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11 Febbraio 2025
Podcast / Io non mi rassegno

Da Gaza riviera del Medio Oriente al piano di “pace” in Ucraina, ecco cosa succede – #1042

Trump propone di trasformare Gaza in una “riviera” deportando i palestinesi, mentre con Putin tratta una pace in Ucraina che taglia fuori l’Europa. Nuovi dati sulle correnti oceaniche AMOC mettono in discussione l’ipotesi di un collasso imminente, e questa sarebbe davvero un’ottima notizia, mentre in Svizzera viene bocciato un referendum sui limiti ambientali e la Toscana si prepara a diventare la prima regione italiana con una legge sul fine vita.

Autore: Andrea Degl'Innocenti
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Questo episodio é disponibile anche su Youtube

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Qualche puntata fa un ascoltatore commentava sotto un video YT che con Trump ci saremmo divertiti. Ora, dipende. Di certo non ci si annoia, quello è fuori discussione. Sul divertirsi, beh, se uno intende per divertimento giocare a pallone con gli amici, cazzeggiare, andare a ballare o cose del genere, beh, no, non stiamo parlando di quel genere di divertimento.

Però magari se uno si diverte guardando gli incidenti stradali o vivisezionando gli insetti, allora sì, ecco, forse allora è divertente.

Non so se ricordate qualche giorno fa quando parlavamo di accelerazionismo, quella corrente filosofica che vuole spingere sull’acceleratore di tutti i processi caotici in corso fino al collasso, per poter ripartire. Ecco Trump, assieme al suo sodale Elon Musk, pur con visioni e obiettivi molto molto diversi, forse inconciliabili – dopo ci arriviamo – è accelerazionismo puro. Perché a differenza di un Salvini, che magari fa le sparate assurde tanto per creare clamore e consenso, Trump poi le cose le fa davvero. 

Comunque, provo a farvi una panoramica delle cose che sono successe negli ultimi giorni. Partendo dalla cosa che ha fatto forse più scalpore e suscitato le maggiori critiche. Ovvero la sua proposta per risolvere una volta per tutte la situazione a Gaza. 

Trasformarla nella riviera del medio oriente. Ovvio no? Basta deportare tutti i palestinesi e poi appaltare tutto alle aziende americane. Che ci vuole. 

Sembra uno scherzo, ma nell’epoca del paradosso che guida la storia, quella che chiamavamo qualche settimana fa mememoernità, non lo è. La proposta è in effetti esattamente questa. Il piano di Trump prevede che gli Stati Uniti assumano il controllo di Gaza, ricollocando “temporaneamente” la popolazione palestinese in paesi vicini come Egitto e Giordania, per poi avviare un processo di ricostruzione e sviluppo economico nell’area.

Il primo ministro israeliano, Benjamin Netanyahu, ha accolto favorevolmente la proposta definendola “straordinaria” e affermando che potrebbe cambiare la storia, eliminando la minaccia terroristica percepita proveniente da Gaza.

Non tutti sono saltati dalla sedia per la gioia però. Reuters racconta che i governi di Egitto e Giordania hanno respinto l’idea di accogliere i palestinesi sfollati, ribadendo il loro sostegno alla creazione di uno Stato palestinese indipendente. Anche l’Arabia Saudita ha espresso il proprio rifiuto al piano. 

E il segretario generale delle Nazioni Unite, António Guterres, ha avvertito che il trasferimento forzato della popolazione palestinese potrebbe costituire una forma di pulizia etnica e una chiara violazione del diritto internazionale.

In risposta alle critiche, l’amministrazione Trump ha cercato di chiarire alcuni aspetti del piano, sottolineando che la ricollocazione dei palestinesi sarebbe temporanea e che non è previsto l’impiego di truppe statunitensi sul terreno per l’implementazione del progetto. 

Nel frattempo, il ministro della Difesa israeliano, Israel Katz, è già entrato in azione ordinando all’esercito di preparare un piano per consentire la “partenza volontaria” dei residenti della Striscia di Gaza, suscitando ulteriori preoccupazioni a livello internazionale. 

Mentre in un’intervista il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha dichiarato che sarebbe favorevole a creare uno stato di Palestina, ma non vicino a Israele. Dovrebbero farlo, secondo lui, in Arabia Saudita. “Hanno molta terra laggiù”, ha detto durante un’intervista con Channel 14.

Nel mentre Trump e Netanyahu procedono in tandem in una sorta di delegittimazione di qualsiasi sistema di giustizia e tutela dei diritti a livello internazionale. Martedì scorso il presidente degli Stati Uniti ha firmato un ordine esecutivo con cui ha disposto il ritiro immediato degli Stati Uniti dall’UNHRC, il Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite, l’organo dell’ONU che si occupa di monitorare il rispetto dei diritti umani tra i paesi membri. 

Peccato che, come spiega il Post, “Gli Stati Uniti al momento della decisione già non fossero tra i paesi che fanno parte del Consiglio, ma sono solo un paese “osservatore”: in quanto tali, come ha spiegato un portavoce dell’UNHRC, non possono ritirarsi dal Consiglio, perché già non ne fanno parte.

E vabbé, dettagli. Comunque prendendo spunto da questa mossa, il premier israeliano ha fatto lo stesso, ha ritirato Israele dal consiglio, di cui effettivamente faceva parte. Sostenendo che “L’Unhcr ha tradizionalmente protetto i violatori dei diritti umani consentendo loro di nascondersi dall’esame, e invece demonizza ossessivamente l’unica democrazia in Medio Oriente: Israele”.

E inoltre Trump, nello sgomento generale, ha firmato un altro ordine esecutivo, con cui ha imposto sanzioni economiche e restrizioni di viaggio contro funzionari della Corte Penale Internazionale (CPI), in particolare il procuratore Karim Khan. Queste misure includono il congelamento dei beni negli Stati Uniti e il divieto di ingresso nel paese per Khan e la sua famiglia. Una vera e propria ritorsione per aver emesso un mandato di cattura internazionale contro Netanyahu.

Questo è quanto. 

In tutto ciò vi segnalo un interessante articolo di Limes che esplora il rapporto complesso fra Trump e Musk. Un rapporto molto funzionale ad entrambi per adesso, ma che difficilmente reggerà alla prova del tempo perché i due hanno due visioni del mondo con diversi punti di contatto ma che in fin dei conti sono diametralmente opposte.

Musk è un visionario megalomane che formalmente è stato messo a capo di un dipartimento per riformare la burocrazia, che poi in pratica ha il compito non scritto di affossare o probabilmente sostituire il deep state americano, e che nella sua testa – siamo sempre nel campo delle ipotesi, ma è plausibile che sia così, vuole salvare l’umanità da due minacce esistenziali:

  1. L’intelligenza artificiale generale (Agi), che potrebbe superare l’uomo e renderlo obsoleto.
  2. La cultura woke, che secondo lui sta minando la civiltà occidentale.

E che per farlo vuole rendere l’umanità multiplanetaria e potenziare la mente umana con la tecnologia per renderla in grado di competere con l’Agi.

Quindi Musk, spiega l’articolo, pensa in termini universali. Seppure in maniera distorta, megalomane e potenzialmente pericolosa, per lui l’umanità viene prima dell’America.

Al contrario lo slogan di Trump è America first, è un nostalgico e vuole riportare l’America al passato, non proiettarla nel futuro.

La loro alleanza, conclude l’analista, potrebbe spezzarsi quando Musk inizierà a sentirsi limitato da Trump o quando Trump vedrà Musk come un rivale. Insomma, forse ne rimarrà soltanto uno.

Abbiamo detto del piano di Trump per Gaza. La stessa modalità a metà fra il folle e il pragmatico pare che Trump la stia usando per negoziare con Putin. Anche se su quello sappiamo molto meno, perché pochi dettagli sono stati resi noti.

Leggo su Domani, l’articolo è a firma di Davide Maria De Luca, che “Dopo settimane di corteggiamento, il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, ha confermato di aver parlato con il suo omologo russo, Vladimir Putin, e di aver discusso con lui una possibile soluzione alla guerra in Ucraina. «[Putin] vuole che la gente smetta di morire», ha detto Trump al New York Post, in un’intervista esclusiva a bordo dell’aereo presidenziale. Trump ha anche affermato di avere già pronto un piano di pace.

L’articolo poi prova a riassumere quel poco che si sa di questo piano, che per il momento non verrà reso noto. La prossima settimana ci sarà un importante summit in Germania, la conferenza sulla sicurezza di Monaco, durante il quale l’inviato per l’Ucraina di Trump, l’ex generale Keith Kellogg, discuterà il piano con gli alleati europei. Ma è abbastanza evidente che Trump vuole gestire la cosa in maniera molto personale, tagliando fuori tutti gli altri (Zelenski compreso) e risolvendo la questione fra lui e Putin. Tipo Avengers endgame. (Che io fra l’altro non ho mai visto, ma credo di aver capito quando usare questa similitudine).

Comunque, per quel che sappiamo, spiega appunto Domani, Trump sembra intenzionato a garantire a Putin la futura neutralità dell’Ucraina, escludendo sia l’adesione del Paese alla Nato sia lo schieramento di truppe Usa sul suo territorio. Secondo molti, Trump offrirà a Putin anche una riduzione delle sanzioni economiche che hanno colpito la Russia. Oltre ovviamente ad alcuni territori. Presumibilmente la Crimea e alcune parti del Donbass.

Per far digerire un simile accordo a Kiev – che suona un po’ come una disfatta – Trump potrebbe offrire agli ucraini nuovi aiuti militari. Ma non aggratis. No: in cambio di contratti favorevoli agli Usa per sfruttare i giacimenti di terre rare situati nell’Ucraina centrale e orientale, vicino all’attuale linea del fronte. 

Quindi l’Ucraina dovrebbe rinunciare alla sua unica richiesta, ovvero quella di avere la garanzia di difesa militare da parte di terzi (che avrebbe ottenuto in caso di adesione alla Nato) diventando però una sorta di protettorato economico americano, perché avendo gli Usa interessi vicino al confine non consentirebbero successive invasioni. Questa almeno la teoria.

Fatto sta che però l’Ucraina rinuncerebbe a parte della sua integrità territoriale, rinuncia a parte delle sue risorse e materie prime, e tutta la faccenda si potrebbe risolvere in un accordo quasi affaristico fra due persone. L’Europa verrebbe completamente tagliata fuori dai giochi e il suo ruolo si sgonfierebbe ulteriormente, mostrando tutta la sua ininfluenza dal punto di vista geopolitico.

Ovviamente, parliamo comunque di un possibile cessate il fuoco, intendiamoci, per cui forse sempre meglio un accordo, una pace, che continuare il conflitto ulteriormente. Però suona un po’ come una beffa per gli ucraini, dopo che per mesi sono stati fomentati dalla retorica Nato sul non concedere niente, sull’unica pace possibile che era quella senza alcuna concessione a Putin, e poi nel giro di qualche settimana ecco che cambia tutto, Trump chiama Putin, l’Ue svanisce e ciao ciao Crimea, Donbass e materie prime. 

Ok, fin qui è stata una puntata piuttosto deprimente, ma ci sono delle notizie un po’ rincuoranti che riguardano la corrente atlantica AMOC (Atlantic Meridional Overturning Circulation).

Non so se avete presente di che cosa si tratta. La AMOC è un sistema di correnti oceaniche che trasporta acqua calda dai tropici verso il Nord Atlantico e acqua fredda in direzione opposta. È una sorta di nastro trasportatore dell’oceano, fondamentale per mantenere il clima stabile, specialmente in Europa e Nord America.

Questo sistema di correnti hanno un rulo fondamentale nel regolare il clima europeo, mantenendolo più mite, nel distribuire calore e nutrienti in tutto l’oceano e nel regolare òle piogge e la loro intensità in molte parti del mondo.

Ora: molti modelli legati al Cambiamento climatico prevedono un rapido rallentamento e collasso della AMOC, perché lo scioglimento dei ghiacci sta riversando troppa acqua dolce nell’Atlantico, impedendo all’acqua fredda di sprofondare. Questo avrebbe delle conseguenze catastrofiche sul clima di molte parti del mondo. 

Ma una serie di recenti studi sta fornendo previsioni che invece vanno almeno parzialmente in contrasto con l’ipotesi di un collasso della AMOC. Se alcuni studi confermerebbero che sia sull’orlo del collasso, altri la descrivono come più stabile del previsto. Alcuni ipotizzano persino un rafforzamento.

In particolare un recente studio di un gruppo di ricercatori guidati da Jens Terhaar propone un nuovo metodo per stimare la forza dell’AMOC basandosi sui flussi di calore superficiali, anziché sulla temperatura dell’oceano. Questo metodo porta a una ricostruzione che suggerisce meno declino dell’AMOC rispetto a studi precedenti.

Insomma, diciamo che la questione comunque non va minimamente sottovalutata, e questo di certo non vuol dire che possiamo affrontare più tranquillamente e con calma la crisi climatica. Vuol dire principalmente che, se le previsioni più ottimistiche verranno confermate, e se decarbonizziamo l’economia domani, abbiamo qualche possibilità in più di continuare a vivere un pianeta abitabile. 

Domenica scorsa, gli svizzeri hanno detto un chiaro “no” all’Iniziativa per la responsabilità ambientale, una proposta che puntava a mettere nero su bianco nella Costituzione il principio che l’economia deve rispettare i limiti ecologici del pianeta. Il risultato del referendum è stato netto: circa il 70% dei votanti ha respinto l’iniziativa e tutti i 23 cantoni hanno votato contro. L’affluenza è stata piuttosto bassa, intorno al 38%.

Ma di cosa parliamo esattamente? L’iniziativa, promossa dai Giovani Verdi e sostenuta dalla sinistra e dalle associazioni ambientaliste, avrebbe reso la Svizzera il primo paese al mondo a vincolare il proprio modello economico alle capacità rigenerative della Terra. In pratica, avrebbe obbligato il paese a ridurre drasticamente il proprio impatto ambientale, con misure mirate a far rientrare consumi e inquinamento entro soglie sostenibili. Si parlava, tra le altre cose, di una riduzione del 90% delle emissioni di gas serra legate ai consumi e di un dimezzamento dell’inquinamento da azoto. Il tutto, ovviamente, senza specificare nei dettagli come raggiungere questi obiettivi: sarebbe poi toccato al Parlamento tradurre i principi in misure concrete.

Il fronte del “no” era molto ampio e includeva il governo federale, il Parlamento e i partiti di centro e di destra (inclusi i Verdi liberali). La principale critica? Un piano così ambizioso avrebbe imposto restrizioni eccessive a consumi e produzione, con il rischio di frenare l’economia, far aumentare i prezzi e spingere le aziende a delocalizzare. Un timore che ha convinto gran parte dell’elettorato a schierarsi contro.

I promotori, ovviamente, non l’hanno presa bene. Secondo loro, la Svizzera ha perso un’occasione storica per affrontare seriamente la crisi ecologica e costruire un’economia più resiliente. Tuttavia, riconoscono che il dibattito ha contribuito a far conoscere il concetto di limiti planetari, un tema che fino a pochi anni fa era quasi sconosciuto al grande pubblico.

E forse è proprio questo l’elemento più interessante: il fatto stesso che una proposta del genere sia arrivata fino alle urne dimostra quanto il dibattito sulla sostenibilità stia evolvendo. Fino a poco tempo fa, mettere in discussione il modello economico dominante in nome dell’ecologia sarebbe sembrato un’utopia. Oggi, invece, il tema è sul tavolo e sta entrando sempre più nel discorso politico. La bocciatura dell’iniziativa non chiude la questione: se ne riparlerà, magari con strategie diverse, ma il problema resta. Perché i limiti planetari non sono un’opinione, e prima o poi qualcuno dovrà prenderli sul serio.

La Toscana sta per diventare la prima regione italiana con una legge sul fine vita. Una roba grossa. Ne parla la Repubblica Firenze.

Forse ricorderete, ne abbiamo parlato spesso anche qua, che dal 2019 la Corte Costituzionale ha riconosciuto la legittimità del suicidio assistito in determinate condizioni. Solo che sono passati 6 anni e ancora  il Parlamento non ha legiferato in merito. E una legge del genere non sembra in programma.

Alcune Regioni hanno tentato di farlo, ma senza successo: in Veneto, Liguria e Piemonte le proposte sono state bloccate, mentre la Sardegna è ancora in discussione.

Oggi invece in Toscana dovrebbe essere salvo grosse sorprese la giornata in cui verrà approvata per la prima volta in Italia una legge che regolamenta il fine vita. La legge è promossa dal campo largo che guida la regione, quindi PD, Italia Viva e M5S, con la Lega che ha lasciato libertà di voto, mentre FdI è contraria. 

È basata su una proposta dell’Associazione Coscioni, che in Italia è l’organizzazione che da sempre di occupa di questo tema e stabilisce

  • Tempi certi e rapidi: la ASL deve rispondere entro 30 giorni e, se i requisiti sono confermati, il suicidio assistito deve essere garantito entro 7 giorni.
  • Copertura sanitaria: la ASL fornirà il farmaco e il personale medico, salvo obiezione di coscienza.
  • Una Commissione di valutazione: un comitato etico locale analizzerà le richieste

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