La giornata di ieri è stata segnata da un tragico incidente sul lavoro, con il quale oggi aprono praticamente tutti i giornali. Siamo nel primo pomeriggio e secondo le ricostruzioni dei giornali 15 operai stanno lavorando al collaudo di uno dei due gruppi di produzione della grande centrale idroelettrica di Bargi, di proprietà dell’Enel, situata nel lago artificiale di Suviana, sull’Appennino bolognese. Stiamo parlando di un impianto storico, la più potente dell’Emilia Romagna (con i suoi 330 MW), costruita da Enel nel 1975.
A un certo punto si sentono dei rumori strani e 3 degli operai si allontanano allarmati. Pochi minuti dopo c’è una forte esplosione, si apre una voragine, entra l’acqua. Partono da subito le ricerche degli operai. C’è molto fumo e non si vede bene. All’inizio i giornali parlano di quattro morti. Poi nella serata la notizia viene corretta.
Secondo l’ultimo bilancio fornito dalla prefettura di Bologna ai giornali attorno alle 21,30 di ieri sera, tre persone sono morte, altre cinque sono state ferite in maniera grave e quattro sono ancora disperse. Le operazioni di soccorso sono complicate dal fumo che sale dai locali interessati e dal fatto che l’incidente sia avvenuto sotto il livello dell’acqua.
Tutta la centrale, infatti, si trova sotto il livello dell’acqua, a circa trenta metri di profondità. E secondo le prime ricostruzioni fatte dai vigili del fuoco l’esplosione sarebbe avvenuta al piano meno nove, dove si trovano i trasformatori elettrici. A complicare ulteriormente i soccorsi c’è il fatto che nell’ottavo piano interrato è entrata molta acqua, e la speranza di trovare vive le 4 persone disperse diminuiscono, purtroppo, col passare delle ore.
Ma cosa ha generato l’incendio? Secondo la prefettura di Bologna a innescarlo sarebbe stato un generatore collegato a una turbina. Il Prefetto Attilio Visconti ha detto all’Ansa che in totale i lavoratori coinvolti nell’incidente sono stati 12, quasi tutti di ditte esterne tranne un ex dipendente di Enel che lavorava come consulente.
Enel ha cominciato a fare verifiche e ha fatto sapere che la produzione nell’impianto è stata fermata, ma che non si prevedono disagi nella fornitura del servizio elettrico. Nel frattempo a causa del disastro Cgil e Uil hanno indetto per giovedì 11 aprile uno sciopero di otto ore rivolto a lavoratrici e lavoratori di tutti i settori in Emilia-Romagna, mentre poco dopo la Flaei-Cisl ha proclamato uno sciopero generale di tutti di dipendenti del gruppo Enel per la giornata di oggi nelle ultime quattro ore lavorative.
Il tema, ovviamente, è quello della sicurezza sul lavoro. Che è un tema annoso e ricorrente nel nostro paese. Sembra quasi una di quelle battaglie perse, di cui si riparla ogni volta che succede una nuova tragedia, un nuovo incidente, con un tono abbastanza rassegnato e quasi di ineluttabilità. La mia impressione è che ciascun attore reciti la sua parte, e alla fine non cambi granché.
Ma sarà davvero così? Sono andato a vedere un po’ di dati, convinto di vedere il nostro paese in cima alle classifiche europee per quanto riguarda gli incidenti sul lavoro. Ma la realtà è in parte diversa da quello che mi aspettavo.
Nel 2020, ultimo anno di cui ho trovato i dati, l’Italia ha registrato 1.413 infortuni non mortali ogni 100.000 lavoratori (media UE 1.444), posizionandosi al 9º posto nella classifica. Peggio di noi hanno fatto Francia, Danimarca, Portogallo, Spagna, Slovenia, Germania, Lussemburgo e Austria. Quindi molte delle economie più grandi e industriali hanno più incidenti. L’aspetto drammatico viene quando passiamo ad osservare gli incidenti mortali.
In quella classifica lì, con 3,39 morti ogni 100.000 lavoratori, l’Italia è al 2º posto nella classifica rispetto a una media UE di 1,77. Non so come leggere questo dato onestamente. Non so perché ci siano meno incidenti della media ma più incidenti mortali sul lavoro. Ma ciò che è certo è che se dobbiamo trovare una soluzione va trovata a partire da un’analisi lucida dei dati.
Siamo di nuovo a parlare di clima, perché ancora una volta siamo di fronte a un mese record. E questa cosa non è normale. E non dico “non è normale” per via del cambiamento climatico. Dico “non è normale” nonostante il cambiamento climatico. Cioè: per quel che ci dicono i modelli climatici per come li abbiamo fin qui sviluppati, è abbastanza inspiegabile questa accelerazione, perché tutti i modelli prevedono delle oscillazioni, e nessuno prevede una sequela di record mese dopo mese, per ormai dieci mesi di fila.
Come racconta Jonathan Watts sul Guardian, “Un mese dopo l’altro, un nuovo record di calore globale lascia gli scienziati del clima perplessi e speranzosi che si tratti di una conseguenza legata all’El Niño piuttosto che di un sintomo di uno stato di salute del pianeta peggiore del previsto”.
Le temperature superficiali globali di marzo sono state superiori di 0,1°C rispetto al precedente record per il mese, stabilito nel 2016, e superiori di 1,68°C rispetto alla media pre-industriale, secondo i dati pubblicati martedì dal Servizio di Cambiamento Climatico Copernicus.
Questo rappresenta il 10° record mensile consecutivo in una fase di riscaldamento che ha infranto tutti i precedenti record. Negli ultimi 12 mesi, le temperature medie globali sono state superiori di 1,58°C rispetto ai livelli pre-industriali.
Significa che per un anno intero di fila le temperature medie globali hanno superato il famoso 1,5°C stabilito come obiettivo nell’accordo sul clima di Parigi. Ora, come abbiamo detto più volte, perché quel limite si consideri superato dal punto di vista climatico bisogna non basta osservare una media annuale, ma bisogna attendere una media almeno decennale.
E alcuni uffici meteorologici, fra cui quello del Regno Unito, hanno detto che i livelli attuali di riscaldamento rientrano nei limiti previsti dai modelli informatici, e sono giustificabili appunto da alcuni fattori, tipo el Nino, ad esempio, quindi da questo sistema di correnti oceaniche che riscalda il clima del pianeta, ma anche altri che vengono spiegati più avanti nell’articolo.
Tuttavia, il forte aumento delle temperature nell’ultimo anno ha sorpreso molti scienziati e sollevato preoccupazioni su una possibile accelerazione del riscaldamento.
Qui l’articolo del Guardian riporta alcune testimonianze che ho trovato interessanti: “Diana Ürge-Vorsatz, una delle vice-presidenti del Panel Intergovernativo sul Cambiamento Climatico (IPCC) delle Nazioni Unite, ha notato che il pianeta si è riscaldato a un ritmo di 0,3°C per decennio negli ultimi 15 anni, quasi il doppio del trend di 0,18°C per decennio dagli anni ’70. Un suo tweet recita: “Questa variazione rientra nel range di variabilità climatica o è un segnale di riscaldamento accelerato? La mia preoccupazione è che se aspettiamo di conoscere la risposta, potrebbe essere troppo”.
Gavin Schmidt, climatologo, direttore dell’Istituto Goddard per gli Studi Spaziali della Nasa, notando che i record di temperatura vengono infranti ogni mese, ha detto “È umiliante, e un po’ preoccupante, ammettere che nessun anno ha confuso le capacità predittive degli scienziati del clima più del 2023”.
Schmidt ha elencato diverse cause plausibili dell’anomalia – l’effetto El Niño, la riduzione delle particelle di diossido di zolfo raffreddanti a causa dei controlli sull’inquinamento (sì già, ridurre le particelle d’inquinamento aumenta la temperatura media perché il particolato sospeso nell’aria riflette parte della radiazione solare), o ancora le conseguenze dell’eruzione vulcanica di Hunga Tonga-Hunga Ha’apai a Tonga nel gennaio 2022, e l’aumento dell’attività solare in vista di un picco solare previsto.
Ma anche considerando tutti questi fattori messi assieme, ciò non è sufficiente a spiegare l’aumento di temperatura che stiamo osservando. Schmidt ha dichiarato che “Se l’anomalia non si stabilizza entro agosto – un’aspettativa ragionevole basata su precedenti eventi El Niño – allora il mondo sarà in territorio inesplorato. Potrebbe implicare che un pianeta in riscaldamento sta già modificando fondamentalmente il funzionamento del sistema climatico, molto prima di quanto gli scienziati avessero previsto.”
Devo dire che non è facile gestire queste notizie climatiche e soprattutto il senso di incertezza che ti lasciano. Mi sono ritrovato molto nelle parole della vice-presidente dell’IPCC che dice “se aspettiamo di capire se questa anomalia sia frutto di un’accelerazione del cambiamento climatico, potrebbe essere troppo tardi”. Perché mi sembra che trasmettano bene quest’incertezza di fondo che è ineliminabile quando parliamo di clima.
E non intendo incertezza sulle cause, quelle ahimé le conosciamo bene e ormai c’è una quasi unanimità sulle origini del cambiamento climatico (considerate che un recente sondaggio ha mostrato che il 99,9% degli scienziati – significa 999 scienziati su 1000 – concorda sul fatto che gli umani stiano alterando il clima bruciando gas, petrolio, carbone e alberi). Ma incertezza sugli effetti. Non sappiamo e continuiamo a non sapere dove sono situati i punti critici, né se li abbiamo già oltrepassati, e ancora sappiamo che il sistema climatico ha un ritardo di almeno un decennio, per cui oggi vediamo gli effetti delle emissioni di 10-15 anni fa.
Purtroppo questa difficoltà nell’osservare i nessi immediati fra le nostre azioni e le loro conseguenze, fa sì che sia molto facile per chi vuole negare l’esistenza del problema confondere le acque. Tipo, l’industria dei combustibili fossili, in particolare le 57 aziende collegate all’80% delle emissioni – che rischia di perdere trilioni di dollari.
Racconta ancora il Guardian che il mese scorso, l’amministratore delegato di Saudi Aramco, Amin Nasser, è stato applaudito a una conferenza dell’industria petrolifera a Houston per aver dichiarato: “Dovremmo abbandonare la fantasia di eliminare progressivamente petrolio e gas.” Tutto ciò nonostante il fatto che il suo paese e altri abbiano concordato solo quattro mesi prima di allontanarsi dai combustibili fossili al summit sul clima Cop28 a Dubai.
Aggiungo a questa constatazione che ci sono altri tasselli che si vanno a incastrare bene con le pressioni della lobby dei fossili: ovvero una fetta di opinione pubblica facilmente condizionabile dall’informazione fallace, e una classe politica spesso poco attenta, quando non in cattiva fede, sulle questioni climatico-ambientali. Ieri ho ascoltato una bella intervista di due ore fatta dal podcaster Alessandro Masala a Matteo Renzi, in cui Renzi dopo aver accusato il Green Deal di essere un piano frutto di un ambientalismo troppo ideologico al punto da aver cacciato le imprese dall’Europa, ha ripetuto reiterate volte che decarbonizzare significa chiudere le centrali a carbone, facendo confusione fra carbone e carbonio. Per dire che il limite fra malafede e cialtroneria a volte è difficile da trovare. E questo è stato Presidente del Consiglio, per dire.
Chiusa parentesi, e detto tutto ciò. Che fare? Come agire di fronte all’incertezza? È una bella sfida, a cui ognuno può darsi le sue risposte. La mia riflessione è che la cosa più utile da fare nell’incertezza è ragionare ipotizzando uno scenario diciamo di mezzo, in cui non tutto è perduto, ma in cui dobbiamo agire istantaneamente per azzerare il prima possibile le emissioni. Questo perché è lo scenario che ci da maggiori chances di successo, diciamo. Perché se da un lato ragioniamo con un’ottica catastrofista, allora non facciamo niente e ci bruciamo le possibilità di cambiamento residue, mentre se ragioniamo in uno scenario troppo ottimista, rischiamo di prenderla troppo alla leggera. Se poi le cose stavano meglio del previsto, tanto meglio, se invece era già troppo tardi, bé, almeno ci abbiamo provato.
Anche perché, come raccontiamo spesso su ICC, le esperienze di chi fa scelte realmente e profondamente ecologiche non sono scelte di rinuncia e privazione ma sono scelte di consapevolezza e benessere profondo. Quindi, ecco, è pure divertente.
Restiamo in tema clima, ma lato più giuridico. Martedì la Corte europea dei diritti dell’uomo, che è un tribunale internazionale che non rientra fra le istituzioni dell’Unione Europea, si è espressa su ben tre diversi casi presentati da dei cittadini contro alcuni governi europei per chiedere maggiori impegni per contrastare gli effetti negativi dei cambiamenti climatici.
Ne parla il Post, raccontando successi e sconfitte dei cittadini in questione. La Corte ha respinto due di essi, fra cui quello più significativo, in cui sei giovani portoghesi avevano denunciato i governi dell’Unione Europea e di alcuni stati vicini. Ha però accolto il ricorso di un gruppo di anziane signore svizzere, che sostenevano che il loro paese avesse violato i loro diritti venendo meno agli impegni presi per contrastare il cambiamento climatico.
È la prima volta che un tribunale di livello così alto prende una decisione su un caso riguardante i cambiamenti climatici. Vediamo meglio le decisioni quindi: “Il caso dei giovani portoghesi era il seguente: un gruppo di persone di età comprese tra gli 11 e i 24 anni, si era rivolto alla CEDU nel 2020 accusando ben 33 stati di aver violato i diritti umani per non aver preso sufficienti misure per mantenere l’aumento delle temperature medie globali sotto 1,5 °C. I paesi coinvolti erano i 27 membri dell’Unione Europea (Italia compresa), la Norvegia, il Regno Unito, la Russia, la Svizzera, la Turchia e l’Ucraina.
Si trattava di un caso che era di portata molto più ampia rispetto altri e il giudizio di inammissibilità è considerato una sconfitta significativa dai gruppi ecologisti. La Corte lo ha rifiutato perché ha stabilito che i giovani non avessero esaurito tutte le loro possibilità di azione legale in Portogallo, una condizione considerata necessaria prima di coinvolgere gli altri paesi inclusi nel ricorso”. Quindi, ecco, diciamo più che altro un vizio di forma.
Invece l’accoglimento del ricorso presentato dalle Anziane per il clima, l’associazione delle donne svizzere, è comunque considerato un’importante svolta nella lotta giudiziaria per la giustizia climatica. I paesi che riconoscono la Corte europea per i diritti dell’uomo sono impegnati a dare esecuzione alle sue decisioni, ma il tribunale non ha concretamente modo di obbligarli a rispettarle. Tuttavia il caso potrebbe essere un precedente importante in altri procedimenti di giustizia climatica.
L’associazione delle Anziane per il clima è nata nel 2016, e oggi conta 2.500 socie di età superiore ai 65 anni: l’età media è 73. Sostengono che le donne anziane siano una delle fasce della popolazione più esposte ai rischi legati alle ondate di calore, che negli ultimi anni si sono fatte più frequenti in Svizzera. Si erano rivolte alla CEDU dopo che un tribunale svizzero aveva respinto il loro ricorso, in cui accusavano il governo svizzero di non aver fatto abbastanza per mitigare gli effetti del cambiamento climatico.
L’Ufficio federale di giustizia svizzero ha detto che studierà la sentenza per stabilire quali azioni debbano essere prese dalla Svizzera per il futuro. Intanto la Corte ha ordinato allo stato svizzero di pagare 80mila euro per coprire le spese legali dell’associazione.
Infine c’era il terzo caso, contro il governo francese, presentato nel 2021 da Damien Carême, europarlamentare francese dei Verdi e sindaco della città francese di Grande-Synthe dal 2001 al 2019. Secondo Carême la vita degli abitanti del paese sarebbe messa particolarmente a rischio dal cambiamento climatico, per l’aumento della probabilità di inondazioni nella cittadina, che si trova sulla costa. Il suo caso è stato giudicato inammissibile in quanto Carême non vive né a Grande-Synthe e neanche in Francia, e quindi non può dimostrare alla Corte di essere danneggiato da eventuali violazioni dei diritti umani.
Insomma, è interessante notare, come abbiamo già fatto in passato, il ruolo sempre maggiore che sta assumendo la giustizia climatica. Un ruolo ancora non così determinante nello spingere i governi ad agire, ma che potrebbe diventarlo se si somma ad altre spinte, come quella che può arrivare dall’elettorato, o da un segmento di aziende e così via. Certo, cambiare significa anche collaborare in maniera multilivello, per cui sarebbe altrettanto interessante iniziare ad osservare sinergie fra cittadinanza attiva, governi, imprese e terzo settore.
Prosegue, sulle pagine di ICC, il nostro approfondimento sul polo petrolchimico di Siracusa, di cui Salvina Elisa Cutuli ci aveva già parlato qualche mese fa. È una di quelle storie poco conosciute, fatte di potere, interessi, petrolio e devastazione ambientale e umana, in nome del lavoro e del profitto. Di quelle storie che ti colpiscono allo stomaco. È un’altra Ilva d’Italia, senza avere nemmeno lo status, di Ilva.
Elisa ci conduce a scoprire la storia di uno degli stabilimenti petrolchimici più grandi d’Europa, nato nel dopoguerra, che ha visto succedersi diverse compagnie internazionali che negli anni hanno trasformando radicalmente un’area un tempo dedicata all’agricoltura in un centro industriale di raffinazione di idrocarburi. Con un conseguente inquinamento diffuso dell’aria, dell’acqua e del suolo, e gravi ripercussioni sulla salute della popolazione locale.
Ci sono tante storie dentro questa storia: c’è un pezzo della storia d’Italia. Ma ci sono anche storie più piccole, come quella di Salvatore Gurreri, l’ultimo abitante di un villaggio di pescatori, trovato morto dopo essersi rifiutato di abbandonare la sua casa, simboleggia la resistenza alla distruzione ambientale e culturale.
Non vi racconto altro, andatevi a leggere l’articolo.
Arrivati a fine rassegna potreste aver bisogno di un po’ di speranza nel genere umano. Io, lo sapete, sono quello sfigato che commenta le notizie degli altri giornali, ma oggi su ICC parliamo di un sacco di iniziative importanti, ad esempio per contrastare il fast fashion, o consigli per una vita sostenibile. Ma non vi dico altro e lascio la parola al nostro direttore.
#centrale idroelettrica
il Post – Tre persone sono morte in un’esplosione in una centrale idroelettrica
la Repubblica – La diretta. Al collaudo esplode una turbina nella centrale elettrica del bacino di Suviana: tre morti, cinque feriti gravi e quattro dispersi. I nomi delle vittime. Il cordoglio di Mattarella: “Fare luce sull’incidente”
Teknoring – Gli infortuni sul lavoro nelle statistiche nazionali e internazionali: analisi e prestazioni italiane
#clima
The Guardian – Tenth consecutive monthly heat record alarms and confounds climate scientists
#giustizia climatica
il Post – Una piccola ma importante vittoria per il clima alla Corte europea dei diritti dell’uomo
#petrolchimico
Italia che Cambia – Polo petrolchimico di Siracusa, una storia tutta italiana tra immobilismo e disastro ambientale
#fast fashion
Italia che Cambia – Contro fast fashion e sfruttamento, a Cagliari un guardaroba gratuito, aperto e popolare
#aiuole
Italia che Cambia – In Val Pennavaire la comunità locale cresce a partire da un’aiuola… magica!
#sostenibilità
Italia che Cambia – Alice Pomiato, alias aliceful: “La partecipazione sociale è la cosa più sostenibile che ci sia”