IL GRANDE SCIOPERO DI TRE GIORNI IN IRAN
Abbiamo già parlato diverse volte delle grandi manifestazioni in Iran. Ieri e l’altroieri lo abbiamo fatto, in particolare, per commentare quelle che agli occhi di molti giornalisti erano suonate come delle concessioni del governo, ovvero le affermazioni da parte del procuratore generale sull’abolizione della polizia morale e sulla revisione del dress code.
Oggi ne parliamo per un altro motivo: perché lunedì, il 5 dicembre, è iniziato un vastissimo sciopero di tre giorni, che segna un passaggio importante di queste proteste, ovvero un ulteriore allargamento delle stesse a tante diverse categorie sociali.
Scrive il Post: “È cominciato lunedì in Iran un grande sciopero nazionale di tre giorni indetto dai manifestanti che da mesi protestano contro il regime, con l’intento di mettere pressione sul regime stesso. Lo sciopero, che è uno degli atti più imponenti organizzati in questi mesi di proteste, sta coinvolgendo migliaia di negozianti, studenti e lavoratori in circa 40 città iraniane. Sui social network circolano da lunedì i video di decine di città in cui i negozi sono per la stragrande maggioranza chiusi, con le serrande abbassate. In questi giorni hanno protestato anche i guidatori dei camion, cosa che ha fatto aumentare la sensazione di blocco.
È tuttavia molto complesso capire quanto lo sciopero sia davvero partecipato, in assenza di informazioni affidabili provenienti dall’Iran. È anche possibile che almeno una parte dei negozianti abbia deciso di chiudere le proprie attività non tanto in solidarietà con i manifestanti quanto per timore che i negozi venissero coinvolti negli scontri e dalle violenze.
Il regime iraniano sostiene che i negozianti abbiano chiuso le loro attività perché minacciati dai manifestanti «rivoltosi», anche se a giudicare dall’ampiezza dello sciopero generale sembra estremamente improbabile.
Nelle strade di molte città iraniane sono stati appesi poster che invitano tutti ad aderire allo sciopero, che ha l’obiettivo di aumentare il più possibile la pressione sul regime che governa il paese. Nei mesi scorsi mobilitazioni simili avevano portato a grossi e violenti scontri tra i manifestanti e la polizia.
Proprio a questo proposito ieri ho intervistato Samirà Ardalani, attivista dell’associazione Giovani Iraniani d’Italia, associazione che è in contatto diretto con gli attivisti e le attiviste iraniane che organizzano le proteste, e che mi ha raccontato cosa sta succedendo. Vi faccio sentire qui un breve estratto dell’intervista, di cui troverete la versione estesa nella puntata di dicembre di INMR+, dedicata appunto alle rivolte in Iran.
AUDIO SAMIRA ARDALANI DISPONIBILE NEL VIDEO/PODCAST
Se la questione vi interessa, come vi dicevo, troverete l’intervista integrale, assieme al contributo di Paola Rivetti, ricercatrice e Professore associato di Politica e Relazioni internazionali all’Università di Dublino, nella puntata di INMR+ in uscita questo sabato, 10 dicembre. Solo per abbonati, quindi ecco, non vi dico altro.
C’È UN ACCORDO PER UN GOVERNO CIVILE IN SUDAN
Restiamo sul Post per un’altra notizia molto importante. “Lunedì la giunta militare che governa il Sudan dallo scorso gennaio e il principale gruppo pro-democrazia del paese hanno raggiunto un accordo per avviare la transizione verso la democrazia”. Il che è un’ottima notizia.
Già tempo fa avevamo parlato proprio su questa rassegna di come in Sudan fosse in corso un enorme movimento pacifico che chiedeva una transizione democratica verso un governo civile e un abbandono del potere da parte dei militari. Ecco, questa grande forza civile, che si è raccolta perlopiù sotto la sigla di Forze per la libertà e il cambiamento, è stata la principale negoziatrice assieme all’attuale governo del piano approvato. I negoziati sono durati diversi mesi, e finalmente sono giunti a un accordo. Ma cosa prevede questo accordo?
“Prevede – scrive ancora il Post – che il gruppo delle Forze per la libertà e il cambiamento, finora considerato dissidente, presidi per due anni la transizione democratica, che dovrebbe concludersi con l’elezione di un primo ministro”. Questo, in soldoni.
Il problema evidenziato da molti è che l’accordo “Contiene indicazioni piuttosto vaghe rispetto ai processi con cui dovrebbe attuarsi e non indica alcun termine per l’avvio del periodo di transizione. Tra le altre cose, non specifica se ci sarà una riforma dell’esercito (che in Sudan ha una grande influenza) e non chiarisce nemmeno se nell’arco del processo verrà istituito un sistema giudiziario di transizione. L’accordo inoltre non è stato accettato dai Comitati di resistenza sudanesi, fra i gruppi pro-democrazia più importanti del paese, i cui leader hanno invitato i propri sostenitori a protestare”.
Insomma, il fatto che esista un accordo è un buon passo in avanti, ma non significa che sia tutto risolto. Il Sudan al momento è governato da una giunta militare che si regge su una situazione paradossale. La giunta infatti è salita al potere dopo che nel 2019, il dittatore Omar Bashir, al potere da oltre 30 anni, era stato costretto a dimettersi in seguito a enormi proteste popolari.
I militari avevano preso il potere dichiaratamente per compiere una transizione ordinata verso la democrazia, cosa che però non è avvenuta spontaneamente. Lo scorso gennaio l’ex primo ministro Abdalla Hamdok si era dimesso dicendo di non essere riuscito a garantire una transizione democratica dopo il colpo di stato. L’attuale leader de facto (anche se ufficialmente si chiama presidnete del Consiglio Sovrano di Transizione) è il generale Abdel Fattah al-Burhan, che pure non ha fatto granché per guidare il paese alle elezioni democratiche. Da qui le nuove proteste, che hanno portato a questo accordo, che appare ancora abbastanza fragile. Ma c’è, esiste, ed è già qualcosa.
COME STA ANDANDO LA COP15 SULLA BIODIVERSITA’?
Come annunciavamo lunedì, ieri si è aperta la Cop15 sulla Biodiversità a Montreal. Il summit si è aperto con le parole accorate di Inger Andersen, direttore esecutivo del programma ambientale delle Nazioni Unite, che ha detto: “Abbiamo appena dato il benvenuto all’ottomiliardesimo membro della razza umana su questo pianeta. È una meravigliosa nascita di un bambino, naturalmente. Ma dobbiamo capire che più persone ci sono, più sottoponiamo la Terra a forti pressioni. Per quanto riguarda la biodiversità, siamo in guerra con la natura. Dobbiamo fare pace con la natura. Perché la natura è ciò che sostiene tutto sulla Terra… la scienza su questo è inequivocabile”.
Andersen ha sottolineato anche che il testo finale di qualsiasi accordo deve affrontare “i cinque cavalieri dell’apocalisse della biodiversità”: il cambiamento dell’uso del suolo, l’eccessivo sfruttamento, l’inquinamento, la crisi climatica e la diffusione delle specie invasive.
Come spiega un articolo di Patrik Greenfield sul Guardian “La bozza degli obiettivi inclusi nel Quadro globale per la biodiversità (GBF) prevede proposte per proteggere il 30% della terra e del mare, prevede di utilizzare i sussidi tolti alle industrie dannose e infine di affrontare il problema delle specie invasive”.
Questo è il terzo tentativo di concordare gli obiettivi di biodiversità, i due summit precedenti hanno fallito in questo. Inger Anderson si è detta fiduciosa, in quanto “Abbiamo imparato molto per capire cosa è successo le due volte precedenti, cosa ha funzionato e cosa no”, ma staremo a vedere.
Spendiamo però qualche parola sul tema della biodiversità. Sul fatto che sia una questione centrale c’è poco da discutere. Quando nel 2011 gli scienziati del Resilience Center di Stoccolma provarono a misurare i cosiddetti Planetary boundaries, ovvero quei fattori planetari che dovevamo tenere d’occhio pse volevamo continuare a vivere tranquillamente su questo pianeta come specie, venne fuori che la perdita di biodiversità era di gran lunga il fenomeno più preoccupante e fuori controllo. Più ancora della crisi climatica.
Anche qui non voglio soffermarmi sui freddi dati legati alla perdita di biodiversità, che a onor del vero sono davvero molto preoccupanti. Voglio invece chiedere a voi che ascoltate questo podcast di scrivermi, nei commenti su YT, via messaggio privato, davanti a casa, dove vi pare, che cos’è per voi la biodiversità, descrivendola in un’immagine. Così, per conoscere meglio anche la biodiversità di chi segue questo podcast.
L’UE VIETA L’IMPORTAZIONE DI PRODOTTI LEGATI ALLA DEFORESTAZIONE
Ultima notizia del giorno ce la riporta L’Indipendente. È una notizia fresca fresca arrivata ieri sera, che perciò è ancora abbastanza scevra di dettagli ma ve la riporto così come la leggo: “Il Parlamento europeo e gli Stati membri dell’Ue hanno raggiunto un accordo per vietare l’importazione nell’Unione europea di diversi prodotti – come il cacao, il caffè o la soia – quando contribuiscono alla deforestazione. Sono interessati al provvedimento anche l’olio di palma, il legno, la carne bovina e la gomma, oltre a diversi materiali associati (pelle, cioccolato, mobili, carta, carbone). La loro importazione sarà vietata se questi prodotti provengono da terreni disboscati dopo il dicembre 2020, ha affermato il Parlamento in una nota”.
Niente male, eh!
FONTI E ARTICOLI
#Iran
il Post – Il grande sciopero a favore dei manifestanti in Iran
#Sudan
il Post – C’è un accordo per formare un governo civile in Sudan
#biodiversità
The Guardian – ‘We are at war with nature’: UN environment chief warns of biodiversity apocalypse
The Guardian – The biodiversity crisis in numbers – a visual guide
Rinnovabili.it – La spinta genetica che cancella le epidemie (e fa estinguere le specie)
#Indonesia
il Post – In Indonesia il sesso fuori dal matrimonio sarà un reato
#Francia #nucleare
Valori – Francia, il nucleare stenta. Il governo: preparatevi ai black-out
#Russia
Scomodo – L’opinione pubblica russa sulla guerra sta cambiando
#Cina
il Post – Il governo cinese sta gradualmente allentando le restrizioni per il coronavirus
#Grecia
il Post – Lunedì ci sono state violente proteste a Salonicco, in Grecia, dopo che un poliziotto aveva sparato a un ragazzo rom che non aveva pagato la benzina