10 Giu 2024

Elezioni europee: tutti i risultati e l’analisi – #947

Scritto da: Andrea Degl'Innocenti
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Si sono concluse le elezioni europee e abbiamo i risultati quasi definitivi, perlomeno per quanto riguarda le liste – ci sarà da aspettare un po’ per sapere dei candidati. E allora vediamo come è andata, come sarà composto questo nuovo parlamento europeo ma anche i vari terremoti politici che queste elezioni hanno portato a livello nazionale in parecchi dei 27 stati membri. Parliamo anche brevemente delle altre elezioni, in Piemonte e in diversi comuni italiani, dove però lo spoglio inizierà oggi.

Ieri sera tardi si sono concluse le elezioni per rinnovare il parlamento europeo, e stamattina possiamo dare un po’ di risultati, ancora parziali. E abbozzare qualche analisi. I risultati che commenteremo stamattina saranno relativi alle liste, mentre ci vorranno ancora alcuni giorni per capire esattamente quali candidati/e verranno eletti, perché lì il conteggio si fa un po’ più complesso, ci sono calcoli matematici da fare, si redistribuiscono i resti, insomma, ci vuole del tempo. 

Quindi, di quello ne riparliamo fra qualche giorno. Oggi parliamo dei risultati delle liste. Che già ci dicono un sacco di cose. Perché sono sia risultati che determineranno le politiche europee dei prossimi 5 anni, anche perché il nuovo parlamento di fatto dovrà approvare la nuova Commissione, e c’è da capire che tipo di commissione sarà, ma sono anche risultati che vengono letti e interpretati in chiave politica nazionale, in 27 stati, e che hanno ripercussioni politiche sui 27 stati membri, per cui ci sono già casi di governi dimissionari in seguito ai risultati, elezioni anticipate e così via. Insomma, ce ne sono di cose da osservare e commentare.

Partiamo dallo scenario di più alto livello, quello puramente europeo. Che Parlamento esce fuori da questa tornata elettorale? I dati principali sono due. Il primo è che c’è un forte slittamento a destra, anche verso l’estrema destra abbastanza generalizzato (i giornali la stanno chiamando l’ondata nera), il secondo è che tutto sommato la coalizione a “campo largo” che ha guidato il parlamento uscente sembra tenere, e si potrebbe andare – ,ma qui l’incertezza aumenta – verso un Von der Leyen bis.

I due gruppi più rappresentati al parlamento restano quelli di centrodestra del PPE (partito popolare europeo) che si conferma primo gruppo in parlamento con 189 seggi (è il gruppo dove va FI, per intenderci) e quello dei Socialisti e democratici (135 seggi, dove va il Pd). Assieme a Renew, questi tre gruppi avranno ancora la maggioranza al parlamento, quindi si allontana l’ipotesi di un’alleanza verso destra per eleggere la nuova Commissione. 

Crescono però, e di parecchio, i gruppi di destra ed estrema destra, ovvero i Conservatori e riformisti (trainati proprio da FdI) e Identità e democrazia (trainati dal partito di le Pen, dove finisce anche la Lega). Calano invece i verdi (da 73 a 53) mentre resta abbastanza stabile la sinistra, che passa da 37 a 35 seggi. Diciamo che però quella tendenza verso l’estremizzazione che si è osservata a destra, e che si sospettava potesse avvenire in maniera speculare verso sinistra, non è avvenuta. 

Ad ogni modo continua ad avere la maggioranza la cosiddetta Europa forte, rispetto all’Europa debole. Che significa? Significa che a di là dello schieramento politico, continuano ad avere la maggioranza quelle forze che vedono nell’unione europea un sistema centrale nel determinare le politiche del futuro. Mentre le destre sovraniste hanno un’idea di Europa più debole, che lasci più spazio alle singole nazioni e non si intrometta troppo. Quello forse è il discrimine principale per il futuro dell’Europa. E in questo senso ha vinto comunque una maggioranza che vuole proseguire verso un’Ue più forte, che possa giocare un ruolo politico unitario maggiore sia internamente, verso i Paesi membri, che verso l’esterno, negli equilibri politici e geopolitici internazionali. Anche se con un margine più risicato.

Se la maggioranza parlamentare dovrebbe restare stabile, la composizione della Commissione potrebbe variare. Ursula von Der Leyen si è riproposta come candidata, ma c’è da capire quali gruppi all’interno del parlamento vorranno sostenerla. Perché Ursula ha molti amici ma anche e molti nemici in Europa, anche all’interno della coalizione che in teoria la supporta. Questo lo capiremo meglio nelle prossime settimane. 

Gli sconvolgimenti maggiori però, paradossalmente – ma nemmeno troppo – queste elezioni li stanno avendo e li avranno su scala nazionale, perlomeno in diversi dei 27 Paesi membri, con già diversi governi dimissionari ed elezioni anticipate. È il prezzo da pagare di una tendenza scorretta ma molto diffusa: quella di considerare le europee come un sondaggio sul gradimento interno dei partiti e dei leader.

Abbiamo visto come anche in Italia molti leader, a partire da Meloni e Schlein, abbiano deciso di comparire come prime candidate, in quelle che vengono chiamate candidature civetta, perché nessuna delle due è intenzionata a prendere veramente un seggio nell’Europarlamento. Ma inserirsi come candidate trasforma subito queste elezioni in un test sul gradimento personale. Un sondaggio in diretta e su un campione molto più ampio e attendibile sulla popolarità dei leader e delle rispettive liste, che però toglie forza e valore a quelli che sono i programmi elettorali e il posizionamento rispetto all’Europa. 

Questa tendenza, diffusa in tutta europa, è un’arma a doppio taglio per i leader, perché se imposto la campagna come un indice di gradimento interno poi, se le cose vanno male, le ripercussioni a quel punto sono anche nazionali. È quello che stiamo osservando in Francia, Germania, Belgio. Ma ci arriviamo. Partiamo dall’Italia nell’osservare un po’ più con la lente d’ingrandimento i risultati nazionali.

Nel nostro paese non c’è stato alcuno scossone politico. Fratelli d’Italia è primo partito con circa il 29 per cento, davanti al PD che è sopra al 24 per cento. La premier Meloni ha parlato di ritorno al bipolarismo visto che tutte le altre forze, compreso il M5S, sono sotto al 10%. 

Il M5S è probabilmente il partito che è andato peggio rispetto alle aspettative, e Conte ha ammesso la delusione dicendo che si aprirà adesso una riflessione interna. Che sono un po’ quelle frasi che si dicono, ma che non per forza vogliono dire che questa riflessione si farà davvero. 

La Lega supera il 9 per cento, che era un po’ l’obiettivo minimo per non considerare molto negativo il risultato di queste elezioni, ma è comunque la quinta forza politica a livello nazionale, ed è anche il terzo partito nell’alleanza di governo, sotto Forza Italia, anche se di pochi decimi.

Alleanza Verdi e Sinistra invece ha ottenuto un risultato sorprendente, nettamente sopra le aspettative, con il 6,6 per cento, mentre sia la lista Stati Uniti d’Europa di Matteo Renzi e Emma Bonino che Azione di Carlo Calenda non hanno raggiunto la soglia di sbarramento del 4 per cento, e quindi non eleggeranno europarlamentari.

Meloni e FdI sono i principali vincitori di questa elezione, che la premier aveva fortemente incentrato sulla sua figura. Meloni ha fatto notare che è l’unico leader di un paese europeo, perlomeno fra le nazioni più popolose, che ha incrementato il suo gradimento rispetto alle elezioni nazionali. 

Qualche considerazione al volo. Innanzitutto, è vero che FdI continua a crescere, ma se facciamo il paragone rispetto alle ultime europee, quella che è l’attuale coalizione di governo è rimasta stabile, anzi è in leggera flessione. Nel 2019 la Lega aveva preso il 32% dei voti, una sorta di plebisicito, e Lega, FdI e FI insieme avevano raggiunto circa il 50% dei voti. Adesso stanno attorno al 48%. Quindi ecco, stiamo sempre lì. Ci sono stati enormi spostamenti all’interno della destra, dalla Lega verso FdI, ma complessivamente i voti son rimasti gli stessi. E io devo offrire un caffè ad Aldo Giannùli, visto che la strategia Vannacci è stata un buco nell’acqua.

L’emorragia di voti dei 5S continua ma è andata soprattutto verso Pd e AVS. Infine c’è il tema dell’affluenza, che in Italia per la prima volta è calata sotto al 50%, meno di un elettore su due è andato al voto, 5 punti percentuali in meno rispetto al 2019, fra l’altro in controtendenza rispetto al resto d’Europa, dove l’affluenza è rimasta stabile, anzi è in lieve aumento. 

I risultati più clamorosi però sono stati altrove. In Francia in primis. Vi leggo come Martina Castigliani sul FQ descrive ciò che è accaduto: “Notte elettorale senza precedenti in Francia. Neanche il tempo di veder iniziare i festeggiamenti dell’estrema destra del Rassemblement National, dato al 31,5% fin dai primi exit poll delle elezioni Europee, che Emmanuel Macron si è presentato davanti alla nazione per annunciare lo scioglimento dell’Assemblea nazionale. 

“La Francia ha bisogno di una maggioranza chiara”, ha detto comunicando che il voto per le legislative sarà il 30 giugno, mentre i ballottaggi il 7 luglio. Un vero e proprio terremoto che ha sorpreso tutte le forze politiche”. 

I risultati definitivi attesteranno poco dopo l’estrema destra del Rassemblement National (il partito di MArine LePen, che per le europee vedeva come capolista Jordan Bardella, con il 31,5 per cento dei voti. Una cifra che, così alta per un partito, non si vedeva dal 1984. Doppiata Valérie Hayer, capolista del partito di Macron Renaissance, che si ferma al 14,6. Fra l’altro con l’affluenza in aumento di 2 punti percentuali, in Francia.

Come notano tutti i giornali, “nessuno si aspettava la mossa di Macron che scombina i piani politici ed elettorali di tutti i partiti, da sinistra a destra. L’annuncio è arrivato mentre erano in corso le dirette tv per commentare le elezioni e gli stessi giornalisti sono rimasti senza parole per alcuni minuti. La strategia del presidente della Repubblica sembrerebbe quella di mettere alla prova il Rassemblement National in una delle elezioni più difficili, le legislative, che richiedono grande radicamento sui territori e i candidati devono superare il ballottaggio.

Anche in Germania i risultati sono stati una discreta batosta per il governo. Governo cosiddetto semaforo, con l’alleanza rosso-giallo-verde guidata da Olaf Sholtz. Non solo c’è stata una vittoria schiacciante della Cdu (il partito di centrodestra di Ursula von der Leyen) con oltre il 30% dei voti, ma i nazionalisti tedeschi di estrema destra di Alternative für Deutschland (esclusi persino dal gruppo di LePen e Salvini perché troppo estremisti) hanno preso più voti dell’Spd, il partito del Cancelliere Olaf Scholz che non raggiunge nemmeno il 15% dei voti.

Che altro è successo?  In Spagna Dopo una campagna elettorale molto movimentata, il primo ministro socialista Pedro Sánchez è riuscito a resistere all’avanzata del centrodestra: il Partito Popolare (centrodestra, appunto) è arrivato primo con il 34,2 per cento dei voti e 22 seggi (contro i 12 ottenuti nel 2019), mentre il Partito Socialista di Sánchez ha ottenuto il 30,18 per cento dei voti e 20 seggi al Parlamento Europeo. 

Uno dei risultati più sorprendenti della giornata è probabilmente la vittoria del partito Slovacchia Progressista in Slovacchia, che ha vinto le elezioni europee con il 27,8 per cento dei voti. È un risultato che contraddice i sondaggi, che davano per favorito il partito del primo ministro Robert Fico, vittima di un grave attentato lo scorso 15 maggio. Il suo partito SMER, populista di sinistra e tendenzialmente filorusso è arrivato soltanto secondo con il 24,8 per cento dei voti.

Nei paesi del Nord Europa ci sono stati alcuni risultati piuttosto sorprendenti, anche se difficilmente metteranno in crisi i governi di centrodestra di Svezia e Finlandia e quello di coalizione in Danimarca. Sia in Finlandia sia in Danimarca il principale partito di sinistra ha preso più voti di quello di centrosinistra, risultato assai raro e imprevisto dai sondaggi. I Socialdemocratici finlandesi, che fino a qualche anno fa erano al governo con la loro segretaria Sanna Marin, sono arrivati addirittura terzi dopo il Partito di Coalizione Nazionale (di centrodestra) e l’Alleanza di Sinistra. 

In Finlandia sono andati malissimo anche i Veri Finlandesi, il principale partito di estrema destra: sono passati dal 20,1 per cento ottenuto alle elezioni parlamentari del 2023 al 7,6 per cento di queste elezioni europee. In Svezia i Socialdemocratici hanno tenuto e sono risultati il partito più votato, come accaduto praticamente sempre nella loro storia: si sono fermati però al 24,9 per cento, una percentuale che raccolgono quasi sempre alle elezioni europee.

Altri dati, sparsi: in Ungheria il partito sovranista di Orban è rimasto primo partito, ma con parecchi consensi in meno, in Belgio il primo ministro Alexander De Croo ha annunciato per oggi le sue dimissioni dopo il crollo del suo partito liberale, centrista, in favore delle destre. Anche in Austria l’estrema destra di Fpo  è per la prima volta, con il 27% dei voti, la forza politica più importante nel Paese alpino.

Ora, è presto per fare grandi analisi, mi limito per adesso a sottolineare qualche aspetto. Innanzitutto: c’è stata questa ondata nera, o valanga nera, che era abbastanza prevista. La mia sensazione è che sia legata allo scenario attuale, di incertezza e paura. Sappiamo ormai da innumerevoli studi di psicologia sociale che di fronte a sensazioni sgradevoli, di pericolo, l’essere umano mette in atto un set di comportamenti che tendono all’autoprotezione. Quando ci sentiamo in pericolo e minacciati tendiamo ad essere meno aperti verso gli altri e il mondo, e quindi tendono a prevalere quel set di valori rappresentati dalle destre, mentre l’altruismo prevale nei momenti di tranquillità. Quindi è un risultato abbastanza comprensibile. 

Di nuovo, comunque, resta maggioritaria un’idea di Europa forte rispetto a un’Europa debole, elemento interessante da considerare. Infine, sarei curioso di capire come mai nel nostro paese continua questo crollo di affluenza in maniera più marcata che altrove. Cosa facciamo di diverso. Su questo non ho ipotesi particolari, se non forse il fatto che da noi – ma questo andrebbe validato – c’è stata una personalizzazione dei/delle leader maggiore che altrove, che può aver svilito il voto europeo in quanto tale e infastidito alcuni elettori.  

Comunque, non si è votato solo in Europa in questo weekend. Si è votato anche in Piemonte e in parecchi comuni. Qui in molti casi siamo agli exit poll, perché lo spoglio di questi voti è previsto per oggi, dopo la fine del conteggio dei voti europei, a partire dalle 14. Quindi prendiamo tutto con le pinze.

In Piemonte l’attuale Presidente della regione Alberto Cirio, sostenuto dalla coalizione di destra, viene dato nettamente per favorito con una forchetta che si aggirerebbe infatti tra il 50% e il 54% dei voti.

Per quanto riguarda le grandi città invece, il centrosinistra sembrerebbe avanti a Firenze, Bergamo, Bari, Cagliari e Perugia mentre il CD sarebbe avanti a Pescara, Campobasso, Potenza e Caltanissetta

Informazione di servizio. Domani INMR non va in onda, e nemmeno mercoledì. 

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