2 Lug 2024

La Corte Suprema Usa concede l’immunità parziale a Trump – #960

Scritto da: Andrea Degl'Innocenti
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Ieri la Corte Suprema Usa ha stabilito che Trump gode di una parziale immunità per i reati di cui è accusato. Una decisione che spiana ulteriormente la strada all’ex Presidente, mentre quello attuale, Biden, sembra intenzionato a non farsi da parte, complicando le cose anche in ottica Congresso. Parliamo anche di che cos’è l’allerta Charli lanciata nelle basi Nato, dei suicidi fra i Navy SEAL Usa, di un grave attentato suicida in Nigeria, del Tribunale Supremo spagnolo che ha negato l’amnistia a Carles Puigdemont e infine delle elezioni alle porte nel Regno Unito.

Dopo la disfatta di Biden nel dibattito tv, arriva un’altra notizia che sembra ulteriormente spianare la strada alla vittoria di Trump. Ieri, riportano tanti giornali, qui sono sul Guardian, la Corte Suprema degli Stati Uniti ha stabilito che gli ex presidenti hanno diritto a “un certo grado di immunità dai procedimenti penali”. Che vuol dire questa cosa? 

In pratica la Corte, a maggioranza conservatrice e che lo stesso Trump ha contribuito a costituire durante il suo precedente mandato, ha deciso gli ex presidenti non possono essere processati per i loro atti ufficiali. Era una delle decisioni più attese della Corte, che a febbraio aveva deciso di occuparsene su richiesta degli avvocati di Trump, e potrebbe avere grosse ripercussioni sulla campagna elettorale in corso.

Scrive il Post: “La decisione della Corte Suprema riguarda il processo in cui Trump è accusato di aver cospirato per sovvertire il risultato delle elezioni del 2020 (il famoso attacco al Congresso, ma non solo). E stabilisce che per alcuni degli atti oggetto del processo possa godere dell’immunità, ma specifica che non tutti gli atti sono ufficiali e che l’immunità non vale per quelli non ufficiali. Cioè, un ex presidente non può essere accusato per aver approvato una certa legge, mettiamo, mentre può esserlo per aver guidato in stato di ebbrezza.

Il tema dell’immunità per un ex presidente è un tema molto dibattuto da anni dai giuristi negli Usa, ma fin qui era un dibattito filosofico, visto che Trump è il primo presidente imputato in un processo penale (e dopo il processo di New York il primo a essere stato condannato), e quindi il primo per il quale è stato necessario affrontare realmente il problema dell’immunità.

Trump aveva chiesto inizialmente, tramite i suoi legali, che fosse applicata l’immunità totale, che però è considerato un passaggio abbastanza azzardato, perché ciò significa che un presidente potrebbe tranquillamente far uccidere un rivale politico mentre è in carica e non essere perseguito. Di contro, l’assenza totale di immunità potrebbe far sì che gli oppositori politici mettano in campo ritorsioni e minacce politiche nei confronti degli avversari.

Comunque, l’effetto più pratico di questa sentenza è che realisticamente il processo a Trump subirà un rallentamento notevole e la decisione slitterà a dopo le elezioni. Che era fin dal principio la strategia difensiva di Trump che spera di essere eletto e poi nominare un procuratore generale a lui favorevole che faccia cadere le accuse.

Ne approfitto per un rapido aggiornamento anche su Biden, la cui triste telenovela continua. Ieri i giornali hanno riportato la notizia che la famiglia di Biden, la moglie in primis, avrebbero spinto il Presidente a proseguire nella sua corsa elettorale. Una notizia che se confermata, mostra davvero una scarsa lucidità non solo di Biden ma anche delle persone che lo circondano.

Fra l’altro ieri ho parlato con il politologo Aldo Giannuli, che mi condivideva una riflessione molto interessante sul fatto che in pochi stanno pensando al fatto che – non so se avete presenta come funzionano le elezioni americane – ma oltre al Presidente si vota in contemporanea anche per il Congresso, il parlamento Usa, di cui si rinnova tutta la camera e ⅓ del Senato. 

Quindi avere un candidato democratico debole significa probabilmente non solo perdere, ma consegnare anche il Congresso totalmente nelle mani dei Repubblicani. Che insomma, non è una roba da poco.

Ieri e oggi molti giornali, anche italiani, riportano la notizia secondo cui molte basi militari statunitensi in Europa sono state poste in stato di massima allerta: livello “Charlie”, che è il secondo grado più alto nella scala di sicurezza delle forze Usa. 

In pratica esistono 4 gradi di allerta, definiti sulla base dell’alfabeto fonetico Nato, una roba strana sviluppata se non erro durante la seconda guerra mondiale per fare in modo che le persone di paesi diversi non si capissero male nel pronunciare le lettere. Quindi invece di A,B,C,D c’è Alpha, Bravo, Charlie, Delta, che sarebbe tipo Ancora, Bologna, Cagliari e Domodossola. Il livello Charlie quindi è il terzo livello ed è inferiore solo a quello Delta. Nel gergo della Difesa americana, testimonia l’esistenza di una minaccia credibile e imminente. 

Funzionari del Pentagono citano “informazioni credibili di intelligence” che indicherebbero la possibilità di “un attacco terroristico alle basi statunitensi nell’arco della prossima settimana”. Tra le località rientra anche Stoccarda, dove hanno sede i comandi centrali per l’Europa e per l’Africa.

Come riporta L’Indipendente, “All’interno della nota è stato aggiunto che i membri della comunità militare sono chiamati a segnalare qualsiasi attività sospetta, monitorare gli avvisi di viaggio del Dipartimento di Stato e prendere precauzioni al fine di ridurre al minimo il rischio personale. In una base tedesca, per precauzione è stato anche vietato di indossare le loro uniformi fuori dalla base, dovendo quindi spostarsi in abiti civili. 

Un’inchiesta del NYTimes ha aperto una breccia su una realtà cruda, che la società americana sembra far fatica ad osservare. È in corso una vera e propria epidemia di suicidi fra i navy seal dell’esercito statunitense, ovvero le forze speciali della marina Usa, e sembrerebbe dovuta a dei danni cerebrali legati alle esplosioni.

L’articolo del New York Times è a firma di Dave Phillips e Kenny Holston e parte raccontando la tragica storia di David Metcalf, un Navy SEAL che si è tolto la vita nel 2019 dopo quasi 20 anni di servizio. Prima di morire, ha lasciato una pila di libri sulle lesioni cerebrali e un biglietto in cui descriveva i sintomi debilitanti che aveva sviluppato: perdita di memoria, mal di testa, impulsività, stanchezza, ansia e paranoia. Metcalf scelse di suicidarsi sparandosi al cuore, preservando il suo cervello affinché potesse essere studiato.

L’analisi del suo cervello da parte di un laboratorio all’avanguardia del Dipartimento della Difesa ha rivelato un modello di danni insolito, presente solo in persone esposte ripetutamente a onde d’urto, come quelle causate dalle armi da fuoco. Questo danno non era dovuto a azioni nemiche, ma all’uso prolungato e ripetuto di armi pesanti durante l’addestramento. 

Il soldato aveva provato, con il suo gesto, ad aiutare altre persone nelle sue condizioni. Eppure i risultati di queste analisi non sono mai stati comunicati ai vertici dei Navy SEAL.

Il caso di Metcalf è tutt’altro che isolato. Negli ultimi dieci anni, almeno una ventina di Navy SEALs si sono suicidati e l’analisi dei loro cervelli ha mostrato danni simili a quelli riscontrati in Metcalf, visto che in almeno 8 altri casi le famiglie dei soldati suicidi hanno portato i loro cervelli al laboratorio per l’analisi. In ogni caso, è stato trovato lo stesso tipo di danno da esplosione.

Questa scoperta ha implicazioni significative per il modo in cui i SEAL si addestrano e combattono. Tuttavia, a causa delle linee guida sulla privacy del laboratorio e della scarsa comunicazione all’interno della burocrazia militare – e magari anche di qualche reticenza un po’ interessata – i risultati dei test sono rimasti nascosti. Cinque anni dopo la morte di Metcalf, i leader della Marina non erano ancora a conoscenza di questi risultati fino a quando il New York Times non li ha informati.

Il problema, peraltro, potrebbe essere anche molto più esteso di così e non riguardare solo i Navy seals. Un crescente numero di scienziati suggerisce che le truppe subiscono costanti lesioni cerebrali sparando con armi pesanti. Uno studio di Harvard ha scoperto un’associazione tra l’esposizione alle esplosioni e alterazioni nella struttura cerebrale e nella funzione cognitiva. Più i soldati erano esposti alle esplosioni, più segnalavano problemi di salute e qualità della vita.

L’articolo conclude sottolineando la necessità di un miglioramento della comunicazione e della consapevolezza riguardo ai danni cerebrali causati dall’esposizione ripetuta alle esplosioni, per proteggere meglio la salute dei Navy SEAL e di altri membri delle forze speciali. Insomma, la guerra è brutta, lo sappiamo, e fa male alla salute. Ora scopriamo che anche solo allenarsi a fare la guerra, non è il massimo.

Va bene, fine della lunga parentesi a stelle e strisce. Spostiamoci nel continente africano, dove c’è stato un cruento attentato di cui pochissimi giornali parlano da noi. Tant’è che la notizia la prendo da Al Jazeera. La notizia è che almeno 18 persone sono state uccise e decine ferite a causa di una serie di esplosioni provocate da sospette attentatrici suicide che hanno colpito un matrimonio, un ospedale e un funerale nello Stato di Borno, nel nord-est della Nigeria.

Gli attacchi sono avvenuti in realtà sabato, ma solo ieri alcuni (pochi) giornali ne hanno iniziato a parlare. Il luogo è la città di Gwoza, al confine con il Camerun. E ha dei contorni davvero macabri e che mi hanno colpito come un pugno allo stomaco. A parte il fatto che fossero tutte donne, non so dirvi perché, magari anche questa è una forma sottile e inconsapevole di sessismo mia, ma mi ha fatto più effetto. Racconta ad esempio Al Jazeera che in uno degli attacchi, una donna con un bambino sulla schiena ha fatto detonare un dispositivo esplosivo improvvisato (IED) in un affollato parcheggio di autobus.

Le attentatrici suicide hanno preso di mira anche un ospedale nella stessa città. E, altro dettaglio che mi ha colpito, c’è stato questo grosso attacco esplosivo a un matrimonio, e poi un altro attacco è stato compiuto successivamente durante il funerale delle vittime dell’esplosione al matrimonio.

Finora sono stati riportati 18 morti, tra cui bambini, uomini, donne e donne incinte. Diciannove persone “gravemente ferite” sono state trasferite nella capitale regionale, Maiduguri, mentre altre 23 persone sono in attesa di evacuazione.

Il Borno è una vasta area rurale delle dimensioni dell’Irlanda, dove si vive in condizioni disastrose. Nella puntata di INMR+ dedicata alla condizione delle donne nel mondo Giovanni Visone di Intersos ci raccontava la regione come una delle peggiori al mondo per quanto riguarda le morti di parto e i diritti femminili. È stata segnata da 15 anni di violenza che hanno causato migliaia di morti e milioni di sfollati. Sebbene l’esercito nigeriano abbia ridotto le capacità dei gruppi armati, questi continuano a effettuare attacchi mortali contro civili e obiettivi di sicurezza.

Secondo quanto riporta l’articolo, il modo di agire, e il fatto che fossero tutte donne le attentatrici farebbe pensare al gruppo islamico Boko Haram o al gruppo scissionista dello Stato Islamico della Provincia dell’Africa Occidentale, che sono i gruppi armati più attivi a Borno. Soprattutto Boko Haram ha ripetutamente utilizzato giovani donne e ragazze per compiere attacchi suicidi. 

In questi anni la violenza ha causato oltre 40.000 morti e circa due milioni di sfollati nel nord-est della Nigeria. Il conflitto si è esteso ai vicini Niger, Camerun e Ciad, portando alla formazione di una coalizione militare regionale per combattere i gruppi armati. Sono violenze dimenticate, di cui ci occupiamo solo di sfuggita. 

La Corte Suprema spagnola si è rifiutata di concedere l’amnistia al leader catalano Carles Puigdemont, in esilio dal fallito tentativo di secessione nel 2017, e ha mantenuto il mandato di arresto nei suoi confronti.

“Il giudice della Corte Suprema ha emesso oggi un’ordinanza in cui dichiara l’amnistia non applicabile al reato di appropriazione indebita nel caso contro l’ex presidente della Generalitat Carles Puigdemont”, ha affermato la corte in un comunicato, precisando che il il mandato d’arresto nei suoi confronti è pertanto rimasto in vigore.

L’amnistia nei confronti dell’ex presidente catalano era una delle condizioni che avevano consentito a Pedro Sánchez di ottenere i voti degli indipendentisti alle Cortes. Il Parlamento ha fatto la sua parte, approvando la legge sull’amnistia, ma ora questa decisione rischia di mettere in crisi la tenuta del governo a guida socialista.

Chiudiamo questa puntata con un accenno alle elezioni nel Regno unito, che si terranno fra 2 giorni, giovedì 4 luglio, e che secondo tutti i sondaggi sono senza storia. Per i sondaggi, il leader Labourista Keir Starmer è lo stragrande favorito a diventare il nuovo primo ministro britannico, stabilmente venti punti sopra i conservatori dell’attuale premier Rishi Sunak, con il primo intorno al 40% e i secondi che veleggiano sul 20%.

Una partita che in realtà sembrava impossibile fin dall’inizio per Sunak, tant’è che ho letto sul Guardian opinionisti che ipotizzavano addirittura che Sunak, convocando le elezioni così presto, volesse autoeliminarsi, di fatto rinunciare all’incarico.

Ma chi è Keir Starner, probabile prossimo premier britannico? Vi leggo come lo descrive un articolo sul magazine web Geopolitica.

“La direzione politica dell’attuale leader data al Labour è sintetizzata con l’espressione “soft left”. Essa va intesa come una svolta moderata che si distanzia dal riformismo radicale di Corbyn. Il programma politico di Starmer è diviso in dieci punti di cui la riforma del Sistema Sanitario Nazionale, l’ambiente, l’equità in termini di tassazione in ambito scolastico, la nazionalizzazione di alcuni settori quali energia, ferrovie ed acqua e il rafforzamento del salario minimo sono i capitoli più rilevanti. 

Tuttavia, la leadership di Starmer non è stata esente da critiche. In primo luogo, egli è accusato di aver marginalizzato le figure più a sinistra del partito a favore dei suoi collaboratori più stretti, situazione culminata il 24 maggio 2024 con l’espulsione di Corbyn per essersi candidato come indipendente alle imminenti elezioni del 4 luglio. In secondo luogo, le idee di politica estera di Starmer sono state disapprovate dai laburisti più di sinistra. Il nodo più controverso riguarda il conflitto scoppiato il 7 ottobre in Medio Oriente in cui Starmer ha dimostrato forte sostegno ad Israele avendo posizioni più vicine a quelle dell’attuale esecutivo rispetto a quelle del suo partito tradizionalmente più sensibile alla causa palestinese. 

Questa scelta rischia, però, di alienare l’elettorato musulmano e più progressista, ragion per cui le ultime dichiarazioni sulla questione sono state più aperte riguardo al possibile riconoscimento di uno Stato palestinese”.

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