Cosa dice l’ultimo rapporto dell’Ipcc sui cambiamenti climatici – #473
L’ULTIMO RAPPORTO DELL’IPCC
È uscito l’ultimo report dell’Ipcc, che si chiama “Climate Change 2022: Impacts, Adaptation and Vulnerability”, ovvero Cambiamento climatico 2022: impatti adattamento e vulnerabilità. Se seguite INMR sapete già di cosa sto parlando, ma visto che negli ultimi giorni ci sono un po’ di facce nuove in giro, vi dico giusto due parole.
L’Ipcc, ovvero il Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico, è il principale organismo a livello mondiale che studia e monitora i Cambiamenti climatici, è un organismo delle Nazioni unite e ha come obiettivo quello di produrre una serie di rapporti periodici sulla situazione climatica nel mondo.
Ogni 5-6-7 anni se ne esce con un rapporto che in genere è abbastanza spaventoso, in cui dice più o meno le stesse cose, ovvero che non stiamo facendo abbastanza per affrontare il problema, che le conseguenze saranno catastrofiche. Sulla base di questi rapporti le nazioni del mondo dovrebbero accordarsi, all’interno delle Conferences of parties (le famose Cop) su come affrontare il problema.
Quest’ultimo rapporto, il sesto, è suddiviso in tre parti, frutto di tre gruppi di lavoro differenti interni all’Ipcc. la prima parte, “Basi fisico-scientifiche”, è stata pubblicata lo scorso anno. La terza dovrebbe uscire nei prossimi mesi.
Questa è la seconda parte e si incentra, in maniera nuova, su come il riscaldamento globale inciderà sulla vita delle persone. Quindi non si parla molto dei nuovi delle conseguenze sui sistemi ecologici dell’innalzamento delle temperature, ma di come cambierà la società nei prossimi anni, di cosa ci aspetta come esseri umani, e in particolar modo di cosa succederà alle città.
Leggo dal report: “Il cambiamento climatico sta modificando la Natura, la vita delle persone e le infrastrutture ovunque. I suoi impatti pericolosi e invasivi sono sempre più evidenti in ogni regione del mondo. Stanno ostacolando gli sforzi per andare incontro ai bisogni di base dell’umanità e stanno minacciando lo sviluppo sostenibile in tutto il mondo”.
La conclusione, amara, del report è che l’ampiezza degli effetti in corso è molto più grave rispetto a quanto stimato in precedenza, e che gli sforzi compiuti finora sono ampiamente insufficienti. Già oggi si sta riducendo la nostra capacità di produrre cibo e fornire acqua potabile. Anche in un mondo con basse emissioni l’8% della terra coltivabile oggi diventerà inutilizzabile entro il 2100.
Nel rapporto c’è un intero e impressionante capitolo dedicato all’impatto nel Mediterraneo. La temperatura superficiale terrestre nel Mediterraneo è già aumentata di 1,5°C, ma potrebbe aumentare drammaticamente per la fine del secolo, sino a 5,6°C, dipende dallo scenario delle emissioni, dice il rapporto.
Non benissimo, nemmeno bene. E la sensazione è che non ci rendiamo bene conto del cataclisma a cui stiamo andando incontro. Ci immaginiamo un clima un po’ più caldo, qualche nubifragio in più al massimo. Ma non pensiamo alle conseguenze indirette. Clima instabile vuol dire anche meno cibo, meno acqua. Facciamo le guerre per motivi futili, per cose che nemmeno esistono come gli stati o il denaro, pensate quando a scarseggiare sarà l’acqua.
Quindi, per dire, dobbiamo cambiare radicalmente sia il tipo di consumo delle risorse che facciamo, e passare a un’economia a basso utilizzo di risorse, ma anche il modo di distribuirle, passare verso sistemi di distribuzione equa, e di collaborazione pacifica. Il tutto mentre già il sistema inizia a perdere pezzi. Le buona notizia è che sembrerebbe che siamo ancora in tempo, e che la ricompensa per questo sforzo potrebbe essere una società anche più felice.
ITALIA-GERMANIA, TRANSIZIONI A CONFRONTO
Comunque, quello che è certo è che dobbiamo cominciare subito. Ieri il governo Draghi ha approvato un nuovo decreto in cui, frale altre cose, prevede anche la possibilità di riaprire le centrali a carbone, se necessario. Mentre Cingolani ha dichiarato lo stato di pre-allerta per le forniture di gas, e a ogni occasione buona spinge per estrarre più gas italiano (che, detto fra noi, è un piano abbastanza insensato visto che le riserve stimate di gas italiano sono forse un decimo di quello che ci passa(va) la Russia.
Intanto il governo tedesco, secondo quanto riportato da Reuters, starebbe preparando una proposta per anticipare al 2035 la transizione del sistema elettrico a forniture 100% rinnovabili, rispetto al precedente obiettivo del 2040. Nonostante la crisi del gas in Germania non si fa marcia indietro sui piani per eliminare gradualmente le centrali elettriche a carbone entro il 2030 e per chiudere le sue centrali nucleari entro la fine del 2022. Anzi. Il ministro dell’Economia Robert Habeck ha descritto questa accelerata sulle rinnovabili come un elemento chiave per rendere il paese meno dipendente dalle forniture russe di combustibili fossili.
MANCA IL GRANO
Intanto è possibile che iniziamo a sperimentare nei prossimi mesi cosa significa scarsità di cibo. Gli effetti della guerra in Ucraina si fanno sentire anche nel nostro Paese. Nel giro di pochi giorni il prezzo di prodotti come il grano e il mais, già parecchio cari, sono schizzati alle stelle. La causa di questa nuova stangata è la sospensione delle spedizioni delle materie prime dall’Ucraina, paese insieme alla Russia esporta il 29% del grano a livello mondiale e il 19% del mais. Dopo meno di 24 ore dall’invasione russa in Ucraina, i costi del grano sono balzati del 5,7%. In Europa questo cereale è arrivato a toccare il record di 344 euro a tonnellata, secondo quanto riferito da Euronext.
E così le scorte di grano italiane sono ai minimi storici. Secondo Coldiretti potrebbero bastare per meno di due mesi. Se non cambia qualcosa, entro Pasqua rischiamo di restare senza grano e di conseguenza senza pane né pasta.
CONFLITTO IN UCRAINA
Va bene, riaggiorniamoci anche sulle novità legate all’invasione russa dell’Ucraina. Le novità delle ultime ore sono soprattutto tre. La prima è che l’Europa ha deciso di avere un ruolo più attivo nel conflitto sia inviando armi all’Ucraina sia armandosi per prima. Ieri Ursula von Der Leyen, presidente della Commissione europea, ha detto che “Per la prima volta in assoluto l’Unione europea finanzierà l’acquisto e la consegna di armi ed equipaggi per un Paese sotto attacco. È un momento spartiacque”. E vari paesi stanno aumentando la spesa militare, in particolare la Germania ha aumentato di 100 miliardi il budget della difesa, passando dall’1,5 al 2% del suo pil. Il che se da un lato è comprensibile, dall’altro è anche preoccupante, perché fa parte della classica dinamica della corsa agli armamenti, che in genere non aumenta le probabilità di una pace.
La seconda novità è che l’Ucraina ha chiesto un’adesione d’urgenza all’Unione europea e l’Ue ha rimandato la richiesta al mittente. Perché? Perché avrà valutato che a quel punto la guerra avrebbe dovuto farla davvero, e subito. E così ha preferito adottare una linea più prudente.
La terza è che sono iniziati i negoziati fra la delegazione russa e quella ucraina, e le richieste in campo, al momento sembrerebbero quella ucraina di un cessate il fuoco immediato e quella russa (riportata in una telefonata fra Putin e Macron) di annettere la Crimea alla Russia e di una neutralità e un disarmo dell’Ucraina. Lo spazio di trattativa non è molto, ma forse esiste, ed è già qualcosa.
Vi segnalo, in chiusura, un’analisi dello storico e saggista, nonché idolo mio e di parte della redazione di Italia che Cambia Yuval Noah Harari, che sostiene che Putin, per quanto possa vincere militarmente, abbia già perso la guerra. Questo perché la sua operazione si basava sull’assunto che l’Ucraina non fosse una vera nazione, un popolo con una sua identità. Assunto che questi giorni hanno ampiamente smentito.
Vi leggo solo un breve passaggio: “Ogni giorno che passa, è sempre più chiaro che la scommessa di Putin sta fallendo. I russi possono ancora conquistare l’intera Ucraina. Ma per vincere la guerra, i russi dovrebbero tenere l’Ucraina, e possono farlo solo se il popolo ucraino glielo permette. Questo sembra sempre più improbabile che accada.
Ogni carro armato russo distrutto e ogni soldato russo ucciso aumenta il coraggio degli ucraini di resistere. E ogni ucraino ucciso approfondisce l’odio degli ucraini. L’odio è la più brutta delle emozioni. Ma per le nazioni oppresse, l’odio è un tesoro nascosto. Sepolto in profondità nel cuore, può sostenere la resistenza per generazioni. Per ristabilire l’impero russo, Putin ha bisogno di una vittoria relativamente incruenta che porti a una pace relativamente senza odio. Versando sempre più sangue ucraino, Putin si sta assicurando che il suo sogno non sarà mai realizzato. Non sarà il nome di Mikhail Gorbaciov scritto sul certificato di morte dell’impero russo: sarà quello di Putin. Gorbaciov ha lasciato russi e ucraini a sentirsi fratelli; Putin li ha trasformati in nemici, e ha assicurato che la nazione ucraina si definirà d’ora in poi in opposizione alla Russia”.
Le nazioni sono in definitiva costruite su storie. Ogni giorno che passa aggiunge altre storie che gli ucraini racconteranno non solo nei giorni bui a venire, ma nei decenni e nelle generazioni a venire. Il presidente che ha rifiutato di fuggire dalla capitale, dicendo agli Stati Uniti che ha bisogno di munizioni, non di un passaggio; i soldati di Snake Island che hanno detto a una nave da guerra russa di “andare a farsi fottere”; i civili che hanno cercato di fermare i carri armati russi sedendosi sul loro cammino. Questa è la materia di cui sono fatte le nazioni. Alla lunga, queste storie contano più dei carri armati”
#Report Ipcc
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