7 Nov 2023

Inquinamento in India, a Nuova Delhi non si respira – #825

Scritto da: Andrea Degl'Innocenti
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A Nuova Delhi, la capitale indiana, non si respira per via dell’inquinamento che p dieci volte superiore ai livelli di sicurezza indicati dall’OMS. Un inquinamento frutto di alcune circostanze specifiche ma anche della direzione intrapresa dal progresso indiano. parliamo anche di una nuova ondata di grandi dimissioni, che riguarda soprattutto i top manager, e di incendi, con l’ultimo report dell’agenzia Copernicus.

Apriamo questa rassegna con una notizia che arriva dall’India, dalla capitale dell’India. Leggo su Open che “A Nuova Delhi non si respira. La capitale indiana, che conta oltre 28 milioni di abitanti, è avvolta da giorni da una fitta coltre di smog, che oltre a ridurre la visibilità sulle strade sta causando problemi respiratori, pruriti e irritazioni agli occhi a molte persone. Ed è per questo che il governo locale ha ordinato la chiusura di tutte le scuole primarie, vietato la circolazione di tutti i veicoli inquinanti e lo stop ai lavori di costruzioni non essenziali. Delhi è da anni in cima alla classifica delle grandi città più inquinate al mondo, ma nei giorni scorsi la situazione ha raggiunto livelli ancora più preoccupanti del normale”. 

Venerdì scorso, il 3 novembre, l’indice di qualità dell’aria (IQA) ha toccato il valore di 500, il più alto previsto dalle tabelle dell’Organizzazione mondiale della sanità e soprattutto 10 volte superiore al limite considerato sicuro per la salute dei cittadini. Il rapido peggioramento dell’inquinamento atmosferico in città sembra dovuto all’attività degli agricoltori nei vicini stati di Haryana e del Punjab, che bruciano gli scarti delle coltivazioni. La scorsa domenica sono stati registrati oltre mille incendi agricoli, in aumento del 740%. 

La direzione del vento e il calo delle temperature hanno dato vita a una ricetta letale, trascinando le particelle inquinanti verso Nuova Delhi e intrappolandole nell’aria. Secondo un recente studio dell’Università di Chicago, il livello di inquinamento atmosferico nella capitale indiana è così alto che potrebbe accorciare in media di 11,9 anni l’aspettativa di vita dei suoi abitanti. Negli anni scorsi, il governo locale ha risposto a questa situazione costruendo due «torri dello smog», dal costo di oltre 2 milioni di dollari ciascuna, che avrebbero dovuto ripulire l’aria ma vengono ritenute inefficaci da gran parte degli scienziati.

L’aria irrespirabile di Nuova Delhi è una notizia tremenda, ma è anche in qualche misura un simbolo della direzione intrapresa dallo sviluppo indiano. Perché se è vero che in questo momento specifico gli incendi controllati degli agricoltori hanno fatto raggiungere all’inquinamento livelli record, è altrettanto vero che il traffico folle, unito alle tante centrali a carbone che punteggiano l’India e la sua capitale, creano di base livelli altissimi, per cui poi è facile battere nuovi record quando si aggiungono delle condizioni particolari come quelle di questi giorni. 

Questi sono i frutti del progresso, basato sulle fonti fossili, sulla mobilità individuale, sulla crescita infinita del pil. La stessa India che boicotta i negoziati sul clima, che non vuole uscire dal carbone è quella in cui non si respira più. E le soluzioni facili, che permettono di andare avanti senza cambiare il sistema, costruendo delle torri mangia smog, tendenzialmente non funzionano quasi mai.

Se fino a qualche mese fa potevamo avere qualche ragionevole dubbio che il fenomeno delle grandi dimissioni, ovvero quel fenomeno iniziato all’incirca dopo la pandemia, per cui un sacco di gente sta lasciando il lavoro volontariamente, fosse magari un fenomeno passeggero e circostanziale, dovuto magari al fatto che le persone cercavano lavori meglio retribuiti, l’ultima ondata di dimissioni che stanno interessando soprattutto gli Usa direi che fuga ogni dubbio. Questa volta a dimettersi in massa sono soprattutto i top manager, e questa qua è una novità assoluta. 

C’è qualcosa che scricchiola nella pancia del capitalismo – che poi  non vuol dire nulla, mi sa che ho fuso due metafore diverse, perché semmai è un ingranaggio che scricchiola, la pancia è difficile a meno che non hai mangiato una porta. Leggo da un articolo di Diana Cavalcoli sul Corriere della Sera: “Le Grandi Dimissioni non riguardano solo i dipendenti ma anche i capi. Secondo Bloomberg gli amministratori delegati stanno lasciando il posto di lavoro a ritmo da record. Guardando i dati della società di executive coaching Challenger, Gray & Christmas emerge come più di 1425 ceo abbiano lasciato le loro posizioni fino a settembre. Nel solo mese 164 ad hanno lasciato. Un aumento del 47% rispetto alle 969 uscite di amministratori delegati nello stesso periodo del 2022”.

La cosa interessante è che – credo – per la prima volta, tra i motivi della fuga il rischio burnout legato a stress e incertezza superano il passaggio a posizioni meglio remunerate. «Qualsiasi amministratore delegato o responsabile delle risorse umane racconta che la pandemia e la risposta alla pandemia sono state una delle esperienze più stressanti, se non la più stressante, della loro vita lavorativa», ha raccontato a Bloomberg Alexander Kirss, responsabile senior Hr della società di consulenza Gartner Inc. «Non solo hanno dovuto gestire le loro organizzazioni attraverso la pandemia da una prospettiva strategica, ma anche da una prospettiva umana».

Tra i settori più toccati dalle dimissioni dei ceo quello governativo e quello no-profit che insieme hanno registrato un totale di 353 uscite, con un aumento dell’86% rispetto alle 190 del 2022. Gli ospedali hanno annunciato il secondo maggior numero di abbandoni : 125 cambi al vertice, il 67% in più rispetto ai 75 annunciati nello stesso periodo dell’anno scorso.

Credo che il fatto di essere entrati in un periodo di crisi, in cui dobbiamo fronteggiare, tutte assieme, varie crisi, da quella ecologica, a quella geopolitica a tante altre, tutte connesse, abbia come effetto collaterale di mettere molto sotto stress soprattutto i cosiddetti vertici della società. E quindi il sistema sta producendo questo fenomeno di dimissioni di massa che probabilmente, anzi sicuramente avrà un effetto a catena di cambiamento del sistema stesso. Non so dire esattamente, anzi + impossibile dire esattamente in quale direzione. Ma è un fenomeno molto interessante da osservare. 

E a tal proposito, a proposito di persone che lasciano il propio lavoro sicuro e ben remunerato per fare un salto nel buio, non vorrei dirvelo ma non è un fenomeno nuovo. Già oltre dieci anni fa nel primo viaggio nell’ICC Daniel tarozzi e paolo Cignini, ai tempi due giovini di belle speranze che non sapevano che sarebbero diventati rispettivamente direttore responsabile e presidente di Italia che Cambia,ne incontrarono di storie di persone che facevano scelte del genere. 

Erano esperienze pionieristiche, ma che già contenevano i semi di quello che osserviamo oggi. E che in un certo senso ci permettono di guardare nel futuro per capire anche come si possono evolvere, dove possono portare queste esperienze. 

Perché tutto questo pippone, direte voi? Perché oggi direte voi? Bè perché oggi esce la prima puntata del nostro nuovo podcast! Il nuovo podcast si chiama Non funzionerà mai, se avete fatto i bravi avrete anche già sentito il trailer, e vi accompagna a scoprire se e come le esperienze di cambiamento positivo che raccontiamo su ICC resistono alla prova del tempo. In questa prima puntata abbiamo intervistato Devis Bonanni, un ragazzo che oltre dieci anni fa in piena crisi economica abbandonò il posto fisso da tecnico informatico per tornare alla terra, a fare il contadino. Divenne anche un piccolo caso editoriale, con il suo libro e il blog pecoranera. Che farà oggi? Continuerà a fare il contadino o avrà cercato un altro lavoro? La sua scelta di vita avrà funzionato?

Mi raccomando è la prima puntata quindi ci tengo, ci teniamo che ve la ascoltiate, che la condividiate, che la facciate girare il più possibile. La trovate su ICC e sulle principali piattaforme di podcasting come Spreaker, Spotify, Apple podcast ecc. Potete anche votarla se vi piace.

Torniamo a parlare di incendi, sicuramente uno dei temi più caldi, scusate il gioco di parole briutto, di questo periodo storico. Il Servizio di Monitoraggio dell’Atmosfera di Copernicus ha monitorato gli incendi stagionali intorno ai tropici dell’emisfero meridionale dall’inizio del mese di agosto, osservando la variabilità delle emissioni di incendi tra i diversi Paesi.

Fino al 30 ottobre 2023, una delle regioni in particolare in cui si sono registrati incendi e relative emissioni, su larga scala, è l’Australia settentrionale. Il numero e l’intensità degli incendi (indicati come Potenza Radiativa di Fuoco – Fire Radiative Power – FRP) per il Paese hanno iniziato ad aumentare in modo significativo nella prima metà di settembre, registrando i livelli più alti della stagione nel mese di ottobre, con molti incendi nell’Australia occidentale, nel Territorio del Nord, nel Queensland e, soprattutto negli ultimi giorni di ottobre, nel Nuovo Galles del Sud. Attualmente, le emissioni totali di carbonio stimate dagli incendi per il periodo dal 1° agosto al 31 ottobre sono le più alte dal 2012, con circa 110 megatonnellate, mentre viene ancora segnalata una significativa attività di incendi boschivi.

Le zone amazzoniche e centrali del Sud America, nonostante le diffuse condizioni di siccità, hanno registrato emissioni di incendi generalmente inferiori alla media tra agosto e ottobre, con il Brasile nel suo complesso che ha registrato le emissioni più basse dal 2019. Tuttavia, in alcune zone dell’Argentina settentrionale, del Paraguay e della Bolivia si è verificata una consistente attività di incendi boschivi. In Bolivia, le emissioni di carbonio dovute agli incendi boschivi hanno raggiunto circa 15 megatonnellate nel corso del mese di ottobre, diventando così le emissioni più elevate degli ultimi due decenni. 

In Indonesia, le regioni di Sumatra e del Kalimantan meridionale hanno generalmente registrato emissioni di incendi inferiori alla media tra agosto e ottobre, mentre, secondo i dati CAMS, l’Indonesia nel suo complesso ha seguito la stessa tendenza. Questo accade nonostante El Niño e la fase positiva del Dipolo dell’Oceano Indiano (IOD) abbiano portato a un aumento delle emissioni di incendi nel Continente Marittimo rispetto agli ultimi tre anni.

Sia El Niño che lo IOD favoriscono tipicamente condizioni più secche in tutta la regione, il che è legato a una maggiore possibilità di insorgenza di incendi boschivi. Ad esempio, gli anni di El Niño del 2006 e del 2015 e lo IOD positivo del 2019 sono gli anni con maggiori emissioni di incendi in Indonesia negli ultimi 21 anni. 

Mark Parrington, Senior Scientist CAMS, ha commentato: “Le previsioni per El Niño di quest’anno ci hanno dato un ulteriore incentivo per il monitoraggio delle emissioni nei tropici meridionali dall’inizio di agosto. Abbiamo osservato un aumento delle emissioni di incendi in Indonesia e in Amazzonia rispetto agli ultimi anni. Pur non raggiungendo i livelli estremi degli anni precedenti di El Niño, hanno comunque prodotto quantità significative di fumo e degrado della qualità dell’aria. Il lavoro di monitoraggio che svolgiamo nel CAMS è essenziale per comprendere i potenziali impatti atmosferici di emissioni di incendi come questi quando si verificano”.

Il Servizio per il Cambiamento Climatico di Copernicus (Copernicus Climate Change Service – C3S) implementato dal centro europeo per le previsioni meteorologiche a medio termine per conto della Commissione europea con il finanziamento dell’UE, fornisce informazioni aggiornate sulla localizzazione, l’intensità e le emissioni stimate degli incendi boschivi in tutto il mondo, compreso il monitoraggio del trasporto dei fumi e degli impatti sulla composizione dell’atmosfera.

Monitorare, prevenire e fermare tempestivamente gli incendi è essenziale, perché gli alberi sono i nostri principali alleati nella lotta al CC, da vivi, mentre se bruciano gettano in atmosfera tutta la CO2 accumulata in anni, a volte secoli di esistenza. 

Concludiamo con il consueto appuntamento con la Giornata di Italia che Cambia, la rubrica in cui il nostro direttore Daniel Tarozzi ci racconta e commenta gli articoli più belli usciti oggi su Italia che Cambia. A te la parola Daniel:

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