13 Set 2023

Italia da record per i sussidi alle fonti fossili – #790

Scritto da: Andrea Degl'Innocenti
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L’Italia è il secondo paese al mondo, fra i firmatari della Glasgow declaration, per sussidi ai combustibili fossili. Intanto nei Paesi Bassi migliaia e migliaia di persone scendono in piazza, anzi bloccano il traffico autostradale (e a migliaia vengono arrestate) per chiedere al governo di sospendere i sussidi alle fonti fossili. parliamo anche della legge contro Airbnb a New York, e di quella sugli affitti brevi che sta circolando, in veste di bozza, in Italia, dello sversamento dell’acqua radioattiva di Fukushima nel Pacifico e infine dell’isola greca di Tilos, esempio mondiale di sostenibilità.

Vi ricordate della Glasgow declaration? In pratica uno dei risultati più importanti della Cop26 di Glasgow, la conferenza delle parti sul clima più importante degli ultimi anni, dopo Cop21 di Parigi, era stata la cosiddetta Glasgow declaration che prevedeva fra le altre cose l’abbandono da parte dei paesi firmatari dei sussidi pubblici alle fonti fossili entro la fine del 2022. 

Ecco, il 2022 è bello che finito ma molti paesi non hanno mantenuto la promessa. Pochi giorni fa Oil Change International ha pubblicato un rapporto per mostrare quanti sussidi i paesi firmatari continuano a fornire alle fonti fossili in giro per il mondo e i risultati non sono incoraggianti. E fra l’altro, il nostro paese è il secondo, fra i firmatari, come sussidi assoluti erogati.

Leggo su Rinnovabili.it: “Dall’inizio dell’anno, l’Italia ha sborsato almeno 1,2 miliardi di dollari in sussidi pubblici per progetti fossili nel mondo..

Peggio dell’Italia hanno fatto soltanto gli Stati Uniti con 1,5 mld $. Seguono poi Germania, Giappone, Olanda e Svizzera. In tutto, tramite i crediti all’esportazione e le agenzie nazionali di sviluppo, questi 6 paesi hanno alimentato un flusso di 4,4 miliardi di dollari di sussidi alle fossili.

Tutti i progetti scandagliati e selezionati dall’ong non potrebbero procedere senza questi sussidi pubblici e sono incompatibili con il mantenimento del riscaldamento globale sotto la soglia di 1,5 gradi.

Nel dettaglio, l’Italia avrebbe infranto le promesse fatte a Glasgow garantendo supporto a 8 progetti, tra cui l’espansione di una raffineria in Indonesia (141 mln $), un’altra raffineria in Perù (500 mln $), una centrale a gas in Uzbekistan (545 mln), e poi progetti sul gas tra Brasile, Mozambico, Turchia e Vietnam. Quest’ultimo, un progetto per l’import di LNG, emetterebbe 3,5 volte le emissioni annuali dell’Italia ed è la voce più alta con 1,3 mld $.

Come dicevamo, peggio di noi da questo punto di vista hanno fatto solo gli Stati Uniti, con l’amministrazione Biden che è stata pesantemente criticata per aver continuato a dare il via libera ai progetti internazionali sui combustibili fossili, nonostante un ordine esecutivo del 2021 e il suo sostegno alla Dichiarazione di Glasgow.

Anche se mi sento di dire che se pesiamo i finanziamenti sulla popolazione e sulle dimensioni dell’economia, 1,5 miliardi di finanziamenti per gli Usa sono una percentuale molto più bassa di 1,2 miliardi per l’Italia.

Fermare immediatamente i sussidi alle fonti fossili è anche una delle principali richieste di molti movimenti per il clima, che in molti paesi del mondo protestano quotidianamente, e che spesso subiscono conseguenze anche gravi per le loro manifestazioni.

Abbiamo seguito da vicino le vicende giudiziare di attivisti/e di Ultima generazione in Italia, ma ci sono luoghi dove le cose vanno anche peggio per gli attivisti climatici. E non c’è bisogno di arrivare nelle prigioni egiziane per osservarli.

Nella civile e democratica olanda, pochi giorni fa, la polizia ha preso in custodia migliaia di attivisti per il clima, dopo una manifestazione contro il governo e le sue politiche ambientali. Come scrive Luigi Mastrodonato su Lifegate “Nella giornata di sabato 9 settembre circa 10mila persone hanno sfilato lungo l’autostrada A12 nei pressi de L’Aia, ignorando i divieti e bloccandola. Sono state fermate migliaia di persone, ma ciononostante nella giornata di domenica 10 settembre la manifestazione si è ripetuta secondo le stesse modalità. Anche in questo caso ci sono stati numerosi altri fermi di polizia. Le associazioni ambientaliste dicono però che andranno avanti con la protesta.

Le enormi manifestazioni di questi giorni, organizzate dal movimento Extinction Rebellion assieme ad altre organizzazioni come Greenpeace sono dovute anche al fatto che Nei giorni scorsi nei Paesi Bassi è uscito un report sulle spese annuali del governo in termini di sussidi all’industria fossile. Nel documento sono citate 31 forme di sussidio, generalmente sotto forma di agevolazione fiscale, che rendono più economico per le industrie locali produrre petrolio, carbone e gas. I vantaggi riguardano soprattutto l’industria marittima, mentre al secondo posto si piazzano le compagnie che producono elettricità per via fossile.

L’uscita del report ha acceso le polemiche nel paese, tanto che sul tema è intervenuto anche Rob Jetten, ministro dell’Energia. Ha riconosciuto che i sussidi governativi al fossile sono un problema e che andrebbero cancellati, ma non ha offerto previsioni temporali su quando questo succederà. Un elemento che ha acceso ulteriormente lo scontro.

Le camionette delle forze dell’ordine hanno cercato di disperdere le persone con i cannoni d’acqua. Alla fine della giornata la polizia ha diramato un comunicato in cui si parlava di 2.400 persone trattenute, compresi minori. Il giorno dopo, domenica 10 settembre, è andato in scena un nuovo corteo sull’autostrada. Ci sono stati nuovi fermi e la polizia in serata ha parlato di 500 persone trattenute. Questo significa che sommando le due giornate sono centinaia se non migliaia gli attivisti ambientali in stato di detenzione. Una situazione che non ha scoraggiato Extinction Rebellion e le altre realtà organizzative della protesta, che hanno annunciato che l’autostrada verrà bloccata a cadenza quotidiana fino a che il governo non cancellerà i sussidi all’industria fossile.

Vista la quantità di sussidi che il Governo Italiano fornisce ai combustibili fossili, forse una roba enorme tipo quella olandese potrebbe essere utile. Nel caso, rivolgetevi a Ultima generazione. 

Non sono molte le App che hanno modificato profondamente aspetti della nostra società. Una di queste è sicuramente Airbnb, che ha cambiato radicalmente non tanto le modalità di viaggiare quanto quelle con cui si affittano le case, con una serie di conseguenze a cascata sulle città. In molte città del mondo infatti, molti di coloro che hanno una casa in affitto in zone centrali o comode da un punto di vista turistico si sono tuffati negli affitti brevi, al punto che è calata drasticamente la disponibilità di affitti a lungo termine, facendo salire alle stelle i costi degli appartamenti e trasformando interi quartieri in aree esclusivamente turistiche. 

Queste modifiche rapide e fuori controllo del tessuto urbano hanno portato diverse città a provare a regolamentare il fenomeno, impedendo o mettendo dei limiti agli affitti brevi. Barcellona, Lisbona, Parigi, Amsterdam, Londra, San Francisco, Seattle e tante altre. L’ultimo caso di cui si sta parlando molto è quello di New York, in cui pochi giorni fa, il 5 settembre, è entrata in vigore una legge che obbliga i proprietari di casa a registrare presso il comune gli appartamenti destinati agli affitti brevi. Sebbene si parli di pochi giorni, molte cose sono già successe e un articolo di Wired Us prova a descrivere le prime conseguenze della norma.

Scrivono Amanda Hoover e Adama Faye: “Il numero di Airbnb a breve termine disponibili a New York è sceso del 70 per cento.  Il calo, registrato nel periodo tra il 4 agosto e il 5 settembre (il giorno in cui è entrata in vigore la legge), equivale alla scomparsa di circa 15mila annunci a breve termine dalla piattaforma. Le cifre si basano sui dati forniti da Inside Airbnb, un gruppo che si occupa dell’impatto di Airbnb sul settore abitativo.

Ad agosto, su Airbnb gli annunci relativi a sistemazioni a breve termine a New York erano circa 22mila. Il 5 settembre il numero era sceso a 6841. In alcuni casi sembra che questi annunci siano stati trasformati in affitti a lungo termine, prenotabili cioè solo per 30 giorni o più. Il numero di affitti a lungo termine è infatti aumentato di circa 11mila unità, per un totale di 32612 dal 4 agosto al 5 settembre. Secondo la nuova legge newyorkese, questa tipologia di affitto non richiede la registrazione”. 

L’aumento degli affitti a lungo termine potrebbe essere la prova che la legge sta funzionando, spingendo gli host a mettere i propri appartamenti a disposizione di chi soggiorna a New York per un minimo di 30 giorni. 

L’obbligo di registrazione arriva in un momento in cui i newyorkesi devono fare i conti con canoni d’affitto elevati e insicurezza abitativa. A questo va aggiunto che nei quartieri e negli edifici residenziali le case vacanza hanno la fama di essere una fonte di rumore, spazzatura e pericolo .

Poi l’articolo passa a descrivere la situazione abbastanza caotica che al momento non rende facile distinguere se un appartamento è realmente registrato, con i numeri che a conti fatti mostrano che c’è ancora qualche migliaio di appartamenti in affitto non registrati.

Al di là del caos, la cosa sembra comunque funzionare nel mettere un argine agli affitti brevi, tant’è che come spesso accade Airbnb si è opposta all’introduzione delle nuove norme, sostenendo che la legge ostacolerebbe seriamente sia la sua attività che il reddito degli host in città. 

Solo adesso, l’articolo spiega un pezzetto fin qui mancante, ovvero che il punto non p solo che le persone devono registrarsi, ms che poer farlo devono soddisfare tutta una serie di requisiti: non possono affittare interi appartamenti, non possono ospitare più di due ospiti alla volta e (soprattutto) devono vivere nella casa ed essere presenti durante il soggiorno. Gli host e le piattaforme che facilitano prenotazioni illegali potrebbero incorrere in sanzioni, mentre gli eventuali ospiti non corrono rischi.

Come concludono le due giornaliste “L’efficacia della nuova regolamentazione di New York è destinata ad avere enormi implicazioni per altre grandi città turistiche, dove la popolarità degli affitti a breve termine ha contribuito alla carenza di alloggi e a problemi di accessibilità economica”. Nonostante le remore, “Airbnb sta lavorando con la città di New York per far funzionare il sistema di verifica della città” e “Una volta pienamente operativo, il sistema segnalerà gli annunci registrati e consentirà alle piattaforme come Airbnb di impedire agli host che non hanno registrato il proprio alloggio di ospitare persone per brevi periodi”. 

Se la cosa funzionerà, il metodo NY potrebbe fare scuola. Nel frattempo anche il governo italiano ha iniziato a lavorare a una proposta, la cui bozza è già stata inviata alle organizzazioni del settore, nota come ddl affitti brevi. 

Il disegno di legge si presentava come una stretta agli affitti brevi, che ha l’obiettivo dichiarato di contrastare “il rischio di un turismo sovradimensionato rispetto alle potenzialità locali e a salvaguardare la residenzialità dei centri storici e impedirne lo spopolamento”. 

Ma di fatto l’ultima bozza circolata non sembra puntare tanto quell’aspetto. L’unica regola da quel punto di vista è quella che introduce un minimo di due notti per le prenotazioni nei centri storici o nei luoghi di interesse turistico. Una regola che però non comprendo benissimo. Perché da un lato non mi sembra risolva i problemi degli affitti brevi, che restano brevi anche per due notti, dall’altro potrebbe complicare molto la vita, ad esempio, a chi ha necessità di restare una sola notte in un luogo magari per lavoro o per altre esigenze che non siano turistiche. Comunque, non ho letto direttamente la bozza, quindi è possibile che ci siano delle eccezioni che non conosco.

Più che vietare gli affitti brevi, come nota il Sole 24 Ore, la legge sembra puntare a “fornire una disciplina uniforme a livello nazionale nonché contrastare il fenomeno dell’abusivismo nel settore”. Ad esempio si introduce per gli immobili in affitto un codice identificativo nazionale (Cin), che andrà a sostituire quello attualmente in vigore che ha una valenza su scala regionale (Cir) in modo da avere una banca dati unica per l’intero paese. La mancata richiesta di Cin per il proprio immobile, scrive sempre Il Sole2 4 Ore, costerà al proprietario una multa fino a ottomila euro, mentre la sua mancata esibizione prevede sanzioni dai 500 ai cinquemila euro, oltre alla rimozione dell’annuncio di affitto.

Questo è lo stato attuale. Nessuna delle normative a livello internazionale che ho potuto vedere, però prende in considerazione gli aspetti ecologici dei soggiorni, aspetto che invece dovremmo iniziare a tenere in considerazione sia per una migliore conservazione e valorizzazione dei luoghi sia all’interno di una più complessiva strategia di transizione ecologica. 

Vi dico questo non così pour parler, ma perché a tal proposito vi segnalo che oggi su Italia che Cambia esce un nuovo episodio di dove eravamo rimasto, il format in cui intervistiamo i protagonisti di vecchie storie e articoli che abbiamo raccontato per capire a distanza di anni come stanno andando i loro progetto. E l’articolo di oggi è un’intervista a Simone Riccardi realizzata da Francesco Bevilacqua, Simone Riccardi che è il fondatore di EcoBnb, una piattaforma che mette in rete i Bnb che rispettano dei rigidi criteri ecologici.

Ve ne faccio ascoltare un pezzetto, trovate l’articolo completo sotto FONTI E ARTICOLI e in homepage di Italia che Cambia.

AUDIO DISPONIBILE NEL VIDEO/PODCAST

Restiamo in tema viaggi e turismo responsabile. Un altro modo di viaggiare a basso impatto è quello di spostarsi in maniera leggera, ad esempio con un van o un camper. Sì, anche se va a benzina o diesel, è comunque un sistema più ecologico di tanti altri tipi di viaggi, perché la vita da camper è una vita a bassi consumi energetici.

Noi di ICC abbiamo fatto del viaggio in camper il nostro marchio di fabbrica, il modo prediletto di girare per intervistare realtà e progetti interessanti su e giù per lo stivale, dal Sud al Nord. Ovviamente su al Sud e giù al Nord.

Solo che dal post pandemia, dal post restrizioni, dal post 2020, i prezzi dei camper sono letteralmente schizzati alle stelle, al punto che fra un po’ conviene comprarsi la casa al mare. Anche per questo in molti hanno iniziato a smanettare per farselo da soli, il camper. E visto che di camper abbiamo una certa esperienza, abbiamo pensato di organizzare un corso pratico per insegnare anche ad altri a camperizzare il proprio Van. Lascio la parola ad Ezio maisto che ha co-ideato e organizzato questo corso per ICC, in collaborazione con Scuola Capitale Sociale. 

Trovate tutte le informazioni per iscrivervi qua sotto. Se vi iscrivete fatemi un fischio che magari ci vediamo lì.

AUDIO DISPONIBILE NEL VIDEO/PODCAST

Aggiornamento volante sulla questione sversamento di acqua della centrale di Fukushima nel Pacifico. Ieri si è conclusa la prima fase del rilascio dell’acqua trattata dalla centrale nucleare di Fukushima, con un totale di circa 7.800 tonnellate del liquido scaricate nell’oceano.

Lo ha confermato l’operatore dell’impianto, la Tokyo Electric Power (Tepco), che aveva iniziato le operazioni lo scorso 24 agosto sotto il monitoraggio del governo giapponese e dell’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica (Aiea).

La Tepco, insieme al ministero dell’Ambiente, all’Agenzia per la Pesca e la stessa prefettura di Fukushima, ha riferito che continuerà ad analizzare i livelli di trizio nell’ambiente intorno alla centrale nucleare, e in base alle recenti rilevazioni finora non sono state segnalate anomalie. 

Il gestore prevede inoltre di rilasciare altre 7.800 tonnellate entro la fine del mese in attesa di ulteriori verifiche e di ispezioni delle strutture di smaltimento dell’acqua. I lavori per la messa in sicurezza dell’impianto, secondo la Tepco e il governo di Tokyo, dovrebbero durare almeno fino al 2051. In totale dovranno essere svuotate più di mille cisterne per un totale di 1,3 milioni di acqua trattata, equivalenti a oltre 500 piscine olimpiche, in un periodo di quasi 30 anni.

Chiudiamo, un po’ come abbiamo fatto ieri con il quartiere senza traffico di Friburgo, con un racconto che questa volta viene dalla Grecia, ovvero il caso di Tilos, che l’articolo definisce la prima isola zero waste al mondo. 

Leggo su la Repubblica che “Sulla superficie del minuscolo atollo greco di Tilos non esistono discariche e ciascuno dei suoi 745 abitanti ricicla ogni giorno tutti gli scarti che produce. Il sistema si basa su una raccolta porta a porta di rifiuti, che viene supportata dalla realtà virtuale. Ogni famiglia riceve un set di bidoni, una busta per l’organico e un box per le sigarette. Vengono poi fornite istruzioni precise su come suddividere la spazzatura in“riciclabile”, “organica” e “non riciclabile”. Il progetto è stato implementato con l’aiuto della società greca Polygreen, specializzata in economia circolare, che ha sviluppato un’app per fornire feedback alle famiglie su quanta immondizia hanno prodotto e segnalare loro se hanno messo tutto nei contenitori corretti.

L’articolo poi descrive con cura il sistema di raccolta differenziata, che, aspetto interessante, ha portato i residenti, nel corso dell’ultimo anno, a ridurre i loro rifiuti di quasi il 40%, rispetto a quanto producevano prima dell’arrivo di Polygreen. Prima circa il 90% finiva in discarica, mentre adesso solo il 12,6% degli scarti non viene riciclato, con l’azienda vuole ridurlo ulteriormente, fino ad arrivare al 5%. 

Ora, detta così sembrerebbe il classico caso di raccolta differenziata fatta bene, che però non risolve alla radice il problema di sovrapproduzione di rifiuti. E un po’, a naso, è così, ma mi pare che questo caso abbia alcuni elementi molto interessanti. Ad esempio gli abitanti dell’isola beneficiano del compost gratuito ricavato dai loro rifiuti organici, mentre i materiali che non è possibile riconvertire, come i rotoli di carta igienica usati e i pannolini usa e getta, vengono essiccati e triturati per diventare combustibile per i forni da cemento della zona. Quindi c’è un riutilizzo locale di molti dei prodotti del riciclo.

interessanti anche le dichiarazioni del sindaco, intervistato dalla BBC, che ha detto: “Gli anziani ci hanno messo un po’ ad abituarsi, ma sono anche quelli che hanno imparato più velocemente e che alla fine sono diventati i più entusiasti dell’iniziativa. Cerchiamo di coinvolgere tutti in questa avventura. Nella nostra comunità è molto importante che ognuno possa sentirsi ascoltato. Insieme decidiamo cosa fare e come portare avanti il progetto”.

Quello dei rifiuti, poi, è solo l’ultimo di una serie di progetti ecologici dell’isola. Già nel 2019 era diventata Tilos era diventata, grazie a dei fondi europei, la prima isola del Mediterraneo alimentata al 100% da energie rinnovabili. In passato, inoltre, è stata la prima isola greca ad abolire la caccia e il primo comune ellenico a celebrare matrimoni tra coppie omosessuali (che non c’entra una mazza con le questioni ecologiche – forse -, ma è comunque un simbolo di civiltà).

Ora, secondo il sindaco l’isola, quello di Tilos, potrebbe diventare un modello da seguire per molti altri luoghi del pianeta.

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