Da oggi in Italia sono vietati gli oggetti in plastica usa e getta (più o meno) – #445
Italia, addio alla plastica monouso?
Oggi è il giorno in cui l’Italia dice addio a molti oggetti in plastica monouso. Più o meno. Ne abbiamo già parlato varie volte qui su Io Non Mi Rassegno, ma lo facciamo ancora una volta, perché si tratta di un tema complicato, in cui c’è tanta cattiva informazione, e in cui è facile confondersi fra soluzioni realmente sostenibili e altre che di sostenibile hanno solo il nome.
Partiamo da quello che succede oggi. Da oggi, 14 gennaio 2021, è vietata la vendita di piatti e bicchieri usa e getta, bastoncini per le orecchie, cannucce in plastica non biodegradabile, e contenitori e bicchieri per alimenti e bevande in polistirolo. Con eccezione dell’esaurimento delle scorte: cioè, se io negoziante ho ancora delle scorte di piatti e bicchieri usa e getta posso continuare a venderli fino a esaurimento ma non posso effettuare nuovi ordini. Il che ha senso. Per i trasgressori sono previste multe anche abbastanza salate, che vanno dai 2500 ai 25mila euro, ma possono arrivare anche fino a 50mila euro se l’immissione contestata coinvolge un quantitativo di prodotti del valore superiore al 10% del fatturato dell’azienda.
Fin qui tutto bene. Il problema, tutto italiano, di questa legge è quello che riguarda le plastiche biodegradabili. Facciamo un breve riassunto delle puntate precedenti. Il 5 giugno 2019 il Parlamento europeo approva la direttiva Sup, Single use plastics, con la quale, fra le altre cose, impone ai paesi membri di dire addio a tutta una serie di oggetti in plastica monouso.
Nel definire le plastiche a cui questa nuova normativa andava applicata, la direttiva diceva esplicitamente che andava applicata non solo alla plastica tradizionale, ma anche “a tutte le plastiche fabbricate con polimeri naturali modificati o con sostanze di partenza a base organica, fossili o sintetiche non presenti in natura”. Il che significa praticamente tutte le bioplastiche e le plastiche biodegradabili usate prodotte industrialmente. Il che significa anche che l’idea, sensata e lungimirante, del parlamento Ue, non è sostituiamo la plastica con altri prodotti usa e getta, ma superiamo il concetto di usa e getta e implementiamo soluzioni di riuso.
Come sapere se seguite Io non mi rassegno, l’Italia ha recepito questa direttiva nel novembre scorso, in ritardo di qualche mese rispetto al termine massimo, e lo ha fatto in maniera molto approssimativa, con una legge nazionale che contraddice quanto chiesto dall’Europa e contempla l’utilizzo di quasi tutte le bioplastiche. Questo per tutelare il settore, che in Italia è particolarmente fiorente.
Non solo. Ci saranno anche agevolazioni, sotto forma di credito d’imposta per un massimo di 3 miloni di euro all’anno fino al 2024, per le aziende che utilizzeranno oggetti riutilizzabili, compostabili o biodegradabili. Non solo non si vietano le plastiche biodegradabili e compostabili, ma le equiparano in tutto e per tutto alle soluzioni di riuso.
Se seguite INMR o leggete ICC sapete che le bioplastiche presentano tutta una serie di problemi. C’è il problema di fondo, quello dell’usa e getta, che è il fatto di utilizzare risorse ed energie per creare qualcosa che poi viene utilizzata una sola volta. Ad esempio il PLA, una delle bioplastiche più utilizzate, viene realizzata trasformando gli zuccheri presenti in mais, barbabietola, canna da zucchero. Immaginatevi quante di queste piantagioni dovrebbero essere piantate, quanta acqua utilizzata per farle crescere, se vogliamo sostituire gli oggetti in plastica tradizionale con gli equivalenti in bioplastica. Fra l’altro in un momento in cui i terreni fertili sono sempre di meno, dobbiamo preservare le foreste e dobbiamo aumentare la quota vegetale delle nostre diete per eliminare gli allevamenti intensivi. Non sta in piedi no?
Non solo. Le bioplastiche si degradano sì, ma solo in impianti di compostaggio industriale, quindi non salvano gli oceani come si lascia spesso intendere, perché se disperse in ambiente causano gli stessi danni delle plastiche tradizionali (magari per meno tempo, ma comunque un tempo sufficiente a uccidere la testuggine che ci rimane impigliata). E non è ancora finita qui. Gli impianti di compostaggio industriale tradizionale, quelli più diffusi diciamo, riescono a processare solo una piccola percentuale di bioplastiche. Se quella percentuale viene superata (come è plausibile aspettarsi, visto che già oggi sono al limite) producono un compost quasi inutilizzabile, di sicuro non ricco di nutrienti. In un momento in cui abbiamo un sacco bisogno di rifertilizzare i terreni con compost di qualità.
Insomma, niente di nuovo, ma repetita iuvant. Perciò cosa succederà plausibilmente? Che fra 2-3 anni sarà chiaro a tutti che questa roba è insostenibile e anche il governo italiano correrà ai ripari con una nuova legge che vieterà anche le bioplastiche. Perciò se siete negozianti, ora che lo sapete, tanto vale che il bonus di adesso lo sfruttiate per attrezzarvi già adesso con soluzioni di riuso, così vi avvantaggiate economicamente e fate una cosa realmente sensata dal punto di vista ambientale.
Microfibre e asciugatrici
Continuiamo a parlare di plastica, anzi di microplastiche, anzi per essere ancora più precisi di microfibre, che sono un gruppo comune di microplastiche, che riguardano i pezzi di plastica di lunghezza inferiore a 5 mm. Secondo un nuovo studio, di cui parla il Guardian, una delle principali fonti d’inquinamento da microfibre in atmosfera sarebbero le asciugatrici. Una singola asciugatrice potrebbe essere responsabile del rilascio nell’aria di 120 milioni di microfibre di plastica ogni anno.
Lo studio è stato condotto dal professor Kenneth Leung, direttore dello State Key Laboratory of Marine Pollution (SKLMP) e dipartimento di chimica della City University di Hong Kong. Lo stesso team di ricerca ha progettato anche un filtro stampabile in 3D che sarebbe in grado di trattenere un’altissima percentuale delle microfibre prodotte dalle asciugatrici. Che va bene, anche se visto che siamo in argomento possiamo anche chiederci, ha senso usare una asciugatrice? Perché sono elettrodomestici belli ingombranti, che consumano un sacco di energia per fare una cosa che fa benissimo anche un’altra asciugatrice pubblica, gratuita e in funzione da oltre 4 miliardi di anni: il Sole.
Ambientalisti contro il divieto di importazione di trofei di caccia in Uk
Sempre il Guardian ci porta a conoscere l’ultima notizia di oggi. Vi ricordate di quella legge inglese che vieta l’importazione di trofei di caccia? Ne abbiamo parlando qualche giorno fa presentandola come una buona notizia, ma alcuni scienziati e ambientalisti sono convinti che non sia proprio così. Anzi, potrebbe mettere a rischio ancor di più rinoceronti, elefanti e altri animali selvatici in via di estinzione.
Venerdì, i parlamentari britannici voteranno un disegno di legge che vuole vietare le importazioni di trofei di caccia all’interno del Regno unito, mentre, separatamente, il governo sta preparando una legislazione per vietare i trofei di caccia di migliaia di specie, tra cui leoni, leopardi, rinoceronti, elefanti e orsi polari.
In una lettera aperta, più di 100 scienziati, ambientalisti e leader della comunità africana, però stanno cercando di bloccare questo processo. Come mai? Eppure sembrava una cosa sensata. Ma la realtà è spesso più complessa e contraddittoria delle apparenze. Vi spiego la situazione, poi ognuno si può fare la sua opinione.
Il punto principale è che anche se il cosiddetto Trophy hunting, la caccia con lo scopo di ottenere trofei tipo teste mozzate, zanne e altre cose macabre da esporre in camera per dormire tranquilli, che è una cosa che molte persone ritengono orribile e non etica, è anche in questo momento la maggiore fonte di ricavi per le politiche di conservazione delle specie di molti paesi africani. Cioè, con quello che i ricchi inglesi (e non solo) pagano per cacciare in una riserva, la riserva finanzia la conservazione delle specie. E questo sistema, discutibile da certi punti di vista, ha consentito in alcuni paesi di applicare strategie di conservazione che hanno funzionato molto bene, come la Namibia e il Botswana.
Si legge nella lettera: “Capiamo (e molti di noi condividono) l’istintiva avversione del pubblico per la caccia ai trofei. Tuttavia, la realtà è che non è stato ancora sviluppato un uso alternativo del suolo che protegga allo stesso modo la fauna selvatica e gli habitat che si trovano in questi paesaggi vitali, generando allo stesso tempo entrate preziose per le comunità locali. Dove la caccia ai trofei è stata vietata, la fauna selvatica ha spesso sofferto e il conflitto con le comunità è aumentato”.
Ora, questo non vuol dire, aggiungo io, che la caccia per i trofei diventi una cosa etica e che dobbiamo continuare a farla. Credo che sia un’abitudine piuttosto barbara. Il punto è che la realtà è complessa, più complessa di quanto in genere tendiamo a considerare, e le decisioni che prendiamo devono considerare e rispettare e includere complessità, se vogliamo fare cose sensate e non solo rincorrere degli slogan.
Fonti e articoli:
#plastica monouso
TGCom24 – Dal 14 gennaio vietata la vendita di plastica monouso
#microfibre #asciugatrici
The Guardian – Tumble dryers found to be a leading source of microfibre air pollution
#caccia ai trofei
The Guardian – ‘Poorly conceived’ trophy hunting bill puts wildlife at risk, UK government told
#aviaria
GreenReport – Epidemie e allevamenti intensivi: l’aviaria torna a diffondersi in Italia
#gas
GreenReport – Gas, il ruolo della Russia nella crisi europea delle bollette spiegato dalla Iea
#risorse energetiche
Internazionale – La lotta per le risorse energetiche è appena cominciata
#permafrost
GreenMe – Lo scongelamento del permafrost sta per scatenare il caos nell’Artico
#emissioni navali
Rinnovabili.it – Emissioni navali, Bruxelles grazia più di metà della flotta europea
#Costa Concordia
Rinnovabili.it – Naufragio Costa Concordia, l’ambiente del fondale marino del Giglio è in fase di recupero
#Afghanistan
Ispi – Sulla pelle degli afghani
#smartphone
GreenMe – Siamo finiti a passare un terzo delle nostre giornate usando app dello smartphone