Ieri si votava per il primo turno delle elezioni legislative in Francia, quelle per eleggere il nuovo parlamento, e i risultati, anche se ancora non sono quelli definitivi, sembrano più o meno in linea con quello che ci si aspettava. Tutti davano per certa la vittoria dell’estrema destra di Le Pen / Bardella, e in effetti è arrivata, con gli exit poll che danno il Rassemblement national, in alleanza con i candidati dei Républicains di Eric Ciotti, attorno al 33-34% dei voti, ci sono un po’ di discrepanze a seconda delle agenzie che rilasciano gli exit poll ma siamo lì.
Al secondo posto, con un risultato altrettanto solido, c’è la coalizione di sinistra Nouveau Front Populaire (Nfp) che ottiene il 28% e al terzo c’è il blocco centrale di Emmanuel Macron, attorno al 20%.
Ora, il punto è: che succede adesso? I seggi nel parlamento francese sono 576, quindi la maggioranza necessaria per governare è di 289 seggi. Il RN riuscirà ad ottenerli oppure no, al secondo turno? Questa è la domanda principale e non è facile capirlo, perché il funzionamento del sistema elettorale francese è abbastanza complesso.
La Francia è divisa in 577 circoscrizioni elettorali, inclusi 11 collegi all’estero. In ogni circoscrizione vince una sola persona, e può vincere al primo turno se ottiene il 50 per cento più uno dei voti (a patto che abbia votato almeno il 25 per cento degli elettori).
Laddove nessuno ha la maggioranza assoluta, si va al secondo turno. E non si tratta di un classico ballottaggio, perché possono verificarsi anche casi con tre o più candidati: accedono infatti al ballottaggio non i due che hanno ottenuto i due migliori risultati al primo turno, ma tutti quelli che al primo turno hanno ottenuto almeno il 12,5 per cento dei voti degli aventi diritto (non dei votanti), quindi l’astensione gioca un ruolo fondamentale. E lì poi viene eletto chi ottiene il maggior numero di voti.
A questo giro i cosiddetti triangoli, complice anche un’affluenza altissima rispetto ai trend storici, del 67%, saranno molti. E questo giocherà un ruolo, ora vi spiego perché.
Comunque, dicevamo, non si capisce se il RN puù avere la maggioranza assoluta in parlamento o no. Una compagnia di sondaggi sostiene che sia un risultato fuori dalla portata, facendo una proiezione di 240-270 seggi (ricordo che sono 289 quelli necessari) mentre un’altra da una forbice di 260-310 seggi, quindi con possibilità di superare la soglia della maggioranza assoluta.
Per provare a impedire che ciò accada, ieri sera è stato annunciato un patto che i giornali stanno chiamando di desistenza, fatto pur con molte remore fra Macron e la sinistra, unita sotto la sigla di Nuovo fronte popolare, in cui in pratica i due partiti si impegnano a ritirare il proprio candidato, quando è il meno forte, nei triangolari, per non rubarsi voti a vicenda e lasciare che sia un unico candidato a sfidare quello di RN.
Un’alleanza scomoda, ma che è l’ultima carta per Macron per evitare una scomoda, se non impossibile, “cohabitation”. Sapete che la Francia è una Repubblica semi-presidenziale, in cui il potere esecutivo è spartito fra il Presidente della Repubblica, eletto a suffragio diretto dai cittadini, che resta comunque la figura più importante e più rappresentativa (in questo caso Macron), e il Primo Ministro, che invece è eletto dal parlamento. Al momento e come quasi sempre accade ed è accaduto nella storia, le due figure fanno parte della stessa formazione politica. E questo in Francia è abbastanza importante per poter governare.
Ecco, a breve potrebbe non essere più così, e questo causerebbe dei grossi problemi di governabilità, soprattutto se questo primo ministro fosse Jordan Bardella, il candidato premier di RN, visto che sono ben poche le cose che i due partiti, quello centrista, di centrodestra, molto liberale di Macron, e quello sovranista di estrema destra di Le Pen / Bardella.
Certo, non che la convivenza con la sinistra sarebbe facile per Macron. La convivenza con la sinistra non è facile nemmeno per la sinistra stessa, visto che il NFP riunisce i moderati riformisti di Place Publique e la sinistra radicale di Mélenchon che hanno idee diverse su tutto o quasi, dalla politica estera, all’economia, ecc.
Ma quello adesso sembra un problema da affrontare in un secondo momento. L’imperativo di tutti sembra essere quello di battere Le Pen / Bardella ed evitare la deriva a destra. Staremo a vedere.
Il weekend è stato caratterizzato anche da piogge molto forti in Valle d’Aosta, che hanno causato allagamenti, esondazioni di fiumi e diversi danni in molte zone della regione, soprattutto nel comune di Cogne, che da sabato è isolato a causa di una frana nella frazione di Epinel che ha interrotto la strada regionale che conduce alla cittadina. Anche Cervinia è stata isolata a causa di una frana che ha bloccato la strada di accesso al paese, la strada regionale 47.
Dalla mattina di domenica più di 300 persone sono state evacuate in elicottero da varie località della Valle d’Aosta. Nella gran parte di Cogne inoltre manca anche l’acqua visto che l’acquedotto è stato letteralmente stato portato via dal torrente in piena. Al momento il Comune sta organizzando un intervento di emergenza per riuscire a riempire la vasca di carico.
Alcuni albergatori della zona hanno messo a disposizione delle camere per le persone sfollate. Per fortuna non si registrano morti ma ci sono stati numerosi danni: allagamenti, danni alle case e alle automobili, interruzione della linea telefonica, dell’elettricità e di internet. Ci sono state inondazioni e danni anche in Piemonte, nel Canavese e nella parte nordorientale della regione: per esempio a Chialamberto, nelle valli di Lanzo, dove le forti piogge hanno provocato frane e colate di fango.
Nella vicina Svizzera invece, sempre a causa del maltempo, due persone sono morte nel Canton Ticino, e un’altra risulta dispersa. Ora, come sappiamo è difficile definire e capire se un singolo eventi meteorologico come questo sia attribuibile alla crisi climatica in corso. Il fatto accertato però è che eventi come questo saranno sempre più frequenti per via del clima più instabile, della maggiore energia potenziale trattenuta dall’atmosfera e pronta a scaricarsi a terra.
Perciò è importante prepararsi, adattarsi, a livello di comuni ecc. E lo stato dovrebbe sbloccare fondi di adattamenti alla crisi climatica. Perché possiamo anche aspettare che si verifichino i singoli disastri e solo allora sbloccare i fondi di emergenza, ma il conto finale sarà molto più salato.
Si è votato anche in Iran. Ricorderete che poco più di un mese fa, il 19 maggio, è morto Ebrahim Raisi, Presidente dell’Iran, in un incidente in elicottero. Una morte presa fin troppo serenamente dal resto dei vertici dello stato, inclusa, soprattutto, la stessa guida suprema, l’ayatollah Khamenei, al punto da alimentare teorie di complotto ai danni del Presidente. Teorie fin qui non dimostrate.
Comunque, il paese è andato al voto per eleggere il suo successore e le elezioni sono state caratterizzate innanzitutto da un’astensionismo senza precedenti, con solo il 40 per cento degli aventi diritto che è andata a votare, e poi da un sostanziale pareggio fra due candidati, un ultraconservatore e un riformista.
Partiamo dall’astensionismo. Come scrive il Post, l’affluenza è stata “la più bassa nella storia elettorale iraniana, attribuita dagli analisti alla disaffezione dell’elettorato progressista verso la politica”. Considerate due cose, la prima è che tutti i candidati realmente riformisti, se non addirittura progressisti sono stati considerati non idonei. Come raccontava Alessia Arcolaci su Vanity Fair, “Per le elezioni si sono registrati ottanta candidati, di questi ne sono stati scelti solo sei e a decidere i loro nomi è stato il Consiglio dei Guardiani, ovvero l’organo, che fa capo agli ultraconservatori, che seleziona la rosa delle persone idonee alla candidatura presidenziale. Non c’è da stupirsi che il Consiglio dei Guardiani abbia accolto solo sei candidature su ottanta, era già accaduto nelle elezioni del 2021 quando i candidati giudicati idonei furono sette su cinquecento”.
Tutte le donne che si sono candidate sono state scartate e di questi 6 candidati che hanno partecipato alle elezioni, 5 erano conservatori o ultraconservatori, mentre sono uno era considerato riformista (per quanto comunque un riformista molto moderato, ecco).
Comunque, il risultato è stato che nessun candidato ha ottenuto più del 50% dei voti necessari per vincere al primo turno, quindi si andrà al ballottaggio. E la cosa comunque interessante è che i due candidati più votati sono stati Saeed Jalili, un ultraconservatore, e Massoud Pezeshkian, che è appunto l’unico riformista. Entrambi hanno preso circa il 40% dei voti.
Pezeshkian è un cardiochirurgo ed ex ministro della Salute e propone una parziale liberalizzazione del regime e il miglioramento dei rapporti con l’Occidente, pur mantenendo la fedeltà alla Guida Suprema Ali Khamenei. È più “morbido” anche sul tema dell’obbligo del velo per le donne, che non contesta in sé ma ne contesta l’applicazione rigida. Jalili invece, ex segretario del consiglio di Sicurezza nazionale, rappresenta una posizione estremista e isolazionista, opponendosi a migliorare i rapporti con l’Occidente e adottando la linea dura anche sul tema del velo.
Tornando un attimo sul tema dell’astensionismo, comunque, non dovete pensare alla cosa come la si considera in Italia o nell’occidente liberale. L’affluenza in Iran è storicamente molto alta, il tipo di società molto ideologizzata e con poca libertà di espressione porta le persone ad attribuire un alto valore al voto, per cui l’astensionismo in quel caso non si può leggere come disinteresse ma come chiaro segnale al regime da parte dell’elettorato.
Comunque, vediamo cosa succede al ballottaggio, questo venerdì (il 5 luglio). Sono curioso anche di vedere quante persone andranno a votare, perché se votano le stesse è probabile che Jalili, l’ultraconservatore, vinca, visto che il 20% restante ha votato altri candidati conservatori. Ma qualcuno che si è astenuto potrebbe scegliere di votare, stavolta. Chissà.
Vi siete mai chiesti se siamo realmente liberi nelle decisioni che prendiamo? E cosa vuol dire essere liberi? Di libero arbitrio abbiamo parlato in una puntata di qualche settimana fa di INMR e il nostro direttore DT ha scelto di approfondire la questione in una puntata di A tu per tu, uscita sabato, in compagnia di Andrea Lavazza, docente di neuroetica all’università di Milano e autore di articoli e libri sul tema del libero arbitrio.
La puntata è davvero molto molto interessante e stimolante. Perché analizza dal punto di vista scientifico il tema del “siamo liberi di scegliere oppure no?”, ma si spinge anche oltre, a osservare le possibili implicazioni sociologiche, giuridiche e filosofiche di questo dilemma.
Puntata super consigliata di questo format dedicato ai nostri abbonati. Solo questa puntata vale i 50 euro annuali di abbonamento.
Si è continuato a parlare un bel po’ del dibattito fra i due candidati presidenti Donald Trump e Joe Biden, nei giorni scorsi, dopo la performace disastrosa di Biden, che è sembrato confuso e non in pieno possesso delle sue facoltà mentali.
I giornali americani parlano di panico nel partito democratico. Quasi tutti gli opinionisti politici del NYT hanno detto che Biden dovrebbe ritirarsi e su Internet spopolano i meme che ritraggono un Biden confuso e annebbiato.
Su questo aspetto, voglio farvi ascoltare un commento del collega Paolo Cignini che a mio avviso coglie un aspetto originale e poco presente nel dibattito mediatico e social-mediatico. Quello della salute. A te Paolo.
Audio disponibile nel video / podcast
Grazie Paolo, devo dire che in effetti, quando la salute in questione è quella di un personaggio politico, sembra che sia lecito scherzarci su.
Tornando alla questione della eventuale sostituzione di Biden, ci sono diversi problemi. Il primo è che in teoria solo lui può rinunciare, essendo stato scelto tramite le primarie. Anche se c’è chi ipotizza un colpo di mano dei dem, per provare a salvare la situazione.
Il secondo è che non è così facile trovare un sostituto/a. Vi leggo un estratto di un editoriale di Limes a firma di Federico Petroni, un po’ lungo ma molto interessante: “Il vero problema ruota attorno a chi sostituirebbe Biden. Anzitutto, non esistono figure di calibro nazionale, cioè politici conosciuti. Molti aspiranti alla presidenza nel 2028 si sono tenuti stretti attorno alla campagna democratica, in particolare quattro governatori di Stati importanti: Gavin Newsom (California), J.B. Pritzker (Illinois), Gretchen Whitmer (Michigan), Josh Shapiro (Pennsylvania).
Tutti hanno buone credenziali: Pritzker è ricco, Whitmer e Shapiro sono popolari in Stati decisivi per il voto. Nessuno è una star. Anzi Newsom rischia di essere uno svantaggio, perché l’America dell’interno ritiene che la California da lui presieduta si sia spinta troppo in là con gli eccessi dello stile di vita liberal. Non è nemmeno detto che queste persone accettino di prendere il posto di Biden, per il rischio di bruciarsi in vista del 2028.
L’opzione meno traumatica sarebbe Kamala Harris, l’attuale vicepresidente degli Stati Uniti, tuttavia impopolare quanto Biden e incapace in quattro anni di darsi un profilo autorevole. In teoria non sarebbe da escludere nemmeno una sostituzione della sola Harris con un nome di maggiore peso. Ma sarebbe come ribadire ulteriormente la fragilità del presidente: non ci aspettiamo duri quattro anni. Aleggia la carta della figura pop (Michelle Obama) ma inserirla nella macchina politica sarebbe alquanto complicato.
Non esiste una teoria della vittoria assicurata con dei sostituti di Biden. Ma anche la teoria della vittoria del presidente appare sempre più fragile. L’impresentabilità di Trump non è sufficiente a compensare la calante presentabilità dello stesso Biden”.
Mi restano due domande, a cui non trovo una risposta. La prima è: “ma ve ne siete accorti ora?”. Cioé: era da almeno un anno a anche più che Biden dava segni di non essere lucido. E la seconda, strettamente collegata, che più che una domanda è una constatazione, che però mi lascia davvero perplesso, è questa qua: mi pare che tutti stiano andando nel panico perché Biden non è ritenuto in grado di battere Trump. Ma nessuno o quasi si chiede se è o sarà in grado di governare il paese tuttora più potente del mondo, in una situazione in bilico verso un conflitto mondiale. Non mi sembra che sia una questione di poco conto.
Dico che è collegata alla prima perché la mia sensazione è che tutti sapessero, perlomeno all’interno del partito, che Biden non era in grado, ma speravano che tenesse botta almeno nei dibattiti quel tanto che bastava per portare a casa una vittoria elettorale. Ok, ma poi chi avrebbe governato? Perché sì, è vero che negli Usa gli apparati parastatali, come il pentagono, la Cia, la Nsa, sono molto centrali nel prendere le decisioni, ma ecco, serve comunque un Presidente presente a se stesso.
#Francia
la Repubblica – Francia 2024, la vittoria di Le Pen. Macron e la sinistra alleati al secondo turno. I risultati delle elezioni legislative
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il Post – I gravi danni a causa del maltempo in Valle d’Aosta e Piemonte
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