Il Presidente dell’Iran Raisi è morto in un incidente in elicottero, cosa sappiamo e cosa succede adesso – #934
Partiamo con un aggiornamento dell’ultimo minuto che sto registrando dopo aver registrato il resto della puntata. Raisi il Presidente iraniano Ebrahim Raisi è stato infine trovato morto assieme al ministro degli esteri e a tutte le persone a bordo dell’elicottero precipitato. Il ritrovamento dei resti dell’elicottero è stato fatto grazie a un drone fornito dalla Turchia che ha individuato una fonte di calore. Adesso vi lascio all’ascolto della puntata, registrata quando ancora non era sicura la morte del Presidente iraniano. Comunque tutto il resto delle informazioni e ragionamenti restano validi. Buon ascolto.
Dopo l’attentato al premier slovacco Fico, ieri è successo un altro fatto dai contorni ancora nebulosi, che riguarda un altro capo politico. Il presidente iraniano, Ebrahim Raisi e il suo ministro degli Esteri, sono probabilmente precipitati mentre erano a bordo di un elicottero, in circostanze ancora da chiarire.
È un fatto in continuo aggiornamento, ma intanto cerchiamo di vedere cosa sappiamo fin qui. Ieri pomeriggio è arrivata la notizia che un elicottero che trasportava Raisi, e altre persone, aveva avuto un incidente e aveva dovuto fare un “brusco atterraggio”, così lo avevano definito i media iraniani, inizialmente. Oltre a Raisi, sull’elicottero c’erano il ministro degli Esteri, Hossein Amir-Abdollahian, il governatore della provincia iraniana dell’Azerbaigian Orientale, Malek Rahmati, l’ayatollah Mohammad Ali Ale-Hashem, rappresentante della Guida suprema iraniana in Azerbaigian orientale e altre persone.
Il fatto sarebbe avvenuto dell’Azerbaijan Orientale, che – anche se il nome potrebbe trarre in inganno, è una provincia dell’Iran, nel nord-ovest del paese, in una zona che confina con l’Azerbaijan e con l’Armenia.
L’elicottero era diretto verso la città di Tabriz, di ritorno proprio dall’Azerbaigian, dove il Presidente era andato per inaugurare una diga assieme al suo omologo azero Ilham Aliyev. Secondo i media iraniani l’elicottero viaggiava in un convoglio insieme ad altri due, che invece non hanno avuto problemi e sono arrivati regolarmente alla loro destinazione
Più nello specifico, sembra che la zona sia quella della foresta di Dizmar (vicino a Jolfa), un’area montuosa e boschiva dove quindi le ricerche sono difficili. Anche perché nella zona c’era una forte nebbia che forse potrebbe essere stata anche la causa dell’incidente e che comunque sta rendendo le ricerche molto complesse.
Comunque, da allora attorno all’incidente regna un certo mistero, ovvero non si capisce se ci sono superstiti oppure no, se e come i superstiti sono stati contattati, se l’elicottero è precipitato o ha dovuto fare un atterraggio di emergenza, né i motivi e le dinamiche di questo incidente. Insomma, si sa poco o nulla.
Sappiamo, forse, che l’elicottero in questione faceva parte di una flotta abbastanza vetusta, era un modello sovietico tuttora in produzione, ma che a causa delle sanzioni internazionali il Paese fa fatica a reperire sul mercato i pezzi di ricambio che servono a fare la manutenzione ordinaria.
C’è anche una notizia riportata da alcuni media, ma non confermata, che quello stesso elicottero era stato colpito da un’avaria due giorni prima. Mentre i media vicini alla Guardia rivoluzionaria iraniana stanno già parlando di operazioni di “sabotaggio” dell’elicottero. Ma è davvero difficile capire come stanno le cose, fra l’altro in una situazione geopolitca come quella attuale, in cui ogni notizia viene inevitabilmente inquadrata sotto il profilo “bellico”. È inevitabile chiedersi, come fanno in molti, se in effetti non si sia trattato di un sabotaggio del mezzo, se non si tratti di un attentato, magari un attacco israeliano per vendicarsi dell’attacco missilistico del mese scorso, o del sostegno iraniano ad Hamas.
I media occidentali tendono a reputare poco probabile questa ipotesi, e io non ho elementi per dire che non sia così. Al tempo stesso so anche che in un’epoca di guerra ogni informazione è soggetta a quella che viene chiamata infowar, ovvero una sorta di guerra delle informazioni. Per cui diventa più difficile anche “fidarsi” delle fonti, anche di fonti abitualmente attendibili.
Anche sui fatti stessi arrivano versioni contrastanti. Alcuni media israeliani, a un certo punto, hanno riportato la notizia della morte di Raisi. Non si capisce bene da dove abbiano preso questa informazione i media israeliani, che riportano vagamente delle “fonti diplomatiche occidentali”.
Mentre nella notte italiana il vicepresidente Mohsen Mansouri ha dichiarato che sarebbero stati stabiliti alcuni contatti telefonici con uno dei passeggeri e un membro dell’equipaggio dell’elicottero, che avrebbero detto di aver dovuto effettuare un ‘atterraggio duro’ ma che “sembra che l’incidente non sia stato molto grave”. Concludendo: “Se Dio vuole, riceveremo buone notizie”.
Attualmente, all’alba di lunedì, sappiamo che il luogo dell’incidente è stato identificato nel raggio di due chilometri e che le ricerche si stanno concentrando in quella zona. Ci sarebbero circa 230 persone impegnate nelle operazioni di ricerca e soccorso, e sono stati inviati aiuti sia dalla Turchia che dalla Russia. Inoltre su richiesta dell’Iran, nella ricerca dell’elicottero è stato impiegato anche Copernicus, il sistema di osservazione satellitare della Terra dell’Unione Europea
Il fatto che però l’elicottero non si trovi potrebbe essere già di per sé un indizio del fatto che forse l’incidente non sia stato così lieve. Come ha spiegato Navid Ghadiri Anarki, pilota ed esperto di aviazione, a BBC News, normalmente i velivoli su cui viaggiano i più importanti funzionari iraniani sono dotati di sistemi di localizzazione particolarmente sofisticati e potenti. Quindi il fatto che da ore non si stiano ricevendo segnali dall’elicottero potrebbe significare che i dispositivi sono andati distrutti.
Questo è quello che sappiamo. Non sapendo cosa aggiungere alla notizia, molti media si concentrano piuttosto sul raccontare chi è (o era) Ebrahim Raisi. Ovvero: il 63enne presidente dell’Iran, in carica dal 2021. La premessa è che il Presidente, in Iran, è un ruolo molto subalterno rispetto alla Guida Suprema, e spesso fa un po’ da paracolpi per decisioni che vengono prese dalla Guida Suprema stessa.
Comunque, come scrive il Post: Raisi “È espressione della componente ultraconservatrice della politica iraniana ed è considerato molto vicino alla Guida Suprema dell’Iran, Ali Khamenei, il leader assoluto dell’Iran”. Raisi è anche “rappresentante della fazione più radicale del regime”, e di Khamenei è accreditato come potenziale successore”.
Ed è considerato uno dei principali responsabili della repressione seguita alle proteste per la morte di Mahsa Amini, la ragazza iraniana che si presume sia morta in seguito a un pestaggio della polizia morale dopo essere stata fermata perché non indossava il velo correttamente. Pensate che nell’ultimo anno, la Repubblica islamica, secondo Amnesty International, ha eseguito oltre 800 esecuzioni.
Inoltre Raisi è chiamato il “macellaio di Teheran” per il ruolo che ebbe nel cosiddetto “comitato della morte”, ovvero il gruppo dei 4 che nel 1988 decise la condanna a morte di migliaia di oppositori. Vi lascio qualche articolo per approfondire la figura di Raisi.
Al netto di tutto ciò, e vi assicuro che non ho nessuna simpatia per il regime iraniano né per Raisi, devo dire che mi è difficile inquadrare in maniera oggettiva la situazione. Vi faccio un altro esempio: le reazioni interne al paese. Sappiamo che ci sono state reazioni di sgomento e preghiera, come di festeggiamento e ironia. La Repubblica riporta di un Paese diviso fra chi prega per il Presidente e chi festeggia una sua possibile scomparsa.
Ora, indubbiamente ci saranno entrambe queste parti, solo che non si capiscono le proporzioni. Vi leggo un estratto dell’articolo: “L’Iran si divide di fronte alla scomparsa del suo presidente, la cui sorte resta incerta tra le montagne del Nord del Paese. Nelle moschee si radunano gruppi di fedeli in preghiera, le autorità chiedono al Paese di unirsi intorno alla famiglia e per le strade della capitale qualche centinaio di sostenitori fa sentire la propria solidarietà.
Ma tantissimi iraniani stanno dall’altro lato della barricata ed esprimono la loro felicità con l’ironia, o persino festeggiando. Quando si è diffusa la notizia dell’incidente aereo in alcuni quartieri di Teheran sono stati sparati fuochi d’artificio, riferisce l’account Lettres de Teheran, così come a Saqqez, la città curda di cui era originaria Mahsa Amini e che fu teatro di una brutale repressione. Sul web in farsi circolano meme come questo: una bella ragazza che ferma Batman con la mano e gli dice: “Non andare a cercarlo”. O battute sarcastiche di questo tipo: “Penso che questo sia l’unico incidente nella storia in cui tutti sono preoccupati che qualcuno sia sopravvissuto”. E ancora: “Buona Giornata Mondiale dell’Elicottero!”.
Solo che quando i giornali parlano del web in maniera generica io non so mai che vuol dire questa cosa. A volte, il fatto che tramite i social si possa arrivare ai commenti di ogni singolo utente, fa s^ che i giornali facciano cherry picking e collezionino solo quelli che vogliono, creando però una falsa illusione di densità, riferita a certe idee che invece magari appartengono solo a pochi. Non dico che sia questo il caso, anzi il fatto che ci siano state enormi proteste mi fa pensare che il dissenso sia ancora molto molto alto, dico solo che non lo so.
Ultimo elemento è: che succede se Raisi fosse effettivamente morto? La conseguenza più immediata e pratica sarebbe la sua sostituzione nel ruolo di Presidente da parte del suo vice, Mohammad Mokhber. Ma la conseguenza principale sarebbe forse un’altra.
Come vi dicevo, e come spiega Patrick Wintour sul Guardian, “Negli ultimi mesi Raisi, eletto presidente nel 2021 ma in pratica scelto dalla Guida suprema, è stato indicato come possibile successore di Khamenei (che ha 85 anni). La sua morte, se confermata, aprirebbe invece una strada spinosa al figlio di Khamenei, Mojtaba Khamenei.
La scelta viene fatta da una “assemblea di esperti” di 88 membri, e la morte di Raisi aumenterebbe certamente le possibilità di una successione ereditaria in Iran, cosa a cui molti religiosi si oppongono in quanto estranea ai principi rivoluzionari iraniani”.
Ieri, 19 maggio, è stato l’overshoot day in Italia. Se seguite INMR da un po’ di tempo la cosa non vi suonerà nuova. L’overshoot day è, a livello globale, il giorno dell’anno in cui il consumo di risorse da parte degli esseri umani supera la capacità del pianeta di rigenerarle nel corso di un anno.
In un mondo ideale, in perfetto equilibrio, l’Overshootday dovrebbe cadere il 31 dicembre, o ancora dopo, il che significherebbe che non stiamo consumando più risorse di quelle che la terra è in gradi di rigenerare. La realtà è che a livello globale oggi questa data cade verso fine luglio. Quest’anno sarà il 25. Ma non tutti i paesi contribuiscono in maniera uguale a questa data. Alcuni paesi, dalle economie più piccole e meno inquinanti, hanno l’overshoot day che cade a fine dicembre, come la Giamaica, oppure che non arriva proprio nel corso dell’anno, come alcuni paesi africani.
Altri paesi invece ce l’hanno molto presto. Il Qatar, il primo, ce l’ha pensate un po’ l’11 febbraio. Gli Usa il 14 marzo. La cina il 1 giugno. E l’Italia, appunto, nel 2024, il 19 maggio, ieri.
Ma come è possibile che finiamo le risorse prima? Se le finiamo non dovrebbero essere, appunto, finite? Non esserci più? No, per via delle riserve. Il pianeta presentava enormi riserve di alcune risorse, come ad esempio le foreste, l’acqua potabile, i metalli, le terre rare, i fosfati o (vabbé passatemi il termine risorsa anche se è orribile per altri esseri viventi, ma per intenderci) il pesce, e così via. Ogni anno, essendo al di sotto del punto di equilibrio, noi erodiamo queste riserve. Che prima o poi finiranno.
L’Overshoot day ovviamente è una stima, che come racconta un articolo di Valori è fatta dall’organizzazione internazionale Global Footprint Network, che si occupa di contabilità ambientale, e calcola ogni anno (a partire dal 1961) l’impronta della specie umana nel suo insieme e quella dei singoli Stati.
Negli anni Settanta l’Overshoot Day arrivava a fine dicembre, negli anni Ottanta a novembre, nei Novanta a ottobre, nel 2001 il 13 settembre. Ora, la mezza buona notizia è che questo processo ha molto rallentato negli ultimi anni e da qualche anno la data in cui cade l’OSD è abbastanza stabile. Nel 2022 il 28 luglio, nel 2023 il 2 agosto, quest’anno il 25 luglio. In Italia sta persino retrocedendo di qualche giorno all’anno da circa 4 anni. Nel 2021 è stato il 13 maggio, nel 22 e 23 il 15, quest’anno il 19.
Quindi bene, ma dobbiamo proseguire in questa direzione abbastanza spediti. Secondo l’IPCC (Gruppo intergovernativo di esperti sui cambiamenti climatici), bisognerebbe tirare indietro di 19 giorni all’anno la lancetta dell’Overshoot Day da subito e per i prossimi sette anni, per riuscire a ridurre le emissioni di CO2 del 43% entro il 2030.
Ovviamente c’è un problema di fondo che spesso si continua ad evitare. Consumare così tante meno risorse ogni anno è impossibile in un modello economico basato sulla crescita. E quindi non è che ci siano tante alternative. O ne usciamo per scelta, o ne usciamo per necessità. Io, a occhio, farei la prima.
Chiudiamo con una notizia molto interessante che arriva da l’Indipendente, dove Simone Valeri firma un articolo in cui racconta una bella storia che arriva dall’Ecuadotr. Da una piccola città nel sud dell’Ecuador, per l’esattezza, che “ha risolto il problema della siccità ricorrendo ad un antico sistema di raccolta dell’acqua piovana utilizzato in passato dagli indigeni dell’era preincaica, i Palta”.
Leggo: “Stiamo parlando di Catacocha, cittadina ubicata in una provincia nota per le condizioni di aridità al limite dell’estremo. Le piogge compaiono solo due mesi l’anno, tra gennaio e febbraio, e i cambiamenti climatici non stanno facendo altro che esacerbare la cosa. L’inaspettata soluzione è arrivata quindi volgendo uno sguardo al passato, a un antico sistema di lagune artificiali che i popoli nativi utilizzavano per fronteggiare la già allora intensa aridità. Lo storico locale che l’ha scoperto, Galo Ramón, ha convinto gli abitanti di Catacocha ad applicarlo e i risultati sono stati sorprendenti. A distanza di nove anni, il cambiamento avvenuto è visibile”.
In pratica nel 2005, la comunità ha ricreato, in uno dei punti più in alto di Catacocha, il Cerro Pisaca, questo sistema di raccolta e approvvigionamento idrico ideato dai Palta, una comunità indigena che viveva nella zona più di mille anni fa. Il sistema è costituito da 250 lagune artificiali sulla montagna che consentono lo stoccaggio dell’acqua piovana, in modo da avere così sempre risorsa idrica a sufficienza per i raccolti e l’allevamento.
Prima della realizzazione del sistema idraulico indigeno, ad agosto, non c’era quasi più acqua al punto che gli abitanti ne avevano solo per un’ora al giorno. Ora, invece, il sistema fa sì che l’acqua raccolta nei primi due mesi dell’anno duri fino alle successive precipitazioni. Lo storico Galo Ramón ha scoperto il sistema indigeno mentre stava conducendo uno delle sue indagini su dei documenti del 1680 che parlavano di un conflitto fondiario tra i comuni di Coyana e Catacocha.
E in questa disputa, che riguardava una laguna a Pisaca, erano presenti dei disegnoi che mostravano questo sistema di bacini idrici. Come ha spiegato lo storico, «I Palta hanno creato questo sistema perché sapevano della siccità. Le piogge qui possono concentrarsi in uno o due mesi. Si tratta di piogge violente che portano alla caduta di oltre 700 millimetri di acqua in meno di 60 giorni. Stoccare l’acqua piovana, dosare l’infiltrazione e ricaricare le falde acquifere era l’unico modo per far fronte a tale aridità».
Il sistema, infatti, non prevede solo dei banali serbatoi per la raccolta dell’acqua piovana, bensì un’adeguata gestione del deflusso attraverso piccoli muri di contenimento. In pratica i Palta avevano capito dove si trovava la falda acquifera osservando il posizionamento della cosiddetta linea del verde. Ovvero una linea che si può osservare in agosto o settembre, quando in assenza di piogge le piante con radici profonde resistono assorbendo acqua dal sottosuolo e quindi ci permettono di vedere dove si trova la falda acquifera. Ed è lì che hanno creato le lagune.
Galo Ramón è oggi a capo della Fundación Comunidec, un’organizzazione che si batte per i diritti umani attraverso la quale gli abitanti del luogo hanno potuto riabilitare le due lagune più grandi costruite dai Palta e, in cinque anni, realizzare le altre 248. Le due lagune più grandi, al centro del sistema, raccolgono l’acqua piovana che inizia a scendere di laguna in laguna nel sottosuolo fino a raggiungere e alimentare delle sorgenti naturali.
Insomma una storia veramente di successo, al punto che il sistema lagunare indigeno di Catacocha è stato incluso nella lista di siti dimostrativi di ecoidrologia dal Programma Idrologico Internazionale dell’UNESCO. Mica male.
#Raisi
il Post – Chi è Ebrahim Raisi, il presidente ultraconservatore dell’Iran
The Guardian – Helicopter crash comes as Iran already faces huge challenges
formiche – Informazioni e speculazioni sull’elicottero di Raisi
la Repubblica – Iran, il Paese si divide sulla tragedia: fedeli in preghiera e feste sul web
#overshoot day
Valori – In Italia l’Overshoot Day arriva il 19 maggio
#Ecuador acqua
L’Indipendente – In Ecuador un’antica tecnica indigena ha riportato l’acqua nella città arida