17 Lug 2023

Hollywood sciopera contro le piattaforme e l’intelligenza artificiale. Perché? – #767

Scritto da: Andrea Degl'Innocenti
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A Hollywood attori e sceneggiatori stanno scioperando contro le novità introdotte dalle piattaforme e contro l’utilizzo dell’intelligenza artificiale. È una protesta che potrebbe essere la prima di una lunga serie di episodi simili che riguardano altre categorie. Parliamo anche del verdetto del Consiglio di Stato sul caso Greenpeace contro Eni, della situazione femminIle in Afghanistan e delle anomalie climatiche in Italia, Asia e Uruguay.

È iniziato alla fine della scorsa settimana il più grande sciopero degli attori a Hollywood degli ultimi 60 anni. Hollywood è ferma, bloccata, non si gira, non si fanno eventi. Una mobilitazione che coinvolge oltre 160mila professionisti e si aggiunge a quello degli sceneggiatori che va avanti già dall’inizio di maggio.  Tutti i giornali ne parlano. Ed è uno sciopero molto interessante e particolare, perché è il primo, perlomeno su scala così vasta, che ha a che fare con la minaccia dell’intelligenza artificiale per il lavoro.

E allora cerchiamo di capirci qualcosa. Come racconta un articolo di Ilaria Costabile su Fanpage, a guidare questa mobilitazione c’è nientemeno che Fran Drescher, attrice famosa per aver interpretato la tata nell’omonimo telefilm degli anni 90. La tata infatti – scusate ma non credo di poterla chiamare in un altro modo – è da diversi anni un’agguerrita sindacalista, Presidente della sigla Screen Actors Guild.

In un discorso molto accorato diventato virale sui social ha detto: “Questo è un momento della storia, un momento di verità: se non teniamo duro ora, saremo tutti nei guai. Stiamo tutti rischiando di essere sostituiti da macchine e grandi imprese”. 

Come dicevo prima, lo sciopero è iniziato a inizio maggio da parte degli sceneggiatori, che sono fermi già da undici settimane, e a loro si sono adesso aggiunti attori e attrici. Per adesso le loro richieste, avanzate soprattutto verso le piattaforme come Netflix e Disney, non sono state accolte.

Ma quali sono queste richieste? 

Per quanto riguarda gli attori, la richiesta principale è un diverso sistema di calcolo dei diritti d’autore. Prima dell’avvento delle piattaforme il sistema di calcolo dei diritti si basava sulle repliche: ogni volta che un film o una serie veniva comprata da un canale per una replica, gli aventi diritto incassavano una percentuale. Le piattaforme hanno annullato il concetto di replica visto che tutto è disponibile sempre, e quindi al momento le percentuali annue sono pari a quasi zero. 

Il sindacato avrebbe proposto di basarsi allora sul successo delle singole produzioni, anche se ad ora non c’è un ente terzo che rilevi ascolti o visualizzazioni, e quindi andrebbe individuato (gli attori hanno proposto la società Parrott Analytics).

“Quei proventi dal diritto d’autore – spiega il Post – erano il principale mezzo di sostentamento per attori e sceneggiatori di medio e basso livello (la gran parte degli iscritti al sindacato), perché bastava azzeccare un film o una serie di buon successo in una carriera per avere un reddito di base a cui aggiungere i singoli nuovi lavori e mantenersi. Anche per questo in una lettera aperta 2.000 membri del sindacato degli attori hanno chiesto alla presidenza di adottare la linea più dura possibile nelle trattative. Quando si è trattato di votare l’autorizzazione a indire uno sciopero in caso di trattative infruttuose, il 98% degli attori si è espresso in favore. 

E poi c’è il tema dell’intelligenza artificiale. Che forse è meno pressante nell’immediato, sui redditi, ma è il grande tema del futuro. Un futuro che in parte è già presente. Come svela un articolo di Andrew Webster su The Verge, “Durante una conferenza stampa Duncan Crabtree-Ireland, capo negoziatore del sindacato, ha rivelato una proposta degli studios hollywoodiani che sembra uscita direttamente da un episodio di Black Mirror.

Secondo quanto dichiarato dal sindacato, l’organizzazione dei produttori, ovvero l’Alliance of Motion Picture and Television Producers avrebbe proposto che “gli attori di sfondo possano essere scannerizzati, ricevere un solo giorno di paga e poi le compagnie sarebbero in possesso in eterno di quella scansione,e potrebbero essere in grado di usare quella comparsa, grazie alla AI in qualsiasi progetto vogliano, senza consenso e senza compenso”.

In risposta, il portavoce dell’Organizzazione dei produttori ha smentito le affermazioni fatte durante la conferenza stampa della SAG-AFTRA. “L’affermazione fatta oggi dalla dirigenza della SAG-AFTRA secondo cui le repliche digitali degli attori di sfondo possono essere utilizzate in perpetuo senza alcun consenso o compenso è falsa. Infatti, l’attuale proposta dell’AMPTP consente a una società di utilizzare la replica digitale di un attore di sfondo solo nel film per il quale la replica è stata realizzata.

Insomma, forse la proposta è stata travisata, forse l’organizzazione dei produttori ha fatto marcia indietro, Ma è interessante iniziare a scorgere i primi effetti dell’IA sulla società e le prospettive che apre. 

Comunque, tornando allo sciopero e ai suoi effetti, come racconta ancora  Ilaria Costabile su Fanpage “Questo stop ha portato ad un posticipo, da parte delle grandi produzioni, dei lavori sui film che sono in fase di realizzazione e che, quindi, subiranno dei ritardi significativi. 

Ciò comporterà delle difficoltà finanziarie non indifferenti alle produzioni, ma non si riesce comunque a trovare un accordo per ora. Secondo Bob Iger, ceo di Disney, le richieste avanzate da attori e sceneggiatori sarebbero “irrealistiche”. 

Al netto di tutto è interessante notare come le rivoluzioni prima della platform economy e adesso dell’intelligenza artificiale stiano ribaltando i paradigmi della nostra società. E come persino gli attori, fino a poco fa simbolo di uno status elevatissimo, mestiere da sogno per migliaia di ragazzi e ragazze, stiano diventando facilmente sostituibili per le major cinematografiche e le grandi piattaforme. 

Devo dire che da un lato quella di attori e sceneggiatori mi sembra una guerra di trincea, un fuoco di sbarramento volto a rallentare l’avanzata di un modello nuovo, ma con scarsissime possibilità di successo nel medio periodo. La AI ha spalancato delle porte e adesso il sistema ci si sta infilando, inevitabilmente. Credo che come specie dovremo ripensare il senso lavoro, dell’economia, e forse il nostro stesso ruolo su questo pianeta, nel medio termine. 

È arrivata una sentenza storica, che Greenpeace ha definito “Senza precedenti”, da parte del Consiglio di Stato, che ha a che fare con una querelle legale fra la organizzazione ambientalista da un lato e Eni eil Politecnico di Torino dall’altro.

Prima di dirvi in cosa consiste questa sentenza, però, vi racconto quello che è successo nei mesi scorsi seguendo un articolo di GreenMe che a sua volta riprende il comunicato stampa di Greenpeace Italia.  

Tutto è iniziato nel a marzo 2021, quando Greenpeace Italia aveva chiesto l’accesso agli atti in base alla legge 241 del 1990 o con lo strumento del FOIA (accesso civico generalizzato) a tutte le università pubbliche italiane per capire se e quanto ENI influenzi la ricerca e la didattica dell’università pubblica, finanziando programmi e commissionando ricerche. Alla richiesta dell’organizzazione ambientalista però aveva risposto solo un ateneo su quattro. 

Greenpeace Italia aveva quindi fatto ricorso al TAR contro alcune delle università che non erano state trasparenti o che avevano negato l’accesso, tra cui il Politecnico di Torino, che ha all’attivo una collaborazione con ENI dal 2008, e aveva da poco rinnovato degli accordi con l’azienda. A distanza di un anno, nell’aprile 2022, la prima vittoria: il TAR del Piemonte dà ragione all’organizzazione ambientalista “ordinando al Politecnico di Torino di consentire a Greenpeace Onlus l’accesso alla documentazione richiesta”. Ma ENI e il Politecnico di Torino fanno ricorso contro la sentenza del TAR Piemonte. Il procedimento è passato quindi all’ultimo grado di giudizio, il Consiglio di Stato.

Ed eccoci quindi alla sentenza del Consiglio si Stato, che si è espresso il 6 luglio accogliendo integralmente la richiesta di Greenpeace. Il Consiglio di Stato ha concordato sul fatto che l’informazione ambientale riguarda “non solo i dati e i documenti posti in immediata correlazione con il bene ambiente, ma anche le scelte, le azioni e qualsivoglia attività amministrativa che ad esso faccia riferimento”. Inoltre, si chiarisce come “gli atti e documenti di cui è stata chiesta l’ostensione non possano essere esclusi dall’accesso ambientale, essendo essi espressione di un’attività amministrativa che, direttamente o indirettamente, involge l’ambiente e la sua tutela”. 

Adesso il Politecnico di Torino dovrà fornire a Greenpeace Italia la documentazione richiesta entro 20 giorni dalla comunicazione della sentenza. 

Come ha spiegato l’avvocato Alessandro Gariglio, legale di Greenpeace Italia «La sentenza del Consiglio di Stato è perentoria: non sarà più possibile per la Pubblica Amministrazione limitare l’accesso all’informazione ambientale, affermando che è tale solo quella che riguarda in senso stretto elementi come l’aria, l’atmosfera, l’acqua o il suolo. Da questo momento in avanti dovranno essere inserite in questo elenco, ad esempio, anche tematiche come l’energia. Soprattutto, d’ora in poi dovrà essere accessibile a chi ne fa richiesta tutto ciò che, anche in senso più ampio, possa interessare la tematica ambientale».

Fra l’altro, come ricorda ancora il comunicato, “Il contenzioso conclusosi con la decisione del Consiglio di Stato non è l’unico che vede confrontarsi ENI e Greenpeace Italia a livello legale. Lo scorso 9 maggio l’organizzazione ambientalista, ReCommon e dodici tra cittadine e cittadini italiani hanno deciso di portare l’azienda in tribunale per chiedere che riduca le sue emissioni secondo quanto dettato dall’accordo di Parigi sul clima. La prima udienza è prevista per fine novembre”.

Comunque, tornando sulla notizia principale è una sentenza apripista che apre diverse prospettive nel mondo dell’informazione. Perché spesso la falsa informazione promossa dalle aziende del fossile si nutre di commistioni strane e poco chiare, di finanziamenti che non si sa cosa finanziano, di università e mondo della ricerca che vengono pagate dalle grandi aziende. 

Spostiamoci in Afghanistan per parlare della condizione femminile. Perché delle donne in Afghanistan si parla molto, ma spesso un po’ per sentito dire ed è difficile avere delle fonti dirette. Noi abbiamo la fortuna di averla, una fonte diretta. Guglielmo Rapino, collaboratore di ICC e volontario per Intersos, una Ong italiana che opera in tutto il mondo nei teatri delle emergenze e delle crisi umanitarie, si trova per l’appunto in Afghanistan e oggi esce un suo articolo su Italia che Cambia, che racconta la storia di una ragazza, che viene chiamata Fatema, con un nome di fantasia per proteggerne l’identità, attivista per i diritti delle donne nel paese, che sogna una normalità scomparsa.

Fatema ha ventiquattro anni, un ciuffo di capelli color notte che le esce dall’hijab di seta e pupille vispe di chi è abituata a cercare risposte oltre la linea dello sguardo. È nata tra le strade vibranti di vita e commercio di Herat, cittadina dell’Afghanistan occidentale incastonata tra le colline erbose ai lati del fiume Hari a pochi chilometri dal confine iraniano, durante il primo regime talebano. Si dice che a Herat se inciampi su una pietra per strada rischi di rotolare addosso a un poeta. 

È così che Fatema, nonostante le strettezze di una sharia violentemente rigida imposta dal governo di Kabul, cresce cullata dai refoli di una cultura divenuta clandestina agli occhi della legge. La distanza dalla capitale e la sagacia della famiglia di ampie vedute permettono di trovare spiragli alla repressione culturale. Da bambine, Fatema e le sue due sorelle vengono educate a casa dalla madre insegnante di scuola media. I genitori mettono da parte i fondi per la loro educazione, non per la dote.

In questo connubio tra clandestinità e progressismo sente farsi presente la consapevolezza che, nonostante il tempo avverso, esistono sogni che non possono essere relegati al mantra già scritto di un matrimonio precoce e una clausura forzata tra le grate del burqa. «Sin da adolescente volevo darmi da fare per un mondo più giusto, soprattutto per le donne oppresse. Il mio sogno era lavorare alla Corte Penale Internazionale dell’Aia, lì dove sono perseguiti i crimini più efferati, lì dove si cercano di ricucire gli strappi della violenza più atroce», racconta mentre con lo sguardo sembra cercare un punto invisibile al di là della zanzariera della finestra, nel blu primaverile del cielo di Herat”.

Se vi ho incuriosito trovate il continuo dell’articolo su Italia che Cambia. Se poi siete interessati più in generale alla condizione femminile nel mondo sappiate che ieri è uscita la nuova puntata di INMR+ dedicata alla situazione delle donne in India, Cina e Nigeria, i tre paesi in cui entro fine secolo vivrà quasi la metà delle donne del mondo. 

Chiudiamo due aggiornamenti “climatici”. Negli stessi giorni stiamo assistendo a delle piogge torrenziali con alluvioni in Asia, che hanno causato oltre 100 morti, e a una siccità estrema in Uruguay. 

Nell’Asia orientale, racconta il Post, ci sono sempre precipitazioni abbondanti e alluvioni per via della stagione delle piogge, ma quest’anno le conseguenze di questo fenomeno naturale sono particolarmente intense e dall’inizio del mese più di cento persone sono morte tra India e Giappone a causa di inondazioni e frane. Centinaia di migliaia di persone inoltre hanno dovuto essere evacuate.

Stefan Uhlenbrook dell’Organizzazione meteorologica mondiale (WMO) ha commentato le recenti notizie sulle alluvioni asiatiche ricordando che sono pericolose soprattutto per i paesi con minori risorse economiche, dove mancano i meccanismi di allerta e le infrastrutture di difesa necessarie per evitare i danni peggiori. (come al solito la crisi climatica non è equa).

Venerdì il paese più colpito è stato la Corea del Sud dove 24 persone sono morte e più di 6mila sono state evacuate per le alluvioni. Nella capitale Seul ci sono state interruzioni nelle forniture elettriche in circa quattromila abitazioni. Nel nord del paese invece ci si sta preparando all’eventualità che la Corea del Nord rilasci dell’acqua da una diga che in passato ha causato delle inondazioni.

Nelle ultime due settimane le più interessate da alluvioni erano state la Cina e l’India, il paese dove ci sono state più morti a causa del maltempo. Nella capitale indiana New Delhi si è dovuto chiudere il servizio di trasporto metropolitano perché inondato, con un conseguente aumento del traffico.

Per quanto riguarda il Giappone, questa settimana ci sono state inondazioni notevoli nell’isola di Kyushu, dovute a piogge che l’Agenzia meteorologica giapponese (JMA) ha definito «senza precedenti»: hanno causato la morte di almeno 8 persone e ci sono dei dispersi. Le persone evacuate sono state più di 420mila.

Nel frattempo nel lontano Uruguay, come scrive Martin Tocar “Più della metà dei 3,5 milioni di cittadini uruguaiani non ha accesso all’acqua potabile e, secondo gli esperti, la situazione potrebbe protrarsi per mesi.

In questo caso c’è una concomitanza di fattori, e alla crisi climatica si affianca una responsabilità degli amministratori. “Alcuni avevano previsto la crisi già anni fa, sottolineando la vulnerabilità dell’unico serbatoio che fornisce acqua all’area metropolitana intorno alla capitale, Montevideo.

Per gli standard dell’America Latina, l’Uruguay è un Paese ad alto reddito e storicamente si ritiene che abbia abbondanti risorse idriche. Tant’è che “Chi metteva in guardia sulla diminuzione delle scorte era considerato un catastrofista e gli investimenti venivano rimandati”.

Tre anni consecutivi di siccità hanno quasi svuotato il serbatoio di acqua dolce e, per evitare carenze, dall’inizio dell’anno l’OSE, il fornitore statale di acqua, ha aggiunto gradualmente acqua salmastra dall’estuario del Rio de la Plata.

All’inizio di maggio la miscela aveva raggiunto i livelli massimi di sodio e cloruri raccomandati dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), e ora ne ha il doppio, conferendo all’acqua un sapore ripugnante e sollevando interrogativi sui potenziali effetti sulla salute.

Le autorità sostengono che le sostanze chimiche influiscono solo sul sapore e sull’odore dell’acqua e non rappresentano necessariamente un rischio per la salute della maggior parte delle persone.

Quel “necessariamente” però, devo dire, suona un po’ macabro. Insomma, come spesso ci troviamo a commentare, è urgente sviluppare strategie di adattamento se non vogliamo finire travolti dalla crisi climatica. Crisi che comunque peggiorerà nei prossimi anni, dato che ci sono dei ritardi nel sistema climatico per cui gli effetti delle emissioni di oggi si vedranno fra diversi anni. Quindi, oltre a smettere subito di bruciare qualsiasi cosa, condizione imprescindibile, dobbiamo iniziare a prepararci a un clima che è già cambiato e continuerà a farlo.

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