Enel condannata. Lo so, lo avevate letto dal titolo. Per cosa è stata condannata? Deve risarcire una tribù di nativi americani. Lo riporta – tra gli altri – Monica Cilerari su L’Indipendente. Leggo: “La tribù Osage dell’Oklahoma ha ottenuto una vittoria storica per i diritti degli indigeni contro il gigante italiano dell’energia Enel, accusato di aver sfruttato la loro terra senza permesso nella corsa verso la transizione energetica. Dopo una lunga battaglia giudiziaria, il tribunale ha sancito che Enel dovrà pagare quasi 260 milioni di dollari per rimuovere 84 turbine eoliche dalle terre della Nazione Osage”.
«Enel, ti costerà una fortuna non averci chiesto un permesso. Era tutto quello che dovevi fare», ha detto al Financial times il presidente dell’Osage Minerals Council, Everett Waller, la cui tribù era stata massacrata nel 1900. A riprendere la loro storia è anche il film di Martin Scorsese, Killers of the Flower Moon, candidato all’Oscar. La pellicola racconta come il popolo Osage si fosse inizialmente arricchito con la scoperta del petrolio sulla sua terra, ma avesse finito per essere sfruttato e decimato dagli uomini bianchi che cercavano di impadronirsi dell’oro nero. Waller ha aggiunto che la Nazione Osage non è contro l’energia pulita, ma ha insistito sul fatto che le aziende si devono impegnare in una corretta consultazione previa.
Già sento la voce di Andrea che qui richiama all’importanza delle decisioni partecipate e condivise. “La vittoria degli Osage – continua l’articolo – giunge mentre l’espansione della cosiddetta ‘energia pulita’ negli Stati Uniti si fa sempre più rapida, arrivando a invadere le terre tribali e sollevando interrogativi sul fatto che la transizione verde rischia di infliggere gli stessi danni dell’industria dei combustibili fossili”.
L’articolo poi riporta altri esempi ed evidenza – in sintesi – che continuiamo a sfruttare le popolazioni native. Ovviamente EneL nega. Si legge nello stesso articolo come “Un portavoce dell’Enel ha dichiarato che l’azienda «non è d’accordo» con la recente decisione del tribunale e farà ricorso. La società continuerà in «buona fede» a gestire il progetto eolico fino a quando non sarà determinato un esito finale e non ha mai inteso imporsi sulla sovranità della nazione Osage”.
«Per qualunque altra controversia che riguarda il Paese indiano, ora si ha un caso su cui si può fare leva», ha detto Everett Waller, riferendosi alla storica vittoria contro Enel. Un precedente giuridico per combattere le imprese. Almeno in Tribunale.
Nulla si crea, nulla si distrugge, tutto si trasforma. È una legge della termodinamica, ma purtroppo anche una legge dell’idiozia umana e in particolare dell’infamia di determinate multinazionali. Visto che in Europa infatti determinati insetticidi, erbicidi e funghicidi devastanti per ambiente e salute sono vietati, queste multinazionali hanno pensato bene di vendere i prodotti nei paesi tropicali e poi di vendere a noi il cibo coltivato con quegli stessi pesticidi. Dalle analisi condotte dalla redazione de Il Salvagente su 20 frutti tropicali – 8 ananas, 6 avocado e altrettanti mango – emergono ben 5 molecole messe al bando nel Vecchio Continente che però hanno lasciato traccia su prodotti coltivati in Sud America
Ma come è possibile che sostanze vietate in Europa, cacciate dalla porta rientrino, nelle case dei consumatori, dalla finestra? Leggo: “L’agrobusiness purtroppo non conosce confini, come da anni denuncia la Ong britannica Publich Eye che con Greenpeace ha analizzato i dati delle sostanze messe al bando nella Ue ed esportate nei paesi extraeuropei. L’Italia nel 2018 ha approvato l’esportazione di oltre 9.000 tonnellate di pesticidi vietati nell’Unione europea, diventando – all’epoca – il secondo maggior esportatore di fitofarmaci vietati in Europa. Il primo esportatore risultava essere il Regno Unito e, per effetto della Brexit, oggi sarebbe l’Italia il primo esportatore di agrofarmaci banditi perché considerati dannosi per la salute dei consumatori e degli agricoltori. Una sorta di inquiniamoli a casa loro che però si trasforma in un boomerang, visto che quelle stesse molecole tossiche tornano sui nostri piatti attraverso la frutta tropicale”.
L’articolo – molto lungo e dettagliato – riporta anche i prodotti coinvolti e i supermercati che li vendono. Vi consiglio di approfondire prima di comprare manghi, ananas o avocadi. Questa vicenda mostra – ancora una volta – come il capitalismo e il consumismo cerchino costantemente di adattarsi alle crescenti norme e sensibilità allontanando l’azione dalle sue conseguenze. Finché non ripenseremo interamente il modello, la lotta contro queste logiche diventa veramente titanica. Come sfuggirci? Mangiando locale, quando possibile facendosi l’orto, comprando da produttori che si conoscono e favorendo le economie veramente rispettose di Natura, Salute e Ambiente.
Torniamo a Bologna per vedere le prime conseguenze del limite imposto in molte zone della città di 30 km/h. I primi dati sono davvero incoraggianti. Riporta infatti Il Fatto Quotidiano che nelle prime due settimane dall’introduzione della riduzione del limite di velocità, gli incidenti sulle strade urbane sono calati del 21%.
In particolare “rispetto allo stesso periodo del 2023 si sono registrati 25 incidenti in meno, 14 incidenti in meno con feriti e un mortale in meno (nessuno nel 2024 mentre nel 2023 si era registrato un morto). E calano del 27,3% i pedoni coinvolti in incidenti. Un trend che avvalora le tesi e le statistiche delle associazioni che a gran voce da anni chiedono l’introduzione delle Città a 30 all’ora”.
Un morto in meno. Un essere vivente morto in meno in sole due settimane e 14 incidenti in meno con feriti. Vi basta? Su fonti e articoli, sulla pagina rassegna stampa di italiachecambia.org vi segnalo anche un altro articolo del Fatto Quotidiano che smonta – grazie al lavoro di Legambiente – le fake news sulle città 30. Leggetelo. Ne vale la pena.
Oggi 2 febbraio è anche la giornata mondiale delle zone umide. Mi stupisce sempre come esista una giornata mondiale per qualsiasi cosa. Ma al di là della mia battuta infelice, le zone umide sono davvero fondamentali per i nostri ecosistemi. Riporta Greenrepot come l’Italia – il cui governo, non dimentichiamolo, odia il pianeta – sia indietro nella difesa di queste aree. Il report Ecosistemi acquatici 2024 di Legambiente, infatti, riporta come in Italia tardino “ad arrivare efficaci misure per la tutela e la valorizzazione degli ecosistemi acquatici e delle zone umide, fondamentali nella mitigazione degli effetti dei cambiamenti climatici, nella conservazione della diversità biologica e nel garantire i principali servizi ecosistemici”.
Più avanti nello stesso articolo vengono riportate quattro proposte per i nostri governanti: Rafforzare e applicare normative ambientali per la protezione delle zone umide e degli ecosistemi acquatici; 2) Istituire nuove aree protette fluviali e nuove zone umide di interesse internazionale, a partire dalle 9 ancora in stallo; 3) Combattere le specie aliene invasive dei sistemi acquatici applicando le norme nazionali ed europee; 4) Contrastare l’inquinamento e le illegalità ambientali negli ecosistemi acquatici, a partire dalla piena applicazione del Regolamento UE 2021/57. Che dite, verranno adottate?
Nel frattempo i giornali riportano come Barcellona e la Catalogna siano già in emergenza idrica e anche la nostra Umbria si stia interrogando su come gestire i prossimi mesi. Tra le colture più colpite e che rischiano di scomparire troviamo la vite e quindi il vino. “Se non cambia niente, se non si fa niente – afferma Simone Bastianoni su Italia Oggi – le temperature si alzeranno e le proiezioni climatiche, più o meno al 2.100, dicono che l’Italia è un territorio dove il vino non si potrà fare più. Si salverà soltanto qualche pezzetto di paese. E se si va avanti così, gli effetti saranno sempre maggiori. Perché più passa il tempo, peggio diventa”.
Da anni il mio amico Cristiano Bottone mi spiega che probabilmente in futuro non ci sarà spazio per le coltivazioni dedicate al vino. In parte per i cambiamenti climatici e in parte per le crescenti difficoltà a coltivare che ci spingeranno a utilizzare ogni terreno disponibile per il cibo. Non è una questione di scelte, ma di necessità. La mia parte seria vuole quindi sottolineare come diventi fondamentale intervenire per mitigare il cambiamento climatico prima che sia troppo tardi. Quella meno seria è angosciata: se non cambiamo le cose, non potremo nemmeno ubriacarci di fronte agli effetti del cambiamento climatico…
L’ultima notizia del giorno la riporta l’Indipendente con un’intervista a firma Filippo Zingone con Alon Lee Green co-direttore, insieme a Rula Daood, di Standing Together. Di cosa parlano? Di Standing Together, un movimento di base che riunisce nella lotta contro l’occupazione militare dei territori palestinesi e la discriminazione razziale, la comunità araba e ebrea di Israele. Nato nel 2015, questo movimento, che oggi conta migliaia di militanti, ha preso un posizione forte sulla situazione attuale, organizzando marce e manifestazioni in tutta Israele per chiedere la pace. Partendo dall’idea che la società israeliana sia ormai in uno stato di profonda crisi, Standing Together vuole rappresentare chi non si sente rappresentato.
L’intervista è molto interessante perché mostra l’altro volto di Israele, quello degli abitanti che non sono rappresentati. Dice l’intervistato: “La maggioranza in Israele non è organizzata intorno a un nucleo di potere. Per esempio, la maggior parte delle persone hanno interesse ad alzare il minimo salariale, dato che molti israeliani lavorano molto e guadagnano molto poco in un paese estremamente caro. Il governo però non ha alzato il minimo salariale: non è questo nell’interesse della maggioranza delle persone? Lo è. Perché il governo non rappresenta il volere popolare? Perché ahimè il sistema non funziona e quindi dobbiamo cambiarlo. Lo stesso vale per la questione della pace. La maggior parte delle famiglie non ha interesse a mandare i propri figli in guerra e forse a morire. La maggioranza degli israeliani non supporta le colonie, ma vuole il loro smantellamento. Ma nonostante questo in qualche modo i figli degli israeliani si trovano mandati a proteggere queste colonie. Perché? Giusta domanda. Ma questo non vuol dire che le persone ne traggano qualche vantaggio. Lo stesso per quanto riguarda la guerra in corso, la maggior parte di noi vuole la pace. Una piccola minoranza in Israele detiene un grande potere politico per manovrare la realtà verso i propri interessi”.
So che vi stanno nascendo diverse obiezioni a quanto ho appena letto. Leggete l’intervista e troverete le sue risposte. Io penso che possa avere ragione. Anni fa ho avuto la fortuna di viaggiare tra Palestina e Israele e conoscere direttamente persone di questo tipo. Ma non solo. Quello che afferma Lee Green sembra esattamente quello che raccontiamo quotidianamente sull’Italia. Da un lato ci sono i governanti e i media. Dall’altra la realtà delle persone che vivono un Paese. Che spesso non sono rappresentate, ma che altrettanto spesso sono maggioranza. Forse è il momento di togliere il potere a chi lo esercita in determinati modi…
Chiudiamo la puntata con la giornata di Italia che Cambia. Oggi è venerdì ed è quindi il giorno della rassegna sarda. Prima si passare la parola ad Alessandro, vi ricordo che il venerdì è anche il giorno dell’inchiesta ligure. Vi invito quindi a leggere la nuova puntata del nostro approfondimento sulle navi da crociera. Vai Alessandro, parola a te!
#Padre Mio – Podcast
Italia che Cambia – La vita, l’universo e tutto quanto
#enel
L’Indipendente – L’Enel è stata condannata a risarcire una tribù di nativi americani
Financial Times – Osage Nation seeks damages from Enel over wind turbines on tribal land
#pesticidi
Il Salvagente – Frutto proibito: ananas, avocado mango con pesticidi vietati
Greenpeace – Inchiesta di Greenpeace e Public Eye: Italia, secondo maggiore esportatore di pesticidi vietati in Ue
#città30
Il Fatto Quotidiano – Bologna Città 30, dopo le polemiche il Comune pubblica i primi dati: “In due settimane incidenti calati del 21%”
Il Fatto Quotidiano – Trenta all’ora a Bologna, Legambiente smonta le fake news: “Non si impiega più tempo per spostarsi e si abbattono gli incidenti mortali”
#zoneumide
Greenreport – Giornata mondiale delle zone umide: Italia indietro su tutela e valorizzazione
Legambiente – Focus ecosistemi acquatici
Il Post – L’emergenza per la siccità è arrivata anche a Barcellona
#siccità
Il Fatto Quotidiano – Catalogna, emergenza siccità: acqua razionata a 6 milioni di persone, anche a Barcellona
GreenMe – Siccità record in Spagna, chiuse piscine e fontane ornamentali: la Catalogna dichiara lo stato di emergenza
Greenreport – La crisi climatica sta già cambiando l’agricoltura nazionale
#incendi
GreenMe – Corsa contro il tempo per salvare gli animali: fiamme fuori controllo stanno devastando le foreste della Colombia
#palestina e israele
L’Indipendente – Standing together: l’organizzazione che unisce arabi ed ebrei contro l’occupazione israeliana
#lagiornatadiICC
Sardegna Che Cambia – Dopo 33 anni Beniamino Zuncheddu è libero
Liguria Che Cambia – Arriva la nave da crociera più grande al mondo: ecco quanto inquina e quanto spreca