11 Set 2024

Presidenziali Usa: come è andato il dibattito fra Donald Trump e Kamala Harris? – #979

Scritto da: Andrea Degl'Innocenti
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Questa notte c’è stato l’attesissimo dibattito per le presidenziali Usa fra Kamala Harris e Donald Trump. Vediamo cosa si sono detti, come è andato, chi è risultato/a più convincente e chi meno. Parliamo anche del nuovo dibattito sulla reintroduzione del nucleare in Italia e delle sentenze dell’Ue contro Apple e Google. 

Nella notte appena trascorsa, e anzi quasi fino all’alba italiana, c’è stato il dibattito più atteso della campagna elettorale americana, il primo dibattito Trump-Harris. L’ultimo dibattito fra i due candidati alla presidenza aveva visto Biden al posto di Harris ed era stati il fatto che aveva scatenato poi la valanga che aveva portato al ritiro di Biden dalla corsa elettorale e quindi alla candidatura di Harris. Quindi ecco, capite che è un momento importante. È anche un momento iconico, tradizionale, molto sentito dagli americani a cui viene attribuito molto valore.

Come è andata? Secondo molti analisti è stato un dibattito favorevole soprattutto per Kamala Harris, che ha ottenuto (questa la prendo dall’analisi del Post) il risultato che voleva: non ha fatto gaffe, non ha dovuto rispondere di troppe cose fatte dal presidente Joe Biden, e soprattutto ha fatto innervosire il candidato Repubblicano Donald Trump.

Trump che è andato in difficoltà anche sui suoi temi preferiti e ha fatto una serie di dichiarazioni confuse e problematiche, ed è stato anche corretto dai moderatori quando ha detto falsità. Secondo i maggiori giornali statunitensi Harris «ha messo Trump sulla difensiva». 

In generale, Harris ha ottenuto il suo obiettivo – risultare più equilibrata e moderata rispetto a quando si candidò alle primarie nel 2019 – mentre Trump ha fallito il suo: evitare di perdere la pazienza. Il dibattito è cominciato poco dopo le 9 di sera, le 3 di notte italiane, con una stretta di mano piuttosto cordiale, su iniziativa di Harris. Trump è partito dando della «marxista» ad Harris e ha cercato di attaccarla per i risultati dell’amministrazione di Biden sull’immigrazione, l’economia, la politica estera, ma non ci è riuscito.

L’ex presidente è andato poi in difficoltà sul tema dell’aborto: ha sostenuto che ci siano stati dove è possibile abortire «dopo la nascita», ed è stato corretto dai moderatori David Muir e Linsey Davis, e si è rifiutato di impegnarsi a mettere il veto su un eventuale divieto nazionale di interrompere la gravidanza votato dal Congresso.

Harris è riuscita a spiazzarlo sull’immigrazione, uno dei temi su cui i Repubblicani la attaccano di più, accusandola di essere responsabile di «un’invasione» al confine col Messico. Harris ha introdotto l’argomento criticando i comizi di Trump: dicendo che la gente se ne va prima che lui finisca di parlare, che inventa cose a caso e ne inventerà anche sull’immigrazione. Trump ci è cascato, l’ha presa sul personale e ha parlato dei suoi comizi invece che del tema dell’immigrazione, più problematico per i Democratici. Si è invece messo a dire che le persone migranti «mangiano i cani, i gatti e gli animali domestici».

Trump ha inoltre ribadito che secondo lui non ha perso le elezioni del 2020 e ha detto di non avere rimpianti sull’assalto al Congresso del 6 gennaio 2021 e che quel giorno aveva «solo fatto un discorso» e che «la sicurezza non era mia responsabilità». Sulla sanità l’ex presidente ha detto di non avere un piano, ma «principi di un piano», e che se arrivasse un piano migliore dell’Obamacare lo approverebbe.

Sulla politica estera hanno chiesto a Trump se spera che vinca l’Ucraina e lui si è rifiutato di dirlo, mentre ha espresso ammirazione per il primo ministro ungherese Viktor Orbán. Harris lo ha incalzato. Trump ha invece inspiegabilmente rivendicato di aver concluso l’accordo con i talebani, che portò al ritiro statunitense dall’Afghanistan, attribuendosi quindi la responsabilità di quello che i Repubblicani ritengono un grave insuccesso di Biden.

E così via. Però ecco diciamo che indubbiamente Harris è andata meglio rispetto alle aspettative e Trump peggio. Questa volta, la figura della persona anziana e poco lucida, un po’ l’ha fatta lui. 

Che Harris sia andata molto bene, e Trump al di sotto delle sue aspettative, si vede anche dalle reazioni dei rispettivi staff: i Repubblicani hanno contestato i moderatori di ABC News, il canale che ha trasmesso il dibattito, mentre i Democratici sono soddisfatti e hanno sfidato Trump a un secondo dibattito (al momento non è previsto, ma è una possibilità se i consensi di Harris aumentassero nei sondaggi).

Secondo il New York Times, si sono visti gli effetti di come Harris si era preparata al dibattito e probabilmente i media esprimeranno dubbi su come si era, o non si era, preparato Trump. Nate Silver, lo statistico e fondatore del sito FiveThirtyEight che è uno dei più preparati osservatori politici statunitensi, ha scritto che «Trump è sembrato essere lo sfidante, una cosa che dà fiducia a Harris» e che «ha abboccato all’amo letteralmente ogni volta che lei ci ha provato».

Infine è arrivato l’endorsement di Taylor Swift, la cantante country che attualment eè la cantante più famosa e seguita al mondo e capace di spostare sicuramente pezzi di consenso. Swift è notoriamente Democratica e anche nel 2020 aveva sostenuto pubblicamente la candidatura di Biden. In un post su Instagram Swift ha detto di essersi preoccupata dopo aver visto le immagini generate con l’intelligenza artificiale, ricondivise dagli account di Trump, che lasciavano falsamente intendere che avrebbe votato per lui, e di aver deciso allora di «combattere la disinformazione con la verità».

Swift ha detto che voterà per Harris perché è «una leader dotata di fermezza e di talento e penso che possiamo ottenere molto di più in questo paese se siamo guidati dalla calma e non dal caos» e ha concluso il post firmandosi “Childless Cat Lady”, ovvero “gattara senza figli”, che è un riferimento a una frase del 2021 di J.D. Vance, candidato Repubblicano alla vicepresidenza, che aveva detto che gli Stati Uniti erano governati da «un gruppo di gattare senza figli che non sono soddisfatte della propria vita e delle scelte che hanno fatto, e vogliono rendere il resto del paese ugualmente infelice».

E questo è come andato il dibattito presidenziale. Ditemi anche voi cosa ne pensate, domani ne riparliamo con più calma. 

Veniamo in Italia anche se qui la fonte è di nuovo un media americano. Bloomberg infatti ha pubblicato uno scoop secondo cui il governo italiano sarebbe già in contatto con alcune aziende per riavviare la produzione di energia nucleare nel nostro paese, dismessa nel 1987 dopo un referendum abrogativo e nuovamente bocciata dalle persone con un altro referendum nel 2011.

Secondo Bloomberg il piano prevede la creazione di una nuova società per costruire centrali nucleari nel Paese, e già ci sarebbero contatti con diverse aziende, come Ansaldo Nucleare, una divisione di Ansaldo Energia, Newcleo, una società specializzata in piccoli reattori di nuova generazione con sede a Torino, ed Enel. Inoltre, il governo starebbe cercando anche partner internazionali per sviluppare ulteriormente il progetto.

Il governo al momento non ha confermato né smentito, ma è abbastanza alla luce del sole il gradimento soprattutto della Lega per l’atomo. E in generale tutto il governo sembra via via più possibilista, anche nelle dichiarazioni ufficiali.

Il ministro dell’Energia, Gilberto Pichetto Fratin, lo ha anche detto esplicitamente. Ha detto in un’intervista al Corriere della Sera che il governo sta lavorando a un disegno di legge per l’energia nucleare di nuova generazione. Anche il ministro delle Imprese, Adolfo Urso, ha confermato che nei piani governativi c’è la creazione di una nuova società con il supporto di partner tecnologici stranieri per produrre energia nucleare di terza generazione avanzata. Queste dichiarazioni sembrano confermare le indiscrezioni riportate da Bloomberg, anche se nessuno appunto ha ammesso che il piano è così avanzato da aver già contattato le aziende.

Non so, dobbiamo fare un terzo referendum? Non vorrei liquidare la questione in maniera semplicistica, ma mi pare che siamo un po’ al paradosso. E il paradosso è che si cerca il nucleare in questo istante soprattutto per ridurre la dipendenza dalla Russia mentre, opinione mia, proprio la situazione geopolitica e il conflitto sotterraneo con la Russia dovrebbe spingerci a evitare soluzioni del genere. Perché stiamo già vedendo come in un momento di guerra le centrali nucleari diventano obiettivi strategici da conquistare e magari da colpire. E non è che se si colpisce e fa esplodere un reattore piccolo di ultima generazione non faccia danni eh.

E poi ricordiamoci che ancora non abbiamo risolto il problema di dove mettiamo le scorie radioattive prodotte nella breve esperienza nucleare italiana pre 1987. Ancora non abbiamo deciso dove mettere le scorie di quasi 60 fa! Che attualmente sono ancora sparse in depositi temporanei in varie parti del Paese, con costi di manutenzione molto elevati.

Passiamo a un altro tema, viriamo su questioni del mondo digital. Pochi giorni fa sono arrivate due importanti decisioni della Corte di Giustizia dell’Unione Europea che riguardano colossi della tecnologia come Google e Apple e segnano quella che i giornali descrivono come una escalation nel confronto tra la UE e le Big Tech sul tema della concorrenza e della giustizia fiscale.

La prima decisione riguarda Google per una controversia risalente al 2017, quando la Commissione Europea aveva inflitto a Google una multa di 2,4 miliardi di euro. Il motivo era che il motore di ricerca avrebbe abusato della sua posizione dominante nel mercato europeo, favorendo il proprio servizio di comparazione prezzi rispetto a quelli offerti dai concorrenti. Questa pratica avrebbe danneggiato altre aziende, impedendo loro di competere equamente nel settore della comparazione di prodotti.

Google aveva presentato ricorso contro questa decisione, sostenendo che le modifiche introdotte dal 2017, in seguito alle indicazioni della Commissione, hanno permesso un sistema più equo e che queste modifiche hanno generato miliardi di clic per più di 800 servizi di comparazione, ma la Corte di Giustizia ha respinto il ricorso, confermando la sanzione. 

La seconda decisione, altrettanto significativa, riguarda Apple e una disputa che risale al 2016. In quell’anno, la Commissione Europea aveva stabilito che l’Irlanda aveva concesso ad Apple vantaggi fiscali che costituivano un aiuto di Stato illegale, contravvenendo alle regole del mercato interno dell’UE. Questi vantaggi avevano infatti permesso ad Apple di pagare un’imposta ridotta sui profitti generati al di fuori degli Stati Uniti.

La Commissione aveva quindi richiesto all’Irlanda di recuperare 13 miliardi di euro da Apple. Tuttavia, nel 2020, un tribunale aveva annullato questa decisione, sostenendo che non era adeguatamente giustificata. La Corte di Giustizia, con la sentenza più recente, ha ribaltato la decisione del tribunale e ha confermato che Apple deve restituire l’importo all’Irlanda. 

Questa è stata una grande vittoria per Margrethe Vestager, la commissaria europea per la concorrenza, che ha descritto la sentenza come un trionfo per la giustizia fiscale e ha sottolineato l’importanza di ritenere responsabili anche le più potenti multinazionali tecnologiche. Vestager ha affermato che nessuna azienda è al di sopra della legge e che questa decisione è un segnale epocale.

Una decisione che ha fatto esultare chi si batte contro le ingiustizie fiscali. Dall’organizzazione Oxfam hanno accolto con favore la sentenza, vedendola come un’importante vittoria nella lotta contro l’elusione fiscale da parte delle multinazionali. 

Comunque, fatto sta che queste due decisioni della Corte di Giustizia segnano un passo importante nelle battaglie dell’Unione Europea contro le pratiche fiscali e commerciali delle grandi aziende tecnologiche. Mentre Google viene penalizzata per aver ostacolato la concorrenza, Apple si trova a dover restituire miliardi di euro di tasse che erano stati considerati illecitamente evitati. 

Interessante vedere come l’Ue stia facendo un buon lavoro nel far rispettare le regole alle grandi multinazionali abituate invece a ottenere vantaggi dalla loro delocalizzazione. 

Certo, politiche come queste sono rischiose, anzi direi coraggiose. E vanno un po’ nella direzione opposta a quella indicata da Draghi, bisogna esserne consapevoli. Perché il motivo principale per cui gli stati non fanno rispettare le regole alle multinazionali non è che sono succubi o sotto ricatto. È semplicemente che se lo fanno allontanano gli investimenti delle aziende, che preferiscono investire in luoghi dove le condizioni sono più favorevoli. Mi chiedo se l’Ue avrà la forza e il coraggio di insistere su questo terreno.

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