La notizia principale di oggi, che però è arrivata in tarda serata, quindi non è che sui giornali si trovino ancora queste grandi analisi, è che in Turchia si andrà al ballottaggio per eleggere il nuovo Presidente.
Il presidente uscente Recep Tayyip Erdogan, che era dato come leggermente sfavorito, è in realtà stato il più votato al primo turno, sebbene i risultati siano stati contestati dall’opposizione, il cui leader Kemal Kilicdaroglu ha definito lo spoglio una farsa, accusando fra le righe – ma nemmeno troppo fra le righe – di brogli e irregolarità.
Quando è iniziato lo spoglio Erdogan era partito da un vantaggio del 56%, vantaggio enorme ma effimero, dovuto al fatto che i primi dati ad arrivare sono stati quelli di piccoli villaggi dell’Anatolia. Un margine poi assottigliatosi gradualmente con l’arrivo dei dati dai grandi centri, più favorevoli a Kilicdaroglu.
Kilicdaroglu che ha avuto anche maggiori consensi – come era prevedibile – da parte dei turchi residneti all’estero. Ad esempio 17mila elettori turchi che si sono recati ai seggi in Italia lo hanno premiato con il 69% delle preferenze contro il 29% di Erdogan.
L’unico dato che mi sento di commentare è quello dell’affluenza. I giornali italiani non la nominano, forse per pudore, ma il dato che ho trovato su alcuni giornali stranieri parla dell’88%. Un voto che fa impallidire le nostre democrazie.
Adesso è tutto rimandato al 28 maggio, quando si sfideranno al ballotaggio appunto Erdogan e Kilicdaroglu.
Nel weekend si è votato anche in Thailandia, dove a differenza della Turchia abbiamo un risultato decisamente più netto, ma altrettante incertezze sul futuro. La premessa è che la Thailandia è guidata da una giunta militare dal 2014, anno in cui con un golpe è stata destituita dal potere la potentissima famiglia degli Shinawatra, che governa ininterrottamente da vent’anni.
Il governo militare ha poi condotto delle elezioni nel 2019, ma solo dopo aver modificato la legge elettorale in modo da essere riconfermato. A questa tornata però i militari erano dati troppo per sfavoriti, anche dai sondaggi. Queste elezioni erano quelle che sulla carta dovevano riportare al potere la famiglia Shinawatra, ma qualcosa è andato diversamente. Vi leggo come Irene Soave descrive l’esito delle elezioni sul Corriere della Sera: “Si è riscritto la legge elettorale, e nel 2019 è stato riconfermato. Ha sciolto partiti rivali. Ha represso le proteste del 2020, e ne è seguita un’impennata di condanne per reati di opinione. Ieri però la Thailandia ha votato. E il generale Prayut Chan-o-cha, primo ministro dal 2014 salito al potere con un golpe, ha ricevuto l’atteso schiaffo, ottenendo solo il 5,7% dei voti.
Dallo spoglio dei voti trionfano i due principali partiti d’opposizione. Si tratta, nell’ordine, del «nuovo che avanza» di Move Forward, partito antimonarchico nato sulle ceneri del Future Forward dissolto dalla giunta nel 2019, animatore delle proteste pro-democrazia. E del populista Pheu Thai, che avrebbe voluto riportare al potere la dinastia dei milionari Shinawatra, la cui ultima esponente, Yingluck, è stata cacciata nel 2014 proprio dal golpe di Prayut. Insieme, sulla carta, le due forze raggiungerebbero i 367 seggi necessari per governare. E chiudere quasi un decennio di giunta militare.
Insomma, a sorpresa a vincere le elezioni è stato un partito che potremmo definire antisistema e prodemocrazia, cosa anomala in Thailandia. Move Forward si aggiudicherà 115 seggi, e 31 della quota proporzionale. Il Pheu Thai di Shinawatra se ne aggiudicherà 111 più 25.
Ma chi sono i candidati di Move Forward? Come spiega ancora l’articolo “Sono giovani outsider, dai cognomi qualunque, dalle magliette arancioni e dal soprannome di taa sawang, «occhi aperti». Aperti rispetto a temi che per le generazioni precedenti sono state tabù, come la critica alla monarchia, e alla giunta. Il dissolto partito da cui nascono, Future Forward, aveva in Parlamento un terzo dei seggi. Protagonisti delle seguenti proteste del 2020 contro il re, hanno fatto campagna in bicicletta e sui social, guadagnandosi la fiducia anche di molti non più giovani, ma stufi della giunta. E del re.
«Aboliremo la legge sulla lesa maestà», ha ribadito ieri il loro leader. La legge è tra le più severe al mondo, e prevede che chi critichi il re o le istituzioni che lo appoggiano rischi pene fino a 15 anni. A marzo è finito in galera (due anni, senza condizionale) un loro attivista, Narathorn Chotmankongsin, che vendeva immaginette di un anatroccolo. Nel codice dei dissidenti è una caricatura del sempre più impopolare Vajiralongkorn, il sovrano più ricco al mondo, che con la sua Dynasty di concubine e la permanenza troppo prolungata nel suo castello in Baviera si è guadagnato il disprezzo di molti sudditi”.
Ora però il nodo è: i due partiti governeranno assieme? perché hanno programmi praticamente opposti e sono accomunati solo dalla volontà di mettere fine alla giunta militare. C’è tempo per le alleanze di qui all’estate, quando i 500 deputati della Camera Bassa rinnovata ieri e i 250 senatori nominati dalla giunta esprimeranno il premier. E c’è tempo, notano gli analisti, anche per una controffensiva autoritaria di Prayut, già dimostratosene capace.
Tuttavia l’affluenza alle urne, altissima tra i 52 milioni di aventi diritto al voto in 77 province, è stata un messaggio chiaro. A Bangkok ha votato più del 75%. A Chiang Mai si sono registrate code di ore. Tra chi poteva votare in anticipo, lo ha fatto il 90%. Insomma, i tailandesi e le tailandesi sembrano aver molta voglia di aria nuova. Di andare avanti.
Restiamo in tema politico ma abbandoniamo quello elettorale. Micaela Farrocco e Valentina Petrini raccontano su Millenium, il settimanale del Fatto Quotidiano, l’avanzata delle assemblee deliberative estratte a sorte in Europa. “Non si candidano, dunque non vengono eletti. Non fanno comizi, né ricoprono incarichi politici. Sono solo cittadini estratti a sorte, sulla base di criteri socio- statistici e demografici (sesso, età, tipo di area urbana, regione di provenienza, livello di istruzione e categoria socio-professionale). Assemblee, comitati, consigli, di uomini e donne sorteggiati, rappresentativi di una comunità più ampia: la loro. Compito? Deliberare in maniera più veloce e precisa su specifici argomenti di interesse pubblico su cui i Parlamenti invece da tempo sono bloccati. Si chiama democrazia aleatoria. L’innovazione sta investendo l’Europa. E in Italia non ce ne siamo accorti”.
Le autrici parlano di democrazia aleatoria, mentre in questa sede abbiamo parlato spesso di democrazia deliberativa, ma il concetto è praticamente lo stesso. Diciamo che la definizione di democrazia aleatoria si concentra più sul metodo usato per comporre i gruppi, il sorteggio appunto, mentre la definizione democrazia deliberativa si concentra sull’obiettivo dei gruppi, che è deliberare, ma possiamo dire con un poì di approssimazione che stiamo parlando della stessa cosa.
Definizioni a parte, il quadri dipinto dall’articolo è interessante. Vi leggo qualche altro passagio: “Per combattere l’astensionismo e la sfiducia nei confronti delle elezioni in molte democrazie europee si sta tentando di coinvolgere la popolazione e riaccendere la passione della partecipazione, attraverso il sorteggio statistico e mettendo in moto la coscienza collettiva con la deliberazione. Ad aprile scorso in Irlanda è iniziato il terzo esperimento simile per riformare la legge sulle droghe; a Lisbona si è chiuso da poco il secondo Consiglio dei cittadini (voluto da un’amministrazione di centrodestra) per ridisegnare la mobilità della città. In Francia, dopo l’assemblea sul clima dello scorso anno, Macron – prima di finire nell’occhio del ciclone per la riforma delle pensioni imposta contro il volere popolare – ha affidato alla Convention citoyenne sur la fin de vie (Convenzione dei cittadini sul fine vita) il compito di riscrivere la legge sul fine vita: una riforma molto sentita dai francesi. In Germania il numero delle assemblee cittadine locali estratte a sorte, così come le iniziative per istituirle, è cresciuto costantemente negli ultimi anni. A settembre si aggiungerà la prima assemblea cittadina ufficiale a livello federale. Esperienze analoghe sono in corso inoltre in Spagna, Svizzera, persino nei Balcani.
Il caso più interessante è quello del Belgio in cui attualmente sono addirittura quattro i comitati cittadini deliberativi costituiti con il sorteggio. In Ostbelgien, il cantone tedesco, da questo mese i sorteggiati sono chiamati a discutere e fornire proposte sul tema dell’integrazione dei migranti. A Bruxelles, invece, oltre all’Assemblea permanente sul clima, composta da cento cittadini, che cambiano ogni anno, si sono da poco insediate altre due importanti esperienze: quella sul finanziamento pubblico dei partiti e quella per definire i nuovi limiti del rumore in città. Il dibattito in questi Paesi appena citati è talmente avanti rispetto all’Italia che tra i sostenitori della democrazia deliberativa non si discute più se il sorteggio sia o no un metodo scientifico adeguato, piuttosto ci si confronta su quale tipo di estrazione a sorte è più conforme alla dottrina”.
E in Italia? Almeno per adesso tutto tace. Come ricostruisce l’articolo. “In Italia in principio fu Beppe Grillo a parlarne. Scatenò reazioni ironiche e paure antisistema. Poi è toccato ad Enrico Letta che da docente di Scienze politiche a Parigi disse: visto che la democrazia rappresentativa è in difficoltà, perché non provare ad affiancarle forme nuove di partecipazione e deliberazione basate sulla sorte? Ma parlava da docente, da segretario del Pd non ha mosso (o non ha potuto muovere?) un dito in questa direzione. Sono passati anni anche dalla presa di posizione dell’Economist che invitò i politici a non aver paura e a “prendere sul serio le Assemblee di cittadini, perché possono risolvere problemi che i professionisti della politica hanno paura di affrontare”, ma nulla è cambiato in casa nostra.
Il tema è sempre tabù, nonostante gli elettori continuino a diminuire elezione dopo elezione. Ma laddove la sperimentazione di questi modelli è stata fatta, cosa ha prodotto? In Irlanda, grazie al lavoro di un’Assemblea di cento cittadini (mescolati a politici eletti) è stata varata per esempio la riforma sui matrimoni gay e la legalizzazione dell’aborto (fino ad allora reato). Tutti temi su cui i condizionamenti etico-religiosi, nonché le divisioni partitiche, rallentano le riforme.
Chissà se questo articolo può essere un inizio di dibattito.
Andiamo in Ecuador per un’altra notizia molto interessante. L’Ecuador ha infatti ha appena concluso un accordo del tipo debt for nature, in cui si impegna a destinare ingenti risorse – parliamo di un miliardo e mezzo di euro – per la conservazione e la protezione della biodiversità delle Galapagos, arcipelago che ospita oltre 3.000 specie (di cui molte a rischio estinzione) ed è un vero e proprio paradiso per fauna, flora e persino coralli che sono stati recentemente scoperti in profondità.
Ma in cosa consiste il debt for nature? Lo spiega su La Svolta Giacomo Talignani: “Di fatto si tratta di un accordo tra uno Stato e più soggetti che detengono il suo debito sovrano: anziché ripagare il debito, lo Stato e i suoi creditori si accordano per stralciare una parte di questo a condizione che le risorse tornate disponibili vengano investite in progetti di conservazione.
In sostanza, il debito viene venduto dai soggetti detentori a delle Ong e associazioni che lo cancellano previa acquisizione delle garanzie ambientali.
In questo modo l’Ecuador ha convertito quasi 1,5 miliardi di euro di debito in un prestito a favore della natura che sarà rimborsato nei prossimi 18 anni mentre il Paese fornirà circa 16 milioni di euro all’anno per politiche di conservazione.
Quando nel 2040 le operazioni termineranno, l’Ecuador spiega che le risorse derivanti da investimenti stabili e rimborsi dovrebbero essere sufficienti per continuare a finanziare la conservazione allo stesso livello.
Come ha dichiarato Pablo Arosemena Marriott, ministro dell’Economia e delle Finanze «Si tratta della più grande operazione di scambio di debiti a favore di risorse naturali uniche al mondo. Questa strategia riduce il debito pubblico, aumenta la stabilità fiscale e crea opportunità per soddisfare bisogni di base come l’assistenza sanitaria e l’istruzione».
Ora, come sempre bisogna stare molto attenti quando applichiamo strumenti finanziari alla risoluzione di problemi naturali, tuttavia mi sembra che se fatta con testa, questa operazione potrebbe essere una cosa intelligente. Anche alle nostre latitudini, visto che l’Italia ha il rapporto deficit-Pil più alto dell’Eurozona e un alleggerimento del suo debito pubblico non sarebbe male. Soprattutto in questa chiave.
E visto anche che, come raccontano i dati dell’ultimo rapporto di WWF Italia sulla biodiversità nel nostro paese, la situazione è molto preoccupante. Il 68% degli ecosistemi italiani in pericolo, il 35% in pericolo critico, il 30% delle specie di vertebrati e il 25% delle specie animali marine rischiano l’estinzione. Quindi ecco, forse potrebbe essere una buona idea.
Sabato abbiamo pubblicato la nuova puntata di INMR+ sul Burkina Faso, un paese quasi sconosciuto, ma che ci racconta tanto di quello che succede nel mondo contenmporaneo. Un paese dal passato coloniale, patria di uno dei pi+ grandi personaggi politici di tutti i tempi, Thomas Sankara, un paese estremamente pacifico e tollerante che però negli ultimi anni, in concomitanza con la scoperta di nuove preziose risorse, è stato scosso da parecchie turbolenze interne, terrorismo, pressioni straniere di grandi potenze come Russia, Cina, Stati Uniti e Francia, colpi di stato.
Abbiamo parlato di tutto ciò in compagnia di Michele Dotti, profondo conoscitore di questo stato. Ecco, la novità è che quasi in concomitanza con l’uscita della puntata c’è stato un fatto abbastanza eclatante, un attentato terroristico molto grosso, in cui almeno 33 civili sono stati uccisi.
Come racconta il Post l’attacco è avvenuto “nella regione del Boucle du Mouhoun, nell’ovest del paese. Lo ha fatto sapere il governatore locale, Babo Pierre Bassinga. Le persone uccise si trovavano nel villaggio di Youlou quando sono state attaccate da un gruppo di miliziani armati in motocicletta, probabilmente facenti parte di gruppi islamisti radicali.
Se volete scoprire di più su questo paese, e se siete abbonati, vi raccomando la nuova puntata di INMR+. Ah non sei abbonato? Ahhh, mi dispiace. Ma puoi rimediare eh!
Venerdì a Roma c’è stata la prima udienza per i tre giovani di Ultima Generazione che lo scorso 2 gennaio imbrattarono la facciata della sede del Senato a Roma. Conclusasi con un nulla di fatto e un rinvio a ottobre da parte del giudice.
Fuori dal tribunale, in Piazzale Clodio, c’è stato un presidio di solidarietà a cui hanno partecipato, per portare il loro sostegno a Ultima Generazione, esponenti di Greenpeace, Amnesty International, Extinction Rebellion, Fridays for Future e anche Cgil.
Per i ragazzi imputati rimane l’accusa di danneggiamento aggravato e rischiano fino a 5 anni di reclusione e 15.000 euro di multa, nonostante l’azione del 2 gennaio non abbia causato danni alla facciata, ripulita subito dopo.
Fuori dal tribunale però gli attivisti e attiviste hanno mandato un messaggio chiaro, riportato ancora da Giacomo Talignani su la Svolta: «Non ci fermeremo. Non è forse violenza la mancanza d’acqua, di cibo e povertà legate alla crisi del clima?», hanno detto rivolgendosi a chi accusava loro di utilizzare metodi violenti.
Sempre su la Svolta Giorgia Colucci racconta invece un’iniziativa di disobbedienza civile portata avanti dal gruppo di scienziati di Scientist rebellion, che ho trovato interessante: “Spazzoloni, secchi e stracci: sono le armi del gruppo di 20 attivisti che, con un’azione di protesta simbolica, ha pulito a Zurigo la facciata di una delle filiali della banca svizzera Ubs. L’istituto finanziario, da qualche settimana sotto i riflettori per la sua fusione con Credit Suisse, è sotto accusa per i suoi investimenti nel settore dei combustibili fossili. Secondo l’agenzia americana Bloomberg, dal 2015, anno dell’Accordo di Parigi, i prestiti a compagnie del carbone o del petrolio (come Glencore o TotalEnergies) ammontano a 6,4 miliardi di dollari.
L’azione fa parte di una campagna più ampia contro i finanziamenti brown promossa da Scientist Rebellion, gruppo internazionale di scienziati ambientalisti: manifestazioni parallele si sono tenute in diverse città europee; in Italia, davanti al ministero dell’Università e della ricerca a Roma.
Infine segnalo che ieri e questa mattina si vota per le elezioni amministrative per rinnovare sindaco e consiglio comunale in 595 comuni italiani, tra cui 12 capoluoghi di provincia e un capoluogo di regione, Ancona. Insomma, con ogni probabilità domani ci tocca una puntata molto elettorale.
#Turchia
la Repubblica – Elezioni in Turchia, gli aggiornamenti in diretta. Erdogan sotto il 50%. L’opposizione contesta i risultati. Secondo turno il 28 maggio
#Thailandia
Corriere della Sera – Thailandia, schiaffo alla giunta militare (e al re): vincono Shinawatra e i ribelli di Move Forward
#democrazia deliberativa
il Fatto Quotidiano – Dal fine vita al clima, in Europa avanza la democrazia dei sorteggiati. Che decide al posto dei politici. Su FQ MillenniuM in edicola
#Galapagos
la Svolta – Ecuador, un Paese a credito nei confronti della natura
#Ultimagenerazione
La Svolta – Ultima Generazione: processo aggiornato a ottobre
#scientist rebellion
la Svolta – Gli attivisti climatici “puliscono” la banca Ubs dai fossili
#Burkina Faso
il Post – Almeno 33 civili sono stati uccisi in Burkina Faso durante un attacco armato nella regione del Boucle du Mouhoun
#biodiversità
GreenMe – In Italia la biodiversità sta morendo, i dati shock nell’ultimo report di WWF Italia
#elezioniamministrative
il Post – Si sta votando per le amministrative in quasi 600 comuni
#insalata
L’Indipendente – La difesa italiana dell’insalata in busta è insensata, per l’ambiente e la salute
#Cina
Rinnovabili.it – Emissioni della Cina da record. Ma il picco potrebbe già essere nel 2023
#Bangladesh
il Post – In Bangladesh stanno evacuando circa mezzo milione di persone per via di un potente ciclone tropicale
#Pfas
The Guardian – Societal cost of ‘forever chemicals’ about $17.5tn across global economy – report