UCCISIONE GIORNALISTA PALESTINESE
Sono successi un po’ di fatti di cronaca legati al giornalismo, ultimamente. Il più noto è quello della giornalista uccisa durante un raid israeliano in un campo profughi, di cui ci parla oggi il nostro caporedattore Francesco Bevilacqua, ma c’è anche una situazione decisamente fuori controllo in Messico e il caso Assange che continua a tenere banco. Perciò ne approfittiamo per fare un po’ il punto su uno dei mestieri più affascinanti, importanti (e a volte pericolosi) del mondo.
Iniziamo dal caso più recente, che è per l’appunto quello di Shireen Abu Akleh, giornalista palestinese americana di Al Jazeera uccisa da un proiettile alla testa mercoledì mattina della scorsa settimana nel corso di un raid israeliano nel campo profughi di Jenin, città nel nord della Cisgiordania occupata.
Non vi sto a raccontare qui i dettagli di quanto accaduto, perché per quello vi rimando all’articolo di Francesco Bevilacqua, che a Jenin c’è stato anni fa e che riporta la sua testimonianza dura, profonda e toccante.
Qui però vorrei soffermarmi su un aspetto più marginale della notizia, che mi faceva notare il collega – maestro – Sergio Ferraris proprio ieri al telefono. Ovvero come i media italiani abbiano riportato la notizia di quello che è accaduto ai funerali. Ci sono diversi video che mostrano come la polizia israeliana carichi alcuni palestinesi che portano sulle spalle la bara della giornalista durante la cerimonia funebre. Anche qui ci sono due versioni: la polizia israeliana afferma che dei manifestanti facinorosi avessero sottratto il feretro senza l’autorizzazione della famiglia della giornalista. Versione smentita dalla famiglia stessa che invece ha detto che volevano fare una piccola processione ma sono stati aggrediti dai poliziotti. In più in questo caso ci sono le immagini, che parlano chiaro e lasciano adito a pochi dubbi.
Le immagini parlano talmente chiaro che persino il governo Usa si è espresso in maniera netta: Il Segretario di Stato Anthony Blinken ha scritto su Twitter: «Siamo rimasti profondamente turbati dalle immagini della polizia israeliana che si intromette nel corteo funebre della palestinese americana Shireen Abu Akleh. Ogni famiglia merita di far riposare i propri cari in modo dignitoso e senza ostacoli». Prima di lui, lo stesso presidente Joe Biden aveva ha affermato che l’accaduto «deve essere indagato» e la portavoce della Casa Bianca Jen Psaki aveva definito le immagini delle cariche «inquietanti». L’Unione europea si è detta «sconvolta».
Insomma tutti sconvolti, tranne buona parte della stampa italiana. Rainews ad esempio – ma è solo un esempio fra i tanti – che riporta la notizia parlando sui social di «Forze israeliane in campo per sedare le sommosse».
ASSANGE
Oggi 18 maggio, è una giornata importante anche per un altro caso che ha molto a che fare con il giornalismo e la libertà d’informazione. Quello di Julian Assange. Oggi infatti scadono i termini per la presentazione dei ricorsi contro l’estradizione di Julian Assange. Dopodiché è molto probabile che l’Home Office (il ministero dell’Interno britannico) ufficializzi la richiesta che consegnerà il fondatore di WikiLeaks nelle mani del Dipartimento di Giustizia americano. In varie città del mondo, tra cui Roma, sono previste manifestazioni e sit-in per chiedere al governo britannico di non estradare Assange.
Ieri, alla vigilia di questa giornata significativa, Valigia Blu ha pubblicato un’intervista molto interessante alla giornalista italiana Stefania Maurizi che ha condotto un’inchiesta per far luce sulle incongruenze processuali intorno alle indagini portate avanti dai magistrati svedesi. Un’inchiesta condotta attraverso l’uso del Freedom of Information Act, una legge presente in varie nazioni che tutela l’accesso ai documenti istituzionali e amministrativi.
L’articolo ripercorre bene tutta la vicenda della giornalista, che è molto intricata, e di come ha fatto pezzetto per pezzetto a ricostruire la fitta rete di scambi fra Svezia, Australia, Stati Uniti e Regno Unito sul caso Assange.
Dalle sue ricerche, dai documenti a cui ha avuto accesso (tipo gli scambi di mail fra i tribunali svedesi e enti governativi britannici) e anche da quelli a cui l’accesso non le è stato dato, sostenendo che tutte le mail erano state cancellate o inviando documenti con tutte le parole illeggibili, emerge comunque un quadro abbastanza chiaro. Ovvero che fin dal 2010, ovvero da quando c’è una denuncia per reati sessuali pendente sulle spalle di Assange, enti governativi di tutte e quattro le nazioni coinvolte hanno dialogato per e fatto pressione per far sì che le cose andassero nel peggiore dei modi per l’attivista.
Ad esempio, il Il Crown Prosecution Service (“Servizio di Procura della Corona”), ovvero il più alto organo di indagine della magistratura di Inghilterra e Galles, avrebbe fatto pressioni perché i magistrati svedesi non volassero a Londra (dove Assange era prima rifugiato nell’ambasciata dell’Ecuador, poi in carcere) a interrogarlo, perché non volevano che quel processo si chiudesse. Volevano – sostiene la giornalista – che continuasse ad aleggiare sulle sue spalle l’accusa infamante di stupro mentre loro lavoravano per rinnchiuderlo a condizioni durissime in Inghilterra. E nel frattempo, probabilmente, gli Usa già facevano pressioni per l’estradizione.
Insomma, una sorta di congiura internazionale per far pagare all’attivista lo scotto per aver rivelato verità scomode sulla missione fallimentare degli Usa in Afghanistan.
MESSICO
Abbiamo parlato di Palestina e del caso internazionale di Assange. Ma ci sono luoghi al mondo ancora più pericolosi per un giornalista. no di questi è il Messico, dove una settimana fa sono state uccise Yessenia Mollinedo Falconi e Sheila Johana Garcia Olivera, ammazzate a colpi di arma da fuoco nello stato di Veracruz, sulla costa del Golfo del Paese al confine con gli Stati Uniti. Rispettivamente direttrice e redattrice del sito di notizie online ‘El Veraz‘ di Cosoleacaque, le due donne sono state aggredite fuori da un minimarket. Gli omicidi – scrive il quotidiano El Financiero – sono avvenuti poche ore dopo la fine di una manifestazione di protesta nel centro della città contro le violenze subite dagli operatori dell’informazione.
E come mai c’era una manifestazione contro le violenze subite dai giornalisti? Perché in Messico è una vera e propria strage. Sono 11 i giornalisti e le giornaliste uccisi in questi primi 4 mesi e mezzo dell’anno.
La situazione è oggetto di un focus particolare all’interno dell’annuale Report del World Press Freedom Index, riportato dal fatto Quotidiano che spiega come “La collusione tra i funzionari e la criminalità organizzata costituisca una grave minaccia per la sicurezza dei giornalisti e paralizzi il sistema giudiziario a tutti i livelli”.
COME RACCONTARE LA GUERRA AI BAMBINI
Prima abbiamo accennato al tema della guerra, parlando di Palestina e Israele e del bell’articolo di Francesco Bevilacqua. Torniamo al tema guerra perché vi segnalo un altro articolo molto bello sempre a firma di Bevilacqua, particolarmente ispirato in questi giorni, che tratta un argomento delicatissimo: come raccontare la guerra ai bambini?
Anche qui Francesco prende spunto dalla sua esperienza personale, nello specifico dalla carovana della pace a cui ha partecipato circa un mese fa per andare a portare viveri e offrire passaggi alle persone in fuga dall’Ucraina. Non vi anticipo niente, in questo caso, ma vi consiglio caldamente la lettura perché riesce a districarsi con maestria e tanta umanità in un argomento davvero complesso.
Vi riporto qui una frase sola, che mi ha colpito, che è di Carla Rinaldi della Fondazione Reggio Children, intervistata da Francesco. «I bambini sono i più grandi ricercatori di senso delle cose e la guerra è così difficile da riportare proprio perché non ha senso».
VACCINI AI BAMBINI
Chiudiamo restando in tema bambini, con un articolo scritto di Patrizia Gentilini, oncologa ed ematologa nonché membro di Isde, l’Associazione medici per l’ambiente, sul suo blog sul Fatto Quotidiano. Il tema è scottante: parla di vaccini e bambini. E lle conclusioni a cui giunge lo sono di più.
L’oncologa ha confrontato con attenzione i dati Iss relativi alle vaccinazione dei bambini nella fascia 5-11 anni e quello che emerge è che… i bambini vaccinati si ammalano di più. Ora, non ho controllato le fonti e rifatto i conti, ma non ho motivo di pensare che siano errati.
Se i conti della Gentilini sono giusti, i bambini vaccinati si ammalano più facilmente di covid di circa un terzo. Un bambino vaccinato ha un terzo di probabilità in più di prendere il covid rispetto a un non vaccinato. I dati sono relativi al mese di aprile e sono abbastanza consistenti per essere presi sul serio.
La Gentilini non si spinge a ipotizzare le cause. È possibile, immagino, che la causa sia da ricercare nei comportamenti diversi dei bambini vaccinati rispetto ai non vaccinati, nelle regole diverse relative alla dad e alla possibilità di avere contatti con i compagni. Oppure no. Certamente è un fattore che va indagato. Di certo, la strategia di rallentare il covid fra le persone più anziane vaccinando i bambini, che poi è la motivazione principale che ha lanciato la campagna, ne riesce, come dire, ridimensionata.
FONTI E ARTICOLI
#giornalista palestinese uccisa
Italia che Cambia – La morte di Shireen e un conflitto che sembra un labirinto senza vie d’uscita
#guerra e bambini
Italia che Cambia – Spiegare la guerra ai bambini: c’è un modo giusto per farlo?
#Assange
Valigia Blu – Caso Assange, l’inchiesta via FOIA che ha rivelato le opacità di Svezia, Regno Unito, Australia e Stati Uniti
#Ucraina
il Post – Perché la Turchia minaccia di bloccare l’accesso di Svezia e Finlandia nella NATO
Valigia Blu – Sull’Ucraina gli interessi degli Stati Uniti non sono quelli dell’Europa
#TAV
L’Indipendente – La TAV non si farà mai? Secondo i francesi Macron ha abbandonato il progetto
#Francia
il Post – Élisabeth Borne sarà la nuova prima ministra francese
#Usa
Internazionale – I migranti messicani hanno cambiato gli Stati Uniti in meglio
#lupi
Ansa – Ispra stima aumento popolazione lupi in Italia, oltre 3.300