballottaggi al secondo turno delle elezioni amministrative servivano a eleggere i sindaci nelle città con oltre 15mila abitanti in cui al primo turno nessun candidato aveva ottenuto più della metà dei voti validi, e nei comuni con meno di 15mila abitanti in cui al primo turno i primi due candidati avevano ottenuto lo stesso numero di voti. Questo perché in pratica la legge elettorale per le amministrative prevede il ballottaggio nel caso in cui nessun candidato superi il 50%+1 delle preferenze solo per i comuni maggiori, con più di 15mila abitanti, mentre per quelli più piccoli c’è il ballottaggio solo se i primi due candidati prendono esattamente lo stesso numero di voti.

Comunque, le città considerate più importanti al voto erano Firenze, Bari e Perugia. A Firenze ha vinto Sara Funaro, assessora della giunta uscente guidata da Dario Nardella. Il nuovo sindaco di Bari è Vito Leccese, mentre a Perugia la nuova sindaca è Vittoria Ferdinandi. 

Se osserviamo solo i capoluoghi, prima di questa tornata di elezioni amministrative, nelle città principali in cui si è votato,13 erano guidate dal centrosinistra, 13 dal centrodestra, due dai 5 stelle e una – Avellino – da una lista civica. Dopo queste elezioni, 17 capoluoghi sono guidati da esponenti del centrosinistra, 11 dal centrodestra, due – Avellino e Verbania – da liste civiche.

Complessivamente, nei 224 comuni con più di 15mila abitanti al voto in queste elezioni amministrative il centrosinistra ha eletto 115 sindaci, 11 in più rispetto allo scorso mandato, mentre il centrodestra 81, due in più. Il Movimento 5 Stelle ha mantenuto tre sindaci, mentre i comuni amministrati da liste civiche sono passati da 38 a 25.

Come immaginerete, stavolta è stata soprattutto la leader del Pd Elly Schlein ad aver cantato vittoria. Riporta Domani che la frase che rimbalza di più negli ambienti Pd è “abbiamo stravinto”. Schlein sottolinea anche che dei 6 sindaci eletti nelle principali città 3 sono sindache. 

Anche qui però, pesa molto la scarsa affluenza, che in media si è fermata al 47,71 per cento, in calo netto rispetto al primo turno, era stata del 62,8%. Al primo turno però si votava anche per le europee, e inoltre nel secondo turno è stata trainata verso l basso soprattutto dalle città dove il risultato sembrava scontato, tipo a Bari dove il candidato di csx Leccese ha preso il 70% dei voti, ma ha votato solo il 40% degli elettori. Che comunque, uno che si chiama leccese eletto sindaco di Bari ha vinto a prescindere.

Però ecco, battute a parte, sono percentuali che vanno prese con le molle proprio per via della bassa affluenza. Su Domani, Giulia Merlo azzarda una lettura, sulla quale non mi sento di mettere la mano sul fuoco, ma che comunque vi condivido perché ho trovato interessante. 

Con tutte le cautele del caso, visto che si tratta pur sempre di elezioni amministrative, il Sud sembra essere diventato un problema difficilmente sottovalutabile per il governo. Il calendario elettorale ha voluto che i ballottaggi delle amministrative si celebrassero dopo il via libera alla riforma dell’autonomia differenziata, che molto ha fatto storcere il naso alle regioni del Mezzogiorno. E i risultati hanno mostrato una certa disaffezione dell’elettorato di centrodestra.

Quindi, ecco, è possibile che l’approvazione della legge fortemente voluta dalla Lega, accusata di penalizzare le regioni del Sud (devo dire in questo caso, un po’ ingiustamente, per la versione finale in cui è passata) abbia giocato un ruolo in queste amministrative.

Mentre sono salite a 19 le vittime accertate dell’attentato di domenica sera in Daghestan, e continuano le accuse e le indagini in Russia, ho trovato interessante un’analisi pubblicata su Domani a firma di Mario Giro, che racconta come, al di là delle accuse, che non dirvi se e quanto fondate all’Occidente, la Russia continua ad avere un problema con il terrorismo islamico e questo è specchio di una contraddizione del paese contemporaneo. 

Leggo: “Il terrorismo jihadista continua a colpire la Russia anche se a Mosca si vorrebbe ritenersi immuni perché amici dell’islam e del global south. In realtà la lotta per l’omologazione e la russificazione che Putin sta ferocemente svolgendo in Ucraina («l’Ucraina non esiste, sono tutti russi…») trova il suo oggettivo limite nella composizione molto articolata delle nazionalità nell’immenso paese”.

In fondo questo è stato il problema russo da sempre, fin dallo zarismo: cercare qualcosa che unisca i vari popoli. Il comunismo sovietico è stato certamente un collante più forte del potere zarista, basato su una miscela dinastica e nazional-religiosa. Ma oggi ci si deve arrangiare con ciò che si ha e che non sempre funziona.

La storia della Cecenia fa da modello: un pezzo di paese governato con pugno di ferro essenzialmente da una famiglia, un modo totalmente diverso da ciò che accade nelle altre repubbliche, addirittura con il permesso di avere leggi proprie marchiate da uno stampo religioso molto pronunciato.

Il Daghestan non è un universo così lontano da Grozny (Grozny è la capitale della cecenia, devo ammettervi che mi infasridisce questa prassi del giornalismo di chiamare gli stati o le regioni con il nome della capitale, come se uno dovesse per forza sapere che Grozny è la capitale della Cecenia, ma vabbé): islam, nazionalismo, scossoni secessionisti o autonomisti, conflitti etno-religiosi.

Il Caucaso è sempre stato un mondo convulso ed è facile immaginare come la recente guerra della sua parte meridionale tra Azeri e Armeni abbia fatto da detonatore a simili crisi poco più a nord. Il Daghestan è anche la più grande delle repubbliche del Caucaso settentrionale governate dalla Russia: oltre alla Cecenia vi sono anche l’Inguscezia, l’Ossezia, la Cabardino-Balcaria, l’Ossezia settentrionale e la Circassia.

L’articolo poi descrive le fratture storiche all’interno di queste repubbliche, per concludere: “Non stupisce che l’Isis stia tentando di inserirsi in tali fratture storiche, cercando manovalanza per le sue avventure jihadiste. Già si erano visti tentativi durante la guerra di Siria, quando combattenti caucasici si erano mescolati ad altri, come afghani, pakistani, uiguri ecc., schierati su entrambi i lati del fronte”.

Si dimostra una volta di più come la guerra sia un ingranaggio poco controllabile che può fare proseliti in maniera insolita o imprevista. Putin sarà ora costretto a mettere in campo una politica di coesione e dialogo in un territorio difficile e frastagliato in termini etno-religiosi: il metodo ceceno non può essere esportato dovunque. 

Apprendo invece da Limes che “Il comandante del corpo dei Marines Eric Smith ha rivelato che gli Stati Uniti si apprestano a creare un’altra unità di reggimento marino litoraneo (Mlr) sull’isola di Guam nell’Oceano Pacifico. Sarebbe la terza dopo quelle nelle Hawaii (Usa) e a quella ad Okinawa (in Giappone), istituita lo scorso novembre. 

Smith ha affermato che lo scopo primario di queste ‘unità è di contrastare eventuali aggressioni della Repubblica Popolare Cinese contro Giappone, Corea del Sud e Filippine. Che però, onestamente, è un’ipotesi davvero altamente improbabile. Talmente improbabile da non giustificare questo dispiego di forze. Mentre è chiaro che queste unità, soprattutto quella giapponese saranno decisive in caso di conflitto a Taiwan. 

Ieri sera è arrivata anche la comunicazione ufficiale degli eletti di AVS. “Alla luce delle proclamazioni avvenute e delle decisioni assunte dai candidati plurieletti”, i nuovi parlamentari europei di Alleanza Verdi e Sinistra sono Ilaria Salis, Mimmo Lucano, Ignazio Marino, Cristina Guarda, Leoluca Orlando e Benedetta Scuderi. 

Personalmente la considero un’ottima notizia soprattutto per quanto riguarda l’elezione di Cristina Guarda e Benedetta Scuderi, che erano due delle giovani candidati su cui i gruppi di attivisti climatici avevano persino fatto una petizione per chiedere a AVS proprio di dar loro la priorità, in quanto molto attente e focalizzate sulle questioni climatiche.

Su diversi quotidiani del gruppo NordEst Multimedia è apparso un articolo interessante che spiega come, per mantenere gli attuali standard produttivi, ilVeneto dovrà accogliere almeno 600mila persone straniere nei prossimi 13-14 anni. La stima è fatta in base a un’analisi dell Fondazione Nord Est che tiene in conto alcuni fattori come il calo demografico, l’invecchiamento della popolazione e così via.

Come sappiamo, una società basata sulla crescita ha bisogno, per stare in piedi, di continuare a crescere. Se la sua popolazione inizia a calare, è un enorme problema. Perché meno persone giovani significa un calo di forza lavoro, un calo dei consumi, e tutto ciò a fronte di una popolazione anziana che assume peso in percentuale e quindi tutto il sistema del welfare tende a crollare, perché banalmente chi lavora e paga le tasse non ce la fa a sostenere tutto il peso di una popolazione anziana numericamente sueriore, e anche più bisognosa di cure, assistenza, ecc. 

È un problema annoso e di non facile soluzione. Sappiamo che non possiamo continuare a crescere economicamente per sempre ma sappiamo anche che questa transizione non sarà facile e indolore. Comunque, ora non apriamo qui il tema dei modelli economici, di come uscire da un modello basato sulla crescita, sappiate che ci sono comunque varie cornici di riferimento. Quello che mi sembra interessante è che l’immigrazione potrebbe essere in realtà un’ottima alleata in un periodo di transizione, facendo sì che l’uscita da un modello basato sulla crescita non sia improvviso e traumatico. Certo, l’immigrazione ci mette davanti a sfide vere e importanti, legate al tema di una reale integrazione. Intanto, interessante che se ne parli in quest’ottica.

In Brasile esiste una missione che è frutto della collaborazione tra ricercatori e popolazioni indigene e che mira alla tutela dei primati dell’Amazzonia: si tratta del Progetto Reconecta, di cui ci parla un articolo su L’Indipendente. Il Progetto è stato ideato dalla biologa Fernanda Ambra e mira a proteggere i primati dell’Amazzonia attraverso la costruzione di ponti che collegano le chiome degli alberi sui lati opposti della strada BR-174, negli Stati di Amazonas e Roraima. Questi ponti permettono alla fauna locale di attraversare in sicurezza, riducendo il rischio di investimento, una delle principali cause di morte per i primati nella regione. 

Ambra, vincitrice del premio Whitley 2024, sottolinea l’importanza del coinvolgimento delle comunità indigene, in particolare dei Waimiri-Atroari, nella realizzazione del progetto. Il Brasile, con una vasta rete stradale e molte specie di primati a rischio estinzione, affronta una grave crisi ambientale. Ogni anno, quasi 9 milioni di mammiferi medio-grandi muoiono sulle strade brasiliane. 

Il progetto ha inizialmente individuato tre aree critiche e ha installato 30 ponti nel 2022, dotati di fototrappole per monitorare l’utilizzo da parte degli animali. Nei primi 10 mesi, otto diverse specie, tra cui il tamarino dalle mani gialle e gli opossum, hanno utilizzato i ponti. Il progetto è multidisciplinare, coinvolgendo anche ingegneria civile e normativa stradale, e mira a essere replicabile in altre regioni e all’estero. 

Il successo iniziale ha portato a un ulteriore sviluppo del progetto per estendere i benefici della conservazione, come dichiarato dal leader Waimiri-Atroari, Mario Paruwe.

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