15 Nov 2023

Di governi, elezioni, ribaltoni e rimpasti – #831

Scritto da: Andrea Degl'Innocenti
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Di governi che si formano e partiti che si sciolgono, di rimpasti ed elezioni, di donne molestate e risarcite con 250 €, di vulcani che forse eruttano e di glifosato. 

Ci sono stati un po’ di scossoni e cambiamenti a livello politico in diversi paesi negli ultimi giorni, e allora ho pensato di farvi un po’ una carrellata di quello che sta succedendo per restare sul pezzo dell’attualità politica in Europa e nel mondo, in attesa di quello che è l’evento in questo istante più importante e seguito da questo punto di vista, ovvero il ballottaggio per le elezioni presidenziali argentine che si terrà questa domenica.

Comunque, iniziamo dalla Spagna, paese in cui sembra vicina la formazione di un nuovo governo, frutto dell’accordo del premier uscente, e probabilmente riconfermato alla guida del paese Pedro Sanchez, leader del Partito socialista, e il partito indipendentista catalano Junts per Catalunya, i cui voti sono fondamentali per consentire a Sánchez di ottenere un nuovo mandato. Fra oggi e domani ci sarà il voto di fiducia del parlamento spagnolo, che dovrebbe appunto confermare Sanchez per un nuovo mandato, solo che in molti sostengono che l’accordo sia, ecco, molto favorevole ai partiti indipendentisti, e che Sanchez abbia fatto troppe concessioni.

“L’elemento più discusso dell’accordo – leggo sul post – riguarda l’amnistia per tutti i leader e gli attivisti indipendentisti catalani che negli scorsi anni sono stati incriminati o hanno subìto procedimenti giudiziari per le loro azioni a favore dell’indipendenza, soprattutto dopo il referendum illegale per l’indipendenza dell’ottobre 2017 ma anche in altri casi, come per esempio un referendum analogo fatto nel 2014. L’amnistia riguarderebbe più di 300 persone: non soltanto i più celebri leader indipendentisti catalani (come Carles Puigdemont), ma anche moltissimi attivisti che hanno subìto negli scorsi anni procedimenti giudiziari minori o amministrativi.

L’amnistia è già stata presentata sotto forma di proposta di legge e sarà plausibilmente una delle prime cose che il nuovo governo voterà. Prevede la cancellazione della «responsabilità penale, amministrativa e contabile» per più di 300 leader e attivisti indipendentisti incriminati di vari reati, e anche per 73 poliziotti sotto processo per le eccessive violenze commesse contro i manifestanti indipendentisti nei giorni del referendum del 2017. Domenica ci sono state delle grosse manifestazioni in diverse città spagnole promosse dai partiti di destra contro l’amnistia e vari esponenti delle istituzioni spagnole hanno sostenuto che le numerose concessioni fatte da Sánchez a Puigdemont potrebbero rischiare di provocare una crisi istituzionale in Spagna e riattivare il problema dell’indipendentismo catalano, che negli scorsi anni si è notevolmente ridotto. 

Secondo i sondaggi, più della metà dei cittadini spagnoli è contraria alla concessione dell’amnistia, ed è pronta a ripetere le elezioni se concederla fosse il prezzo da pagare per ottenere un governo. Lo stesso Sánchez, prima delle elezioni di luglio, sosteneva di essere contrario all’amnistia, e il fatto che adesso sia pronto a concederla è percepito come un tentativo di rimanere al potere a tutti i costi.

Oltre all’amnistia, Sánchez è criticato per aver fatto grosse concessioni economiche alla Catalogna: ha promesso a Junts che il governo regionale della Catalogna potrà tenere per sé il 100 per cento di tutte le tasse e imposte che raccoglie sul suo territorio. La Catalogna è una delle regioni più ricche e avanzate della Spagna, e l’idea che sarà del tutto esente da ogni forma di redistribuzione ha provocato le forti proteste degli ispettori del fisco spagnoli, secondo cui una norma del genere sarebbe «un trattamento di favore, senza alcuna giustificazione legale» nei confronti dei cittadini catalani. Staremo a vedere.

Spostiamoci in Germania, dove è successa una cosa abbastanza anomala. Per la prima volta nella storia della Germania unificata, un partito ha proclamato il suo autoscioglimento al Bundestag. Leggo su Huffington Post che 

“A causa di una scissione voluta dalla sua esponente più nota, Sahra Wagenknecht, si scioglie oggi (ieri) in maniera senza precedenti in Germania il gruppo parlamentare tedesco “Die Linke” (“La Sinistra”).  Lo segnalano vari media tra cui l’agenzia Dpa sottolineando la principale conseguenza delle dimissioni annunciate il mese scorso da Sahra Wagenknecht e di altri nove deputati del Partito che così ha perso la dimensione minima per essere una “Fraktion” parlamentare con tutti i vantaggi economici e politici che comporta.

Si prevede ora la nascita di due nuovi raggruppamenti parlamentari: i restanti 28 deputati della Linke da un lato e la Wagenknecht e i suoi sostenitori dall’altro. “La Sinistra” era stata fondata nel 2007 con la fusione del Partito del socialismo democratico (Pds) e di quello “Lavoro e Giustizia Sociale – L’Alternativa Elettorale” (Wags). Il Pds era il diretto discendente della “Sed” che aveva governato la Germania comunista prima della riunificazione tedesca del 1990.

Wagenknecht ha sbattuto la porta in un tentativo di cercare consensi da sola in tutto lo spettro politico tedesco, paradossalmente anche nel bacino elettorale della fortissima estrema destra nell’est del Paese, facendo leva fra l’altro su limiti all’immigrazione, uno stop all’invio di armi all’Ucraina e attenzione alle ripercussioni sociali delle politiche per il clima. Il fatto che un gruppo parlamentare si sciolga durante una legislatura in corso è una novità in Germania. In precedenza simili “liquidazioni” erano avvenute solo dopo sonore sconfitte elettorali. Insomma, una novità assoluta che segna la fine di un’era. 

Anche in Regno Unito stanno succedendo cose abbastanza anomale. Lunedì mattina il governo britannico guidato da Rishi Sunak e sostenuto dai Conservatori ha annunciato un esteso e sorprendente rimpasto di governo. Torno sul Post per leggervi che “Suella Braverman, ministra dell’Interno del Regno Unito che ormai da mesi era criticata per le sue posizioni estremiste sull’immigrazione e altri temi, è stata licenziata: al suo posto è stato nominato James Cleverly, l’attuale ministro degli Esteri, che è stato a sua volta sostituito a sorpresa dall’ex primo ministro David Cameron, che torna così al governo dopo 7 anni”.

Surprise surprise! Decisione davvero sorprendente anche perché, leggo su un altro articolo del Post, negli ultimi anni pur rimanendo iscritto ai Conservatori Cameron si era allontanato da ruoli attivi e dal partito, facendo di fatto solo il lobbista. Aveva cioè rappresentato aziende private, perorandone la causa e gli interessi presso il mondo politico. 

Ed era stato anche accusato da due inchieste, del Financial Times e del Sunday Times, di aver cercato di convincere Rishi Sunak, al tempo cancelliere, a far ottenere ad una delle aziende che sponsorizzava, Greensill, la massima allocazione possibile di prestiti garantiti dal governo nell’ambito di un meccanismo di finanziamento aziendale istituito durante la pandemia.

Cameron poi è uscito da quella storia senza conseguenze giudiziarie, e aveva ripreso a fare il lobbista. Poi di colpo è stato rifiondato nell’arena politica, peraltro senza chiarire se ha abbandonato la sua attività di lobbysta.

Il rimpasto di governo di Sunak è stato interpretato come un tentativo di fermare la riduzione nei consensi del partito Conservatore, in corso ormai da mesi, prima delle elezioni che si terranno entro gennaio del 2025. Complessivamente si sono dimessi o sono stati licenziati i sottosegretari di sette diversi ministeri. Si è dimessa anche la ministra per l’Ambiente Thérèse Coffey ed è stata sostituita dall’attuale ministro per la Salute e l’Assistenza sociale Steve Barclay, il cui posto è stato preso da Victoria Atkins.

Poi l’articolo spiega più nel dettaglio i motivi dietro ad alcune delle dimissioni più chiacchierate, ma noi ci fermiamo qui. 

E ci spostiamo piuttosto in Liberia, quindi cambiamo proprio continente, andiamo in un paese che raramente balza agli onori della cronaca, e questa volta lo fa perché da ieri mattina, martedì 14 novembre, si sta votando per eleggere il nuovo presidente del paese, in un ballottaggio tra l’attuale presidente George Weah e l’ex vicepresidente Joseph Boakai, dopo un primo turno in cui nessuno dei due era riuscito a ottenere più del 50 per cento dei voti. 

Se per caso vi siete detti, guarda un po’, il presidente liberiano si chiama come l’ex attaccante del Milan ed ex pallone d’oro, no, non è che si chiama uguale, è proprio lui. 

Questa è la quarta elezione presidenziale in Liberia dalla fine della guerra civile, combattuta dal 1999 al 2003, e la prima senza la presenza di una missione delle Nazioni Unite.

Quando Weah, appunto calciatore popolarissimo nel suo paese e fondatore del partito populista Congresso per il Cambiamento Democratico, venne eletto per la prima volta nel 2017, aveva fatto delle promesse molto ambiziose: aveva detto che avrebbe eliminato la corruzione, reso l’istruzione più accessile, migliorato le infrastrutture, rafforzato l’economia e istituito un tribunale per accertare le responsabilità dei crimini perpetrati durante la guerra civile. In questi anni, è effettivamente riuscito ad ampliare l’accesso all’istruzione pubblica, anche se non a migliorarne la qualità, e ha mantenuto le condizioni attuali di pace, oltre a promuovere un gran numero di opere pubbliche, ma non ha raggiunto gli stessi risultati in altri ambiti, fra cui principalmente quello dell’economia e della corruzione, ancora molto diffusa tra politici e funzionari pubblici. Ma non è riuscito a migliorare la situazione economica della Liberia, che rimane tra i paesi più poveri dell’Africa occidentale anche a causa di due violente guerre civili e di un’importante epidemia di ebola, terminata ufficialmente nel 2015. E su questo ha costruito la campagna elettorale il partito di opposizione, di destra. Ovviamente seguiremo i risultati di questo spoglio. 

Nel frattempo sta facendo scandalo, ma forse non quanto dovrebbe, la notizia che circa 100 donne della Repubblica Democratica del Congo sono state risarcite con 250 dollari ciascuna per gli abusi sessuali subiti da parte di dipendenti dell’Organizzazione Mondiale della Sanità. 

Lo leggo su la Repubblica, che a sua volta cita come fonte l’agenzia di stampa Associated Press che avrebbe avuto accesso a dei rapporti interni all’organizzazione. I fatti avrebbero avuto luogo tra il 2018 e il 2020, quando l’Oms era impegnata nella lotta all’epidemia di Ebola che aveva colpito la Repubblica Democratica del Congo.

Durante quel periodo alcuni dipendenti dell’Organizzazione avrebbero molestato e abusato addirittura centinaia di donne locali. Lo dice il rapporto realizzato a marzo da Gaya Gamhewage, direttrice dell’Oms per la prevenzione e la risposta allo sfruttamento, all’abuso e alle molestie sessuali che ha tratto le conclusioni di un’indagine interna già avviata sulla triste vicenda.

La vicenda in sé è tremenda e gravissima, e a fare un certo effetto è anche la cifra del risarcimento. Non che un risarcimento economico possa in qualche modo cancellare il ricordo e il trauma di una molestia subita, ma qui siamo ai livelli di una presa in giro, un’umiliazione.  È vero, come dice l’articolo, che i 250 dollari destinati a ciascuna delle donne in Congo è una cifra che basta comunque a coprire le spese di vita quotidiana per almeno quattro mesi. 

Ma per un’organizzazione internazionale come l’Oms sono meno di briciole. Fra l’altro, molte delle vittime, non sono state ancora identificate e quindi non hanno ricevuto alcun risarcimento. Gamhewage ha comunque detto di essere ben cosciente che “quei soldi non bastano a compensare i danni subiti dalle donne abusate” e ha annunciato che l’Oms si sta impegnando per aiutarle anche in altro modo. Non lo so. Forse ha già fatto abbastanza.

Spostiamoci in Islanda, dove cresce il timore per una possibile eruzione vulcanica gigantesca. Da quattro notti a Grindavík, un paese del sud-ovest dell’Islanda con circa 3.600 abitanti, la popolazione non dorme nelle proprie case: la cittadina è stata evacuata di fretta nella notte tra venerdì e sabato per il rischio di un’eruzione vulcanica. 

Lunedì gli abitanti di Grindavík sono stati autorizzati a tornare nelle proprie case per recuperare velocemente animali domestici e oggetti personali e lungo la strada che porta alla cittadina, altrimenti chiusa per l’emergenza, si è formata una lunga fila di automobili. 

Il motivo di questa allerta è il continuo susseguirsi di terremoti, con i geologi che ritengono che questi siano il preludio di una nuova eruzione e siano dovuti al fatto che il magma sta rompendo degli strati rocciosi nel sottosuolo nella sua risalita verso la superficie. A differenza dei casi precedenti però stavolta si teme che l’eruzione possa essere esplosiva e coinvolgere una maggior quantità di magma e avvenire vicino o in corrispondenza di zone abitate.

Chiudiamo tornando a parlare di glifosato. Dopo che la prima votazione, tenutasi ad ottobre, non ha raggiunto la maggioranza necessaria ad approvare la proposta di rinnovo dell’autorizzazione presentata dalla commissione europea, Il 16 novembre gli Stati membri saranno invitati a votare ancora una volta la proposta di rinnovo presso il comitato di appello. 

Il glifosato è l’erbicida più diffuso al mondo , brevettato dalla Monsanto che lo vendeva assieme alle sue coltivazioni Ogm, che erano le uniche in grado di resistergli. 

Negli anni diversi studi ne hanno evidenziato la dannosità, sia per la salute umana che per quella degli ecosistemi. Adesso, in vista della prossima votazione, 13 associazioni ed ONG della società civile italiana hanno inviato una lettera aperta al governo in cui chiedono al nostro paese di votare contro il rinnovo e mostrano anche delle nuove prove scientifiche su un collegamento fra il glifosato, anche in dosi minime, e la leucemia. 

Il 25 ottobre, infatti, sono stati presentati in una conferenza scientifica internazionale i primi dati sulla cancerogenicità del Global Glyphosate Study (GGS), uno studio tossicologico internazionale multi istituzionale promosso dall’ente italiano “Istituto Ramazzini”. I risultati mostrano che basse dosi di GBH, erroneamente ritenute prive di effetti durante la valutazione dell’UE, hanno causato casi di leucemia nei ratti di età inferiore a 1 anno, a seguito di esposizioni prenatali e nella prima infanzia. I dati rivelano che la metà dei decessi per leucemia osservati nei ratti si è verificata tra 21 settimane (paragonabile a circa 16 anni negli esseri umani) e un anno di età (paragonabile a circa 40 anni negli esseri umani).

Ovvio, in questi casi è sempre difficile determinare quali siano gli effetti reali sulla salute umana, ma anche se ci fosse un po’ di incertezza, ecco, dovrebbe vigere il principio di precauzione, di cui troppo spesso ci scordiamo. 

In chiusura, come al solito, parola al nostro Direttore Daniel Tarozzi che ci racconta la giornata di Italia che Cambia.

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