30 Ott 2023

Israele e la nuova fase della guerra, mentre a Gaza si muore di fame – #820

Scritto da: Andrea Degl'Innocenti
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A Gaza proseguono i bombardamenti e si intensificano le incursioni israeliane via terra a Gaza, anche se non sembra ancora iniziata l’invasione vera e propria. Ma quali prospettive ci sono? Parliamo anche di un’importante colpo di scena che riguarda il discusso impianto di biometano fra Modica e Pozzallo, in Sicilia, della morte di Armita Geravand, sedicenne iraniana picchiata perché non portava il velo, e di quella di Li Keqiang, ex premier cinese e avversario di Xi Jinping, che potrebbe destabilizzare (forse) la leadership di Xi.  

Oggi, lunedì, inizia il quarto giorno di quella che l’esercito israeliano ha definito una «nuova fase della guerra» contro Hamas: a partire da venerdì sera l’esercito ha bombardato come mai prima d’ora il nord della Striscia e ha iniziato un’estesa incursione di terra impiegando le forze speciali, carri armati e mezzi blindati. Leggo dal Post: “Per tutta la sera e per tutto sabato ci sono stati scontri tra soldati israeliani e miliziani di Hamas, anche se le informazioni a disposizione finora sono molto poche: infatti dall’inizio dell’operazione le linee telefoniche e internet sono rimaste fuori uso, e soltanto nella notte tra sabato e domenica le connessioni hanno cominciato gradualmente a essere ripristinate”. 

Sempre il Post riassume così i principali eventi del weekend, poi li vediamo in maniera un po’ più estesa: “Parlando sabato sera in diretta televisiva il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha detto che la nuova fase di terra della guerra contro Hamas sarà «lunga e difficile». Nella giornata di sabato migliaia di persone in molte città del mondo hanno protestato contro Israele e a favore della popolazione della Striscia. Il presidente turco Recep Tayyip Erdogan ha accusato i paesi occidentali di essere «i principali colpevoli» dietro ai «crimini di guerra» compiuti da Israele. Il governo israeliano ha risposto dicendo a tutti i suoi diplomatici in Turchia di tornare in Israele”.

Va bene riprendiamo le fila dalla situazione a Gaza, da cui sono arrivate pochissime notizie perché, appunto, per oltre un giorno e mezzo “a partire da venerdì sera, le comunicazioni internet e telefoniche dalla Striscia erano state completamente interrotte – non si capisce se per colpa dell’esercito israeliano o per altre cause”. Poi a partire da domenica mattina la linea è stata ripristinata e i messaggi che i residenti di Gaza avevano provato a mandare hanno iniziato ad essere recapitati. 

Finora si ha notizia soprattutto di messaggi di persone che danno ai propri cari aggiornamenti sul fatto che sono ancora vivi, o sulla morte di altre persone. Le notizie che stanno circolando riguardano familiari e parenti di persone famose. Ma questo ci dà le dimensioni del disastro umanitario causato dalle bombe israeliane. Chiunque, letteralmente chiunque abbia parenti a Gaza sta ricevendo notizie devastanti. È una specie di carneficina. 

Il giornalista della BBC Rushdi Abalouf, che si trova a Khan Younis, nel sud della Striscia, ha raccontato che poco dopo il ritorno delle comunicazioni un amico lo ha chiamato piangendo: «Avrei voluto che tenessero le comunicazioni interrotte. Ho appena scoperto che mia suocera e gran parte della famiglia di mia madre sono state uccise in un raid Israeliano ieri e che altri sono sotto le macerie».

Tra le persone che domenica mattina hanno avuto notizia dei propri cari c’è il primo ministro scozzese Humza Yousaf, i cui suoceri sono intrappolati a Gaza. «Sono vivi, grazie a dio. Ma hanno finito l’acqua potabile». I suoceri di Yousaf si trovavano nella Striscia di Gaza per andare a trovare alcuni parenti quando il 7 ottobre è scoppiata la guerra, e sono rimasti intrappolati.

Sempre dal Post apprendo che “Migliaia di residenti di Gaza City, la principale città della Striscia, hanno fatto irruzione in un deposito dell’Agenzia Onu per i Rifugiati Palestinesi e hanno portato via farina e altri generi di prima necessità. Lo ha annunciato la stessa agenzia in un comunicato. «Le persone sono spaventate, frustrate e disperate», si legge. 

Il Washington Post e un giornalista palestinese su X hanno verificato e confermato un video pubblicato sabato da Israel Hayom, un giornale israeliano, che mostra soldati israeliani mentre issano una bandiera su un edificio dentro alla Striscia di Gaza. L’edificio si trova circa tre chilometri dentro alla Striscia (che in tutto è larga quattro chilometri), e dunque estremamente in profondità nel suo territorio. 

Intanto nella politica israeliana ci sono state grosse polemiche dopo un tweet su X di Netanyahu in cui diceva che lui non era mai stato avvisato della possibilità che Hamas potesse organizzare un attacco come quello del 7 ottobre. Il tweet è stato visto come un tentativo di scaricare la responsabilità di non aver previsto né prevenuto l’attacco di Hamas e ha creato enormi polemiche, anche perché molti esperti ritengono che proprio le politiche di Netanyahu abbiano portato tra le altre cose a una sottovalutazione di Hamas e a una riduzione della sicurezza attorno alla Striscia di Gaza. Netanyahu a quel punto ha usato la suprema tecnica, usata in tutto il mondo, della cancellazione del tweet.

Ora, voi direte, che ci frega del tweet di Netanyahu mentre l’esercito israeliano sta facendo un massacro di civili palestinesi, soprattutto bambini? Perché monitorare la tenuta interna di Netanyahu credo sia un elemento importante. Credo che come per la Russia, anche per Israele la cosa migliore che ci si possa augurare sia un cambiamento interno, un nuovo governo che metta assieme le forze più progressiste e pacifiste del paese, che possano trovare un contatto con le forze pacifiste palestinesi, disposte a condannare e prendere le distanze da Hamas. 

Anche perché purtroppo credo che questa spinta per la pace non possa arrivare dall’esterno, dove tutte le forze in campo spingono per la guerra. Lo fa l’Iran e buona parte del mondo arabo, lo fanno gli Usa e la Nato. Il punto è che fino ad ora il fragile equilibrio del medio oriene si è basato sul concetto di deterrenza: nessuno attaccava Israele perché si sapeva che la sua reazione avrebbe potuto essere sproporzionata. 

Ora che l’attacco è avvenuto, il governo israeliano vuole mostrare che la deterrenza era giustificata, che non era un bluff, perché teme che altrimenti gli attacchi proseguiranno o forse si intensificheranno. Lego su Limes: “Per Gerusalemme la capacità di Tsahal di vendicare con la forza il tracollo del 7 ottobre ha inestimabile valore dimostrativo. Una soluzione moderata o intermedia, per non parlare di un cessate-il-fuoco prematuro, potrebbe definitivamente minare la percezione dello Stato ebraico in Medio Oriente. L’impressione è che tra le rovine di Gaza si deciderà il rango (reale o percepito) di Israele in una regione dove attori ostili premono contro i suoi confini”.

E ancora: “Nella scala delle priorità di Israele, la distruzione di Hamas precede l’elaborazione di un progetto realistico per il dopo-offensiva”. Ecco, qui c’è un altro tema fondamentale: che succede dopo? L’esercito israeliano vuole invadere e distruggere Gaza. E poi? Ecco, nessuno nelle istituzioni israeliane sembra volersi fare questa domanda.

La posizione degli Usa sembra più cauta su questo: “Per gli Stati Uniti vale l’esatto opposto. Washington condivide l’ambizione israeliana di ristabilire la dissuasione perduta. Ma teme che il prezzo possa rivelarsi troppo elevato. Questo perché la dimensione del conflitto israelo-palestinese non è esclusivamente locale. Le scintille di Gaza, se non scrupolosamente sorvegliate, potrebbero allargare l’incendio a tutto il Medio Oriente. A partire dagli attori filo-iraniani in Libano, Yemen, Cisgiordania, Siria e Iraq. Fino a coinvolgere, nello scenario peggiore, gli altri paesi arabi, nelle cui strade si sono tenute ampie proteste popolari pro-palestinesi. Fattori impossibili da ignorare nell’elaborazione dell’offensiva. Washington comunica che la guerra di Israele si farà a patto che non precipiti in guerra globale. Prendere tempo è quindi scelta quasi obbligata”.

Insomma, il punto è che la situazione è molto tesa e l’inerzia del sistema porta i vari attori verso un’estensione del conflitto. Quindi ecco serve che gli attori pacifisti israeliani e palestinesi (ma in particolare israeliani) prendano coraggio. Così come quelli di tutto il mondo. 

Sabato in molte grandi città di diversi paesi del mondo centinaia di migliaia di persone hanno partecipato a manifestazioni in sostegno della popolazione della Striscia di Gaza e della causa palestinese. A Londra si sono radunate tra le 50mila e le 70mila persone secondo la polizia, mentre gli organizzatori parlano di 500mila partecipanti. Probabilmente qualcosa nel mezzo, fatto sta che le riprese aeree mostrano migliaia di persone sfilare nelle strade della capitale inglese, riempiendo quasi completamente l’enorme Westminster Bridge.

Altre grandi manifestazioni si sono tenute a New York, Los Angeles e in varie città europee tra cui Roma, Berlino, Stoccolma e Copenaghen, ma anche in Australia, in Nuova Zelanda, in Turchia e in città asiatiche come Seoul. Anche a Marsiglia, in Francia, si è tenuta una piccola manifestazione nonostante il governo francese abbia vietato le manifestazioni in sostegno della Palestina. 

Con un salto tematico importante ci spostiamo in Sicilia, dove c’è una grossa e importante novità che riguarda l’impianto di biometano che doveva essere costruito tra Pozzallo e Modica, un impianto molto contestato di cui abbiamo già parlato mesi fa qui su INMR. 

Vi provo a fare un rapido riassunto delle puntate precedenti seguendo un articolo di Simone Olivelli sul Quotidiano di Sicilia. 

In pratica nel 2018 nasce una società chiamata Biometano Iblea, una srl che nasce praticamente con l’unico scopo di costruire questo impianto per la produzione di biometano, che doveva sorgere in una frazione del comune di Modica, ma geograficamente molto più vicina al paese di Pozzallo. E che vedeva l’amministrazione di Modica favorevole al rilascio delle autorizzazioni (tant’è che le aveva rilasciate) e quella di Pozzallo contraria, proprio per la maggiore vicinanza, ma senza potere decisionale.

La questione aveva sollevato una serie di interrogativi e dubbi, sia dal punto di vista, diciamo, di competenze e dominio, con appunto la diatriba fra i due comuni, ma anche dal punto di vista ambientale e di conflitto di interessi. 

Vi spiego: in pratica l’azienda nel richiedere le autorizzazioni aveva usufruito di una via più snella, che aveva bypassato la procedura di Valutazione d’impatto ambientale (Via) di competenza della regione e a esprimersi sul progetto era stato solo lo Sportello unico attività produttiva del Comune di Modica. Questo perché il progetto presentato diceva che l’impianto avrebbe prodotto 499 m³/h di biometano. Un numero non a caso, dato che è esattamente un m³/h in meno rispetto alle dimensioni d’impianto che necessitano della Via. 

Questa stima dei 499 m³/h era stata presentata dall’azienda e confermata da uno studio dell’Università di Catania, a cui il Tribunale amministrativo regionale ha affidato l’incarico di effettuare una verifica, ma come ha mostrato un’indagine di Rifiuti Zero Sicilia, alcuni dei professori universitari che hanno effettuato lo studio erano anche i soci della società che voleva costruire l’impianto. Ehm.

Questo aveva dato origina a una vicenda giudiziaria con un giudizio prima del Tar e poi del Cga che però hanno dato ragione all’impresa. Poi però venerdì è successo l’imprevedibile. Leggo dall’articolo di Olivelli: “Un colpo di scena di quelli che ribaltano la storia e che arriva quando il finale sembrava essere dietro l’angolo. Si potrebbe descrivere così l’ultima novità nella vicenda sulla realizzazione dell’impianto di produzione e bio-metano tra Pozzallo e Modica. 

Una disputa che è passata per due volte dalle aule della giustizia amministrativa, con il Tar prima e il , ma che si è improvvisamente riaccesa dopo la scoperta da parte di Rifiuti Zero Sicilia dell’avvenuta scadenza dei termini entro cui la Biometano Ibleo avrebbe dovuto avviare il cantiere.

Otto agosto 2022. È questa la data che rappresenta lo spartiacque nella storia dell’impianto progettato in un’area di 60mila metri quadrati in contrada Bellamagna, ufficialmente nel territorio di Modica ma in realtà molto più vicina all’abitato di Bosco Pisana, che fa parte di Pozzallo. Quel giorno, infatti, era l’ultimo utile per iniziare i lavori di costruzione. A confermarlo di recente all’associazione, che sin dal principio si è battuta per mettere in discussione le modalità con cui sono state concesse le autorizzazioni alla Biometano Ibleo, sono stati gli uffici del Comune di Modica, sottolineando che alla società era stato concesso un primo titolo abilitativo alla costruzione in scadenza l’8 agosto del 2020 e poi una proroga biennale. 

Dopo la quale, hanno fatto sapere i funzionari, nessun’altra interlocuzione si è registrata con gli imprenditori, con la conseguenza che dal 9 agosto dello scorso anno non esistono titolo abilitativi validi all’avvio dell’impianto. Ciò significa che, quando a ottobre del 2022 il Cga ha preso in mano il ricorso, Biometano Ibleo non avrebbe più potuto iniziare i lavori.

Quindi ecco, nel frattempo l’autorizzazione è scaduta e l’azienda non ha fatto niente per riattivarla. Al momento il progetto è quindi sospeso. Dal comune di Modica hanno fatto sapere che sono disponibili ad attivare nuovamente l’iter, per riprendere in mano la costruzione, comunque per adesso tutto è fermo. 

Come hanno dichiarato attivisti e attiviste di Rifiuti Zero Sicilia, “Abbiamo dimostrato che la Biometano Ibleo non ha il titolo autorizzativo per la realizzazione dell’impianto. Si tratta di una circostanza che sarebbe dovuta emergere già prima dell’udienza al Cga, come il nostro legale aveva fatto rilevare prima dell’udienza”. 

Visto che noi abbiamo quasi in casa una delle persone che ha seguito più da vicino e animato questa vicenda, Manuela Leone, le ho chiesto un commento a questa vicenda. A te la parola Manuela.

AUDIO DISPONIBILE NEL VIDEO/PODCAST

Chiudiamo questa rassegna con le notizie di due morti significative. La prima è quella della 16enne iraniana Armita Geravand, finita in coma 28 giorni fa dopo essere stata picchiata dalla sorveglianza della metropolitana di Teheran a causa di un diverbio perché non indossava il velo.

I media locali riportano la sua morte, dopo che già lunedì scorso, 23 ottobre, il padre della ragazza ne aveva confermato la sua morte cerebrale. 

Garavand era stata ricoverata in coma l’1 ottobre, dopo avere subito un trauma cranico nella metropolitana di Teheran, dove avrebbe sbattuto la testa durante una lite con una sorvegliante perché non portava il velo. Il governo di Teheran aveva negato questa versione, dopo che il suo caso aveva suscitato indignazione, affermando che la giovane era svenuta a causa di un calo di pressione. In Iran stanno continuando le proteste, ormai da più di un anno. Il regime appare indebolito. Fonte: Ansa.

In Cina invece venerdì è morto a Shanghai Li Keqiang, ex premier della Repubblica Popolare Cinese e fra i principali “antagonisti” di Xi Jinping, al momento. Secondo i media statali il decesso è stato provocato da un attacco di cuore.

Leggo su Limes: “Li, che aveva 68 anni, ha svolto il ruolo di capo del Consiglio di Stato dal 2013 al 2023 durante i primi due mandati presidenziali di Xi Jinping. Eppure tra loro non ha mai corso buon sangue. Sia per le diverse estrazioni sociali sia per le rispettive visioni in merito al futuro del paese. Negli ultimi anni, l’ex numero due del Partito comunista cinese (Pcc) aveva mostrato di non essere esattamente in linea con l’attuale leader (in particolare durante l’epidemia di coronavirus), pur non contestandolo mai direttamente e non avendo il suo carisma.

Nell’ottobre 2022 l’ex presidente Hu Jintao, a cui Li era molto vicino, è stato scortato fuori dalla Grande Sala del Popolo durante il XX Congresso del Partito comunista cinese, evento che ha dato inizio al terzo mandato di Xi e rafforzato la presa di quest’ultimo sui principali centri di potere. Contestualmente l’ex premier è andato in pensione per essere sostituito da Li Qiang, alleato del presidente.

L’uscita di scena di Hu, forse ve la ricorderete, formalmente per un malore, ha sottolineato la parabola discendente della fazione cui lui stesso e Li Keqiang appartenevano – quella dei tuanpai, i politici emersi dalla Lega della gioventù comunista – a favore della cordata di Xi, soprannominata “esercito dello Zhejiang”, che oggi guida la Cina.

In Cina la morte di Li sta tenendo banco come principale notizia sui giornali e i social media. “È presto per stabilire quale impatto avrà la morte dell’ex premier sull’umore della popolazione e se diventerà motivo di contestazione nei confronti di Xi. Al momento l’argomento è tra i più seguiti su Weibo, l’X (o Twitter) cinese. I media ufficiali esaltano la carriera di Li, la sua dedizione al Partito e a Xi. Così da fugare eventuali dubbi sui loro attriti, evitare che l’accaduto dia adito a voci su una sua possibile uccisione. E che quindi funga da fattore destabilizzante, ora che il paese deve fare i conti con il rallentamento economico, il declino demografico, l’aumento del tasso di disoccupazione giovanile e il crescente stress sociale”.

In chiusura, torna la rubrica La giornata di ICC, in cui il nostro direttore Daniel Tarozzi ci racconta gli articoli più interessanti usciti oggi su ICC. Oggi davvero una giornata scoppiettante. Vi ricordo che potete trovare tutti gli articoli citati da Daniel sia nella homepage nazionale e in quelle locali di ICC ma anche sotto fonti e articoli, sotto all’hashtag #lagiornatadiICC

AUDIO DISPONIBILE NEL VIDEO/PODCAST

#Gaza
la Repubblica – Israele espande le operazioni di terra su Gaza e annuncia: “Colpiti 450 obiettivi di Hamas”
il Post – Israele vuole che venga evacuato un ospedale di Gaza
Limes – Il mondo questa settimana

il Post – Le foto delle manifestazioni in sostegno della Palestina in giro per il mondo

#biometano
QdS – “Autorizzazione scaduta”, si ferma il progetto dell’impianto di bio-metano tra Modica e Pozzallo

@Cina
Limes – È morto l’ex premier Li Keqiang, il concorrente di Xi Jinping

@Iran
Ansa – Armita Geravand è morta, dopo un mese in coma

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