11 Mar 2024

Elezioni regionali Abruzzo, vince Marsilio di centrodestra (e la cementificazione?) – #894

Scritto da: Andrea Degl'Innocenti
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In Abruzzo ha vinto il candidato di destra, e attuale Presidente Marco Marsilio, noto soprattutto per aver sostenuto che la regione che amministra è bagnata da tre mari, ma con pericolose tendenze alla cementificazione. Parliamo anche di come sono andate le elezioni in Portogallo, di una nuova legge della provincia di Trento sull’abbattimento degli orsi, delle manifestazioni per l’8 marzo e del voto in Irlanda per cambiare la Costituzione sessista, che alla fine non è stata cambiata.

Ci sono state le elezioni in Abruzzo. E ha vinto, con un margine superiore alle aspettative, il candidato della coalizione di destra nonché attuale Presidente della regione Marco Marsilio. Anche qui, come in Sardegna, c’è stata un’affluenza di circa il 52% dei votanti, in leggero calo rispetto a cinque anni fa, quando era stata del 53%.

Nel momento in cui registro questa puntata lo spoglio non è ancora del tutto terminato, ma i risultato sono abbastanza assodati, con appunto Marco Marsilio, di FdI e supportato da tutta la coalizione di centro destra, che ha vinto con circa 10 punti di vantaggio, 55 contro 45, rispetto a Luciano D’Amico, l’unico altro candidato, supportato da Pd, M5S, e diciamo tutto il centrosinistra.

Ovviamente è tutto molto a caldo e i giornali non pubblicano particolari analisi del voto, magari domani ne parliamo meglio. Qualcosa però lo possiamo dire sul vincitore nonché Presidente in carica. Probabilmente ne avrete sentito parlare in questi giorni pr la gaffes con cui è diventato virale, gaffe effettivamente di dimensioni abbastanza epiche. Nei giorni precedenti alle elezioni infatti è girato molto in rete il video in cui il politico sostiene che l’Abruzzo – regione di cui, ribadisco se non fosse chiaro, è presidente della giunta regionale – sia l’unica regione d’Italia ad essere bagnata da 3 mari. Ha detto, per l’esattezza: “L’Abruzzo è l’unica regione che si affaccia su due mari, anzi su tre mari compreso lo Ionio – quindi tra l’Adriatico, il Tirreno e lo Ionio – è l’unica regione che non ha una Autorità di sistema portuale”.

Io nel dubbio sono andato a ricontrollare per verificare se non l’avessero spostata, ma google maps dice che sta sempre lì, e di mari è bagnata da uno solo. Però vabbé, diciamo che si è confuso. Più grave è invece che sempre nei giorni prima del voto, abbia provato a far passare una legge che distruggeva un intero parco naturale. 

Come racconta Alessandro De Angelis su HuffPost: “Il presidente dell’Abruzzo è il regista di un’operazione volta a cancellare la famosa riserva naturale di Roseto e mettere le basi di una cementificazione selvaggia. 

Si tratta di uno dei luoghi più suggestivi della costa abruzzese: 1100 ettari tra Roseto degli Abruzzi e le frazioni di Cologna Spiaggia e Montepagano (provincia di Teramo), insomma mare e collina ancora integre dal punto di vista ambientale. E protette dai fenomeni di urbanizzazione. C’è anche il famoso uccello fratino, specie a rischio di estinzione, che si aggira per le dune.

Ebbene, alla fine dell’anno scorso, con un emendamento approvato a notte fonda nelle pieghe della legge di bilancio regionale, la maggioranza che sostiene Marco Marsilio l’ha quasi cancellata del tutto, tagliando 976 dei circa 1100 ettari. Ne restano così circa 25 (la parte a ridosso del mare), mentre il resto viene liberato dai vincoli, scatenando così gli appetiti dei palazzinari. La modalità è piuttosto spiccia: zero confronti, nessuna consultazione preliminare, nessuna valutazione né sull’impatto ambientale (prevista dalla legge quadro del 1991 sulle aree protette), né sulle conseguenze anche in termini di perdita di finanziamenti per le attività sostenibili nelle riserve. 

Scoppia il classico putiferio in cui mezzo mondo, dalle opposizioni, al Wwf alla stazione ornitologica abruzzese denuncia profili di incostituzionalità. 

E, come racconta ancora il giornalista, quando c’è un odore di incostituzionalità, per competenza, in casi come questo, se ne occupa l’ufficio legislativo del Ministero della Cultura, che ha sessanta giorni di tempo dalla pubblicazione della legge sul Bollettino della Regione per impugnarla. 

E quindi è toccato al ministro della Cultura Sangiuliano, della stessa maggioranza che supporta Marsilio a queste elezioni, mandare una letterina in cui diceva che sì, la legge regionale violerebbe la Costituzione per almeno tre motivi. Infatti viene meno la tutela paesaggistica, in più la legge è illegittima perché non ha rispettato il procedimento, essendo stata approvata senza coinvolgere gli enti territoriali interessati e infine innesca un meccanismo micidiale per la riserva, che porterebbe appunto alla cementificare senza regole.

Insomma, un bel pasticcio in campagna elettorale. Amplificato dal fatto che, a questo punto, la legge non si può cambiare perché la Regione è in prorogatio. Resta solo la strada dell’impugnazione, da parte del governo Meloni, che ha due mesi di tempo. E probabilmente lo farà, anche se ha aspettato l’esito delle elezioni per non compromettere la campagna elettorale del suo stesso candidato.

Al netto di tutto ciò, la vittoria di Marsili non è una buona cosa, a occhio e croce, per le questioni ambientali, soprattutto in una regione come l’Abruzzo, che ospita tre dei più importanti parchi nazionali d’Italia ed è al primo posto fra le regioni del nostro paese per percentuale di superficie protetta, pari al 37% del territorio regionale.

Ieri, domenica 10, si è votato anche in Portogallo per le elezioni generali indette a tempo di record dopo le dimissioni del primo ministro António Costa, a novembre, per un caso di presunte tangenti pagate per lo sfruttamento di due miniere di litio a Montalegre, Nord del Portogallo. 

L’Alleanza Democratica, di centro-destra – una piattaforma elettorale composta dal partito socialdemocratico (PSD) e da due partiti conservatori più piccoli – era data ampiamente in vantaggio nei primi exit poll, ma poi con l’arrivo dei risultati reali il divario con il Partito socialista si è ridotto, con l’Alleanza di centro-destra che ha mantenuto un piccolo vantaggio, di meno di un punto percentuale, per cui i giornali parlano di un sostanziale pareggio.

A colpire però è l’impennata elettorale del partito di estrema destra Chega di André Ventura, che apre alla possibilità che il partito possa giocare un ruolo chiave nella formazione di una nuova possibile amministrazione di centro-destra.

Prima del voto il leader del centrodestra Luís Montenegro ha esplicitamente escluso qualsiasi accordo con Chega a causa di quelle che definisce le posizioni “spesso xenofobe, razziste, populiste ed eccessivamente demagogiche” di Ventura. Ora c’è da capire se alla luce dei risultati terrà fede alla sua promessa, visto che, come riporta il Guardian, è probabile che ora subisca notevoli pressioni da parte del suo stesso partito affinché lo faccia.

Comunque, anche qui, come nel caso dell’Abruzzo, sono risultati a caldo, per analisi più approfondite ci aggiorniamo domani. 

Si torna a parlare di orsi. È sempre la provincia Trentino, come spesso capita, ad essere in prima linea in quella che sta diventando una specie di guerra – come ogni guerra molto ideologica – della nostra specie (anzi di una parte della nostra specie) contro i pochi grandi carnivori rimasti in Italia. L’oggetto della notizia, questa volta, è una nuova legge che vuole abbattere 8 orsi all’anno per stabilizzare la popolazione. 

Tutto succede nella tarda serata del 4 marzo, quando il consiglio della Provincia autonoma di Trento  approva con 19 sì, 11 astenuti e 2 soli contrari  il disegno di legge sull’abbattimento degli orsi presentato da un assessore leghista.

Il DDL, come racconta Greenreport, prevede l’abbattimento di 8 orsi all’anno per i prossimi 3 anni per «Assicurare la pubblica sicurezza e la tutela dell’economia di montagna». Fra l’altro nella stessa seduta è stato approvato anche un altro emendamento, che al momento non avrà particolari ricadute pratiche ma che rientra nella stessa battaglia ideologica, che prevede di richiedere alla Ue di togliere i lupi dall’elenco delle specie protette.

Comunque, tornando alla questione degli orsi, come facciamo spesso ultimamente, ho chiesto a Chiara Grasso, etologa, divulgatrice e fondatrice di Eticoscienza, di dirci la sua su questo provvedimento. A te Chiara.

Audio disponibile nel video / podcast

Grazie davvero Chiara, fra l’altro se vi interessa seguire questo genere di argomenti, Chiara Grasso fa un lavoro eccellente di divulgazione e spiegazione dei temi che riguardano soprattutto il rapporto fra Sapiens e altre specie animali sui suoi canali social, soprattutto su Instagram, e sui suoi siti web che vi lascio sotto fonti e articoli (https://www.eticoscienza.it/ e https://www.chiaragrassoetologa.it/).

Comunque, restando in tema, aggiungo anche, come segnalato dall’ex magistrato Gianfranco Amendola sul suo blog sul Fatto Quotidiano che sebbene gli anni passino, “”l’Italia continua a detenere il non invidiabile primato di paese più inadempiente nel campo delle leggi comunitarie di tutela ambientale. A febbraio 2024, secondo i dati comunicati dal Dipartimento per le politiche europee, risultano aperti a nostro carico ben 71 procedimenti di infrazione di cui 18 per violazione della normativa ambientale.

E non si tratta robe di poco conto. I casi più recenti riguardano il mancato recepimento delle direttive sui gas ad effetto serra e per la riduzione dell’inquinamento da aerei, nonché la violazione delle direttive sugli uccelli e habitat per la protezione della natura.

Alcune di queste violazioni sono molto recenti, come quella per aver attribuito alle Regioni il potere di autorizzare l’uccisione o la cattura di specie di fauna selvatica, anche in aree in cui è vietata la caccia, come le aree protette, e durante il periodo dell’anno in cui la caccia è vietata”, oltre a non rispettare i limiti imposti per i pallini con piombo delle cartucce dei cacciatori.

E oltre alla questione ambientale (fra l’altro il paradosso è che da nemmeno due anni abbiamo la tutela dell’ambiente in costituzione, ma la situazione sembra persino peggiorata) c’è una questione economica non da poco, perché le infrazioni europee costano al nostro bilancio statale un sacco di soldi.

È stato un 8 marzo di mobilitazione in varie parti del mondo, quello di quest’anno. Venerdì varie città sono state animate da manifestazioni per i diritti delle donne e non solo. In molte città italiane sono state sventolate bandiere palestinesi e sono stati lanciati messaggi di sostegno alle donne palestinesi.

A Parigi, durante una manifestazione organizzata per la Giornata internazionale della Donna dell’8 marzo, è scoppiata una rissa tra manifestanti pro Israele e altri pro Palestina. In Iran alcuni video hanno mostrato due giovani donne arrestate in piazza mentre ballavano. 

In Irlanda invece i cittadini e le cittadine hanno festeggiato in maniera, diciamo, un po’ particolare. Si è votato infatti in un referendum costituzionale che voleva rendere la costituzione del paese meno sessista. Solo che ha vinto il NO.

Erano due i quesiti in questione: il primo proponeva di allargare il concetto di “famiglia fondata sul matrimonio” inserito nella Costituzione del 1937 a ogni forma di “relazione duratura” e di “convivenza fra coppie o con i figli”; mentre il secondo puntava a eliminare l’articolo che fissa come un dovere “la cura domestica” da parte della donna. Un articolo detto women at home, contestato fin dal suo inserimento in costituzione negli anni 30 del secolo scorso, pensate voi.

E devo dire che il risultato è arrivato un po’ a sorpresa, come una dccia fredda, perché la gran parte dei partiti rappresentati al parlamento irlandese, sia di governo che di opposizione, era esplicitamente favorevole a entrambi i referendum. E anche i sondaggi dicevano che i cittadini e le cittadine erano in maggioranza propense a votare “Sì” a entrambi i quesiti costituzionali.

Unica voce fuori dal coro, ma non di poco conto in un paese molto cattolico come l’Irlanda, era appunto la Chiesa cattolica. A febbraio in tutte le chiese cattoliche del paese, durante la messa, era stata letta una dichiarazione dei vescovi in cui è stato chiesto di votare “No” a entrambi i referendum perché le modifiche proposte metterebbero in discussione il valore della vita familiare e quello della maternità.

A pesare, potrebbe essere stato anche la scarsa affluenza, attorno al 40%. Insomma, è possibile che siano andate a votare le persone molto motivate, quindi contrarie, e che ci fosse una maggioranza di persone favorevoli ma meno motivate, di cui una buona parte non è andata a votare.

Come al solito, parola al nostro direttore Daniel Tarozzi per gli articoli più interessanti di oggi su ICC

Audio disponibile nel video / podcast

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