7 Nov 2024

Elezione Trump: che leggi farà su clima ed energia? – #1015

Scritto da: Andrea Degl'Innocenti
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Ieri abbiamo raccontato della vittoria di Trump, oggi passiamo a vedere che conseguenze questo potrebbe avere sulle politiche ambientali, energetiche e climatiche degli Usa, seguendo alcune analisi appena pubblicate sui giornali Usa. Parliamo anche delle grosse contestazioni contro Netanyahu in Israele, delle elezioni i n Moldavia e di quelle in Liguria.

Quando ieri siamo andati online con la rassegna era quasi certo, poche ore dopo è arrivata la certezza matematica. Trump è il 47° presidente degli Usa. È anche il Presidente più anziano della storia del Paese, probabilmente il più estremo da tanti punti di vista. E la sua vittoria è stata in fin dei conti molto molto ampia. Per la prima volta da quasi 40 anni i Repubblicani hanno vinto anche il voto popolare.

In queste ore siamo inondati da articoli di analisi su quanto accaduto, perché ne trovate altre anche fatte meglio e da persone più esperte, per cui ho pensato che forse è superfluo in questa sede concentrarci tanto sull’analisi del voto, magari vi lascio qualche articolo fatto bene su questo, ma invece vi voglio parlare della questione ambientale e climatica, perché devo essere sincero, personalmente la parte che mi preoccupa di più dell’elezione di Trump, oltre a quella dei diritti civili, è quella dell’ambiente.

Ho trovato una analisi molto interessante del giornale statunitense Grist che in pratica spiega cosa potrebbe cambiare con Trump dal punto di vista ambientale e climatico, ma in maniera molto molto dettagliata e specifica. Ve la riassumo punto per punto.

Innanzitutto, gli USA si sono impegnati a ridurre le emissioni del 50-52% entro il 2030 e raggiungere un’economia a zero emissioni entro il 2050. Trump non ha mai detto esplicitamente di voler rivedere questi impegni, ma le sue politiche, perlomeno quelle proposte in campagna elettorale, sono inconciliabili con questi obiettivi. Durante la scorsa presidenza Trump era uscito dall’accordo di Parigi, e potrebbe farlo di nuovo.

A livello di politiche energetiche, Trump sostiene abbastanza apertamente il settore dei combustibili fossili ed è un convinto sostenitore del fracking. Uno dei suoi slogan è Drill baby drill. Ovvero trivella baby trivella. 

Trump è anche un grosso antagonista dell’Inflation reduction Act, la colossale legge di investimenti anche sulla transizione energetica voluta dall’amministrazione Biden. Ad esempio la legge incentiva la decarbonizzazione nelle case, ma Trump intende bloccare immediatamente i fondi rimanenti, per cui diventerà più difficile economicamente per i cittadini Usa ad esempio isolare termicamente le proprie abitazioni o installare dei pannelli fotovoltaici. 

Sempre a proposito delle abitazioni, c’è il tema delle assicurazioni per i disastri climatici. L’aumento delle catastrofi naturali sta facendo crescere i costi assicurativi. 

Le polizze assicurative tradizionali per i proprietari di casa non includono la copertura contro le alluvioni, e la Federal Emergency Management Agency (FEMA) gestisce un programma di assicurazione contro le alluvioni che serve 5 milioni di proprietari di case negli Stati Uniti, principalmente lungo la costa orientale. I proprietari di case nelle aree più soggette a inondazioni sono obbligati a stipulare questa polizza, ma l’adesione è stata scarsa in alcune comunità particolarmente vulnerabili all’interno del Paese, incluse quelle recentemente devastate dall’uragano Helene. Se Harris supportava un rafforzamento della FEMA, Trump potrebbe invece andare a chiuderla. 

Ad essere onesti Trump non ne ha mai parlato, ma questa linea è eplicitata nel Project 2025, un documento che ha fatto piuttosto scalpore. Vi faccio una piccola parentesi, per capire di cosa stiamo parlando. Il Project 2025 è un’iniziativa lanciata nel 2022 dalla Heritage Foundation, un think tank conservatore statunitense in cui si fa un piano dettagliato per un governo conservatore. Molto conservatore. Trump se ne è formalmente distanziato ma 140 suoi collaboratori o ex collaboratori hanno partecipato alla sua stesura e secondo molti analisti proprio quel piano potrebbe essere un suo canovaccio di governo.

Poi c’è il tema della della salute pubblica e dei Centers for Disease Control and Prevention (Centri per il Controllo e la Prevenzione delle Malattie), un’importante agenzia di sanità pubblica degli Stati Uniti responsabile del monitoraggio e della gestione delle malattie infettive, della risposta alle emergenze sanitarie e della promozione della salute pubblica anche in relazione ai problemi legati al cambiamento climatico, come l’aumento di malattie trasmesse da vettori (come zecche e zanzare) e gli effetti dell’inquinamento atmosferico. Anche qui ipiano di Trump prevede il ridimensionamento della sua influenza su questioni di salute legate al clima.

Nei suoi anni di presidenza, Trump ha anche indebolito le norme di protezione idrica. Nel nuovo piano per la presidenza Trump prevede una riduzione dei regolamenti e del ruolo dell’EPA, Environmental Protection Agency (Agenzia per la Protezione dell’Ambiente), ovvero l’agenzia federale degli Stati Uniti responsabile della tutela dell’ambiente e della salute pubblica. Così come, secondo gli analisti, potrebbe ostacolare le regolamentazioni relative alla riduzione della plastica. 

Infine l’articolo fa presente che durante il suo ultimo mandato Trump ha ridotto le aree protette e potrebbe proseguire in questa direzione.

Ecco, questo è il quadro. Ovviamente c’è da sperare che le politiche reali non siano così radicalmente insensate come promesso da Trump. Che abbia cavalcato certo argomenti per fini elettorali, oppure che oggi non sia più in grado di fare certe cose. Perché rispetto a 8 anni fa il mondo dell’energia è cambiato radicalmente. Oggi la transizione energetica è una realtà concreta, le azoiende hanno investito in energie pulite che ormai sono più convenienti del petrolio e del carbone da tanti punti di vista e quindi bloccare questo processo non sarebbe solo antiecologico sarebbe anche economicamente stupido.

Un altro aspetto che possiamo augurarci, anche se è un po’ paradossale e controintuitivo, è che la Presidenza Trump possa dare nuova spinta vitale ai movimenti per il clima, un po’ fiaccati negli ultimi anni. Vedremo.

Intanto in Israele si sta di nuovo protestando contro Netanyahu. Racconta il Post che “Nella notte tra martedì e mercoledì migliaia di persone hanno bloccato la principale autostrada di Tel Aviv e organizzato proteste contro il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu. Ci sono state proteste anche in altre città del paese. Le contestazioni sono partite dal licenziamento del ministro della Difesa Yoav Gallant, comunicato da Netanyahu martedì sera dopo mesi di tensioni, ma riguardano più in generale il suo governo: i manifestanti lo hanno accusato nuovamente di non fare abbastanza per riportare a casa le persone rapite durante gli attacchi compiuti da Hamas in territorio israeliano il 7 ottobre 2023”.

A Tel Aviv i manifestanti hanno bloccato la Ayalon, una grossa autostrada che collega la città con altre parti di Israele, fermando la circolazione in entrambe le direzioni anche con materiali da costruzione disposti sulla carreggiata e con dei falò. Sempre martedì sera ci sono state proteste anche a Gerusalemme, ad Haifa e in altre decine di località, dove sono stati bloccati vari snodi stradali.

I manifestanti hanno sventolato bandiere israeliane e altre di colore giallo, simbolo di solidarietà per le circa cento persone israeliane ancora in ostaggio nella Striscia di Gaza, definendo Netanyahu «un traditore». A Tel Aviv la polizia ha tentato di disperdere i manifestanti con degli idranti, sgomberandoli dopo alcune ore. Il quotidiano israeliano Haaretz parla di circa quaranta persone arrestate.

Gallant è un generale dell’esercito, fa parte dello stesso partito di Netanyahu (Likud) ed era ministro della Difesa dal 2022. Dando l’annuncio del suo licenziamento il primo ministro ha detto che negli ultimi mesi la fiducia nei suoi confronti «si era consumata», e ha citato in particolare «gravi differenze» a proposito della gestione della campagna militare, «accompagnate da dichiarazioni e azioni che hanno contraddetto sia il governo che le decisioni dell’esecutivo».

Gallant ha commentato dicendo che il conflitto con Netanyahu riguardava tre questioni: «La mia posizione molto rigida sulla coscrizione universale, l’impegno per far tornare a casa gli ostaggi e il mio appello per formare una commissione d’inchiesta statale sul fallimento del 7 ottobre». Si era infatti opposto alla legge sull’esenzione militare agli ultraortodossi e tra le altre cose aveva criticato in modo piuttosto netto Netanyahu per la mancanza di una strategia sul futuro della Striscia di Gaza.

Netanyahu aveva già provato a licenziare Gallant nel marzo del 2023, dopo che il ministro della Difesa aveva proposto di sospendere la contestata riforma della giustizia voluta dal primo ministro. L’annuncio del licenziamento di Gallant aveva provocato due giorni di grandi proteste e uno sciopero generale in tutto il paese, che portarono il governo a sospendere la discussione sulla riforma fino all’estate.

Al momento non ci sono stime precise su quante persone abbiano partecipato alle proteste. Il Jerusalem Post parla di decine di migliaia di manifestanti tra Tel Aviv e Gerusalemme, in quella che ha definito “La notte di Gallant parte seconda”, riferendosi proprio alle grandi proteste del 2023. Secondo il Times of Israel i manifestanti a Tel Aviv sarebbero stati comunque più di duemila, il numero massimo permesso negli eventi pubblici in città a causa delle limitazioni imposte per i bombardamenti in corso con il Libano.

La polizia tenta di contenere i manifestanti a Tel Aviv, martedì 5 novembre (AP Photo/ Oded Balilty)

Gli studenti universitari che hanno partecipato alle contestazioni hanno rilanciato invocando un nuovo sciopero, sostenendo che Netanyahu – definito «un dittatore» – stia mettendo a rischio la vita degli ostaggi e quella dei soldati. Un gruppo che raduna i familiari delle persone prese in ostaggio invece ha descritto il licenziamento di Gallant come «una triste riflessione delle miopi priorità del governo israeliano»: Israele ha già ottenuto i suoi obiettivi militari a Gaza, dice, ovvero smantellare Hamas, distruggere le sue infrastrutture militari ed eliminare la gran parte dei miliziani. A detta del gruppo licenziare Gallant significa continuare a «sabotare un accordo» per la liberazione degli ostaggi.

Intanto Netanyahu ha proposto all’attuale ministro degli Esteri Israel Katz di prendere il posto di Gallant. La nomina dovrebbe essere approvata prima dal governo e poi dal parlamento israeliano.

Nei commenti di due rassegne fa mi avete segnalato che ci sarebbero state delle scorrettezze nelle elezioni in Moldavia anche verso gli elettori russi. Ho fatto una verifica ed effettivamente c’è stata un’accusa da parte del Ministero degli Esteri russo secondo cui la Moldavia ha stampato solo 10.000 schede per i moldavi in Russia, una cifra significativamente inferiore rispetto al numero totale di residenti, superiore ai 500mila.

Non ho avuto modo di verificare la veridicità di questa affermazione, ma così come ho raccontato le preoccupazioni di brogli espressi dall’EU, m sembra giusto dare spazio anche a questo.

Audio disponibile nel video / podcast

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