5 Nov 2024

Election day Usa: è il giorno di Trump vs Harris – #1014

Scritto da: Andrea Degl'Innocenti
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Oggi è il giorno. La metà degli elettori americani che ancora non lo ha fatto si reca alle urne per eleggere il o la nuova presidente, nelle elezioni più attese dell’anno. Capiamo allora come avvengono queste elezioni, cosa dicono gli ultimi sondaggi e cosa possiamo aspettarci. parliamo anche del ballottaggio presidenziale in Moldavia, delle alluvioni in Spagna e delle immagini di una ragazza iraniana spogliatasi all’Università che stanno facendo il giro del mondo. 

Oggi è il gran giorno, il giorno più atteso e temuto dell’anno, l’Election day Usa. Non so perché ma le elezioni Usa, sono da sempre, e ancor più da quando c’è Trump di mezzo, un evento che ha un grado di spettacolarizzazione che non esiste in altri tipi di elezioni. E che rende impossibile non esserne in qualche modo e forma affascinati o turbati.

Stanotte sapremo chi sarà il nuovo o la nuova presidente degli Usa e allora, nell’attesa, il Post ci spiega, come ogni 4 anni, come si fa ad eleggere il Presidente Usa. Perché è un sistema non semplicissimo e non sempre intuitivo. 

Ve lo riassumo. In pratica non vince chi ottiene più voti in assoluto, ma chi ottiene il maggior numero di grandi elettori. Per adesso incamerate il concetto di grandi elettori e tenetelo da parte, dopo vi spiego chi sono. 

Ogni stato mette in palio un certo numero di Grandi elettori, in base alla sua popolazione. Si va dalla California che ne mette in palio 50 ad alcuni stati più piccoli come Wyoming, Alaska ecc che ne mettono in palio solo 3 ciascuno. Tutti i grandi elettori di uno stato vengono assegnati al singolo candidato/a che prende più voti. Tipo: i 40 grandi elettori del Texas finiscono tutti a chi vince in Texas, anche se prende un solo voto in più dell’avversario/a. Capite quindi che non è importante prendere più voti in assoluto, ma vincere, anche di poco, in tanti stati e soprattutto in quelli più popolosi, in modo da ottenere più GE.

In tutto i grandi elettori sono 538 e quindi vince chi riesce a ottenerne almeno la metà più uno, ossia 270. 

Ma chi sono questi grandi elettori? Sono delle persone (in genere attivisti, volontari o politici locali) nominate dai due candidati, che vanno a comporre un’assemblea che poi elegge formalmente il o la Presidente. In Pennsylvania – stato che assegna 19 GE – sia Kamala Harris che Donald Trump hanno compilato una lista di 19 persone di fiducia, che verranno elette in caso di vittoria. 

Così si forma questa sorta di grande assemblea, che si chiama collegio elettorale, di 538 persone, che – senza in realtà mai riunirsi fisicamente nello stresso luogo ma coiascuno dal suo Paese – vota il/la Presidente e il loro vice. Ma si tratta di una formalità.

Perché anche se i grandi elettori sono tecnicamente e legalmente liberi di votare per chi vogliono, a prescindere dal candidato a cui erano collegati e alla lista di cui facevano parte, di fatto votano sempre per il candidato del partito a cui sono associati. Molti stati hanno anche introdotto delle leggi apposite per punire i cosiddetti faithless electors, ossia i grandi elettori che non votano come previsto, con multe o addirittura con la sostituzione.

Comunque, anche se a volte è capitato, è un evento molto molto raro che un grande elettore non voti per il candidato con cui è stato eletto e non ha mai influenzato il risultato di un’elezione. 

Comunque tutto questo processo prende diverso tempo, per cui dalle votazioni di oggi si passa all’elezione formale da parte del collegio elettorale che sarà il 17 dicembre, poi alla convalida e ratifica da parte del/la vicepresidente uscente e del Congresso, per arivare all’insediamento del nuovo presidente degli Stati Uniti, che cade sempre il 20 gennaio dell’anno successivo a quello del voto, quindi in questo caso il 20 gennaio del 2025.

E così questo è il modo con cui si elegge la più alta carica dello stato negli Usa. Oggi però non si vota solo per il Presidente, ma anche per rinnovare tutti i 435 membri della Camera e 33 membri su 100 del Senato. 

Oggi comunque non è come molti credono IL giorno delle elezioni. Ma solo l’ultimo giorno in cui è possibile votare. Chi vota per posta ha già votato, così come in molti stati è possibile votare in anticipo anche in presenza, andando al seggio in date e orari prestabiliti. Dovrebbe aver votato all’incirca già la metà degli elettori, oggi voterà l’altra metà.

Ma quindi chi vince? Sia la corsa alle presidenziali che quella alle elezioni del Congresso sembrano davvero molto incerte. Se la sensazione di molti analisti, scommettitori ecc è che vinca Trump, i sondaggi in realtà rispecchiano una incredibile parità fra i due, con le elezioni che si giocheranno in un testa a testa in alcuni cosiddetti swing state, o stati in bilico: in particolare 7 stati chiave: Pennsylvania, Michigan, Wisconsin, Nevada, Arizona, North Carolina e Georgia.

Secondo le ultime rilevazioni, Trump ha migliorato la sua posizione in Pennsylvania ed è avanti in Arizona. Harris, invece, prevale in Iowa ed è leggermente avanti in Nevada, North Carolina e Wisconsin. In quasi tutti questi stati in bilico la corsa è molto serrata, e Trump e Harris stanno puntando su alcune comunità specifiche. Ad esempio su Repubblica l’ormai ex direttore Maurizio Molinari racconta la caccia al voto delle comunità di ebrei e arabi in Michigan e Pennsylvania, con le tante implicazioni che potete immaginare sull’attualità, la guerra, la geopolitica. 

È abbastanza impressionante vedere come alla fine, stringi stringi, le elezioni del paese più influente al mondo si giocheranno probabilmente sui voti di poche persone, sui bisogni specifici di alcune comunità, grazie magari a una lettera o a un cartellone appeso nel luogo giusto nel momento giusto. 

Ci sono anche timori per rivolte o disordini pubblici, dopo l’episodio dell’assalto al Congresso di 4 anni fa. Tre Stati (Washington, Nevada e Oregon) hanno allertato la Guardia nazionale rispetto al pericolo di rivolte. Intorno alla Casa Bianca e a Capitol Hill (sede del Congresso)  sono state innalzate barriere di difesa. 

Comunque, ci piaccia o no, domattina avremo i risultati, e ne parleremo, a caldo. 

Sempre a proposito di elezioni, anche se sono passate un po’ in secondo piano ma ci sono stati i ballottaggi presidenziali in Moldavia e ha vinto l’europeista Maia Sandu, in quello che è stato un po’ l’ennesima elezione giocata sul contrasto Europa-Russia.

Sempre su Repubblica stavolta Rosalba Castelletti che racconta come la presidente uscente Maia Sandu sia stata riconfermata per un secondo mandato alla presidenza della Moldova con circa il 55% dei voti contro il 45,4% del suo rivale, l’ex procuratore generale Alexandr Stoianoglo, il candidato dei socialisti filorussi accusato di essere “il cavallo di Troia del Cremlino” o “l’uomo di Mosca”. 

A premiare la Presidente in carica sono stati soprattutto i cittadini/e moldave residenti all’estero, mobilitatisi in massa che hanno portato oltre 320mila voti contro i circa 250mila del primo turno, il che ha portato l’affluenza a crescere e a superare il 54%. Anche due settimane fa, del resto, era stato il voto estero a garantire una seppur risicata vittoria del “sì” al referendum sull’adesione alla Ue che si era tenuto in concomitanza col primo turno delle presidenziali.

Secondo Repubblica e i media europei – specifico la fonte perché sappiamo che in clima di guerra ogni notizia è inevitabilmente anche un po’ propaganda e va presa con le pinze – “La giornata elettorale è stata comunque contrassegnata da «una massiccia interferenza della Russia» con cyberattacchi per sabotare le comunicazioni tra i seggi esteri e Chisinau, falsi allarmi bomba per interrompere il voto in Germania e nel Regno Unito, persino anonime minacce di morte agli elettori. Nonché «trasporti organizzati» dagli emigrati filorussi: voli da Mosca, Minsk, Baku e Istanbul, ma anche bus dalla Transnistria separatista. E si denunciavano anche compravendite dei voti nei villaggi finanziate con i soldi dell’oligarca filorusso in esilio Ilan Shor.

Come spiega la giornalista, però, “Sarebbe tuttavia riduttivo dare la colpa del testa a testa soltanto ai soldi di Shor. La Moldova è un Paese polarizzato: da un lato, la capitale Chisinau e la diaspora impegnate per la causa europea; dall’altro, le zone rurali e due regioni, la separatista Transnistria e l’autonoma Gagauzia, rivolte verso Mosca. Una frattura acuita dalla crisi economica. «La percentuale di popolazione pro-Ue è diminuita negli ultimi anni dopo i fallimenti del governo europeista nella lotta alla povertà e nella riforma della giustizia». Oggi il Paese è estremamente in bilico. Vedremo.

Sui giornali si continua a parlare ancora, e molto, delle alluvioni in Spagna. Ieri abbiamo fatto un po’ di debunking sulle teorie che circolavano legate agli esperimenti di geoingegneria in Marocco, che come abbiamo visto non hanno nessun legame con quanto avvenuto.

Ma sono tante le questioni all’ordine del giorno legate a quei fatti drammatici. Una delle immagini che ha più colpito l’immaginario collettivo è quello delle contestazioni al premier Sanchez e al Re Felipe, oltre che al Governatore della regione di Valencia Mazon, che nella pratica è cplui che sembra avere maggiori responsabilità dell’accaduto.

Le urla Fuera! Fuera! Il fnago tirato contro il re, la bastonata con cui un uomo ha provato a colipre Pedro Sanchez sono solo alcune istantanee che hanno rimbalzato per i media di mezzo mondo. Ma c’è un particolare forse minore, ma molto significativo, che ha colpito il collega, nonché presidente dell’associazione ICC Paolo Cignini, a cui lascio la parola per un commento.

Audio disponibile nel video / Podcast

Grazie davvero Paolo. Intanto la tempesta si è spostata sulla Catalogna, a Barcellona e dintorni, dove decine di voli sono stati cancellati. Mentre nella provincia di Valencia, c’è una certa confusione sulla questione dei dispersi. Per giorni i media spagnoli hanno parlato di un parcheggio sotterraneo completamente sommerso di acqua definendolo come un cimitero, dove si temeva sarebbero stati trovati decine se non centinaia di morti. Invece ieri sono entrati i sommozzatori e pare che le macchine fin qui esaminate siano vuote.

Ci sono poi le stime dei dispersi, che variano da 1300, a 1900. Stamattina Repubblica parlava doi ancora 2000 dispersi, ma ieri il Post spiegava che una delle stime più diffuse legate ai dispersi (quella di 1900 persone) è stata fatta in base alle telefonate a un numero di emergenza di persone che cercavano i loro cari, facendo notare che però mentre le persone chiamano le autorità quando nel panico cercano una persona cara, spesso poi non è che richiamano per dire che l’hanno trovata, se la trovano. Quindi ecco, ancora qualsiasi stima è del tutto inaffidabile e ci vorranno giorni per capire quante persone sono effettivamente morte, sperando che la spiegazione del Post sia realistica.

Noi continueremo a raccontare quello che succede.

La forza di un’immagine. Parlavamo di alcune immagini che fanno il giro del mondo legate all’alluvione a Valencia e dintorni. Ce n’è un’altra che sta circolando molto ed è il video di una studentessa iraniana dell’Università islamica Azad di Teheran che se ne sta seduta su un muretto in mutande e reggiseno e che sta diventando un emblema delle proteste dei giovani e soprattutto delle giovani contro il regime. 

Anche se Ci sono versioni discordanti. Secondo quanto riporta il Corriere la ragazza sarebbe stata ripresa per il suo abbigliamento dagli uomini della sicurezza dell’università perché indossava il velo in modo «inappropriato» e così lei, per protesta, si è spogliata restando nel cortile dell’ateneo senza abiti. 

Secondo due testimoni intervistati da BBC, imvece, la decisione di spogliarsi non sarebbe da intendersi come una forma di protesta e non ci sarebbero stati scontri con gli agenti. I due hanno detto che la ragazza era entrata in diverse classi dell’Università con un telefono in mano, forse per filmare gli studenti presenti. Secondo la loro ricostruzione, un docente infastidito aveva mandato uno studente a chiedere alla ragazza cosa stesse facendo, ma questa aveva iniziato a urlare. In seguito, uno dei due testimoni ha detto di aver visto la ragazza in cortile senza vestiti. I testimoni però non sanno cosa sia successo da quando la ragazza era all’interno dell’edificio a quando è uscita e si è svestita.

Dopo sarebbe stata fatta salire su un furgone e portata in manicomio.

Questa versione sembrerebbe suffragare la tesi di un disturbo mentale della ragazza. Ma come fa notare l’attivista iraniana e premio Nobel Shirin Ebadi “E’ lo stesso posto dove molti oppositori della Repubblica islamica sono stati torturati – scrive su Instagram – Non abbiamo dimenticato la dolorosa esperienza di Mahjoubi ucciso dopo essere stato trasferito in un ospedale psichiatrico. Secondo l’attivista “E’ la ripetizione dello stesso scenario: il manifestante ha un ‘disturbo mentale’, dire che sono ‘malati’ è un vecchio metodo del sistema di repressione”. 

Ad ogni modo la potenza simbolica dell’immagine, come spesso accade, sta andando oltre il reale significato di essa, qualunque sia, e rappresenta la protesta delle giovani iraniane contro le oppressioni del regime di Teheran.

Prima di chiudere vi voglio segnalare che oggi su ICC pubblichiamo un pezzo molto importante sull’assegnazione del premio Nobel per la Pace a Nihon Hidankyo, l’associazione dei hibakusha, i sopravvissuti alle bombe atomiche. L’articolo è una carrellata di commenti da parte di esperti e attivisti per la pace, accomunati da alcune riflessioni. Due su tutte? L’importanza di non dimenticare il genocidio in corso e il valore della testimonianza di chi la guerra, in particolare quella nucleare, l’ha vissuta sulla propria pelle.

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