Donald Trump è colpevole: condannato l’ex presidente, che succede adesso? – #942
Trump è colpevole. Il primo processo penale nella storia a un ex presidente statunitense è giunto al momento più atteso, quello del verdetto. E i 12 giurati hanno giudicato colpevole l’ex presidente di tutti e 34 i capi di imputazione.
Si tratta del processo in cui Trump era accusato di aver falsificato documenti contabili per nascondere un pagamento all’attrice di film porno Stormy Daniels. In pratica Trump e Daniels avrebbero avuto una relazione sessuale nel 2006, e durante la sua campagna elettorale in vista delle elezioni presidenziali del 2016 (poi vinte proprio da Trump) l’ex presidente avrebbe pagato l’attrice per evitare che questa rendesse pubblica la loro relazione sessuale. E avrebbe poi falsificato dei documenti contabili per insabbiare questo pagamento.
La notizia è arrivata attorno alle 23:30 ora italiana, per cui ancora c’è più cronaca che commento sui giornali, ma è comunque un fatto storico. Scrivono Jonah E. Bromwich e Ben Protess sul NYT: “Donald J. Trump è stato condannato per aver falsificato i documenti per coprire uno scandalo sessuale che minacciava la sua ascesa alla Casa Bianca nel 2016, parte di uno schema che i procuratori hanno descritto come una frode al popolo americano. È il primo presidente americano a essere dichiarato colpevole, una macchia che si porterà dietro quando cercherà di riconquistare la presidenza”.
“Trump è stato condannato per tutti i 34 capi d’accusa di falsificazione di documenti aziendali da una giuria di 12 persone di New York, che ha deliberato per due giorni per giungere a una decisione in un caso ricco di descrizioni di accordi segreti, scandali sui tabloid e un patto nello Studio Ovale con echi del Watergate. L’ex presidente è rimasto in gran parte inespressivo, con un’espressione cupa sul volto, dopo che la giuria ha emesso il verdetto”.
Per darvi qualche dettaglio in più, riprendo un articolo del Post precedente al verdetto, che però descriveva bene la penultima fase del processo, quella appunto prima del verdetto, in cui difesa e accusa avevano presentato le rispettive conclusioni ai giurati.
Raccontava il Post che “La tesi dell’accusa è che durante la campagna elettorale del 2015 i collaboratori più stretti di Trump avessero messo a punto una strategia per proteggere il futuro presidente da scandali relativi al suo passato. David Pecker, editore del tabloid National Enquirer, aveva il compito di scovare storie che avrebbero potuto creare difficoltà e metterle a tacere, secondo una tattica conosciuta come “catch and kill” che di fatto consiste nel comprare l’esclusiva sulle notizie per evitarne la pubblicazione.
Michael Cohen, avvocato personale di Trump e “faccendiere”, incaricato di risolvere problemi dell’azienda e della famiglia, avrebbe svolto il lavoro di intermediazione, anche economica: questa tattica sarebbe stata usata almeno tre volte per comprare il silenzio del portinaio della Trump Tower, Dino Sajudin, della modella di Playboy Karen McDougal e appunto di Stormy Daniels.
Daniels, che durante la sua testimonianza ha raccontato con molti particolari la relazione avuta con Trump, è stata pagata 130mila dollari da Cohen, che anticipò personalmente la cifra. Lo fece, secondo l’accusa, dopo aver avuto una diretta autorizzazione a procedere da parte di Trump: alcuni mesi dopo sarebbe stato ripagato di oltre 400mila dollari (cifra aumentata perché soggetta a tasse, e che comprendeva un premio arretrato), con undici diversi assegni. Il pagamento fu giustificato come spese per consulenze legali, e l’accusa ha presentato come prova centrale della falsificazione alcune annotazioni del responsabile finanziario di Trump che indicavano la cifra come “rimborso”.
Durante l’arringa il procuratore Joshua Steinglass ha anche ricordato le testimonianze dei collaboratori di Trump che descrivevano come l’ex presidente fosse attento a ogni singola spesa sostenuta e come avesse l’ultima parola su ogni questione importante.
La difesa aveva invece sostenuto l’estraneità di Trump alla questione, che sarebbe stata gestita autonomamente dal suo legale, Michael Cohen: lui avrebbe deciso di pagare quella che la difesa definisce una «estorsione» (Trump nega anche la relazione sessuale con Daniels). Gli avvocati di Trump si sono concentrati su screditare Cohen, che effettuò personalmente il pagamento, definendolo «il più grande bugiardo di tutti i tempi»”. E in questo si sono aggrappati alla storia personale di Cohen, reo confesso in passato di aver mentito a una commissione d’inchiesta del Congresso statunitense.
Mercoledì il giudice Juan Merchan aveva dato le ultime indicazioni alla giuria, composta da 12 giurati, che poi sono ritirati per deliberare, in quella che è l’ultima fase del processo e che ha una durata molto variabile, da poche ore a intere settimane. In questo caso ci sono voluti poco meno di due giorni per arrivare al verdetto di colpevolezza. I giurati hanno dato ragione all’accusa su tutta la linea. “È stato un processo farsa, una vergona. Sono un uomo innocente”, ha commentato a caldo Trump. E poi, riferendosi alle prossime elezioni: “Il vero verdetto si avrà il 5 novembre. Continueremo a combattere, continueremo a combattere fino alla fine”. Cosa rischia adesso Trump?
Già, perché la giuria nei processi americani non determina la pena ma esprime solo un verdetto di colpevolezza o assoluzione. Adesso la palla ripassa al giudice che deve definire la pena. Secondo i giornali Trump rischia fino a 4 anni di carcere, ma al tempo stesso viene detto che una condanna detentiva è sì possibile, ma non è né scontata né più probabile rispetto ad altri tipi di pena (ad esempio libertà vigilata, libertà condizionale, servizi sociali o persino una semplice multa), e la decisione spetta solo ed esclusivamente al giudice. La pena sarà stabilita in un’udienza fissata per l’11 luglio.
Ad ogni modo si tratta di un verdetto storico che fa di Trump il primo ex capo della Casa Bianca condannato in un processo penale e anche il primo candidato alla presidenza a fare campagna elettorale come pregiudicato, uno status che comunque non gli impedisce di essere eletto e fare il comandante in capo delle forze armate. Staremo a vedere.
Restiamo negli Usa ma per tornare sulla questione delle armi occidentali che l’esercito ucraino potrebbe usare in suolo russo. Perché ieri sera è arrivata la notizia, riportata da alcuni media statunitensi, che il presidente Joe Biden ha autorizzato l’Ucraina a impiegare armi statunitensi per colpire in territorio russo, ma solo per difendere Kharkiv.
In che senso direte voi? Perché c’è bisogno di colpire obiettivi in suolo russo per difendere Kharkiv? Ecco, devo dire che nella puntata di ieri mi ero perso qualche pezzetto e che ho compreso meglio la questione grazie a un altro podcast, ovvero Stories di Cecilia Sala, che in due puntate che trovate sotto fonti e articoli spiega mi pare molto bene il motivo – o almeno una parte del motivo – che sta spingendo la Nato ad autorizzare l’esercito ucraino ad utilizzare le armi occidentali su suolo russo.
Provo a riassumervi. In pratica qual è la situazione: la situazione è che in alcune aree del conflitto, l’esercito russo attacca e bombarda il suolo ucraino dall’interno del suo confine, e l’esercito ucraino non può fare praticamente nulla per fermare quei bombardamenti.
In particolare la Russia ha iniziato a usare, da qualche mese, queste bombe plananti, che sono dei vecchi ordigni molto economici e poco precisi, a cui vengono letteralmente saldate delle alette laterali che consentono loro di planare sull’obiettivo. Questo avviene nelle zone in cui la linea del conflitto corrisponde o è molto vicina al confine politico fra Russia e Ucraina e dove l’esercito russo può bombardare obiettivi ucraini direttamente da dentro il suo confine sapendo di restare impunita. Proprio perché l’esercito ucraino non può intercettare e abbattere questi aerei prima che sgancino le bombe.
Tant’è che queste bombe vengono comunemente chiamate bombe impunite. E la Russia ne sta facendo un uso sempre maggiore, anche perché sono molto più economiche dei missili, anche se meno precise: l’esercito ucraino parla anche di 40-80 bombe sganciate in un giorno. E da qualche mese ha iniziato a bombardare con insistenza Kharkiv che è la seconda città più popolosa dell’Ucraina, dove vivono 1 milione e 300 mila abitanti nonostante la guerra e che sta a 40 km dal confine con la Russia, significa che quando un aereo bombardiere sgancia una bomba hai circa un minuto di tempo per scappare.
Come racconta sempre Cecilia Sala, sabato scorso un bombardiere russo si è alzato in cielo, senza uscire dallo spazio aereo russo e ha lanciato due bombe plananti su un centro commerciale.
E di nuovo, il fatto è che l’esercito ucraino presente a Kharkiv non è autorizzato ad abbattere il bombardiere russo, anche se sanno che sta per colpirli, e potrebbero abbatterlo prima che sganci le sue bombe, e invece devono aspettare che l’aereo spari e poi andare a salvare le persone rimaste in vita. Fra l’altro, il fatto di sapere di essere impuniti fa sì che l’esercito russo stia facendo amplissimo uso di queste bombe proprio a Kharkiv, e non ad esempio in altre città dove il conflitto è più acceso, ma che si trovano su suolo ucraino, e dove l’esercito ucraino è legittimato a rispondere. Cecilia Sala fa l’esempio di Zaporizhia, dove è molto meno frequente assistere ad attacchi come quello appena descritto, rispetto a Kharkiv.
Quindi ecco, la decisione di consentire l’utilizzo di armi occidentali su suolo russo va inserita in questo contesto. Ora, ciò non vuol dire che sia una roba da prendere alla leggera, e comunque rimangono molti interrogativi. Perché sappiamo che comunque, a livello internazionale, quella di non usare armi NATO in suolo risso resta una sorta di tabù e un confine da non superare a cuor leggero. E poi non è detto che una volta ottenuto il via libera a questo tipo di utilizzo non si possa passare, da un utilizzo comunque difensivo (anche se in suolo russo), ad un utilizzo offensivo, per colpire obiettivi strategici russi. Cosa che cambierebbe ulteriormente le carte in tavola. E che è stata comunque ventilata.
Però, ecco, mi sembrava che questi elementi mancassero nel ragionamento fatto ieri e ci aiutino ad avere una comprensione più completa dei fatti.
Fra le tante conseguenze che in qualche modo stanno seguendo all’arresto di Giovanni Toti ce ne sono parecchie che sono – direi – positive. È il caso, ad esempio della notizia che pubblichiamo oggi su ICC, che arriva dalla nostra redazione ligure ed è a firma di Emanuela Sabidussi e riguarda il Parco di Portofino.
Notizia che è arrivata qualche giorno fa e che, leggo, “sembra essere il prosieguo di un effetto domino che sta vedendo come protagonista la Regione: il Tar della Liguria ha infatti accolto il ricorso dell’Associazione Amici del Monte di Portofino e della onlus Verdi Ambiente e Società”.
La storia attorno al Parco Nazionale di Portofino è a dir poco intricata, ed è praticamente difficile da ricostruire in poco tempo, perché è una storia fatta di ricorsi su ricorsi, decreti ministeriali, pronunciamenti del Tar e del consiglio di Stato. Fatto sta che l’ultimo decreto ministeriale fatto da Pichetto Fratin nell’ottobre scorso che riduceva delimitava un’area del parco ridotta all’osso, composta da 3 Comuni rispetto agli 11 previsti da Ispra.
Il pronunciamento del Tar ligure però da ragione alle associazioni. Come dichiarano Lipu, WWF e Legambiente in un comunicato congiunto, «Dalla sentenza emerge chiaramente la gravità dell’azione del Ministero, il quale ha accolto le richieste del Presidente della Regione Liguria determinando la riduzione dei confini dell’area protetta da 5363 ettari a circa 1500 ettari».
E ancora: «Questa enorme riduzione dei confini dell’area protetta, fatta coincidere perlopiù con un territorio già protetto a livello regionale, è stata disposta dal Ministero in violazione delle valutazioni scientifiche e delle norme tecniche, solo per assecondare le richieste di alcuni centri di interesse, come il mondo venatorio, che si oppongono a ogni forma di protezione della natura, considerata alla stregua di un parco giochi privato».
Continuiamo con la nostra rubrica verso le elezioni europee. La rubrica in cerca di un nome, che sta ricevendo tanti nomi potenziali. Oggi vi segnalo alcuni altri nomi molto divertenti che mi avete inviato:
– ChEu fare
– ChEu facciamo
– Election day
– Non EURassegniamoci
– L’Europa che non si rassegna
Poi, venendo ai contenuti. Oggi pubblichiamo su ICC un articolo sulla campagna Vote for Animals, supportata da undici organizzazioni italiane tra cui LAV, con un sito dedicato, per aiutare per aiutare chi volesse esprimere un voto, alle europee, legato al benessere degli altri animali. In pratica in che consiste questa iniziativa, in un sito dove è possibile visionare i programmi dei partiti e la lista dei candidati che hanno risposto positivamente alla richiesta di sostenere il benessere animale in Europa.
Quindi ecco, se la questione animale vi sta a cuore, può essere uno strumento, uno degli strumenti, per aiutarvi ad orientarvi a queste elezioni.
Vi segnalo anche che domani, sabato 1 giugno, esce la nuova puntata di INMR+, una puntata un po’ anomala dove non c’è un ospite vero e proprio, ma ci sono più che altro io che provo a fornirvi più elementi possibili di analisi e di ragionamento per scegliere innanzitutto se andare a votare (per non dare niente per scontato), e poi chi votare. Ovviamente non è che vi dico chi votare, ma provo a condividervi alcuni ragionamenti su come scegliere, e con quali criteri, oltre a spiegare come funziona l’UE, il parlamento, il suo ruolo, ecc.
Oggi è venerdì ed è giornata di rassegne sarde. Abbiamo avuto un problema tecnico con il classico audio di Alessandro Spedicati del venerdì in cui annuncia solo per voi la rassegna sarda, per cui invece di quello vi faccio ascoltare l’intro della nuova puntata. A voi:
Audio disponibile nel video / podcast
#Trump
New York Times – LIVE UPDATES: TRUMP GUILTY ON ALL COUNTS IN HUSH-MONEY CASE
la Repubblica – Donald Trump condannato nel processo Stormy Daniels
il Post – Nel processo a Donald Trump ora tocca alla giuria
#armi Ucraina
la Repubblica – Guerra Ucraina – Russia, le news del 30 maggio. Media: Biden ha autorizzato Kiev a impiegare armi Usa per colpire in Russia, ma solo per difendere Kharkiv
#Portofino
Italia che Cambia – Il Parco di Portofino tra storia giudiziaria e interessi edili e venatori
Italia che Cambia – Il Tar annulla il decreto di ridimensionamento: il Parco di Portofino riprende il suo spazio
#europee
Italia che Cambia – Vote for Animals! Chi aderisce alla campagna a supporto del benessere animale?