6 Nov 2024

Donald Trump ha vinto le elezioni Usa: l’analisi a caldo – #1014

Scritto da: Andrea Degl'Innocenti
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Ieri si è votato negli Usa e con lo spoglio che mentre registro questa puntata è ancora in corso sembrerebbe però aver vinto Trump. Quindi, a caldissimo, cerchiamo di capire qual è la situazione e a fare qualche analisi e considerazione sul voto.

A un certo punto bisogna tirare una linea e andare online. Anche se non ci sono risultati definitivi. Ma, nel momento in cui registro questa puntata, ovvero le 6:40 circa del 6 novembre 2024, sembra che Trump, a meno di grosse sorprese, sia sul punto di voicnere queste elezioni

Trump, che ha passato la notte nella sua tenuta di Mar-a-lago in Florida, attorniato da alcuni amici e sostenitori, tipo Elon Musk, Nigel Farage (primo fautore di Brexit) e il figlio di Bolsonaro non ha al momento rilasciato dichiarazioni, così come lo stesso ha fatto Kamala Harris.

La situazione è stata a lungo in bilico e le elezioni, come annunciavano i sondaggi, sono state molto sul filo. A guidare gli osservatori e i giornalisti c’è stato per molte ore il cosiddetto “needle” del NYT,che significa ago ed è in effetti un ago di una bilancia che il giornale ha messo in homepage e che sulla base di complicati calcoli e proiezioni e una mole enorme di dati calcolava in tempo reale chi aveva maggiori probabilità di successo. 

Attorno alle 2 del mattino l’ago era in perfetto equilibrio, poi man mano ha iniziato a pendere dalla parte di Donald Trump. Alle 5 del mattino, quando spesso nella storia delle elezioni americane si aveva già un vincitore chiaro, l’ago iniziava a dare indicazioni più chiare, ma ancora con un buon margine di incertezza. Indicava l’80-85% di probabilità di una vittoria di Trump.

Già verso le 3:30 di notte (ore sempre italiane) il valore dei bitcoin era schizzato alle stelle, un segnale interpretato da molti osservatori come una fiducia nella vittoria di Trump, che affiancato da Musk potrebbe avere politiche favorevoli alle criptovalute. 

Come si sapeva a giocare un ruolo chiave sono stati i cosiddetti swing state, ovvero i 7 stati in bilico che i due contendenti hanno provato a conquistare fino all’ultimo, ovvero Arizona, Georgia, Michigan, Nevada, North Carolina, Pennsylvania e Wisconsin. Di questi, in particolare sembrano essere andati a favore di Trump i paesi del Nordest, quelli del cosiddetto Blue wall il muro blu (democratico) che aveva tradizionalmente consentito molte delle vittorie dei democratici in passato ovvero Minnesota, Wisconsin, Mitchigan e Pennsylvania. 

Ed è stata quest’ultima soprattutto che ha giocato il ruolo chiave, nel senso che quando è stato più o meno chiaro che la Pennsylvania sarebbe andata a Trump, a quel punto è di fatto finita la partita. Attorno alle 5:20 Elon Musk ha twittato sul suo social X “game, set, match”, indicando la convinzione che i giochi fossero di fatto chiusi.

Ovviamente è molto presto per fare delle analisi approfondite sul voto, su cosa ha spostato, su cosa ha pesato. Lo faremo soprattutto domani, però intanto qualcosa, qualche abbozzo di riflessione possiamo iniziare a farla. 

Partiamo dalle tematiche. Molti studi e ricerche mostrano che ci sono alcune differenze di genere sui temi a cui si dà rilevanza nello scegliere chi votare. Economia e sicurezza tendono a essere temi prioritari per gli uomini mentre sanità, istruzione e ambiente risultano spesso di maggiore interesse per le donne. Questo si traduce tradizionalmente in un maggiore supporto maschile ai repubblicani e femminile ai democratici.

Trump in effetti sembra aver puntato proprio sui due temi più forti del suo elettore tipo. Nell’ultimo messaggio prima del voto Il leader repubblicano ha martellato sull’inflazione, sull’immigrazione e sulle élite corrotte di Washington. 

Mentre Harris ha scelto come messaggio finale la difesa della libertà e la minaccia di Trump alla democrazia, scegliendo fra l’altro per lanciarlo un luogo simbolico, il parco dell’Ellisse, lo stesso dal quale il suo avversario innescò l’assalto al Congresso il 6 gennaio 2021. Quindi da questo punto di vista Trump sembra essere rimasto più centrato sul focus del suo target di riferimento.

Mentre Harris in buona parte l’ha mancato. Ad esempio, da quel che ci dicono i primi risultati, Harris non è riuscita a portare alle urne le fasce di elettorato su cui puntava di più. Ad esempio le donne, Harris aveva fatto anche una serie di spot elettorali indirizzati alle donne repubblicane in cui ricordava loro che il voto è segreto e che potevano votare diversamente dai loro mariti. Ma in fin dei conti il gender gap a favore di Harris è stato abbastanza limitato. Solo il 53% delle donne ha votato per Harris, meno di quante avevano votato nel 2020 per Biden.

Harris aveva puntato abbastanza anche sul voto dei latinos, soprattutto dopo l’infelice battuta del comico Tony Hinchcliffe durante un comizio di Trump in cui definiva Portorico un’isola di spazzatura. Ma anche qui la percentuale di sostenitori fra i latinoamericani è stata abbastanza bassa, ed è diminuita molto rispetto al 2020 (53% di oggi contro il 64% di allora). Insomma, nessuna delle strategie volute da Harris sembra aver funzionato, nella pratica.

Trump al contrario è stato più bravo nel centrare i suoi obiettivi, pur nella vaghezza dei suoi messaggi. Ad esempio sembra aver raggiunto un pubblico di giovani, in genere più democratico, grazie a numerose partecipazioni a podcast nelle ultime settimane, fra cui quello più ascoltato in assoluto al mondo, il podcast di Joe Rogan, l’ex lottatore di MMA e stand up comedian che nelle ultime settimane ha intervistato, ciascuno per circa 3 ore, Donald Trump, il suo vice JD Vance, e Elon Musk, facendo nei fatti un endorsement per il candidato repubblicano. Anche fra i giovani Harris ha preso circa il 55% del voto contro il 65% a Biden nel 2020.

Fra l’altro, ho ascoltato parte di tutti e tre questi podcast e sono rimasto colpito da come i messaggi portati avanti in quel contesto – quindi comunque un contesto di ascoltatori mediamente giovani e acculturati, non parliamo dei comizi in piazza negli stati rurali – siano stati quello anti woke, contro quella che veniva definita l’ideologia trans, e quello contro le grandi corporations, soprattutto le case farmaceutiche. Con qualche stoccata anche all’ideologia-religione ambientalista. 

È in particolare il candidato alla vicepresidenza J.D. Vance a battere su questo chiodo. Vance, scrive Limes, sa che il risentimento è alla base del fenomeno Trump. Tiene un comizio a Leesport, contea di Berks, un pratone coi campi sportivi della high school locale in cui rivendica ai repubblicani il buon senso e la libertà di espressione. Il diritto di dissenso, dice, è sotto attacco dei democratici, i quali hanno «cospirato durante la pandemia con le Big Tech per censurare le persone». Non è falso: Mark Zuckerberg ha dovuto confessare in una lettera alla Camera di aver ceduto alle pressioni dell’amministrazione Biden per oscurare contenuti critici delle politiche anti-Covid decise dal governo.

L’analisi fatta da Limes è antecedente al voto ma l’ho trovata molto interessante perché spiega molte cose e contraddice alcuni stereotipi. Ad esempio, c’è una convinzione diffusa che il voto per Harris sia un voto sostanzialmente contro Trump mentre chi vota per Trump voti convintamente per Trump.

In realtà, a quanto riporta la rivista, non è così. Se è verpo che Harris non scalda gli animi e che la maggior parte del suo elettorato sembra aver votato per lei solo per non votare Trump, la sorpresa è che la stessa cosa si può dire, almeno almeno in parte anche per chi ha votato Trump. 

Quell’idea di elettori di Trump come un branco di fanatici che seguono in maniera fideistica il loro capo vale solo per un piccolo pezzetto di elettori. Vi leggo un estratto dell’articolo a firma di Federico Petroni, che è andato fisicamente in Pennsylvania a fare un po’ di interviste:

“Girando per Doylestown, Harris sembra avere ragione a puntare su Trump come minaccia. Siamo nella contea di Bucks, l’unica delle quattro attorno a Philadelphia a dividersi a metà fra repubblicani e democratici. Di fronte al supermercato italiano Altomonte, caro ma non eccessivo, dunque non frequentato solo da benestanti, incontriamo più donne che uomini. Prevale la candidata democratica, come sempre in questa campagna dove il divario di genere è nettissimo, specialmente nelle decisive aree suburbane.

Quando chiediamo perché Harris, la reazione più comune è: «Perché non è Trump». Le risposte più comuni: Trump ha problemi di carattere, minaccia la democrazia, è contro l’aborto, è inaccettabile, si crede al di sopra della legge, è un criminale. Qualcuno avrebbe faticato a votare Biden perché troppo anziano, ma l’arrivo di Harris li ha tranquillizzati. La vicepresidente convince pochi, solo i più attivi a livello politico. Ma queste persone la percepiscono come sufficientemente competente e dignitosa per raccogliere gli oppositori dell’ex presidente. 

I risultati si ribaltano a Gettysburg, mitico campo di battaglia della guerra civile, in quella Pennsylvania rurale e vecchia che mantiene un tocco di campagna inglese. Ma anche qui è “Difficile imbattersi nei fan sfegatati di Trump ai quali troppo spesso dalle nostre parti riduciamo i suoi elettori.

Anche i repubblicani votano più contro il partito rivale che per il proprio. Trump ha qualche convinto sostenitore in più, soprattutto conservatori. Ma l’argomento nettamente più ricorrente è: i democratici vogliono imporre il socialismo. Sono troppo progressisti. L’inflazione e l’immigrazione sono la prova che il paese sta finendo fuori controllo. Lo stile di vita sta peggiorando: patiscono l’aumento dei prezzi di case, carburante, spesa alimentare, assicurazione sanitaria.

Molti sono persino stufi di Trump, ma separano la persona dalle politiche. «È un idiota», ci spara in faccia Candy, 55 anni, «deve smettere di dire sciocchezze, come gli immigrati che mangiano i cani, e ascoltare i suoi consiglieri. Deve battere sui temi su cui è forte».

Dexter, sulla quarantina, è un soldato a contratto, lavora per il Pentagono. Detesta Trump ma il discrimine per lui è l’economia e ha seri dubbi che Harris cambierebbe le cose. La vicepresidente è parte del cosiddetto establishment. Anche Trump lo è, ma da anni si è costruito un’immagine credibile di demolitore. Molti suoi elettori gli chiedono di fare esattamente questo. Rovesciare un sistema percepito come corrotto a livello istituzionale e inaccessibile a livello economico. Lo pensa una parte non indifferente del paese. E non solo trumpiana.

Per chi vota Trump, i democratici non vogliono solo il controllo. Hanno creato uno stile di vita e di società a loro immagine e somiglianza. Tacciano di ignoranza e complottismo chi non ci sta o non ci può arrivare. E lo escludono”.

La cosa che si evince da queste interviste, l’articolo ne continene molte altre, è che la società americana è spaccata in due, ma ancora di più si percepisce spaccata in due. E questo credo sia un risultato dei social e delle cosiddette echo chamber, le bolle comunicative in cui non solo ognuno è circondato dalle opinioni che rinforzano la propria, ma soprattutto è circondato dall’estremizzazione delle opinioni altrui. 

Questo concetto chiave, devo ammetterlo, lo devo proprio all’intervista di Rogan a JD Vance. Fatto sta che nelle dinamiche social non vengono rappresentate tutte le sfumature nel mezzo ma ciascuna delle due parti condivide nella sua bolla solo le frange più estreme degli avversari, contribuendo a restituirne un’immagine distorta e stereotipica. Quindi probabilmente la società americana si percepisce più divisa e distante di quanto non sia realmente. Ma la percezione di ciò che è reale a volte pesa di pià di ciò che è reale.

È un’ipotesi confermata anche dallo stesso articolo di Limes, che racconta come al banchetto del Partito democratico di una cittadina della Pennsylvania gli attivisti siano convinti che «i repubblicani sono tutti contro l’immigrazione, ma questo paese è fondato sull’immigrazione».

Mentre la netta maggioranza degli elettori trumpiani intervistati si dicono sì contrari a un’immigrazione incontrollata ma vogliono continuare a accogliere persone, magari selezionando quali persone.

Un’altra diapositiva che arriva è quella di Joanna, 35 anni, che condivide una storia delicata. “Assieme ad altre mamme, aveva protestato contro una lettura obbligatoria a scuola: George, storia di un bimbo di dieci anni che si sente femmina, vorrebbe cambiare sesso e sta così male da pensare di poterlo fare da solo. Il libro era una lettura obbligatoria per suo figlio, pure lui di dieci anni. «Non ho chiesto di bandirlo, per me può stare in biblioteca, solo non voglio che il mio bambino venga esposto a questi argomenti prima del tempo. Sapete cosa mi ha risposto il consiglio scolastico? Che sono un’omofoba». Mentre racconta diventa paonazza”. 

Insomma, la lotta fra democratici e repubblicani sembra una lotta che non accetta sfumature. Bianco e nero. Ma il mondo è fatto di sfumature e ciascuno alla fine ha scelto, probabilmente tappandosi il naso, il candidato o la candidata che considerava meno peggio. La storia sembra dirci che la maggioranza degli elettori hanno considerato Trump il meno peggio.

A riprova che le persone sono meno bianche o nere di come a volte le dipingiamo, o si dipingono, ci sono i risultati dei tanti referendum sull’aborto. Perché come spesso accade, assieme alle elezioni presidenziali e del congresso si votava anche per diversi referendum. Ne parleremo meglio nei prossimi giorni, ma intanto sappiate che molti di questi referendum, quelli più discussi, quelli di cui si è parlato di più, erano relativi all’aborto.

Perché lo scorso anno è saltata la storica sentenza Roe vs Wade, che di fatti regolava l’aborto negli Usa, che non hanno mai avuto una legislazione dedicata ma basavano la loro prassi su questo grosso precedente giuridico, e da allora ogni stato ha iniziato a legiferare per conto suo. In questa occasione molti stati hanno proposto dei referendu, e in tutti gli stati in cui si è votato per un referendum sull’aborto, la percentuale di persone che ha votato diciamo a favore del diritto ad abortire è stata molto superiore rispetto a chi ha votato per Harris. Significa che una parte non indifferente dell’elettorato trumpiano ha votato a favore della scelta.

In Arizona, Nebraska e Missouri il referendum dovrebbe passare abbaStanza tranquillamente, in Florida e Nord Dakota probabilmente no ma lì c’era bisogno rispettivamente del 60% e 65% dei voti perché passasse.

Infine spendiamo due parole sulle elezioni del Congresso. perché sì, oltre che per il nuovo o la nuova presidente si votava anche per rinnovare tutta la Camera e ⅓ del Senato. Anche qui i risultati sembrano essere a favore dei Repubblicani che sembrerebbero aver strappato ai democratici il Senato e probabilmente conquistato anche la Camera.

In tutto ciò, ci sono stati diversi problemi in queste elezioni, ritardi vari e soprattutto una quantità spropositata di allarmi bomba. Tutti falsi. In particolare questi allarmi sono arrivati negli stati in bilico, tra cui la Georgia, ma ne sono arrivati anche in Pennsylvania, Arizona, Michigan e Wisconsin. In Georgia i seggi interessati sono stati più di 30.

Non è chiaro da dove siano provenute queste segnalazioni, che sono principalmente arrivate per email, ma l’FBI ha detto che alcune sono riconducibili ad account russi. Alcuni indirizzi email da cui sono arrivati gli allarmi sarebbero già stati utilizzati in precedenti tentativi da parte della Russia di interferire con le elezioni statunitensi. Di questo, probabilmente, si parlerà nei prossimi giorni.

In chiusura, penso che al di là dei risultati, molti cittadini saranno sollevati dalla fine di queste elezioni. Soprattutto quelli degli stati in bilico, che negli ultimi giorni erano letteralmente bombardati da messaggi elettorali. In molto hanno lamentato un’invadenza politica senza precedenti. Il comitato elettorale di Harris in Pennsylvania vantava di aver invitato a votare Harris porta a porta suonando in almeno 800mila case nell’ultima settimana. Questo si affianca a messaggi pubblicitari in televisione, su tutti i siti internet, telefonate. Non deve essere stato semplice. Almeno questo martirio, è finito.

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