31 Mag 2023

Di elezioni, dimissioni, partecipazione e democrazia – #738

Scritto da: Andrea Degl'Innocenti
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Oggi parliamo di politica, a vari livelli. Dalle dimissioni di Pedro Sanchez in Spagna, che convoca le elezioni anticipate dopo il risultato deludente delle amministrative nelle grandi città, ai risultati delle amministrative in Italia, con un focus particolare sulla Sicilia. Fino ad arrivare alla democrazia deliberativa e alle assemblee dei cittadini, con una preziosa testimonianza di Extinction Rebellion sul tema.

Come commentavamo lunedì, ci sono state le elezioni amministrative anche in molti comuni e regioni della Spagna, tipo grandi città spagnole, come Madrid, Barcellona, Valencia e Siviglia, e ha vinto in molti comuni il centrodestra, mentre il partito di sinistra al governo, il partito socialista del premier Pedro Sanchez, è riuscito a mantenere il governo solo in tre delle dodici regioni in cui si è votato. E devo dire, almeno dal punto di vista di un osservatore esterno, un po’ a sorpresa, perché la sensazione è che il governo spagnolo stesse facendo delle buone politiche di sinistra, avviando riforme molto importanti dal punto di vista del welfare, del lavoro e dei diritti.

Comunque, la novità che probabilmente avrete già sentito è che lunedì mattina il primo ministro spagnolo Pedro Sánchez ha convocato le elezioni anticipate per il prossimo 23 luglio.

Nel corso di una conferenza stampa Sánchez ha detto di volersi assumere «in prima persona» la responsabilità della sconfitta dei Socialisti: «Anche se il voto di ieri aveva una portata locale, il senso del voto trasmette un messaggio che va oltre». La convocazione delle elezioni verrà ufficializzata dal governo martedì, con lo scioglimento delle Camere, prerogativa che spetta al primo ministro in base alla Costituzione del paese.

Come spiega il Post: “Sánchez è al governo della Spagna dal 2018: il suo primo mandato era durato poco più di un anno e nell’aprile del 2019 c’erano state elezioni anticipate per via di una crisi interna alla maggioranza di governo. Ma quelle elezioni non avevano fatto emergere una maggioranza chiara e dopo sei mesi c’erano state nuove elezioni. In quel caso il Partito Socialista e la seconda forza di sinistra Unidas Podemos, il cui leader era Pablo Iglesias, avevano però trovato un accordo ed erano riusciti a formare una maggioranza di governo solida, insieme al Partito Socialista di Catalogna e alla coalizione Sinistra Unita.

In questi anni il governo di Sánchez ha adottato diverse misure molto “di sinistra”, sia nel campo dei diritti civili sia nel campo della lotta alle disuguaglianze, che ne hanno fatto uno dei più progressisti in Europa”.

Devo dire che rimango sempre un po’ stupito da queste decisioni così drastiche, forse perché sono effettivamente lontane dalla cultura politica del nostro paese. Decisioni come quella di Sanchez in genere vengono accompagnate qua da noi da un commento tipo: “proprio come in Italia”, che di base vuol far capire che cose come questa da noi non succederanno mai, e in cui io vedo una doppia valenza, una doppia lettura: da un lato c’è molta ammirazione per chi fa una scelta del genere, dall’altra una specie di sbeffeggiamento, del tipo: “guarda che fesso questo”.

Ovvio che è difficile se non impossibile generalizzare, e che è vero che da questo punto di vista la cultura del nostro paese è malata di poltronismo acuto. Detto ciò un po’ me lo chiedo se non possano esserci eccessi anche dall’altro lato. Quando sento Sanchez dichiarare che si prende tutta la responsabilità di questa sconfitta mi chiedo: ma è davvero responsabilità del governo? E ancor più: è possibile sapere a poche ore dal risultato di una tornata elettorale di chi è la responsabilità?

Perché far cadere un governo significa spesa pubblica per fare le elezioni, significa potenziale instabilità politica, lunghi tempi tecnici per formarne uno nuovo. Non è una scelta da fare a cuor leggero. Non potremmo dotarci di strumenti più precisi per sondare il gradimento degli elettori che delle elezioni locali che almeno formalmente non c’entrano niente con l’operato di un governo?

Come saprete lo scorso fine settimana si è votato anche per il ballottaggio nei comuni italiani in cui al primo turno non c’era stata una maggioranza definitiva, e per il primo turno in parecchi comuni di Sicilia e Sardegna. 

Partiamo dai ballottaggi. La sintesi è che i candidati del centrodestra hanno vinto in quasi tutte le grandi città, mentre il centrosinistra ha vinto soltanto a Vicenza. 

Il risultato più atteso era quello di Ancona, non solo perché è l’unico capoluogo di regione ma anche perché per decenni è stata governata dal centrosinistra: ha vinto il candidato di centrodestra, Daniele Silvetti, avvocato ed ex vice-coordinatore regionale di Forza Italia con il 51,7 per cento.

Anche in Toscana il centrodestra ha fatto piazza pulita, in alcune storiche roccaforti di sinistra come Siena, Massa, e Pisa. A Pisa era abbastanza scontato perché il sindaco Michele Conti al primo turno non era risultato eletto per soli 15 voti, tra varie polemiche. 

Il centro destra ha vinto anche a Brindisi, in Puglia, mentre come dicevamo il centrosinistra ha vinto soltanto a Vicenza con Giacomo Possamai, ma comunque di poco: Possamai ha preso il 50,5 per cento, mentre il candidato del centrodestra, Francesco Rucco, il 49,5 per cento. 

A Terni ha vinto il candidato civico Stefano Bandecchi, comunque di centrodestra come area di riferimento, in quanto coordinatore nazionale di Alternativa Popolare, il partito di centrodestra fondato nel 2017 nientepopodimeno che da Angelino Alfano, ma è anche fondatore e presidente dell’Università Niccolò Cusano, amministratore di una decina di società attive in diverse settori e proprietario della squadra di calcio della Ternana.

Questi risultati si vanno a sommare a quelli del primo turno, in cui solo a Brescia e Teramo, fra i capoluoghi, avevano vinto i candidati di centrosinistra, mentre a Latina, Imperia, Sondrio e Treviso, avevano vinto i candidati della destra.

Vediamo velocemente anche i risultati del primo turno in Sicilia e Sardegna poi facciamo un commento più complessivo. Si votava in 128 comuni della Sicilia e in 39 comuni della Sardegna. 

In Sicilia si votava in quattro capoluoghi di provincia (Catania, Ragusa, Siracusa e Trapani), e in Sardegna in nessuno (solo due città avevano più di 15mila abitanti, Assemini e Iglesias). Come spiega ancora il Post “In Sicilia la soglia per l’elezione al primo turno nei comuni con più di 15mila abitanti è del 40 per cento dei voti, mentre in Sardegna si applicano le stesse regole elettorali delle regioni a statuto ordinario: nelle città che hanno più di 15mila abitanti viene eletto sindaco al primo turno chi supera il 50 per cento, altrimenti ballottaggio.

Veniamo ai risultati: A Catania ha vinto il candidato di centrodestra Enrico Trantino che ha ottenuto circa il 66 per cento dei voti, ex assessore sempre a Catania nella giunta di Salvo Pogliese, attualmente commissariata.

A Ragusa è stato rieletto al primo turno il sindaco uscente Giuseppe Cassì, che ha ottenuto più del 62 per cento dei voti, sempre di centrodestra. A Siracusa si andrà al ballottaggio tra Ferdinando Messina, candidato del centrodestra, e Francesco Italia, sindaco uscente sostenuto da liste civiche. A Trapani è stato rieletto il sindaco uscente Giacomo Tranchida, di centrosinistra, con il 42,4 per cento. 

Sull’andamento specifico delle elezioni in Sicilia ho chiesto un commento a Elisa Cutuli della redazione di Sicilia che Cambia. A te la parola Elisa.

CONTRIBUTO DISPONIBILE NEL VIDEO/PODCAST

In Sardegna gli unici due comuni con più di 15mila abitanti in cui si è votato sono stati Iglesias e Assemini. A Iglesias ha vinto nettamente il sindaco uscente di centrosinistra Mauro Usai, con il 73,5 per cento delle preferenze mentre ad Assemini si andrà al ballottaggio tra Mario Puddu, già sindaco con il Movimento 5 Stelle tra il 2013 e il 2018 e oggi sostenuto da liste civiche, e Diego Corrias, di centrosinistra. 

Qualche ultimo dato: l’affluenza ai ballottaggi è stata del 49,6 per cento, mentre per il primo turno in Sicilia del 56,4 e in Sardegna del 63,2%.

Ora, qualche considerazione. Il Pd ne esce con le ossa abbastanza rotte. Qualcuno sta già dicendo che la cura Schlein o l’effetto Schlein non funziona, anche se in questo caso devo dire che a parte l’aspettativa, legittima, che l’elezione di un volto nuovo potesse portare entusiasmo nell’elettorato, non c’è stato il tempo effettivo per imprimere un cambiamento al partito (di qualsiasi tipo, dico). Anche il M5S ne esce piuttosto evaporato, anche se va detto, come mi risorda spesso il direttore Daniel Tarozzi, che il M5S non è mai andato bene alle elezioni locali, spesso non si è proprio presentato, quindi è un risultato che ci dice qualcosa in meno. Mentre ne escono rinforzati i partiti di governo e in particolare FdI. Detto ciò, la domanda è la stessa che facevo relativamente alla spagna. Che 

Poi c’è sempre la solita questione dell’affluenza. Innanzitutto noto una forte differenza nell’affluenza in Sardegna rispetto al resto d’Italia. ci sono due collegamenti che mi vengono da fare, per poter leggere questo dato, ma devo premettere che non ho i dati per confermare e validare queste affermazioni, quindi prendetele come spunto di ragionamento e non come delle verità assodate.

Il primo collegamento è fra l’affluenza più alta e la dimensione più piccola dei comuni che andavano al voto. Forse nei comuni più piccoli, dove la differenza la fanno moltissimo le persone più che i partiti, si vota di più che in quelli più grandi. Però non ho trovato dati aggiornati su questo.

L’altro collegamento è fra la maggiore affluenza e la vittoria di candidati di sinistra o del M5S, che forse ci dice che dove l’affluenza è bassa a non andare a votare sono soprattutto le persone che si considerano di sinistra. 

Qualche giorno fa abbiamo parlato di come gli strumenti della democrazia deliberativa e aleatoria, con assemblee di cittadini estratti a sorte, si stia diffondendo rapidamente in molti paesi d’Europa, e stia contribuendo a prendere decisioni di fondamentale importanza su temi difficili che la democrazia elettorale non riesce a prendere, e dicevo di come in Italia da questo punto di vista non ci sia ancora niente.

Ecco, non è del tutto vero e ringrazio il movimento Extinction Rebellio per avermi scritto per rettificare in parte questa affermazione. In Italia qualcosina si sta muovendo e questa cosa sta succedendo proprio grazie al lavoro fatto in questi ultimi mesi, anzi ormai anni, proprio dall’organizzazione XR. Ho chiamato Francesca Cigala Fulgosi, storica attivista di XR, per farmi raccontare cosa sta succedendo in Italia su questo fronte. A te la parola Francesca.

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