Oggi dobbiamo andare un po’ di corsa, perché ci sono tante notizie, tutte molto importanti, ci sono i risultati, parziali o completi, di 3 elezioni molto rilevanti, insomma non potevo tenerne fuori nessuna, quindi scusatemi se l’approfondimento non sarà poi così tanto. Partiamo dall’India, dove come forse ricorderete sabato si è concluso il processo di votazione più lungo del mondo, durato 44 giorni.
Non ci sono ancora i risultati definitivi, che saranno resi noti domani, quindi ne parliamo meglio nella rassegna di mercoledì mattina. Ma i primi exit poll sembrano mostrare un risultato nettissimo a favore del partito dell’attuale Presidente Narendra Modi. La sua vittoria non era mai stata veramente in discussione, ma alcuni osservatori avevano previsto, forse peccando del bias di wishful thinking, una rimonta finale delle opposizioni. Rimonta che non ci sarebbe stata, almeno stando agli exit poll.
Come scrive Jashray Sharma su Al Jazeera, “A New Delhi, in India, il Primo Ministro Narendra Modi, 73 anni, sembra pronto per un raro terzo mandato ed è probabile che venga rieletto con una schiacciante maggioranza, secondo i sondaggi di uscita diffusi sabato sera, sconfiggendo l’alleanza dell’opposizione nel più grande voto democratico del mondo”.
“Se i risultati ufficiali attesi per martedì 4 giugno confermeranno questi exit poll, il Bharatiya Janata Party di Modi non solo supererà indenne l’aumento delle disuguaglianze, la disoccupazione record e i prezzi in aumento, ma potrebbe ottenere un risultato migliore rispetto alle ultime elezioni del 2019. Nessun primo ministro nell’India indipendente ha mai vinto tre elezioni consecutive del Lok Sabha con numeri in crescita ogni volta”.
Ma quindi cosa dicono questi exit poll? Almeno sette di essi, pubblicati dai media indiani, hanno previsto che il BJP e i suoi alleati vinceranno tra 350 e 380 seggi sui 543 del Lok Sabha, la camera bassa del Parlamento indiano. Quindi una maggioranza molto ampia, visto che per governare bastano 272 seggi.
Ora: si tratta ancora di exit poll, quindi prendiamo tutto con le dovute cautele. In India gli EP hanno una tradizione altalenante e in passato hanno spesso sottostimato/sovrastimato i numeri di diversi partiti, tuttavia, hanno generalmente previsto correttamente le macro-tendenze degli ultimi due decenni.
La cosa sorprendente suggerita dai Poll in uscita è che il partito di Modi sarebbe andato molto bene anche negli stati meridionali del paese, dove la maggior parte dei sondaggi pre-elettorali dava un vantaggio della lista di opposizione, una maxi coalizione diciamo più progressista che raccoglie circa 25 partiti sotto il nome di INDIA. Ad esempio il BJP potrebbe ottenere due o tre seggi anche in Kerala, l’ultimo baluardo della sinistra indiana dove il partito di Modi non ha mai vinto, e vincere da uno a tre seggi in Tamil Nadu, dove non ha ottenuto seggi nelle ultime elezioni. Oltre ad ottenere una vittoria schiacciante nei suoi stati roccaforti, tra cui Gujarat, Madhya Pradesh, Delhi e altri.
Allora, facciamo qualche considerazione, anche se conviene aspettare di avere i risultati definitivi per trarre conclusioni. Innanzitutto, anche se non ci sono dati definitivi nemmeno sull’affluenza, sembra che sia stata molto alta, come da tradizione. So che magari questo può farci storcere il naso, perché ci piacerebbe – o perlomeno, parlo per me – mi piacerebbe associare a una grossa partecipazione democratica la vittoria di un partito e un candidato diverso dal BJP e Modi, che si caratterizzano per politiche molto molto conservatrici, islamofobe, terribili dal punto di vista ambientale e così via.
Ma tant’è, le elezioni indiane sono state probabilmente esattamente quello che Modi si augurava, un trionfo di partecipazione. E il fatto di votare sembra essere una cosa molto importante per gli indiani, molto più che in occidente, tant’è che sui social indiani impazzano le foto con l’indice colorato di inchiostro viola, che viene spennellato sul dito come una sorta di marchio indelebile (dura due settimane) per segnare chi ha votato e impedire che una persona voti due volte.
Nel merito del risultato, se la vittoria di Modi è ampia come sembra questo apre le porte ad altri 5 anni di dominio, altri 5 anni di narrazione molto nazionalista dell’India, molto religiosa (considerate che buona parte della campagna elettorale è stata fatta agitando lo spauracchio dei musulmani) e direi che non è una buona notizia nemmeno dal punto di vista climatico ambientale, perché significa, forse, ritardare ancora la decarbonizzazione di quello che è uno dei paesi più inquinanti al mondo in termini di emissioni di CO2, e quello in cui le emissioni continuano a crescere di più, quello più restio ad abbandonare il carbone e così via. Comunque, mercoledì ne riparliamo di certo.
Allora, continuiamo sul filone elettorale ma per parlare di elezioni che ancora si devono tenere, quelle europee. In Italia si vota sabato e domenica prossimi, ci siamo quasi, e allora vi ricordo che l’altroieri, sabato, è uscota la nuova puntata di INMR+, il nostro approfondimento sull’attualità in esclusiva per i nostri abbonati, dedicato proprio al tema delle elezioni europee. Dal titolo “Tutto, ma proprio tutto quello che devi sapere per votare in modo consapevole alle europee 2024”.
È una puntata un po’ anomala perché in genere in INMR+ intervisto esperti/e su qualche argomento, invece questa volta parlo quasi esclusivamente io, non perché sia particolarmente esperto, ma perché ho preferito fare una analisi che desse più strumenti possibili alle persone per fare un voto consapevole.
Quindi è come se fosse una puntata di INMR ma di un’ora, in cui si parla: innanzitutto di come funziona l’Ue e del ruolo del Parlamento, poi del tema del votare ha senso oppure no, quindi si analizzano i programmi di molte delle liste presenti, con un focus particolare su tematiche ambientali e sul tema della guerra e della pace, e infine si fa qualche ragionamento anche su come scegliere, su quanto peso dare alla lista, nella scelta, e quanto all’individuazione di uno o più candidati. Vi voglio far ascoltare giusto due passaggi secondo me significativi:
Audio disponibile nel video / podcast
Ecco, questi erano solo due brevi estratti, ma giusto per darvi qualche elemento di riflessione. Vi rinnovo, se l’argomento vi interessa, l’invito ad abbonarvi. Fra l’altro abbonarvi a ICC, oltre a offrirvi contenuti dedicati, come i podcast lunghi INMR+ e a tu per tu, oltre a darvi la possibilità di incontrare e chiacchierare in degli incontri zoom con la redazione, è un modo di sostenere tutto il nostro lavoro, compreso questo format che state vedendo, e in generale un modo di sostenere un’informazione libera e indipendente. Il tutto per un prezzo penso piuttosto abbordabile, 50€ l’anno, sono 4 euro al mese. Io ve l’ho detto, poi vedete voi.
Altro continente, altro paese, altre elezioni. Sono arrivati i risultati ufficiali del voto in Sudafrica. E l’atteso calo dell’African National Congress, il partito che fu di Nelson Mandela, che ha guidato ininterrottamente il Paese negli ultimi 30 anni, ha perso per la prima volta dalla fine dell’apartheid e da quando anche i neri hanno conquistato il diritto di votare, ovvero dal 1993, la maggioranza parlamentare.
L’ANC, che aveva appunto dominato questi 30 anni di politica, ha ottenuto poco più del 40%. È ancora per distacco il primo partito, ma non potrà governare, perlomeno non da solo. Il principale partito di opposizione, l’Alleanza Democratica, si è attestato intorno al 21%. Il nuovo partito MK dell’ex presidente Jacob Zuma, che si è rivoltato contro l’ANC da lui una volta guidato, è arrivato terzo con poco più del 14% dei voti.
Come raccontavamo alla vigilia del voto, a pesare sul partito che ha dominato questi 30 anni di politica sarebbero stati soprattutti i temi della disoccupazione e della povertà, con milioni di persone sono senza acqua, elettricità o alloggi adeguati, uniti al fatto che le disuguaglianza sono rimaste enormi e continuano a ricalcare le differenze etniche, un po’ come ai tempi dell’apartheid. Il Sudafrica è al tempo stesso il Paese più ricco del continente (quello con il pil maggiore) e il paese più diseguale al mondo, e anche se non c’è più nessuna legge che lo imponga, persiste una elite bianca molto ricca, mentre la popolazione nera è tendenzialmente povera e spesso un lavoro, con una disoccupazione che nel paese si aggira attorno al 30%.
Che succede adesso? Da costituzione il Parlamento elegge il presidente sudafricano entro 14 giorni dalla pubblicazione dei risultati delle elezioni nazionali. Solo che prima va trovato un accordo. L’attuale presidente Cyril Ramaphosa, se vuole essere rieletto, deve stringere un’alleanza con un altro partito per ottenere la maggioranza, ma quale?
Il partito MK, quello guidato dall’ex presidente Zuma, che a livello di programma è forse quello più simile, anche perché Zuma proviene da lì, ha anticipato che la principale condizione per qualsiasi accordo è che Ramaphosa venga rimosso dalla carica di leader e presidente dell’ANC. Cosa non semplice.
Altrimenti c’è la possibilità di un accordo con Economic Freedom Fighters, partito di estrema sinistra che chiede la nazionalizzazione di parti importanti dell’economia, o all’opposto con il partito centrista Alleanza Democratica, il secondo più votato, che invece ha una visione piuttosto liberista dell’economia, e vorrebbe attrarre capitali stranieri. Quindi ecco, a seconda dell’alleanza le politiche del Sudafrica potrebbero cambiare moltissimo nei prossimi anni. Anche su questo, ci aggiorniamo.
Ultimo dato, l’affluenza, che sembrerebbe in discreto calo. È stata attorno al 60%, era stata del 66% nel 2019 e del 73,5 nel 2014. Anche qui, ne riparliamo quando ne sapremo di più sulle alleanze di governo e sull’elezione del presidente.
Torniamo sul tema Israele, Gaza, Hamas. Mentre continuano ad aggravarsi le condizioni delle persone nella striscia di gaza, soprattutto a Rafah, dove adesso oltre che per le bombe si muore, soprattutto, di malnutrizione, la novità principale è che venerdì il presidente Usa Joe Biden avrebbe sottoposto all’omologo israeliano Netanyahu e ai leader di Hamas, un piano di cessate il fuoco duraturo.
Secondo quanti riportano i giornali questo piano si baserebbe su 3 punti principali, anzi 3 fasi: un cessate il fuoco di sei settimane in cui l’esercito israeliano si ritirerebbe dalle aree più popolate di Gaza e il contemporaneo rilascio di tutti gli ostaggi; una «cessazione delle ostilità» permanente; e un piano di ricostruzione per Gaza. Il piano non specifica invece chi governerebbe la Striscia di Gaza dopo la guerra.
Sebbene il piano sia stato concordato con i negoziatori e i ministri israeliani che stanno seguendo di più la guerra, le risposte più chiuse sono state proprio quelle del governo israeliano. Sabato i leader dei due principali partiti di estrema destra che fanno parte della coalizione di governo in Israele, il ministro delle Finanze Bezalel Smotrich e il ministro della Sicurezza nazionale Itamar Ben-Gvir, hanno detto che si dimetteranno se Netanyahu accetterà la proposta.
E i loro due partiti, Sionismo Religioso e Potere Ebraico, controllano 14 seggi alla Knesset: abbastanza da far perdere a Netanyahu la maggioranza, se decidessero di lasciare il governo. Cosa che per Netanyahu sarebbe un grosso problema, visto che al momento non sembra ci siano altri partiti disponibili a entrare in maniera stabile nella coalizione di maggioranza, sebbene ce ne siano alcuni disposti a sostenere Netanyahu esternamrente, se accettasse l’accordo proposto da Biden.
Netanyahu però si è detto abbastanza contrario all’idea, ma ufficialmente non ha ancora né accettato né rifiutato la proposta. Ma ha detto che «le condizioni di Israele per porre fine alla guerra non sono cambiate: la distruzione delle capacità militari e di governo di Hamas, la liberazione di tutti gli ostaggi e la garanzia che Gaza non rappresenti più una minaccia per Israele».
Ieri si è votato anche in Messico, altra elezione non da poco con circa 98 milioni di votanti. Ancora non ci sono i risultati, ma secondo i sondaggi e i primissimi exit poll Claudia Sheinbaum, un’ingegnera energetica ex sindaca di Città del Messico di 61 anni, dovrebbe essere la prossima presidente del paese.
Sheinbaum è la candidata di MORENA, il partito del presidente uscente Andrés Manuel López Obrador (di centrosinistra) ed è stata designata direttamente da lui per portare avanti le sue politiche.
Racconta il Post che “Il sistema politico messicano è molto simile – anzi proprio modellato – su quello statunitense, in cui il presidente ha ampi poteri. Nei sondaggi Sheinbaum è stabilmente sopra al 50 per cento, soprattutto grazie al sostegno del popolarissimo AMLO. La sua principale rivale è Xóchitl Gálvez (il nome si pronuncia shòchitl, e significa fiore in nahuatl, la lingua azteca), che rappresenta una coalizione di partiti di centro e di centrodestra, ma il divario tra le due è rimasto superiore ai venti punti percentuali per tutta la durata della campagna elettorale.
I sondaggi in Messico non sono considerati particolarmente affidabili, e per questo c’è ancora chi dice che le elezioni potrebbero riservare delle sorprese, o che comunque il distacco tra le due candidate potrebbe essere minore del previsto. Nonostante questo, il divario è tale che, anche se i sondaggi facessero un errore macroscopico, sarebbe molto difficile ribaltare il pronostico.
In ogni caso la vincitrice, perché comunque vada sarà una donna e sarà la prima presidente donna del Messico, dovrà affrontare numerosi problemi storici del Messico come un’economia piuttosto stagnante e l’intensa violenza del narcotraffico, che negli ultimi anni è aumentata. In caso di vittoria, Sheinbaum dovrà fare i conti anche con l’eredità ingombrante del suo predecessore Obrador, che è molto molto popolare in Messico.
Vediamo giusto qualche aspetto interessante di Claudia Sheinbaum. Ha studiato Fisica all’università, ha fatto un dottorato in Ingegneria energetica, e tra le altre cose si è occupata di clima ed è stata parte dell’Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC) dell’ONU, il principale organismo scientifico internazionale per la valutazione dei cambiamenti climatici.
Nel 2017 è stata eletta sindaca di Città del Messico con un programma basato su due punti principali: aumentare la sostenibilità ambientale di una città nota come una delle più inquinate al mondo e combattere la violenza dei gruppi criminali. È riuscita soprattutto nel secondo intento: durante il suo mandato a Città del Messico gli omicidi si sono quasi dimezzati, anche se sono circolati dubbi sull’affidabilità dei dati.
Adesso la sua sfida sarà soprattutto, si aspettano i messicani, quella di portare sicurezza anche nel resto del paese. Perché il uso predecessore ha visto la violenza aumentare vertiginosamente, nonostante un programma che a prima vista avrei reputato interessante. In pratica aveva coniato una politica – denominata «Abrazos, no balazos», che significa «Abbracci, non proiettili» – in cui ha ridotto al minimo gli interventi della polizia, e puntato sullo sviluppo economico delle aree più povere e degradate. Ma questa politica ha avuto effetti contrari a quelli sperati: ridurre l’attività delle forze dell’ordine nelle strade ha aperto spazi ai narcotrafficanti, che hanno aumentato il livello della violenza.
L’altro punto su cui è attesa è al varco, sempre che la sua vittoria venga confermata, è la sua capacità di emanciparsi dall’influenza del suo ingombrante predecessore. Staremo a vedere.
#India
Al Jazeera – Modi magic: Why Indian exit polls predict record BJP win
Corriere della Sera – Caldo, selfie e inchiostro viola In India è affluenza record Modi verso il terzo mandato
#europee
Italia che Cambia – Tutto (ma davvero tutto) quello che devi sapere per un voto consapevole alle europee 2024 – Io non mi rassegno+ #18
#cessate il fuoco
The Guardian – Children die of malnutrition as Rafah operation heightens threat of famine in Gaza
il Post – Joe Biden ha sostenuto una nuova proposta di Israele per il cessate il fuoco a Gaza
The New York Times – After Biden’s Push for Truce, Netanyahu Calls Israel’s War Plans Unchanged
il Post – All’estrema destra israeliana il piano di Joe Biden su Gaza non piace per niente
#Sudafrica
la Repubblica – Sudafrica, l’Anc precipita al 40 per cento. Il partito di Mandela alla disperata ricerca di un partner di governo
#Messico
il Post – La donna che sarà quasi certamente presidente del Messico
The New York Times – Mexico’s Women Are Speaking. Will a Female President Listen?