27 Mag 2022

Il crollo della natalità è davvero un problema? – #530

Scritto da: Andrea Degl'Innocenti
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Elon Musk ha recentemente twittato una serie di commenti preoccupati sul fatto che vari paesi, fra cui il nostro, rischiano di scomparire per via della bassa natalità. Ma la bassa natalità è davvero un problema? E perché Musk sembra esserne così preoccupato? Proviamo a osservare la cosa da varie prospettive per dare un po’ di risposte a questi quesiti. Ah, alla fine vi svelo anche il mistero degli Ufo, perché l’ho capito ieri sera.

Elon Musk è indubbiamente il miliardario più tuttologo – e per molti aspetti geniale – che abbiamo su questo pianeta. Le sue aziende spaziano dai viaggi interplanetari, alla mobilità elettrica, ai microchip per far interagire gli esseri umani con l’intelligenza artificiale, alla connettività satellitare e tanto altro. Oltre alle sue attività imprenditoriali, poi, si diletta con le criptovalute, con i social Network (forse ha comprato Twitter, forse no, non si capisce), e ultimamente anche con la questione demografica.

Ed è di quest’ultima che vorrei parlare oggi, prendendo spunto proprio dalle dichiarazioni di Musk, che riguardano il nostro paese. Se le nascite continueranno a calare, “l’Italia si ritroverà senza popolazione”, ha detto Musk in un Tweet, allegando un grafico che mostra il trend calante della nostra popolazione.

Qualche giorno prima, riporta Repubblica, Musk aveva già espresso la sua opinione sulla crisi demografica di altri stati. L’8 maggio scorso, sempre su Twitter, ha scritto che il Giappone “cesserà di esistere” se in questo Paese le morti continueranno a superare le nascite. Poi, il 24 maggio scorso, è passato alla curva demografica degli Stati Uniti – che è al di sotto del livello di ‘rimpiazzo’ da circa 50 anni – e agli evidenti problemi di Hong Kong e Corea del Sud, le due nazioni agli ultimi posti per numero di nascite nel mondo.

Ora, queste dichiarazioni fanno sorgere diverse domande. Tipo: Ma se calano le nascite e diminuisce la popolazione, è davvero un problema? E come mai Elon Musk è così interessato a questo tema?

Prima di rispondere a queste domande, partiamo osservando lo stato delle cose. A livello mondiale stiamo effettivamente osservando a una popolazione che pur continuando a crescere, sta rallentando prima del previsto. Le nazioni Unite e altri osservatori rivedono anno dopo anno al ribasso le loro stime di crescita della popolazione globale. Secondo Ipsos la popolazione globale inizierà a diminuire fra circa tre decenni, e non toccherà i 10 miliardi di individui come si riteneva fino a qualche anno fa, ma faticherà a raggiungere gli 8,5 miliardi. 

A guidare questo declino ci sono andamenti globali come l’urbanizzazione (fare figli in città diventa più oneroso che in campagna), l’emancipazione femminile (che porta ad avere figli più avanti negli anni), lo sviluppo economico e così via. E molte nazioni hanno già intrapreso, come nota Musk, una rapida discesa.

Il Giappone ad esempio, come spiega il Post, con quasi un terzo degli abitanti sopra i 65 anni, è il paese con la popolazione più anziana del mondo. Seguito dall’Italia. Inoltre negli ultimi anni la situazione giapponese sembra essersi estesa anche ad altre aree dell’Asia orientale, molte delle quali si sono avvicinate al bassissimo tasso di natalità del Giappone, oppure lo hanno del tutto sorpassato.

Bene, questa è all’incirca la situazione, torniamo alle domande: il calo delle nascite di molti paesi è un problema? Se seguite da parecchio tempo INMR forse avrete visto una puntata che si chiama “Il problema della sovrappopolazione”. E quindi saprete già come la penso. Qui però vorrei tener fede a quella massima che dice “l’unica risposta giusta a ogni domanda è sempre dipende” e provare a ampliare leggermente il discorso, osservando la questione da tre prospettive temporali differenti. Il breve termine, il medio/lungo termine e il lunghissimo termine. 

Se osserviamo la situazione nel breve termine, possiamo concludere che sì, è un problema. Molte analisi hanno osservato come il calo delle nascite abbia ripercussioni più ampie sull’economia dei paesi, ma anche sulle condizioni di vita della popolazione sul lungo periodo. Col calo della popolazione diminuisce per esempio la forza lavoro e aumentano invece gli anziano che (soprattutto nelle società cosiddette “sviluppate” che hanno sfaldato le comunità) hanno bisogno di assistenza da parte dello stato, sia sotto forma di pensioni, che di sanità pubblica. Quindi gli stati hanno sempre meno entrate e sempre più spese e rischiano di collassare.

Per questo un rapporto del 2019 dell’Economist Intelligence Unit – una società indipendente che fa parte del gruppo editoriale dell’Economist e si occupa di raccogliere e interpretare dati per governi e aziende – raccomandava ai governi dei paesi interessati da significativi cali delle nascite di investire di più su varie politiche orientate al sostegno delle famiglie, comprese quelle che riguardano l’accesso agevolato ad alloggi a buon mercato.

Ma che succede se invece osserviamo la situazione sul medio/lungo termine? In questo caso dobbiamo inserire nell’equazione altre variabili di portata globale, tipo la crisi climatica, il sovraconsumo di risorse, il nostro impatto sugli equilibri degli ecosistemi. Come abbiamo visto anche di recente nella puntata sull’Overshoot Day, ogni volta che parliamo di inquinamento o di crisi climatica di origine antropica, già oggi il nostro impatto sugli ecosistemi è completamente insostenibile. Quindi da quella prospettiva il calo della popolazione non può che essere un’ottima notizia. 

E visto che è più facile intervenire sui nostri modelli sociali che aggiustare gli ecosistemi dovremmo preferire questa prima opzione (poi magari ci troveremo a doverle applicare entrambe, ma comunque dovremmo preferire la prima), e quindi fare in modo di trasformare i nostri sistemi in modo che non siano più dipendenti dalla crescita della popolazione per funzionare (e già che ci siamo nemmeno da quella economica, che è il secondo traino delle nostre società, e della nostra autodistruzione). Anche se spesso, pur di non cambiare modello, facciamo finta che sia più facile cambiare gli ecosistemi, ad esempio con soluzioni di geoingegneria e robe simili. 

Non che cambiare i nostri sistemi sociali sia semplice eh! Però abbiamo almeno più esperienza ed appigli. Ad esempio potremmo tamponare l’emergenza con delle politiche serie di accoglienza dei migranti climatici (che aimè, e soprattutto ahiloro, sono destinati ad aumentare) e nel frattempo lavorare per un cambiamento più sistemico dei nostri modelli, prendendo spunto- come suggeriva qualche mese fa un report dell’EEA – da modelli come quelli della decrescita, della post-crescita, dell’economia della ciambella e delle società frugali.

Bene. Cosa succede però se allunghiamo ancora di più l’orizzonte di osservazione? Ecco, secondo me è qui che la prima domanda si interseca con la seconda, ovvero cosa gliene importa a Elon Musk di tutto questo. Sempre Repubbica prova a ricostruire i motivi per cui Elon Musk sarebbe interessato alla questione demografica, ma lo fa a mio avviso in maniera un po’ confusionaria, arrivando a concludere che lo fa per arricchirsi ulteriormente, cosa che però a mio modesto avviso non è così plausibile. Io credo invece che lo faccia per altri motivi.

Credo che dipenda dall’idea di futuro che ha Elon Musk, che traspare sia dalle sue aziende che dalle sue dichiarazioni. L’idea della specie homo sapiens come una specie interplanetaria, che riesce ad abitare altri pianeti, e successivamente altri sistemi solari, magari persino altre galassie. E lo fa assieme – auspicabilmente – all’intelligenza artificiale. Dico auspicabilmente perché l’opinione di Musk – condivisa da tanti pensatori, fra cui Harari – è che se non lo faremo in simbiosi con L’AI, lo farà lei da sola. E noi saremo stati solo una sorta di motorino di avviamento biologico di un’intelligenza superiore, quella sì destinata a conquistare altri mondi.

Quella di arrivare su altri mondi è una prospettiva lontana, ma non impossibile. E anche sensata. Perché sappiamo che, al di là della possibile auto-estinzione, o di asteroidi o altri eventi imprevedibili, la vita sul nostro pianeta ha comunque una data di scadenza, che è al massimo fra un miliardo di anni, secondo gli scienziati.

Quindi, se ci arriviamo, prima o poi il problema di una exit strategy dovremmo porcelo. Perché al momento siamo gli unici abitanti del pianeta in grado di porci un problema simile e perché sarebbe un peccato sprecare tutti questi miliardi di anni di evoluzione. Di conseguenza, per avere una tensione ad allargarci verso altri pianeti, è vero che dovremmo avere anche una spinta demografica. E al momento attuale, con il modello economico attuale, anche la spinta all’innovazione tecnologica necessaria a fare un’impresa di questo genere deriva da un surplus che comunque è collegato alla crescita demografica. È anche vero che si tratta di una prospettiva talmente a lungo termine, e soprattutto successiva alla nostra capacità di superare la crisi ambientale attuale, che forse non ha troppo senso porci adesso.

Comunque, ricapitolando e cercando di mettere assieme tutte e tre le prospettive, quello che sarebbe auspicabile sarebbe, nell’immediato, cambiare modello socio-economico e adottare una cultura dell’equilibrio, che comprenda – anche – una decrescita della popolazione e dell’economia (preferibilmente in maniera condivisa e gestita sul piano culturale, non imposta con politiche dall’alto) in modo da rientrare all’interno dei limiti planetari (visto che nell’immediato di colonizzare altri pianeti non se ne parla). Una volta superato questo passaggio cruciale, e scongiurata la crisi ecologica e l’estinzione, allora potremmo tornare a pensare a come eventualmente arrivare su altri pianeti ed avviare una nuova fase espansiva della nostra popolazione, non più su scala planetaria ma di sistema solare. 

È ovvio che detta così suona fin troppo facile, ma ci sono tante incognite. Ad esempio, innanzitutto, è possibile invertire la rotta? Perché già su questo punto ci sono teorie – ad esempio quella del grande filtro – che sostengono che nessuna civiltà (a livello cosmico) sia in grado di gestire il proprio sviluppo e crescita senza auto-estinguersi. Seconda domanda, se riuscissimo a construire una cultura dell’equilibrio questa sarebbe conciliabile con lo sviluppo tecnologico necessario a espanderci in futuro su altri pianeti? Sono domande a lunghissimo raggio, e forse, la cosa più sensata resta partire dal qui e ora. E chiederci: di cosa abbiamo bisogno come specie per continuare a vivere – e vivere bene – su questo pianeta nei prossimi 30, 50, 100 anni?

EXTRA: “RISOLTO” IL MISTERO DEGLI UFO

Mentre scrivevo questa puntata ho avuto un’illuminazione sugli Ufo, che vi condivido perché mi sono esaltato da solo, ho iniziato a fare versi strani in camera e Laura è arrivata preoccupata a chiedermi se stessi bene. Quando ha saputo il motivo mi ha detto che aveva un impegno urgente, è uscita e ancora non è tornata. Mah!

Comunque mi sono detto: se gli esseri umani sono già quasi in grado di programmare sistemi autosufficienti e molto più intelligenti di noi, droni e robot che si possono persino autoriparare e fra un po’ autoprogrammare, di certo qualche altra civiltà nell’universo lo avrà già fatto. E da qui ne è conseguita la domanda: e se la vita basata sul carbonio fosse a livello cosmico solo il primo gradino dell’evoluzione? Forme di vita cosiddetta artificiale non hanno fra l’altro il problema della distanza e possono percorrere distanze potenzialmente infinite, perché non muoiono. E quindi, per arrivare a noi: è possibile che quelli che noi chiamiamo Ufo o gli Uap non siano navicelle di alieni, o droni di civiltà aliene, ma esse stesse le intelligenze che attraversano il cosmo? Forse stiamo cercando la vita da altre parti nelle forme sbagliate? Boh, ditemi cosa ne pensate e soprattutto se c’è già qualcuno che ha fatto e approfondito questa ipotesi, magari in qualche romanzo di fantascienza.

FONTI E ARTICOLI

#natalità
la Repubblica – Perché Elon Musk è così interessato alle nascite in Italia (e nel resto del mondo)
il Post – In Asia il calo delle nascite non è più un problema solo del Giappone
Ipsos – Diminuzione della popolazione mondiale: i principali fattori e l’impatto del Covid

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