9 Ott 2023

Israele-Palestina, ora è guerra – #807

Scritto da: Andrea Degl'Innocenti
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La notizia degli ultimi giorni è l’attacco senza precedenti di Hamas a Israele, e la ritorsione altrettanto violenta dello stato di Israele. Ma sono successe anche altre cose, nel weekend. C’è stato un attacco terroristico in Siria che ha causato oltre cento morti e un terremoto in Afghanistan dove i morti potrebbero essere oltre 2mila. Parliamo anche delle scosse ripetute ai campi flegrei e della grande manifestazione organizzata dalla rete dei santuari animali a Milano. 

Difficile che siate arrivati a lunedì senza averne sentito parlare, comunque sta succedendo un gran casino fra Israele e Palestina. Una escalation vera e propria che sta diventando un conflitto, una guerra vera e propria, iniziato con un bombardamento e un attacco via terra da parte di Hamas che ha eluso i controlli israeliani e proseguito con una ritorsione israeliana, il tutto su una scala come non si vedeva da molti anni, anzi decenni. 

Comunque, partiamo come al solito dal descrivere quello che è successo. Anzi, prima vi faccio un breve riepilogo della situazione israelo-palestinese, nel caso in cui siate digiuni della cosa. Si tratta di una delle aree politiche e geopolitiche più complesse al mondo. Lo stato di Israele è uno stato recente, nato dopo la II guerra mondiale anche come risarcimento per gli orrori della shoah, quindi per riparare a un torto, ma commettendone un altro, perché è sorto in un territorio dove abitavano le popolazioni palestinesi. 

Popolazioni che sono state di fatto estromesse dalle loro terre o comunque trattate come cittadini di serie B. I palestinesi non hanno diritti, non votano, anche se Israele formalmente sostiene che le terre in cui vivono siano parte dello stato di Israele. 

Comunque, ci sono due aree in particolare che sono riventicate e anche riconosciute almeno in parte come stato Palestinese: Cisgiordania (una regione interna a Israele, che include mezza cità di Gerusalemme, Gerusalemme Est) e Striscia di Gaza, che invece è un exclave lungo la costa. Lo Stato Palestinese è uno stato cosiddetto a riconoscimento limitato, nel senso che solo alcuni paesi del mondo ne riconoscono l’esistenza. Le Nazioni unite formalmente lo riconoscono, così come il 70% degli stati che ne fanno parte, ma tanti stati no, fra cui oltre ovviamente a Israele, gli Usa, buona parte dei paesi europei, ecc. D’altro canto ci sono anche parecchi stati, a maggioranza musulmana, che non riconoscono Israele. La differenza è che mentre Israele è riconosciuto formalmente come membro delle nazioni unite, la Palestina è solo un osservatore per via del veto degli Usa. Da anni si cercano soluzioni, tipo la soluzione a due stati spesso invocata e mai realizzata. 

C’è un impasse di fondo dettata dal fatto che nessuno dei due stati riconosce l’esistenza dell’altro, e su queste basi è difficile trovare un accordo. Un impasse, va ribadito, molto asimmetrico, perché Israele è un paese ricco, con un esercito molto tecnologico (fra i più tecnologici al mondo) servizi segreti attrezzatissimi, tecnologie di controllo che arrivano a livelli distopici, mentre la Palestina è uno stato povero e con pochissimi mezzi. 

Va bene, torniamo all’attualità. Leggo sul Post: “Sabato mattina intorno alle 6 ora italiana (le 7 in Israele) il gruppo radicale palestinese Hamas ha avviato un attacco senza precedenti nel sud di Israele, lanciando migliaia di razzi ma soprattutto attaccando via terra diverse cittadine israeliane al confine con la Striscia di Gaza. Per estensione e violenza è l’attacco più grave subito da Israele da decenni a questa parte.

Secondo il servizio di pronto soccorso governativo israeliano, l’attacco avrebbe causato almeno 250 morti, fra cui diversi civili, e oltre un migliaio di feriti. Anche se altri giornali, tipo Repubblica, parlano di almeno 700 morti e 1600 feriti israeliani. Alcuni civili e militari israeliani – anche qui non c’è un numero esatto, ma stiamo parlando di diverse decine – sono stati catturati e portati nella Striscia di Gaza, dove sono ostaggi. I miliziani di hamas hanno anche conquistato per alcune ore militarmente alcuni piccoli centri israeliani.

In risposta l’esercito israeliano ha già avviato una ritorsione militare molto violenta, in poche ore ha riconquistato i terreni persi e ha lanciato oltre 500 attacchi missilistici sulla striscia di gaza. Difficile in questo caso quantificare le persone uccise, perché si tratta di un’azione miltiare che sta andando avanti da sabato con bombardamenti continui. Ieri sera (domenica) si parlava di circa 300 morti fra i palestinesi. 

Come scrive ancora il Post, “È verosimile che la ritorsione israeliana proseguirà ancora nei prossimi giorni. Il primo ministro Benjamin Netanyahu, che guida il governo più a destra nella storia di Israele, ha annunciato che il paese è «in guerra» e in una telefonata col presidente statunitense Joe Biden ha detto che Israele condurrà «una prolungata battaglia» con i gruppi armati palestinesi”. Biden ha dato il suo avallo, in quanto – ha detto – Israele ha subito un attacco terroristico.

Ora, ci sono tante questioni che affollano le prime pagine dei giornali. Uno degli aspetti più citati sono le dimensioni anomale dell’attacco da parte di Hamas. Hamas è la formazione politico/militare, considerata terroristica da Israele, che governa la Striscia di Gaza. Come scrive Lucio Caracciolo, direttore di Limes: “Non è l’ennesima guerra di Gaza. Il violento attacco lanciato da Ḥamās (Hamas) contro Israele, nel cinquantesimo anniversario della guerra dello Yom Kippur, non ha infatti paragone con alcuna precedente offensiva partita dalla Striscia.

Intanto per le migliaia di missili piovuti in poche ore sullo Stato ebraico. Ma soprattutto per l’infiltrazione in profondità di miliziani di Hamas che hanno sparso il terrore nelle località vicine alla Striscia e non solo, fino a prendere il provvisorio controllo di qualche villaggio o cittadina israeliana. L’attacco è partito sia per terra che via mare e dall’aria (con mezzi rudimentali), con grande enfasi propagandistica da parte di Hamas.

Poi c’è la questione dei tanti ostaggi presi da Hamas, anche questa una relativa novità. Ostaggi che dovrebbero costituire poi merce di scambio per estrarre dalle carceri israeliane alcuni terroristi palestinesi.

Dal punto di vista di Hamas, l’obiettivo è piuttosto chiaro. Scrive ancora caracciolo: “Sul piano tattico, si tratta di consolidare il primato in campo palestinese, a scapito di quel poco che resta dell’Autorità nazionale di Abu Mazen. Facile. Meno scontato l’obiettivo strategico: recuperare alla causa palestinese il cosiddetto “mondo arabo” e islamico che se ne è disinteressato negli ultimi anni, quindi sabotare le intese fra petromonarchie arabe, saudita in testa, ed ex nemico israeliano. Hamas è un movimento soprattutto di giovani stufi della gestione degli “anziani” che li hanno condotti in un vicolo cieco, derubricando la Palestina dall’agenda geopolitica mondiale”.

Ecco, qui c’è un tema importante. Parlavamo qualche settimana fa dello storico accordo fra Israele e Arabia Saudita, due paesi che negli ultimi anni si sono sempre più avvicinati in chiave anti-iraniana, visto che l’Iran è considerato per motivi diversi un loro nemico comune. 

Netanyahu, leader israeliano, non ha mai nascosto la sua volontà di apertura verso il mondo islamico moderato, anche come strategia antipalestinese. Il senso era: più israele si apre al mondo arabo, più il sostegno del mondo arabo alla causa palestinese dovrà lentamente calare. Ecco, questo attacco, riportando la questione palestinese al centro, rende molto più complicati se non impossibili accordi di questo tipo.

Lato israeliano, la domanda più ricorrente è: come è stato possibile tutto ciò. Immaginate uno stato super militarizzato, uno stato sede di alcune delle maggiori startup tecnologiche del mondo, che spende un sacco nell’esercito, che ha uno scudo missilistico potentissimo, che ha insomma uno dei sistemi di difesa più strutturati al mondo, e che inoltre ha uno dei servizi segreti, il Mossad, più forti del mondo, che subisce un attacco da parte di un gruppo di miliziani che lanciano missili e attaccano via gommone, deltaplani, insomma con mezzi diciamo di fortuna.

Il Post titola “La sorprendente impreparazione di Israele”, mentre sempre Caracciolo su Limes parla di macchia indelebile e umiliazione. Le motivazioni? In molti citano la sottovalutazione della minaccia palestinese e la sopravvalutazione del potere della deterrenza, ovvero del fatto che ad ogni attacco palestinese segue sempre una risposta israeliana molto più violenta dell’attacco, e questo negli anni ha scoraggiato gli attacchi. 

In generale credo che proprio questa asimmetria nelle capacità militari abbia giocato un ruolo. Qualche mese fa ho visto due interviste, una a Benjamin Netanyahu e l’altra a Yuval Noah Harari, al Lex Friedman Podcast, e mettendo insieme i pezzi veniva fuori che Israele da qualche anno ha proprio smesso di pensare a una soluzione per la questione palestinese, perché la disparità di forze e il livello di controllo sociale israeliano è così elevato che è difficile immaginare che i palestinesi continueranno ad essere una minaccia. Forse anche per questo i servizi israeliani non hanno prestato la dovuta attenzione, e il risultato è stato essere colti completamente impreparati. 

Ma cosa succede adesso? È possibile – probabile? – che Netanyahu, alla guida di un governo di estrema destra, sia intenzionato a mostrare i muscoli e ad allestire una risposta senza precedenti. Questo per due ragioni: innanzitutto deve lavare l’onta della figuraccia, e poi potrebbe approfittarne per ricompattare le fila internamente contro un nemico esterno, dopo mesi di caos sociale seguiti alla proposta di riforma della giustizia che accentrerebbe di molto i poteri nelle mani del governo. Questo potrebbe però scatenare i più estremisti fra i sostenitori del governo attuale, con rappresaglie anche in Cisgiordania per mano dei coloni armati.

Come onclude Caracciolo, “Nei prossimi giorni vedremo se questa guerra rientrerà nei canoni classici degli scontri gaziani, di cui rappresenterebbe solo una versione rafforzata, oppure si prolungherà ed estenderà oltre le normali due-tre settimane di combattimenti, bombardamenti e rappresaglie varie, attorno e dentro la Striscia. L’allargamento potrebbe riguardare sia la Cisgiordania sia il fronte Nord (Libano/Siria) con Ḥizbullāh (Hezbollah) per ora in attesa. Infine, il conflitto diverrebbe strategico in caso di coinvolgimento, a oggi molto improbabile, dell’Iran”. Staremo a vedere.

Quasi nelle stesse ore, ma con una copertura mediatica infinitamente inferiore, è successo anche un altro fatto in qualche misura simile. Solo che è successo in Siria, paese dove, come abbiamo avuto modo di commentare spesso, non sfiora se non di striscio l’interesse e le prime pagine dei giornali. 

Comunque, il fatto è il seguente: c’è stato un grosso attacco aereo contro una caserma militare ad Homs, nella Siria centrale, durante una cerimonia di chiusura dell’addestramento ufficiali dell’esercito governativo siriano. 

L’operazione è stata effettuata “utilizzando droni carichi di esplosivo”, secondo l’esercito. Il bilancio è di “112 morti, tra cui 21 civili” e almeno 120 feriti, secondo un nuovo rapporto dell’Osservatorio siriano per i diritti umani (Ondus), un’organizzazione con sede nel Regno Unito con un’ampia rete di ricerche di fonti in Siria.

Al momento l’azione non è stata rivendicata. Una nota dell’esercito di Damasco ha evidenziato che si tratterebbe di «organizzazioni terroristiche» che hanno preso di mira la cerimonia utilizzando «droni carichi di esplosivo subito dopo la fine dell’evento». Il comando delle forze armate ha parlato di attacco «codardo e senza precedenti» e ha annunciato che «risponderà con tutta la forza contro queste organizzazioni terroristiche, ovunque si trovino».

Il regime di Damasco è impegnato a combattere sacche di resistenza dello Stato Islamico, che nei mesi scorsi ha attaccato diversi obiettivi di sicurezza del regime in tutto il Paese. Gli osservatori sospettano che l’attacco sia stato lanciato da aree a nord-ovest di Homs, controllate appunto da jihadisti e ribelli. Anche su questo ci aggiorniamo.

Mi spiace per questa puntata piena esclusivamente di fatti terribili, ma è stato un weekend complicato per la nostra specie, sul pianeta, quindi oggi va un po’ così. C’è stato l’ennesima catastrofe naturale, di cui i giornali, un po’ proprio per la questione israelo-palestinese, non stanno parlando quasi per niente. Parliamo di una violenta scossa di terremoto, di magnitudo 6,3, che ha colpito l’Afghanistan occidentale, causando la morte di almeno 2000 persone, ma anche qui come ha dichiarato un alto dirigente talebano, il numero potrebbe salire ulteriormente.

Leggo da Al Jazeera: “Suhail Shaheen, portavoce dei Talebani con sede in Qatar, ha dichiarato che molte persone risultano disperse e che sono in corso operazioni di soccorso per salvare le persone intrappolate nelle macerie.

Circa sei villaggi sono stati distrutti e centinaia di civili sono stati sepolti sotto le macerie.

Il terremoto di magnitudo 6,3, seguito da almeno 5 forti scosse di assestamento. ha colpito 40 km a nord-ovest della città di Herat intorno alle 11 di sabato. Forti scosse di assestamento sono state avvertite nelle vicine province di Badghis e Farah.

“Mentre continuano a essere segnalati morti e feriti a causa del terremoto, le squadre sono negli ospedali per assistere i feriti e valutare ulteriori necessità”, ha dichiarato l’agenzia delle Nazioni Unite su X, precedentemente noto come Twitter. “Le ambulanze supportate dall’OMS stanno trasportando le persone colpite, la maggior parte delle quali sono donne e bambini”.

L’Afghanistan orientale, fra l’altro, era già stato colpito da un violento terremoto poco più si un anno fa, nel giugno 2022. In quell’occasione il sisma aveva raso al suolo case in pietra e mattoni di fango, ed era stato il terremoto più letale degli ultimi vent’anni in Afghanistan, con almeno 1.000 morti e circa 1.500 feriti. Purtroppo pare che questo nuovo terremoto sia stato ancora peggiore.

Restando in tema terremoti, per fortuna terremoti diciamo potenziali, colgo i ripetuti stimoli arrivatami dal direttore Daniel Tarozzi, incluso l’ultimo all’interno della puntata speciale di INMR di commento del mese di settembre, se ve la siete persa potete recuperarvela all’interno della newsletter di questo sabato, è arrivato il momento di parlare un attimo delle ripetute scosse che stanno interessando l’area dei Campi Flegrei, a Napoli. 

I Campi Flegrei sono una vasta area situata nel golfo di Pozzuoli, a ovest della città di Napoli e del suo golfo. Da un punto di vista geologico tutta l’area è una grande caldera vulcanica in stato di quiescenza e quindi si capisce che i timori per un terremoto devastante siano abbastanza fondati. Negli ultimi giorni sono stati fatti diversi stress test degli ospedali, e persino i prezzi degli immobili di tutta la zona, che con i suoi 550mila abitanti è una delle aree a maggiore densità abitativa d’Italia, hanno iniziato a scendere. 

Ho chiesto a Nadia Rosato della redazione di Napoli che Cambia / La Testata di inviarmi un commento di com’è la situazione da quelle parti, sia a livello di scosse ma anche di atmosfera, di preoccupazione, di aria che tira. 

Chiudiamo con un aggiornamento sul tema dei santuari animali. Sabato c’è stata la manifestazione della rete italiana dei santuari animali, di cui avevamo dato notizia anche qui. Ne scrive Andrea De Lotto su Pressenza, che descrive “una fiumana di gente” che “sgorga dal piazzale sotto Palazzo Lombardia ieri a Milano”. 

Il giornalista parla di più di 10.000 persone, al seguito di persone che vivono in campagna, con ex animali da reddito, salvati e restituiti alla propria dignità di individui, accuditi per tutta la loro vita nel rispetto delle esigenze naturali della loro specie.

Prosegue più avanti: “La chiamata a raccolta della Rete dei Santuari di Animali Liberi e di altre associazioni ha suscitato una risposta meravigliosa. Il mondo di chi è sensibile alla vita degli altri animali, tanto variegato e troppo spesso diviso, questa volta ha trovato una grande unità e la partecipazione è stata unanime”.

Insomma, numeri davvero importanti, che mostrano come le tematiche legate al mondo animale nel nostro paese raccolgano le sensibilità di moltissime persone. A questo proposito, vi ricordo che abbiamo lanciato da poco il nostro filone di approfondimenti sul mondo animale in collaborazione con Lush. Vi invito a dare un’occhiata. 

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