8 Lug 2024

Clamoroso in Francia: vince la sinistra, Le Pen terza anche dopo Macron – #963

Scritto da: Andrea Degl'Innocenti
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Dopo che l’estrema destra di Le Pen aveva trionfato al primo turno, ai ballottaggi il risultato è clamorosamente ribaltato e a vincere è la coalizione ci sinistra, che ottiene il maggior numero di seggi in parlamento davanti al partito di Macron. Le Pen e Bardella arrivano addirittura terzi in un voto su cui ha influito l’affluenza altissima e una specie di accordo di desistenza fra sinistra e Macron. Ma che succede adesso? Parliamo anche dell’elezione del nuovo presidente dell’Iran, che è un riformista per la prima volta da molti anni, cercando di capire se questo potrà cambiare qualcosa, delle prime mosse di Keur Starmer da premier britannico del nuovo fascicolo aperto su Chico Forti che sembrerebbe aver tramato ai danni di Travaglio e Lucarelli dal carcere e infine di inquinanti eterni, i PFAS.

In Francia è successo l’imprevedibile, un risultato che ha del clamoroso. Complice un’affluenza altissima i partiti di sinistra francesi, riuniti in un’alleanza che sembrava un po’ improvvisata nata solo 3 settimane fa sotto il nome di NFP hanno ottenuto il maggior numero di seggi all’Assemblée Nationale, il parlamento francese, nel secondo turno delle elezioni parlamentari anticipate. L’estrema destra, che aveva dominato il primo turno al punto che il dubbio non era tanto se avrebbe vinto ma di quanto e se avrebbe raggiunto o meno la maggioranza dei seggi, è arrivata addirittura terza, con 143 seggi, dietro anche alla coalizione del presidente Emmanuel Macron che ne ha ottenuti 168 e ben al di sotto delle aspettative.

Ieri sera, alla diffusione dei primi exit poll migliaia di persone si sono riversate in Place de la République a Parigi a festeggiare, una festa che però si è trasformata in una serata di scontri e cariche tra manifestanti, black block e poliziotti, con incidenti che si sono registrati anche in altre città del Paese.

Dopo che i primi exit poll hanno dato in testa il Nuovo Fronte Popolare, una folla si è radunata nella piazza parigina. Leggo sul Messaggero: partendo da Place des Fêtes, dove si svolgeva una kermesse antifascista, un gioioso corteo è sceso lungo rue de Belleville, accompagnato da una banda e da sempre più persone, tra gli applausi della gente alle finestre. 

Il popolo della gauche, migliaia di persone, ha festeggiato una vittoria insperata con le famiglie, spesso con bambini piccoli, tantissimi giovani e giovanissimi in un ambiente festoso, con bandiere e cori per la sinistra e contro Marine Le Pen ed Emmanuel Macron. Fra gli slogan, «Tutti odiano Bardella» e «abbiamo vinto». E al centro della piazza, è stato dispiegato lo striscione «La Francia è un tessuto di migrazioni».

In serata, però, la festa è degenerata in violenza: stando a giornalisti di Le Figaro sul posto, le prime cariche della polizia sono avvenute a est di Place de la République, nei confronti di gruppi di individui incappucciati che cercavano di provocare gli agenti. Arredi urbani sono stati dati alle fiamme e sono state lanciati fuochi d’artificio e altri oggetti contro gli agenti che hanno risposto con gas lacrimogeni. Scontri e lancio di Molotov sono stati segnalati anche a Rennes e Nantes.

Comunque, festeggiamenti e scontri a parte, facciamo qualche considerazione partendo da un articolo dello scrittore Gigi Riva su Domani. Il primo dato, è che forse non era così impronosticabile questo risultato, dato che è la quarta volta che succede una cosa del genere. Le altre 3 volte era successo alle presidenziali, ma il meccanismo è simile. Primo turno in cui l’estrema destra vince, elettorato che si spaventa e secondo turno che ribalta il risultato iniziale. 

Su questo risultato hanno sicuramente inciso due fattori. Il primo è l’affluenza, altissima, non c’è il dato definitivo ma probabilmente superiore al 67%, un record per il nuovo millennio, dobbiamo tornare al 97 per trovare qualcosa di simile. Il secondo fattore è stata l’alleanza strategica fra Ensemble di Macron e il NFP in cui le due liste hanno deciso di non rubarsi voti a vicenda nelle varie circoscrizioni ritirando il candidato più debole, e cercando così di penalizzare Le Pen nei secondi turni. 

Un accordo che in realtà ha avuto decine di defezioni (da parte dei macroniani) ma che comunque ha funzionato. Forse hanno pesato anche la sorta di involontario endoorsment del ministro degli Esteri russo Seghei Lavrov a favore di le Pen e le decine di dichiarazioni razziste, omofobe o xenofobe dell’ultima settimana da parte di candidati del RN.

Certo, come commenta ancora l’articolo di Domani, ora sarà difficile dare un governo alla Francia visto il parlamento è sostanzialmente spaccato in 3 grossi blocchi, sinistra, macroniani e estrema destra e visto che continua un’avversione reciproca nel possibile campo largo dei vincitori tra il presidente della Repubblica Emmanuel Macron e uno dei leader, il più in vista, del Nuovo Fronte popolare Jean-Luc Mélenchon, di sinistra radicale, e fin dalle prime parole dopo i risultati molto esplicito nel criticare soprattutto la politica economica del Capo dello Stato e in particolare la legge che ha innalzato l’età delle pensioni a 64 anni.

A destra la sconfitta è un po’ indorata dal fatto che comunque non aveva mai raggiunto un consenso così alto e così tanti seggi in Parlamento. Mentre la sinistra, finiti i festeggiamenti, ci sarà comunque da capire il da farsi, e non sarà semplice perHè la grossa coalizione che tiene assieme dal centrosinistra, ai verdi, ai comunisti, alla sinistra radicale di Mélenchon, non ha una visione unica. 

A sinistra servirà anche un momento per riflettere sugli errori endemici, le divisioni che ne hanno causato le debacle in passato, la mancanza di una visione ideologica adeguata ai tempi che sono cambiati. Scrive ancora Riva che “Non potrà a lungo funzionare la solita emergenza della ventitreesima ora contro il pericolo fascista, quando si avverte il nemico alle porte”.

È l’ora di passare dall’essere contro all’essere pro, elaborare una proposta capace di convincere in positivo gli elettori. Avendo particolare riguardo per i temi economici, la perdita di potere d’acquisto dei salari, il rilancio dello stato sociale, l’attenzione a sanità e scuola, le note dolenti che hanno causato una diminuzione di fiducia nello Stato un tempo proverbiale, tanto che l’aggettivo più usato per definire i francesi è «sciovinisti».

Si dovrà occupare, la sinistra, anche della ricomposizione della frattura fra città e campagna, fra città e periferie e di tante altre questioni. Vedremo cosa succederà nei prossimi giorni, finiti i festeggiamenti.

C’è stato il ballottaggio anche in Iran per l’elezione del nuovo Presidente dopo la morte di Raisi in un incidente in elicottero. E a dispetto delle previsioni, ha vinto il candidato più moderato e riformista, Massoud Pezeshkian, che a sorpresa ha battuto, con il 53,3 per cento dei voti il candidato ultraconservatore Saeed Jalili.

Ci sono un bel po’ di cose da dire su queste elezioni, sia sulla vittoria in sé di un riformista e di come è stato possibile, sia sulla figura del nuovo Presidente, sia sulle possibilità che in Iran cambi realmente qualcosa con questa elezione.

Andiamo per ordine. Il primo turno delle elezioni aveva consegnato di fatto una sorta di ex aequo fra Pezeshkian e Jalili che avevano preso entrambi attorno al 40% dei voti, con il primo, il riformista, leggermente in vantaggio. Pezeshkian era l’unico candidato riformista ammesso dal Consiglio dei Guardiani, ovvero l’organo che seleziona la rosa delle persone idonee alla candidatura presidenziale. 

Consiglio dei Guardiani che aveva accolto solo sei candidature su ottanta (d’altronde la volta prima nel 2021 erano state 7 su 500). Quindi da un lato era probabile che Pezeshkian andasse bene, essendo l’unico candidato moderato, e c’era anche chi ipotizzava che potesse vincere al primo turno, dall’altro il fatto che non avesse vinto al primo turno e avesse raggiunto solo il 40% dei voti faceva pensare che Jalili avrebbe facilmente convogliato il restante 20% dei voti su di sé, provenendo da altri candidati conservatori. Tutto ciò a meno che, avevamo osservato qualche giorno fa, alla luce dei risultati del primo turno, non fosse aumentata l’affluenza, che al primo turno era stata la più bassa di sempre, attorno (forse persino meno) del 40%.

Affluenza che in Iran non possiamo leggere come disinteresse ma come forma di proteste o totale sfiducia verso il sistema. E in effetti così è stato. L’affluenza è aumentata del 10%, passando al 50%, e tanto è bastato per consegnare la vittoria al candidato riformista.

Ora, cerchiamo di capire chi è Pezeshkian  e quante speranze ci sono che possa seriamente cambiare qualcosa nel Paese. Innanzitutto, leggo dal Post, è interessante notare che “L’Iran non aveva un presidente riformista da vent’anni e dopo le grandi proteste del 2022 il governo era diventato ulteriormente più conservatore e isolazionista, mentre gli spazi per il dissenso e per la democrazia venivano di fatto cancellati”. 

Quindi ecco, in questo c’è un’inversione di tendenza, tant’è che “L’elezione di Pezeshkian ha suscitato speranze sia nella parte di popolazione iraniana che si augura un approccio meno radicale e autoritario, sia all’estero, fra chi vorrebbe una contrapposizione meno netta tra Iran e Occidente”.

Il pezzo più avanti descrive il nuovo Presidente dell’Iran: “Cardiologo, parlamentare per 16 anni e ministro della Salute fra il 2001 e il 2005 durante la presidenza del riformista Mohammad Khatami, Pezeshkian ha combattuto nella guerra fra Iraq e Iran, ha perso la moglie e un figlio in un incidente automobilistico ed è sempre accompagnato nei suoi appuntamenti politici dalla figlia. È di origini azere, una delle minoranze etniche in Iran. All’estero era poco conosciuto, la sua esperienza internazionale è nulla e la sua fedeltà alla Guida Suprema Ali Khamenei e alle strutture della Repubblica Islamica è assoluta.

Nel corso degli anni e in questa campagna elettorale si è però fatto notare per posizioni moderate, poco allineate con la tendenza iperconservatrice del regime iraniano. Secondo molti era già sorprendente che la sua candidatura alla presidenza fosse stata accettata dal Consiglio dei guardiani, un organo composto da 12 membri, sei religiosi e sei giuristi, che esaminano i candidati (in queste elezioni ne hanno eliminati 74). 

Pezeshkian si è espresso a favore di una maggiore apertura verso l’Occidente e ha criticato l’applicazione rigida dell’obbligo di indossare l’hijab, il velo utilizzato dalle donne musulmane per coprire la testa e il collo. Ha anche detto che «bisogna cambiare questa visione delle donne come cittadine di seconda classe e come persone unicamente dedicate alla cura della famiglia». Sono dichiarazioni che altrove sarebbero scontate, ma che assumono una certa rilevanza nel panorama politico iraniano”.

Tuttavia, come sottolinea l’articolo stesso – ed è opinione abbastanza condivisa – non è detto che potrà effettivamente farlo”. Infatti la Repubblica Islamica dell’Iran è una teocrazia in cui i maggiori poteri sono della principale autorità politica e religiosa, la Guida Suprema Ali Khamenei, che viene eletta su volere di Allah e ha una carica a vita (tipo il Papa, per intenderci). Oltre alla Guida suprema, molte delle decisioni riguardo a questioni militari e di sicurezza sono influenzate dalle Guardie Rivoluzionarie, che sono una importante forza militare.” 

I poteri del presidente hanno quindi dei forti limiti. E non solo, il fatto stesso che sia stato eletto fa sorgere un po’ di dubbi sulla sua possibilità di riformare il sistema. Il perché di questa affermazione lo spiega molto bene l’esperto di Iran Alessandro Cassanmagnago in una diretta assieme al politologo Aldo Giannuli. Qual è il punto: il punto è che, spiega Cassanmagnago, l’unico modo che ha un Presidente in Iran per influenzare le politiche del paese e avere una qualche autorità anche nel bilanciamento di poteri rispetto alla Guida Suprema è quella di essere una figura privatamente influente, con una sua base di consenso precendente alla sua elezione. Come ad esempio era stato Ahmadinejad.

Il fatto è che le figure con queste caratteristiche non sono state ammesse alla corsa elettorale. Lo stesso Ahmadinejad si era candidato e non è stato ammesso questa volta. E Ahmadinejad è un conservatore. Il punto non era nemmeno il fatto di avere idee sovversive, ma banalmente di poter rappresentare un pericolo per il potere centralizzato di Khamenei. 

Quindi il fatto stesso che Pezeshkian  sia stato ammesso, significa che è inoffensivo per il regime di Teheran. A maggior ragione perché, continua Cassanmagnago, stiamo entrando nella fase di transizione di poteri in Iran, Khamenei è anziano e malato e questo succede in una fase in cui si tema una devastante guerra regionale, quindi il regime è molto attento a che tutto ciò avvenga nella maniera più morbida e indolore possibile. Vi ho fatto un riassuno un po’ approssimativo, andatevi a vedere il video se vi interessa l’argomento perché è molto più approfondito.  

Quindi insomma, non possiamo probabilmente aspettarci grossi cambiamento dall’elezione di un moderato in Iran, probabilmente ci possiamo attendere una postura meno aggressiva verso l’interno e un atteggiamento leggermente più morbido su alcune questioni interne. Detto ciò, questa votazione, se consideriamo i due turni e anche il fattore astensione, ci da il polso dell’insofferenza della popolazione iraniana verso il regime, che dopo due anni di proteste non sembra essersi affievolita, anzi. 

Va bene, chiudiamo il ciclo elettorale tornando nel Regno Unito, dove si è votato giovedì, venerdì avevamo dato già i primi risultati, che poi sono sttai confermati, anzi persino rafforzati dai dati definitivi. Il Partito Laburista ha ottenuto 412 seggi sui 650 totali della Camera dei Comuni, la camera bassa del parlamento britannico: un risultato solo leggermente inferiore al migliore di sempre, quello del 1997, quando i Laburisti di Tony Blair ottennero 418 seggi.

E il nuovo premier Keir Starmer ha già iniziato a smuovere le acque. Prima di raccontarvi cosa ha fatto però devo fare una rettifica, venerdì ho detto che Farage aveva fatto cadere l’ultimo premier labourista David Cameron, ma Cameron come mi avete fatto notare in molti era in realtà conservatore, mentre l’ultimo premier laburista era stato Gordon Brown, successore di Tony Blair e predecessore di Cameron.

Comunque, dicevamo, Starmer ha già iniziato a lavorare, anzi il fatto di iniziare subito a lavorare è stato proprio una sorta di segnale voluto. Infatti la Camera dei Comuni, la camera bassa britannica, doveva iniziare la pausa estiva dei lavori il 23 luglio, ma Starmer ha già annunciato che prorogherà la sessione per consentire al governo di iniziare subito a lavorare.

Una scelta che – spiega il Post – riflette il carattere di Starmer o, meglio, l’immagine che Starmer ha voluto dare di sé ai media in questi anni. Un’immagine molto pragmatica e istituzionale, quasi già da primo ministro: in inglese si dice da prime minister in waiting, un “primo ministro in attesa [di diventarlo]”.

Comunque, dicevamo, come si è mosso in questi primissimi giorni? Come racconta Avvenire, la “Prima “vittima” del programma di Starmer sarà il piano di deportazione dei migranti arrivati nel Regno Unito illegalmente in Ruanda, che Starmer ha definito «effettivamente morto». 

Il nuovo premier ha anche già annunciato la sua formazione di governo, che non è molto diversa da quella che per cinque anni ha retto il cosiddetto “governo ombra”. Il ruolo di vicepremier è andato ad Angela Rayner, 44 anni, numero due del partito. Mentre Rachel Reeves, 45 anni, attuale responsabile delle politiche economiche, è stata nominata Cancelliere dello Scacchiere, prima volta una designazione al femminile. 

Stavolta le donne elette sono state ben 242, un record nella storia. Gli Esteri sono affidati a David Lammy, 51 anni, con origini caraibiche, gli Interni a Yvette Cooper, la Difesa a John Healey. L’ex leader del partito Ed Miliband è stato confermato titolare delle politiche per la Sicurezza Energetica. A nomine completate sarà il gabinetto con il maggior numero di ministri donne e con istruzione statale della storia britannica. 

Mi avete chiesto nei commenti la posizione di Starmer sull’Ucraina. In realtà su quel fronte non cambierà molto, il Starmer nel suo primo discorso ha già annunciato di aver già parlato con diversi leader internazionali, tra cui il presidente ucraino, Volodymyr Zelensky, al quale ha garantito che il Regno Unito continuerà nel suo sostegno a Kiev. E ha dichiarato il suo sostegno incrollabile alla Nato.

Possiamo forse aspettarci un atteggiamento meno guerrafondaio rispetto agli ultimi governi britannici, in generale? Ad esempio il Regno unito è stato sempre in prima linea quando sono stati bombardati gli Houthi e così via. Non so dirvi se cambierà qualcosa da qusto punto di vista, anche perché l’ala più di sinistra e se volete pacifista del partito laburista è stata fatta fuori e in parte si è fatta fuori proprio sotto Starmer. Quindi vediamo.

In chiusura, anche se la questione meriterebbe una trattazione approfondita, ma abbiamo finito il tempo, vi segnal oe basta una notizia abbastanza sconvolgente che forse avrete sentito e che riguarda Chico Forti, l’ex campione sportivo e poi imprenditore che stava scontando l’ergastolo negli Usa condannato per omicidio, e estradato circa un mese fa in Italia.

Forti il cui arrivo era stato salutato come un grande successo per il governo Meloni, con la premier stessa che era andata ad accoglierlo trionfante in aeroporto, sollevando molte critiche per il fatto di aver accolto con tutti i crismi un personaggio condannato per omicidio. In particolare Marco Travaglio, direttore del Fatto, aveva dedicato alla questione un editoriale infuocato e l’edizione del giornale titolava a tutta pagina Bentornato assassino. 

Ecco, viene fuori che la Procura di Verona ha aperto un fascicolo su Forti, attualmente detenuto nel carcere di Montorio, a Verona, perché un detenuto dello stesso carcere ha confidato che Forti gli avrebbe chiesto di contattare qualche amico ‘ndranghetista per mettere a tacere Marco Travaglio, Selvaggia Lucarelli e una terza persona. In cambio Forti gli avrebbe promesso un aiuto futuro, non appena riuscirà a ottenere la libertà. 

Non commento, per adesso, non ne abbiamo il tempo. Ci sentiamo domani.

Ultima notizia del giorno arriva da ICC dove siamo tornati ad occuparci di PFAS o inquinanti chimici eterni. Lo facciamo con un’intervista a cura della nostra benedetta Torsello.

Audio disponibile nel video / podcast

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