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20 Settembre 2023
Podcast / Io non mi rassegno

Iran, un anno dopo. Nel silenzio il regime è sul punto di crollare? – #795

Pochi giorni fa è stato il primo anniversario della morte di Masha Amini e delle proteste in Iran, ne approfittiamo per fare il punto sulla situazione attuale con Samira Ardalani. Parliamo anche dell’inarrestabile marcia delle rinnovabili e delle crepe sempre più grosse nel modello economico della crescita verde.

Autore: Andrea Degl'Innocenti
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Pochi giorni fa, il 16 settembre, ricorreva un anno dalla morte di Masha Amini, la ventunenne iraniana morta dopo essere stata arrestata dalla polizia morale perché indossava il velo in maniera non corretta. Sulla sua morte, avvenuta dopo 3 giorni di coma, c’è stato da subito il sospetto – più di un sospetto – che sia stata causata dalle percosse ricevute per mano della polizia, mentre era in stato di fermo. Questo evento tragico è stato l’inizio di una delle più grandi sollevazioni popolari che il paese abbia registrato negli ultimi anni, con le proteste che sono proseguite per mesi e mesi. Ultimamente, se ne sente poco parlare, ma le proteste stanno proseguendo e hanno trovato nuova linfa proprio in occasione di questo anniversario. Allora ho contattato nuovamente Samira Ardalani, attivista e portavoce dei giovani iraniani residenti in Italia perché vi racconti qual è la situazione in questo momento. È un contributo più lungo del solito, ma vi invito a seguirlo attentamente perché fa una panoramica davvero completa di quello che sta succedendo, dalla situazione delle proteste, a quella nelle carceri dove molti manifestanti (sopratuttto donne) sono al momento, le esecuzioni, il comportamento dei governi occidentali, ecc.AUDIO DISPONIBILE NEL VIDEO/PODCASTRingrazio davvero Samira Ardalani, per il dettagliato resoconto. Noi come al solito continueremo a parlare di questa vicenda e saremo ben felici di ospitare nuovamente i suoi contributi, sempre ben accetti.

Cambiamo argomento. Ci sono due novità molto importanti sul fronte delle energie rinnovabili in Europa. che sembrano darci un segnale molto chiaro sulla direzione energetica che stiamo prendendo, al punto che Gianluca Ruggieri, ingegnere ambientale, divulgatore, co-fondatore di ènostra (la cooperativa che fornisce energia elettrica da sole fonti rinnovabili) ne parla così sul suo profilo Linkedin. “Due settimane fa alla scuola estiva di ènostra ho esordito dicendo “le rinnovabili ormai hanno vinto”. Persino in quel consesso, di persone attente e proattive, ho visto facce perplesse. Eppure solo ieri sono successe due cose di cui forse avrete sentito parlare poco”.Le cose di cui avrete sentito forse parlare poco sono le seguenti. la prima è che il Parlamento Europeo ha approvato il testo della nuova direttiva sulle rinnovabili e che tale testo definisce un obiettivo minimo del 42,5% per il 2030.Se questo numero vi sembra basso è perché state pensando all’energia elettrica. Ma qui parliamo di tutta l’energia. Anche quella con cui attualmente si muovono le auto, gli aeroplani, gli impianti industriali. Nel 2010 nell’Unione Europea solo il 14% dell’energia veniva da rinnovabili e nel 2020 siamo arrivati al 22 ora l’obiettivo è di raddoppiare entro il 2030. Come ricorda Ruggieri nel suo post, è vero che il Parlamento è sempre il più ambizioso tra le istituzioni europee, ma il testo approvato ieri ha già avuto l’ok tecnico dei governi di tutti i paesi membri (inclusa l’Italia).La seconda notizia è che Fatih Birol, direttore esecutivo della Agenzia Internazionale per l’Energia (quella che fa i conti per il G7 e il G20, per capirci) ha anticipato in un editoriale sul Financial Times i contenuti del prossimo World Energy Outlook che verrà pubblicato tra qualche settimana e che da sempre è un documento di riferimento per chi studia gli scenari energetici futuri (anche se di solito non è molto ottimista sui destini delle rinnovabili che da anni fanno poi meglio delle previsioni)Secondo le nuove valutazioni di IEA, il picco mondiale dello sfruttamento di tutte le risorse fossili (carbone, petrolio E GAS) avverrà entro il 2030. Solo un anno fa si pensava che sarebbe avvenuto a metà degli anni trenta. In un anno abbiamo quindi dimezzato l’orizzonte della previsione.Come scrive anche un articolo di Quotidiano nazionale, “È”L’INIZIO DELLA FINE” per i combustibili fossili. L’articolo cita anche le dichiarazioni di Faith Birol che ha detto espressamente: “Stiamo assistendo all’inizio della fine dell’era dei combustibili fossili e dobbiamo prepararci per la prossima era”. “Ciò dimostra che le politiche climatiche funzionano”.A trainare questa accelerazione ci sarebbero, secondo Birol, anche i “cambiamenti strutturali” dell’economia cinese nel passaggio dall’industria pesante ai servizi a minore intensità energetica e l’aumento degli sforzi di molti governi in risposta alla crisi climatica e a quella bellica. 

Se sul fronte energie rinnovabili le cose sembrano indirizzate nella giusta direzione, va anche detto e ribadito che le rinnovabili da sole non risolveranno i nostri problemi, a meno che non rivediamo profondamente il nostro modello di sviluppo. La cornice della crescita verde, o dello sviluppo sostenibile, all’interno della quale inquadriamo spesso la transizione energetica, infatti, ha un sacco di criticità perché ha bisogno comunque di continuare a produrre e vendere sempre più cose, e quindi utilizzare sempre più risorse. Ricordiamoci sempre che non esiste solo la crisi climatica ma tanti altri fattori che dobbiamo tenere sotto controllo (i famosi 9 limiti planetari) se vogliamo continuare a vivere abbastanza serenamente su questo pianeta. La cosa positiva è che le crepe al paradigma della crescita verde sono sempre più evidenti e iniziano a fare breccia, forse non ancora nel mondo dei decision makers, ma in quello subito antecedente, ovvero quello dei ricercatori. Leggo da un articolo pubblicato sul sito del Centro Euro-Mediterraneo sui Cambiamenti Climatici che secondo un recente studio pubblicato su nature Sustainability “c’è un diffuso scetticismo tra i ricercatori di politiche climatiche nei Paesi ad alto reddito”.Il concetto di crescita verde è diventato quasi onnipresente negli ultimi anni tra i responsabili politici e le istituzioni internazionali, tra cui la Banca Mondiale, l’Unione Europea e l’OCSE. Tuttavia, un crescente numero di ricerche svolte da parte della comunità scientifica mette in discussione l’idea che la crescita verde sia davvero possibile o addirittura auspicabile, e indica altre alternative.L’articolo scientifico in questione mostra che un numero crescente di ricercatori pensa che sia necessario dare priorità alla sostenibilità, alla giustizia sociale e al benessere umano, anche quando questo significhi una riduzione del consumo materiale e un calo dell’attività economica.Questo nuovo paradigma economico, chiamato dai ricercatori della “post-crescita” sostiene che il perseguimento di una crescita economica infinita sia incompatibile con i confini del pianetae che quindi siano necessari modelli economici alternativi per raggiungere la sostenibilità e il benessere a lungo termine. Gli studi sulla post-crescita si sono evoluti e diversificati in una varietà di prospettive che possono rientrare in due categorie principali: decrescita e acrescita*. Dal sondaggio della ricerca si evince che:Vi do un po’ di numeri: “Il 73% dei 764 ricercatori intervistati ha indicato opzioni – acrescita o decrescita – preferibili a quella della crescita verde, ma ci sono notevoli differenze nel grado di scetticismo a seconda del Paese e della disciplina di ricerca dei ricercatori intervistati.L’86,1% dei ricercatori dell’Unione Europea, ad esempio, ha espresso livelli molto elevati di scetticismo nei confronti della crescita verde, mentre i ricercatori nordamericani sono meno propensi a sostenere posizioni di decrescita rispetto a quelli di altri Paesi OCSE.Al contrario, più della metà dei ricercatori provenienti da Paesi non OCSE, soprattutto BRICS, ha espresso opinioni in linea con una prospettiva di crescita verde.Gli scienziati sociali, esclusi gli economisti, sono stati i più scettici nei confronti della crescita verde, mentre gli economisti ambientali e di altro tipo hanno espresso opinioni favorevoli alla crescita verde.Con il crescere degli indicatori di reddito e di benessere, cresce tra gli intervistati la tendenza a sostenere la nozione di post-crescita. Per semplificare, questi ricercatori sostengono che, oltre un certo punto, dare priorità al PIL sia fuorviante, poiché i costi sociali e ambientali del perseguimento di un’ulteriore crescita possono superare i benefici. Insomma, il mondo della ricerca sembra aver trovato, o essere nella direzione di trovare, un consenso sul fatto che la crescita verde sia di fatto impercorribile sul lungo periodo. Il che è interessante, perché il mondo della ricerca precede quello della politica in genere. nel senso che le politiche delle grandi istituzioni, tipo l’Ue, si basano su report e indirizzi che arrivano dal mondo della ricerca. C’è un inevitabile ritardo nel sistema ma in genere per osmosi una convinzione scientifica tende a trasferirsi in una premessa politica.  Non ovunque e non sempre, ma spesso è così. Quindi è molto interessante. Ad esempio abbiamo visto che alcune cose hanno iniziato a succedere in Europa dopo che la Agenzia europea dell’ambiente si è messa a pubblicare paper in cui sostiene che la la crescita economica non è più praticabile.

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