3 Mag 2023

Francia e Israele, proteste ma diverse – #720

Scritto da: Andrea Degl'Innocenti
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Ci sono nuove proteste in Francia contro la riforma delle pensioni voluta da Macron. Si protesta anche in Israele, sia contro la riforma della giustizia che a favore di essa. Ne approfittiamo per aggiornarci anche su un’altra vicenda, quella di Lutzerath, il paesino tedesco sgomberato per far posto all’allargamento di una miniera di carbone. Infine parliamo del taglio del cuneo fiscale approvato dal governo italiano e di quello più consistente approvato da Lula in Brasile in occasione del Primo maggio.

Ci sono state di nuovo grandi manifestazioni, cortei e scontri violenti in Francia, due giorni fa, in occasione del primo maggio. In molte città la Festa dei lavoratori si è trasformata in nuove proteste contro la contestata riforma delle pensioni voluta dal presidente francese Emmanuel Macron.

Facciamo qualche passo indietro e riprendiamo la questione da dove l’avevamo lasciata. Nei mesi di febbraio, marzo e inizio aprile scorsi il paese transalpino è stato scosso da enormi manifestazioni e scioperi, dovuti a una contestatissima riforma delle pensioni voluta da Macron e dal governo che alzava di circa due anni l’età del pensionamento. Le proteste sono state talmente forti e prolungate che anche l’appoggio politico del parlamento alla proposta si è sgretolata, al punto che Macron ha deciso di ricorrere in maniera anomala a un articolo della Costituzione francese che permette in casi di estrema urgenza di bypassare il parlamento. 

A quel punto cittadini e sindacati speravano in una bocciatura da parte del Consiglio costituzionale (tipo la nostra Consulta) perché lamentavano un ricorso indebito all’articolo 49.3, ma questa non è arrivata, il Consiglio ha approvato la legge, e Macron l’ha firmata dandole ufficialmente corso legale.

Al termine di questo lungo, travagliato e anomalo (qualche giornale lo ha definito autoritario) percorso istituzionale il Presidente francese ha tenuto un discorso alla nazione, circa due settimane fa, in cui ha ribadito la necessità delle nuove misure, pur non essendo condivise o accettate dai cittadini. Ha detto che «Le modifiche previste da questa legge sulle pensioni entreranno in vigore gradualmente a partire dall’autunno», ha detto che erano modifiche necessarie per via delle difficoltà demografiche del Paese, che sta inesorabilmente invecchiando mentre la speranza di vita si allunga. 

Macron ha anche provato ad aprire su altri fronti ai manifestanti, annunciando l’apertura di tre cantieri su lavoro, giustizia e progresso, che dovrebbero rilanciare l’azione di governo. Tentativo non particolarmente riuscito, credo, se è vero che – come scrive il Post – le proteste sono continuate anche nei giorni successivi per sfociare due giorni fa in nuovi scontri tra manifestanti e agenti di polizia, che hanno risposto a lanci di bombe molotov e altri oggetti con gas lacrimogeni e cannoni ad acqua. 

Il ministro dell’Interno francese Gérald Darmanin ha detto che in totale sono state arrestate 291 persone, 111 delle quali a Parigi, e che negli scontri sono stati feriti almeno 108 agenti di polizia, di cui uno in maniera grave. Alcuni manifestanti hanno dato fuoco ad alcuni veicoli e danneggiato le vetrine dei negozi. A Marsiglia circa 100 manifestanti hanno occupato brevemente un hotel di lusso nella zona del vecchio porto prima di essere allontanati dalla polizia. Secondo il ministero dell’Interno, in totale i partecipanti alle manifestazioni in tutta Francia sarebbero stati 782mila (in realtà un articolo di le Monde riporta un dato diverso, 1milione e 300mila persone, citando sempre il ministero dell’Interno come fonte): secondo i sindacati invece sarebbero stati circa 2,3 milioni.

Fra l’altro visto che non riuscivo a capire, perché nessun giornale lo spiega, quale fossero le richieste dei manifestanti in questa occasione ho consultato il sito del quotidiano francese Le Monde e ho scoperto che è stata presentato un disegno di legge da parte di un gruppo parlamentare di sinistra radicale, che vuole abrogare la riforma approvata da Macron. E che ieri, 2 maggio, i sindacati riuniti hanno annunciato una quattordicesima azione per martedì 6 giugno, due giorni prima dell’esame di questo progetto di legge da parte del parlamento. 

Anche in Israele ci sono state nuove proteste, ma diverse da quelle che abbiamo raccontato finora. Alle proteste antigovernative, infatti, si sono affiancate delle contro-proteste filogovernative. 

Cerchiamo di capire meglio quello che sta succedendo. Le oceaniche proteste che avevano scosso il paese il mese scorso, le più grandi secondo diversi giornali della storia del Paese, erano dovute alla proposta di riforma del sistema giudiziari giudicata da molti autoritaria perché concentrerebbe molto più potere nelle mani del governo, sottraendolo alla magistratura e alla Corte Suprema. 

A fine marzo, dopo settimane di proteste il governo Netanyahu aveva deciso di posticipare la discussione parlamentare a dopo la pausa primaverile del parlamento, che è torneràto a riunirsi domenica 30 aprile. Finora però il governo non ha chiarito se intenda fissare un dibattito e un voto nei prossimi giorni, o se aspetterà di capire come andranno gli sforzi di Herzog, il Presidente israeliano, di trovare un compromesso con l’opposizione.

Comunque, all’interno di questo stallo, se da un lato sono continuate le proteste ogni sabato contro il governo e la riforma della giustizia, la novità è che giovedì scorso decine di migliaia di israeliani hanno partecipato a una grossa manifestazione per sostenere il governo Netanyahu e la sua riforma.

Il Times of Israel scrive che secondo varie stime giovedì a Gerusalemme c’erano fra i 150mila e i 200mila manifestanti, «un numero di persone simile a quelle che ogni sabato sera manifestano contro il tentativo di ridurre i poteri della Corte Suprema». Come commenta il Post: “Sono numeri molto significativi per Israele, un paese in cui vivono poco più di 9 milioni di persone: prendendo per buona la stima più conservativa, cioè 150mila manifestanti, è come se in Italia fossero scese in piazza a manifestare un milione di persone”.

Il quotidiano israeliano Yedioth Ahronoth ha notato che i manifestanti hanno gridato in coro «non vogliamo un compromesso». Con tutta probabilità si riferivano al tentativo che sta portando avanti il presidente israeliano Isaac Herzog, che da settimane sta cercando di trovare un compromesso fra maggioranza e opposizione per approvare una riforma della giustizia più articolata (e meno incentrata sulla Corte Suprema).

Il Guardian racconta invece che giovedì c’erano molte persone che pregavano e intonavano cori religiosi, parecchi uomini che imbracciavano delle armi, ma anche molti più bambini rispetto alle manifestazioni anti-governative. Gli ebrei ortodossi, che rappresentano una grossa fetta dell’elettorato di destra, tendono a fare più figli rispetto agli altri israeliani. Il Times of Israel ha notato inoltre che vari gruppi di manifestanti sono arrivati a Gerusalemme a bordo di appositi pullman dalle colonie israeliane in Cisgiordania, gli insediamenti spesso abitati da ebrei ortodossi che la stragrande maggioranza della comunità internazionale giudica illegali perché realizzati in un territorio che spetterebbe ai palestinesi. Buona parte dei manifestanti anti-governativi, invece, proviene dalle città.

Netanyahu non ha partecipato alla manifestazione di giovedì ma ha ringraziato con un tweet le persone scese in piazza, dicendo loro che «la vostra passione e il vostro patriottismo mi commuovono profondamente». Ma non ha fatto sapere come intende procedere. Al netto delle volontà del premier israeliano, il quadro che mi arriva è quello di un paese profondamente diviso.

In tutto ciò, c’è un’altra notizia, scollegata alle manifestazioni, che scuote Israele. È la morte, in carcere, di Khader Adnan, uno dei principali esponenti della Jihad Islamica in Cisgiordania, dopo uno sciopero della fame durato 86 giorni. Da subito molti gruppi si sono attivati promettendo vendetta. L’Autorità Nazionale Palestinese ha parlato di “omicidio volontario” da parte dello ‘Stato ebraico’ e sono stati lanciati i primi razzi dalla Striscia di Gaza.

Come spiega un articolo del Fatto Quotidiano “La voce si è sparsa velocemente anche attraverso i muezzin delle moschee di Gaza. Israele “pagherà il prezzo della morte” di Adnan, ha tuonato la Jihad Islamica che ha rivolto un appello per uno sciopero generale in tutta la Palestina. “La sua morte rappresenterà una lezione per varie generazioni, non abbandoneremo questo impegno finché la Palestina rimarrà sotto occupazione”, si legge in una nota. 

Nel mezzo di questa nuova escalation, si è alzata invece una voce, quella della vedova di Adnan, che ha chiesto di non dare inizio a una nuova escalation e non lanciare ulteriori razzi da Gaza. A suo parere occorre prevenire spargimenti di sangue perché Israele potrebbe rispondere bombardando la Striscia. La donna ha precisato che il marito lascia nove figli che seguiranno la strada da lui indicata. Non so bene cosa questo significhi, onestamente.

Forse ricorderete che all’inizio dell’anno, proprio i primi di gennaio, un paesino tedesco balzò agli onori della cronaca per una storia surreale. Il paesino si chiamava (e si chiama tuttora Lutzerath e la storia era che il governo aveva ordinato lo sgombero dei residenti per far è spazio all’ampliamento di una miniera di carbone. 

Per qualche giorno la vicenda aveva sollevato un grande clamore mediatico, anche perché sul luogo erano state organizzate manifestazioni da parte delle principali organizzazioni di attivismo climatico, da XR a FFF, con la stessa Greta Thunberg che era arrivata apposta in Germania per protestare ed era stata portata via dalla polizia. C’erano stati scontri, proteste, poi il silenzio più totale. Le ultime notizie dicevano che nel villaggio erano rimasti alcuni attivisti e attiviste asserragliate sugli alberi, dentro qualche edificio o dentro ad un tunnel. Ma che fine hanno fatto?

Per vederci più chiaro ho contattato Francesca Bompadre, ex attivista di FFF Ancona che attualmente vive a Dresda, in Germania. e ha partecipato alle proteste. 

Restando in tema primo maggio, quella della festa del lavoro è un’occasione per molti governi per approvare misure proprio legate al lavoro. È il caso, ad esempio, di Italia e Brasile.

Nel nostro paese, per contrastare il calo del potere d’acquisto causato dall’inflazione alta, il governo ha deciso di tagliare ancora le tasse previdenziali sulle retribuzioni medio-basse (quelle in pratica che il datore di lavoro paga allo stato per la previdenza, le pensioni), così da aumentare il netto in busta paga. La decisione è stata presa ieri con un decreto legge. 

In pratica viene previsto, a partire dal luglio di quest’anno e fino a dicembre, un ulteriore sconto sui contributi previdenziali a carico del lavoratore (ma senza effetti sulla pensione, perché la quota sarà versata all’Inps dallo Stato) e senza incidenza sulla tredicesima. 

Questo sconto sarà di quattro punti percentuali sulle retribuzioni fino a 35 mila euro lordi (circa 1.900 euro netti al mese) e si va a sommare al taglio di tre punti per le retribuzioni fino a 25 mila euro lordi (circa 1.520 euro netti al mese) e di due punti per quelle tra 25 e 35mila euro, disposti per il 2023 con la legge di Bilancio approvata lo scorso dicembre. Quindi facendo i conti lo sconto complessivo nella seconda parte di quest’anno sarà quindi di sette punti percentuali per chi prende fino a 25mila euro e di sei punti per chi guadagna tra 25 e 35 mila euro lordi, con un aumento in busta paga che potrà arrivare a sfiorare i 100 euro, secondo le simulazioni del Sole 24 Ore.

Una misura volta a contrastare il carovita, che incide soprattutto sulle fasce retributive più basse. Tuttavia, come fa notare il Fatto Quotidiano, non si tratterebbe del taglio al cuneo fiscale più alto degli ultimi decenni come sbandierato da Meloni stessa, perché sia il governo Draghi che quello Renzi avrebbero effettuato tagli alle tassi più consistenti sia in percentuale che in termini assoluti.

In Brasile invece Lula decide di andarci giù in maniera più decisa e approva un aumento consistente del salario minimo e abolisce l’Irpef, l’imposta sul reddito, per il 40 per cento dei brasiliani più poveri, tenendo fede alle sue promesse elettorali. 

Veniamo ai consueti aggiornamenti e segnalazioni finali. Che oggi sono tutti fatti in casa. Se avete seguito la storia dell’orsa JJ4 e del runner ucciso in Trentino, vi segnalo un bell’articolo di Valentina D’Amora dal titolo “Conoscere per coesistere: la vicenda di JJ4 e i tanti interrogativi sugli orsi oggi”.

Segnalo anche il reportage dall’India di Lorenzo Caglioni, alla scoperta di un paese tanto immenso e affascinante quanto ricco di contraddizioni. Se vi è piaciuta la puntata sull’India di INMR+ non potete perdervelo. Se invece non l’avete vista perché non siete abbonati, che dire, siete indubbiamente delle persone di una levatura morale decisamente inferiore a quello degli abbonati, ma vi vogliamo bene lo stesso. E comunque, potete rimediare.

Infine segnalo che oggi 3 maggio è la giornata nazionale dell’informazione costruttiva, a cui prendiamo parte ogni anno con un articolo, che quest’anno ha la mia firma, e con una diretta Facebook (che trovate sui nostri canali social) a cui parteciperà il nostro caporedattore Francesco Bevilacqua.

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