17 Mag 2023

Il ciclone Minerva inonda l’Emilia Romagna e le Marche – #729

Scritto da: Andrea Degl'Innocenti
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Il ciclone Minerva si sta abbattendo sul Nord-Est dell’Italia con violenza, causando danni, esondazioni, allagamenti, oltre mille sfollati e almeno un morto in Emilia Romagna e in parte delle Marche. Intanto un nuovo studio mostra i collegamenti fra l’agricoltura intensiva e il crollo della popolazione di uccelli, mentre in Kenya i pastori hanno un problema con i leoni e in Costa Rica un progetto governativo fa rifiorire la biodiversità.

Sono state una giornata e una nottata drammatiche, di preoccupazione e paura quelle appena trascorse in diverse zone dell’Emilia Romagna e in parte delle Marche, per via delle piogge fortissime, il termine tecnico è una depressione ciclonica, che ha causato esondazioni, allagamenti, più di 1000 persone sfollate e almeno un morto in un’area molto vasta.

La situazione peraltro non è migliorata e anche per la giornata di oggi sono attese piogge molto forti, con l’allerta meteo che prosegue su tutta la zona, le scuole che resteranno chiuse e i treni soppressi. I sindaci e le sindache dei Comuni colpiti moltiplicano gli appelli a mettersi al sicuro, a non correre rischi, a non uscire di casa e a salire ai piani più alti degli edifici. Si parla già di danni alle infrastrutture e all’agricoltura nell’ordine dei miliardi di euro, per quello che per quanto sembra di capire è un fatto senza precedenti per portata, in Emilia Romagna.

Ma vediamo un po’ meglio cosa sta succedendo. Vi leggo come Repubblica.it riassume la situazione, che ovviamente cambia di ora in ora, per cui è la fotografia di mercoledì mattina attorno alle 6. 

“C’è una vittima nella seconda pesante ondata di maltempo  che sta colpendo Emilia-Romagna e Marche. È un uomo di Forlì, dove c’è stata l’esondazione del fiume Montone. A dare la notizia è stato il sindaco della città. Situazione drammatica a Cesena dove ha esondato il fiume Savio: persone bloccate sui tetti, salvate da vigili e volontari della Protezione civile. 

Ci sono frane nelle zone dell’Appennino, con strade chiuse, la circolazione dei treni interrotta lungo la linea Adriatica. Il pericolo sta nei fiumi e nei torrenti esondati. Riccione è sott’acqua, Faenza pure e allagamenti sono nel Bolognese, nel Ravennate, nel Forlivese. Sono un migliaio, ma destinate a crescere, le persone evacuate, la maggior parte nel Ravennate (528). A Senigallia c’è stata la piena del fiume Misa, strade allagate a Pesaro. Molti sindaci delle zone colpite, tra cui Bologna, hanno deciso di chiudere le scuole anche domani, per una nuova allerta meteo nella giornata di mercoledì 17”.

Il problema, come hanno spiegato bene diversi commentatori, non è solo questo episodio di precipitazioni estreme, concentrate in poche ore, ma anche quello che è successo prima. I terreni inariditi da mesi di siccità non assorbono l’acqua come farebbero normalmente, ma la fanno scivolare, così l’acqua confluisce per intero nei letti dei fiumi che, pur in secca, non riescono a reggere la portata di questa sorta di inondazione e letteralmente straripano. Come mi ha scritto Cristiano Bottone, co-ideatore del programma di formazione sugli eventi meteo estremi “Attenti al meteo”, è come rovesciare un secchio in una tazzina. Poco importa se quella tazzina era vuota. 

Inoltre, in questo caso, i territori erano resi ancora più fragili dall’altra inondazione della scorsa settimana, che non aveva ammorbidito il terreno ma aveva già stressato le varie infrastrutture. Insomma, una combo terribile. 

Vi leggo come Filippo Thiery, meteorologo, commenta quello che sta accadendo: “Se un evento già di suo estremo, a maggior ragione in questo periodo dell’anno, manifestatosi peraltro con caratteristiche areali e non puntuali (e quindi ancor più eclatante come segnale di anomalia), si ripete chirurgicamente, sulla stessa identica zona dell’Emilia-Romagna, a distanza non di 2 decenni (o magari di 2 secoli, come sarebbe forse lecito attendersi), ma dopo esattamente 2 settimane, trovando inevitabilmente terreni ancora totalmente saturi, un territorio ormai pesantemente vulnerato e argini già messi a dura prova laddove non soggetti a crolli o rotture dopo il primo evento… cosa si può dire sulla roulette statistica? Semplice, che a quest’ultima è totalmente saltato il banco. In 14 giorni, siamo passati dall’estremo all’inaudito, rien ne va plus”.

Il riferimento è al fatto che una cosa così statisticamente improbabile è spiegabile solo alla luce della crisi climatica sempre più estrema che sta colpendo il nostro Pianeta, e di cui l’Italia è uno dei principali hotspot, almeno a livello europeo. Su questo noto, non direi con sorpresa, ma di certo con un certo rammarico, forse fastidio, che sono ancora pochi i giornali che collegano questi fatti alla crisi climatica, mentre quasi ovunque si continua a parlare di maltempo. 

Il problema, come sempre, è che se non iscriviamo questi fatti nella giusta cornice, se continuiamo a raccontarlo come cose assurde e inaudite, e non come la nuova normalità climatica, è difficile prendere le decisioni necessarie per far in modo di evitarne di ancora peggiori, di fatti, e per arrivare più preparati a gestire quelli che inevitabilmente arriveranno.

Come scrive il climatologo Luca Lombroso sulla sua pagina Facebook, (scusate ma io sono anziano e guardo ancora Facebook, che volete farci) “una volta superata l’emergenza dobbiamo riflettere sulle azioni necessarie per contrastare i cambiamenti climatici. È tempo di agire con coerenza per l’adattamento e la mitigazione”.

Prima di cambiare argomento, vi invito caldamente, se siete abbonati e ancora non l’avete fatto, ad ascoltare la puntata di A tu per tu, il podcast mensile condotto da Daniel Tarozzi, su “Clima maltempo, siccità, cosa possiamo fare per adattarci?”, in cui si danno un sacco di risposte alle domande e i dubbi più frequenti su cosa possiamo fare in caso di eventi climatici estremi, in compagnia dei già citati Filippo Thiery e Cristiano Bottone.

È uscito un nuovo studio, raccontato da un articolo di Damien Gayle sul Guardian, che mostra come l’uso di pesticidi e fertilizzanti da parte dell’agricoltura intensiva è la causa principale della diminuzione del numero di uccelli in Europa.

Rispetto a una generazione fa, in Europa ci sono 550 milioni di uccelli in meno e il loro declino è ben documentato. Sapevamo già che l’utilizzo dei fertilizzanti e pesticidi, insomma di tutta la chimica di cui l’agricoltura intensiva fa un uso smodato, erano fra le principali cause del problema, ma fin qui non era stato quantificato con precisione quanto questoi fattore incidesse. 

Di recente però un team di oltre 50 ricercatori, analizzando i dati raccolti da migliaia di cittadini in 28 Paesi (in esteso un progetto di citizen science) nel corso di quasi quattro decenni, ha scoperto che l’agricoltura intensiva è di gran lunga la principale causa del declino delle popolazioni di uccelli del continente, diminuite di oltre il 25% (un quarto) dal 1980 a oggi. Declino molto più accentuato se guardiamo le specie che frequentano di più i terreni agricoli, come rondini, rondoni, cutrettole e pigliamosche, che hanno visto le loro popolazioni più che dimezzarsi, con un calo del 57%.

Infatti, spiegano i ricercatori, l’abbattimento di massa degli invertebrati e di quelli che noi consideriamo parassiti, dovuto all’utilizzo dei pesticidi, crea una cosiddetta “cascata trofica” lungo la catena alimentare.

Ovviamente l’agricoltura intensiva non è l’unico fattore individuato dallo studio, che nota come anche l’ingrandimento delle città e la scomparsa di aree verdi, così come l’aumento delle temperature medie globali siano altri elementi che sono alla base del crollo della popolazione di uccelli, ma con un impatto che viene quantificato come minore. 

Ho trovato questa notizia abbastanza allarmante, soprattutto perché fa il paio con un’altra, riportata questa volta da GreenReport secondo cui da qui al 2100 le aziende agricole dimezzeranno in numero e raddoppieranno mediamente in dimensione. 

L’articolo cita uno studio pubblicato su Nature Sustainability che in base a una serie di calcoli e proiezioni teorizza che «Il numero di aziende agricole a livello globale si ridurrà della metà poiché la dimensione delle aziende agricole medie esistenti raddoppierà entro la fine del XXI secolo, ponendo rischi significativi per i sistemi alimentari mondiali».

Per giungere a queste conclusioni lo studio ha utilizzato i dati della Fao sulla superficie agricola, il PIL pro capite e la dimensione della popolazione rurale di oltre 180 Paesi, ricostruendo prima l’evoluzione del numero di aziende agricole dal 1969 al 2013 e poi proiettando quei numeri fino al 2100 prevedendo che «Il numero di aziende agricole nel mondo scenderà da 616 milioni nel 2020 a 272 milioni nel 2100». La dinamica di base di questa previsione è semplice: Man mano che l’economia di un Paese cresce, più persone migrano verso le aree urbane, lasciando meno persone nelle aree rurali a prendersi cura del terra.

Un fenomeno ben conosciuto negli Stati Uniti e nell’Europa occidentale, dove da decenni è in atto un calo del numero di aziende agricole e un aumento delle dimensioni delle aziende agricole. I  dati più recenti del Dipartimento dell’agricoltura Usa, ad esempio, indicano che nel 2022 c’erano 200.000 aziende agricole in meno rispetto al 2007. Adesso Asia e Africa sembrano essere sulla stessa traiettoria, ma con qualche decennio di ritardo.

Una proiezione abbastanza catastrofica, perché come nota la stessa autrice dello studio «Le aziende agricole più grandi in genere hanno meno biodiversità e più monocolture. Le aziende agricole più piccole in genere hanno più biodiversità e diversità delle colture, il che le rende più resistenti alle epidemie di parassiti e agli shock climatici». Inoltre, in maniera un po’ controintuitiva, “Le fattorie più piccole del mondo costituiscono solo il 25% dei terreni agricoli del mondo, ma raccolgono un terzo del cibo mondiale”. Anche perché – credo – molte delle monocolture sono utilizzate per creare cibo per gli allevamenti, che è un modo molto poco efficiente di utilizzare le risorse e trasformare l’energia solare in energia chimica del cibo.

E poi, tornando alla notizia di prima, fattorie più grandi e monocolture fanno un uso mediamente maggiore di pesticidi, il che ha tutta una serie di conseguenze difficili anche solo da immaginare (abbiamo visto il caso degli uccelli, ma ce ne sono molti altri). 

Ovviamente però le proiezioni non sono la realtà. Questo è un concetto chiave, in cui spesso i giornali sbagliano nel riportare le notizie. Leggo spesso titoli: nel 2100 ci saranno x persone al mondo, oppure, come in questo caso, “Entro il 2100 il numero delle aziende agricole del mondo dimezzerà e raddoppieranno di dimensione”. No: non è questo il senso di studi come questo. Il senso è mostrare cosa accadrà se non facciamo niente per invertire la rotta. Non sono previsioni del futuro, ma input che dovrebbero portarci a correggere il tiro. 

Ad esempio, se mettiamo insieme i due studi, l’indicazione è quella di puntare su un’agricoltura che non faccia ricorso (o che faccia meno ricorso possibile) alla chimica. ovviamente questo comporterà almeno inizialmente un calo della produzione su terreni in cui da anni si utilizzano fertilizzanti chimici, quindi questa cosa va considerata e probabilmente questo passaggio andrà accompagnato da una riduzione drastica degli allevamenti intensivi e del consumo di carne, per abbattere la domanda di cibo globale. Al tempo stesso servirà forse disincentivare l’abbandono delle campagne e anche incentivare forme di agricoltura urbana, così come sarà importante rendere le nostre città più verdi, selvatiche e ospitali per la biodiversità. E così via. Senza che faccio qui l’elenco, ma spero che si capisca il senso.

Restiamo in tema biodiversità. Se in Italia ultimamente si parla molto di convivenza fra esseri umani e altre specie animali a proposito di orsi e lupi, in altri paesi esistono problemi simili, con protagonisti differenti. 

In Kenya ad esempio c’è un grosso problema nella convivenza fra pastori e leoni. Un problema non banale alle cui origini, come racconta un articolo del Post, c’è la siccità. “La settimana scorsa nel Parco naturale di Amboseli, il secondo più importante parco nazionale del Kenya, undici leoni sono stati uccisi da pastori, sei solo nella giornata di sabato”. Un fatto insolito, a detta del Kenya Wildlife Service (KWS), l’ente statale che gestisce i parchi del paese. 

Tuttavia la cosa si spiega considerando che il Kenya sta attraversando una gravissima siccità, che è iniziata alla fine del 2020 ed è considerata la peggiore degli ultimi quarant’anni secondo la FAO, l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura.

La siccità ha creato una moria fra le popolazioni di erbivori, che non trovano cibo e di conseguenza i leoni hanno iniziato ad attaccare il bestiame, fonte di sostentamento per i pastori della zona. 

I pastori, che già hanno perso molti animali per la carenza d’acqua, cercano di difenderli uccidendo i leoni. I sei uccisi sabato avevano attaccato undici capre e un cane la notte precedente. Dopo le morti dei leoni, il KWS ha organizzato un incontro pubblico con le comunità dei pastori per discutere dei problemi di convivenza con i predatori selvatici e su come minimizzare i rischi di conflitti. I funzionari del KWS hanno proposto l’uso di sistemi per avvisare con anticipo i pastori della presenza di uno o più leoni o altri carnivori. Fra l’altro tra i leoni uccisi la scorsa settimana c’era anche Loonkito, che con i suoi 19 anni era considerato il leone più anziano di tutta l’Africa, tra quelli che vivono in libertà. 

Ad ogni modo, notizie come queste ci spingono a riflettere su il nuovo clima ci spinge a trovare nuovi equilibri con il resto degli ecosistemi. La convivenza in alcune situazioni sta diventando più difficile, al tempo stesso sappiamo ormai con assoluta certezza che il nostro prosperare come specie sul pianeta dipende dal prosperare di tante altre specie, a cui dobbiamo lasciare un po’ più di spazio. Non è semplice trovare un nuovo equilibrio, in questa situazione, serve immaginazione, resilienza e capacità di adattamento. Ma è necessario.

COSTA RICA, FIORISCE LA BIODIVERSITA’

Continuiamo sulla scia a parlare di biodiversità, ma ci spostiamo in Costa Rica per una bella notizia riportata dal magazine web Reasons to be cheerful (ragioni per essere grati), che è un progetto interessante del musicista e artista David Byrne. Comunque, venendo alla notizia di cui vi voglio parlare, è una notizia che riguarda “La penisola di Osa, sulla costa occidentale della Costa Rica, una linguetta di terra che occupa appena lo 0,001% della superficie del pianeta, ma ospita circa il 2,5% di tutta la biodiversità del mondo, con le sue foreste abitate dal giaguaro, dal tapiro e da quasi 400 specie di uccelli”.

Da questo angolo sperduto del pianeta arriva una storia interessante di politica di conservazione di successo. Infatti il governo del Costa Rica ha iniziato a pagare gli agricoltori della zona per prendersi cura, riforestare e preservare le aree in cui vivono. In precedenza, molti agricoltori della regione disboscavano le foreste per piantare colture o creare pascoli per il bestiame. Ora guadagnano 58 dollari per ettaro all’anno per aver riforestato la loro terra e aver ridotto la quantità di terreno coltivato.

Come hanno spiegato i ricercatori che hanno sviluppato questo metodo, il pagamento è un modo per riconoscere agli agricoltori un lavoro a tutela degli ecosistemi il cui valore non è economico e non viene riconosciuto dai mercati, ma che è essenziale per il Pianeta intero. Altro aspetto interessante, in Costa Rica, il budget annuale del programma si aggira tra i 20 e i 25 milioni di dollari, di cui il 92% è finanziato da un’imposta sulle vendite di combustibili fossili, mentre quasi il 6% proviene dalle tasse di utilizzo dell’acqua. In futuro, con la transizione verso le energie rinnovabili, si prevede di finanziarli con fondi di aziende private o da partenariati internazionali.

  • C’è un mistero sulle esportazioni italiane in Cina. I dati sulle esportazioni pubblicate da istat in questi giorni infatti mostrano che le esportazioni italiane in Cina hanno raggiunto i 3 miliardi di euro a febbraio, il 62 per cento in più rispetto a febbraio 2022 e quasi il doppio rispetto a dicembre 2022. Un aumento così improvviso che ha sorpreso gli analisti e al momento non trova una spiegazione. Scomponendo i dati, si nota che il grosso aumento si deve soprattutto alle esportazioni italiane di farmaci. Alcuni analisti hanno avanzato l’ipotesi che l’aumento sia dovuto a un acquisto massiccio di un farmaco per malattie del fegato, che secondo alcuni studi avrebbe anche l’effetto di prevenire il contagio da coronavirus. Le aziende italiane coinvolte nella produzione e nella vendita del farmaco però hanno smentito di avere avuto grossi aumenti degli ordini. Quindi il mistero rimane.
  • Il prossimo fine settimana, il 21 maggio, si vota in Grecia, e a pochi giorni dalle elezioni arriva la denuncia da parte di Alexis Tsipras, leader del partito di sinistra Syriza che afferma che «La polizia greca sta collaborando con il crimine invece di combatterlo. La mafia greca è nella polizia». E dice anche che “Il principale partito di governo Nuova Democrazia, in vantaggio nei sondaggi, consente alle autorità di farsi controllare dalle bande della criminalità organizzata. 
  • In Kenya intanto la polizia continua a trovare nuovi corpi di persone morte per digiuno, collegate alla setta religiosa di Paul MacKenzie, una storia di cui ci siamo già occupati qualche settimana fa. Nel fine settimana la polizia ha esumato altri 22 corpi di persone che si ritiene si siano lasciate morire di fame per seguire questo culto religioso di ispirazione cristiana. In totale i seguaci del culto trovati morti nelle ultime settimane sono 201 e autorità locali stimano che ce ne siano almeno 600 ancora dispersi. La vicenda è ancora abbastanza oscura, anche se un articolo del Post prova a mettere insieme i pezzi e a far luce sull’accaduto.
  • Il Ceo di OpenAi Sam Altman, il padre di ChatGpt, davanti alla sottocomissione Giustizia del Senato Usa, ha detto che “L’intelligenza artificiale è uno “strumento” e “non una creatura”, ma va tenuta a bada, limitata per legge, controllata da un’agenzia internazionale che fissa regole per tutti, come è stato fatto con gli armamenti nucleari. Perché potrebbe cambiare la vita di tutti, e stravolgerla, così come irrompere nelle elezioni presidenziali del 2024 con una pioggia di informazioni fake e avvelenare la campagna elettorale. Non so a cosa sia dovuto questo apparentemente improvviso cambio di rotta, ma è interessante registrarlo.
  • È in corso, anzi termina oggi, la conferenza europea Beyond Growht 2023, oltre la crescita. Nei prossimi giorni gli dedicheremo ampio spazio per vedere che cos’è successo, ma intanto segnalo che la Presidente della Commissione europea Ursula Von Der Layen ha aperto il suo intervento citando il famoso discorso di Kennedy sul Pil, in cui diceva “Il pil misura tutto eccetto ciò che rende la vita veramente degna di essere vissuta”. Mi sembra un segnale molto forte, per quanto sia una semplice citazione.
  • Infine segnalo un articolo di Valigia Blu che racconta come il governo stia vagliando l’introduzione in alcune città considerate più a rischi sicurezza, delle telecamere a riconoscimento facciale basate sull’Intelligenza artificiale, e i rischi che una scelta del genere potrebbe comportare.

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