19 Giu 2023

Il ghiaccio artico sta scomparendo? – #747

Scritto da: Andrea Degl'Innocenti
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I ghiacci artici sono ai minimi di sempre, e ciò potrebbe innescare tre reazioni a catena a cui dovremmo prestare molta attenzione. Ciononostante i pre negoziati sul clima di Bonn, che dovevano spianare la strada a Cop 28, si sono conclusi con un accordo molto debole. Parliamo anche del naufragio in Grecia di 4 giorni fa, e delle responsabilità della Guardia costiera greca.

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Mi spiace iniziare la settimana con una notizia non proprio rassicurante, ma la situazione del ghiaccio artico si sta facendo sempre più preoccupante. Non ne troverete parola sui giornali, ma ne parla uno dei blogger più influenti e riconosciuti in ambito scientifico, noto con il nome, che probabilmente è uno pseudonimo, di Sam Carana, sul suo blog Arctic news. 

L’articolo inizia commentando, come usuale, le immagini satellitari della NASA, che mostrano il ghiaccio marino artico in pessime condizioni il 16 giugno 2023. Anche le serie storiche dell’andamento del ghiaccio artico mostrano, nel 2023, una superficie molto più piccola che negli anni precedenti, per un periodo prolungato nel tempo.

Vi leggo un pezzetto dell’articolo, premettendo che è piuttosto tecnico quindi dopo lo commentiamo per spiegarlo meglio: “Il pericolo è che con il rafforzamento di El Niño, nei prossimi mesi si verifichi una massiccia perdita di ghiaccio marino artico, con un forte riscaldamento delle acque dell’Oceano Artico dovuto alla perdita della riserva di calore latente e alla perdita di albedo, mentre enormi quantità di calore oceanico continuano a entrare nell’Oceano Artico dall’Oceano Atlantico e dall’Oceano Pacifico.

Inoltre, la corrente a getto è fortemente deformata e rischia di provocare ondate di calore che si estendono sull’Oceano Artico e che causano l’ingresso di acqua calda dai fiumi nell’Oceano Artico, mentre le tempeste accelerano il flusso di calore oceanico nell’Oceano Artico e gli incendi e le tempeste contribuiscono all’oscuramento del ghiaccio marino, accelerandone la scomparsa.

Tutto questo minaccia di innescare l’eruzione di metano dal fondo marino dell’Oceano Artico.

La perdita di albedo del ghiaccio marino artico, la perdita della riserva di calore latente e l’eruzione di metano dai fondali marini costituiscono tutti punti di svolta che minacciano di accelerare bruscamente l’aumento della temperatura nell’Artico, accelerando ulteriormente la perdita di permafrost in Siberia e in Nord America e minacciando così di innescare ulteriori rilasci di gas serra”.

Allora, facciamo una pausa. Che vuol dire tutta questa roba? In pratica ci sono alcune condizioni che quest’anno stanno causando una perdita maggiore di ghiaccio artico. In particolare il ritorno di El Nino, una corrente oceanica calda che porta un riscaldamento delle acque. 

A sua volta lo scioglimento massiccio di ghiacci polare rischia di scatenare tre diversi effetti a catena, o cicli di retroazione positiva, che a loro volta rafforzano il riscaldamento globale. Provo a spiegarveli:

  • L’effetto albedo consiste nel fatto che lo scioglimento del ghiaccio significa anche una superficie bianca più piccola, che riflette il calore, e una blu scura degli oceani più estesa, che invece assorbe il calore e lo trasmette. A ciò si aggiunge anche l’effetto degli incendi, che con i loro fumi oscurano il bianco del ghiaccio e assorbono maggior calore. 
  • La perdita di calore latente, invece funziona così. Se voi mettete dell’acqua a temperatura ambiente in una bacinella piena di ghiaccio l’acqua diventerà subito fredda. E lo stesso continuerà ad accadere via via che aggiungete acqua, perché il ghiaccio sciogliendosi manterrà la temperatura abbastanza costante. Questo per via del calore latente, racchiuso nel ghiaccio. Ma superata una certa soglia critica di scioglimento del ghiaccio, se continuerete ad aggiungere acqua la temperatura salirà velocemente, perché il ghiaccio rimasto non riuscirà a raffreddare la nuova acqua. Ecco, lo stesso sta avvenendo nell’artico.
  • Infine lo scioglimento del permafrost probabilmente lo conoscete, ma ve lo ricordo. Il ghiaccio che si ritrae fa emergere sostanze organiche decomposte e altre cose che rilasciano enormi quantità di gas serra. 

Ecco, se combinate questi fattori assieme, capite che la situazione è piuttosto preoccupante e potrebbe portare l’artico (e forse il clima) verso un punto di non ritorno. Fra l’altro circa una settimana fa è uscito un nuovo studio pubblicato sulla rivista Nature Communications e guidato dall’Università di Scienza e Tecnologia di Pohang, in Corea del Sud, che suggerisce che “l’Artico potrebbe essere completamente libero dai ghiacci già alla fine dell’estate 2030, con un decennio di anticipo rispetto a quanto previsto finora.

Vi dico anche la prossima notizia poi commentiamo.

Se avete visto la puntata di lunedì scorso saprete che si è svolto come ogni anno a Bonn, in Germania, il vertice preparatorio al vertice sul clima Cop 28 di Dubai. Sono finiti nella notte fra venerdì e sabato e la prima cosa che possiamo notare è che sono stati dei veri e propri negoziati. Come racconta Jacopo Bencini su Italian Climate NEtwork, “Eravamo ormai da anni abituati a negoziati intermedi tutto sommato placidi rispetto alle tormentate COP. A Bonn, lontano dalla stampa internazionale e dal clamore che sempre circonda ogni COP con tanto di Capi di Stato, manifestazioni, giornalisti ed elicotteri, di solito le delegazioni dei Paesi trovano il tempo e la relativa calma per approfondire, ragionare, capirsi, preparare la successiva Conferenza”.

Ormai gli intermedi sembrano delle COP, invece. A Bonn quest’anno è stato superato il record di partecipanti con oltre 4800 persone, il doppio dell’anno precedente. Niente a che vedere con i numeri elefantiaci delle COP ma un grande affollamento rispetto agli anni passati, quando a recarsi a Bonn erano solo i più temerari attivisti e chi si ostinava a fare reportistica anche in giornate in cui sembrava non dovesse succedere niente. 

Per venire a come sono andati, e al tipo di accordo che è stato raggiunto, be’ non bene direi. L’obiettivo era approvare un ordine dei lavori condiviso in vista di Cop 28 e la grande diatriba era fra i paesi dalle economie più grandi e inquinanti (soprattutto storicamente) e fra i paesi più poveri (più la Cina e l’India) per decidere se discutere più di mitigazione o più di giustizia climatica. 

Il risultato è stato un compromesso piuttosto inutile e che non serve a granché in cui è stato escluso dall’ODG di Dubai il Mitigation Work Programme (spinto da Ue e dai piccoli stati insulari, che rischiano di scomparire per via del riscaldamento globale), ovvero un programma per accelerare la fuoriuscita dalle fonti fossili, così come dall’altro lato non è chiaro in cosa consisterà il potenziamento degli strumenti solidali di finanza climatica.

L’articolo è molto lungo e spiega bene tutti i vari aspetti discussi, ma salto alla fine per leggervi qualche altra riga:

“La credibilità del processo è a rischio”. La frase è stata pronunciata dal Segretario Esecutivo della UNFCCC, Simon Stiell, in chiusura dei lavori. In un contesto geopolitico segnato da crescenti attriti internazionali ed una ri-polarizzazione Nord-Sud dai toni a tratti molto più che ideologici, questi negoziati intermedi hanno dimostrato che è ora più che mai necessario investire politicamente nel processo multilaterale sotto egida Nazioni Unite, unico luogo, unico contesto nel quale il dialogo è ancora possibile. Ma chi partecipa a questo processo? Chi entra alle COP? Chi può parlare ogni giorno con i delegati?

A questo proposito forti preoccupazioni sono state espresse, durante le due settimane, rispetto alla possibilità di accesso ai negoziati di COP28 da parte della società civile e alla creazione, in quella sede, di effettivi spazi di manifestazione libera del pensiero

Su questo punto c’è una nota positiva. “Per rilanciare la fiducia nel processo e rimotivare i tanti delegati e osservatori a Bonn e da remoto, Stiell ha annunciato una novità che per i più informati era nell’aria da almeno qualche ora: già da COP28 ogni delegato – della società civile, dei Governi, dell’industria – dovrà allegare alla propria richiesta di badge un dettaglio rispetto alla propria affiliazione professionale e legame con l’organizzazione ammessa ai negoziati, cosa ad oggi ampiamente aggirabile – oggi un esponente di una multinazionale del fossile, infatti, può essere accreditato nella delegazione ufficiale del suo Paese (per esempio, l’Arabia Saudita o la Mauritania) tramite un badge “Party” o “Party overflow”, senza che sul suo badge compaia niente altro che nome, cognome, “Saudi Arabia – Party” o “Mauritania – Party”. 

In questo modo, personaggi più o meno estranei al mondo del clima entrano nelle COP mimetizzandosi perfettamente a tecnici dei ministeri e delegazioni politiche. Quello promosso da Stiell è un passo in avanti nella trasparenza del processo – quindi, nella sua credibilità –  proprio alla vigilia tecnica di una delle COP probabilmente più controverse di sempre, in uno dei contesti geopolitici meno entusiasmanti di sempre”.

Proviamo a tirare le fila. Siamo sull’orlo di una crisi climatica devastante. Probabilmente quell’orlo lo abbiamo già superato. Eppure il sistema non riesce a fare i passi decisi che servono. Le soluzioni che abbiamo trovato, le Cop, non sembrano uno strumento minimamente in grado di farci prendere come genere umano le decisioni necessarie a invertire la tendenza. Perlomeno non nei tempi giusti. Sono processi lenti e mastodontici, che spesso partoriscono dei topolini. 

Forse dovremo invadere la Cop con un esercito di facilitatrici e facilitatori. Forse dovremmo semplicemente smettere di farle, e mettere le nostre energie su qualcos’altro. L’unica cosa che è certa è che così è troppo poco e troppo tardi. Nel frattempo, ognuno può fare la sua parte. 

Immagino lo abbiate sentito da altre parti, anche se non ne abbiamo parlato, ma 4 giorni fa c’è stato un enorme e drammatico naufragio a largo delle coste del Peloponneso, in Grecia, considerato uno dei naufragi più gravi nella storia recente del Mediterraneo. 

Quello che sappiamo è che un ex peschereccio con a bordo centinaia di persone (secondo le testimonianze sarebbero state circa 750) proveniente dalla Libia è affondato e che buona parte di quelle persone probabilmente è morta. Al momento sono stati ritrovati 78 corpi, ma il bilancio è probabilmente molto più alto. Anche perché solo 104 persone sono state tratte in salvo e le speranze di trovare altri superstiti si sono affievolite ora dopo ora, sebbene le ricerche stiano continuando.

Ma cosa è successo esattamente? E quali responsabilità ci sono, e di chi, in quanto accaduto?

Come spiega il Post, “Stando alle ricostruzioni fornite dalle autorità greche e da altri esperti di migrazioni nel Mediterraneo, l’imbarcazione era partita dalla Libia ed era diretta verso l’Italia quando nella notte si è rotto il sistema di propulsione. Frontex, l’agenzia europea per il controllo delle frontiere, l’aveva avvistata nella mattina di martedì e aveva informato le autorità competenti. Altri avvistamenti erano stati effettuati in seguito dalla Guardia costiera greca.

Non è chiaro quando sia avvenuta l’avaria al motore dell’imbarcazione, ma la Guardia costiera ha fatto sapere di essere intervenuta alle 23 di martedì, tre ore prima del naufragio. A questo punto la versione dei testimoni e quella della Grecia divergono.

Secondo le testimonianze dei sopravvissuti la Guardia costiera avrebbe lanciato una corda all’ex peschereccio per trainarlo verso la terraferma, un’operazione che però si sarebbe rivelata più complicata del previsto. 

Diversi testimoni raccontano che la Guardia costiera ha lanciato una corda, che è stata legata al peschereccio, poi l’imbarcazione è partita per trainarla ma forse l’accelerazione è stata troppo forte e il peschereccio ha iniziato a ballare e s’è rovesciato.

La Guardia costiera ha fornito una versione diversa. In un primo momento aveva negato la presenza di una corda, dicendo che la nave intervenuta si era mantenuta a una «discreta distanza» dall’ex peschereccio. Poi una fonte dell’autorità portuale greca citata venerdì dal quotidiano greco Kathimerini ha detto invece che effettivamente una corda è stata legata all’ex peschereccio, per verificarne le condizioni e tentare un rimorchio, ma le persone a bordo l’avrebbero slegata perché non volevano essere portate in Grecia, volevano continuare il viaggio verso l’Italia.

Tuttavia nella giornata di ieri è stato diffuso un video girato da un membro della prima nave commerciale che si è avvicinata al peschereccio dei migranti naufragato in Grecia che, scrive Ansa, “metterebbe in discussione la versione della Guardia costiera ellenica. Le immagini, diffuse dal sito defenceline.gr, mostrano l’imbarcazione dei migranti in quello che sembra essere il momento del tramonto: il mare è calmo e il peschereccio sembra essere sostanzialmente fermo. Il meteo, dunque, avrebbe favorito un intervento di salvataggio, mentre la quasi immobilità del mezzo si scontrerebbe con la versione della Guardia costiera secondo la quale i migranti stavano proseguendo mentre rifiutavano i soccorsi greci. La nave si sarebbe trovata nella cosiddetta situazione di distress, ovvero difficoltà, che avrebbe dovuto portare all’intervento dei soccorsi. Il portavoce della Guardia costiera Nikos Alexiou, inoltre, aveva negato l’esistenza di immagini precedenti alla tragedia. 

Anche un’inchiesta della BBC sembrerebbe mettere in luce diverse lacune nella versione delle istituzioni greche. Da una serie di rilevazioni, infatti, emergerebbe che il peschereccio non si è praticamente mosso per almeno sette ore, mentre le autorità greche continuano a sostenere che per tutto quel tempo l’imbarcazione stava navigando verso l’Italia e non c’era bisogno di lanciare un’operazione di soccorso

Insomma, più passano le ore, più sembra probabile che ci sia un mancato intervento di salvataggio alla base di una delle peggiori tragedie del Mediterraneo di questo secolo.

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