QUINDI COME È ANDATA LA COP 27?
Sabato dopo una lunghissima notte di negoziati, si è conclusa la Cop 27, la conferenza delle parti sul clima della Nazioni Unite. Immagino sappiate di cosa sto parlando, ma se non lo sapeste, le Cop sono il modo con cui le nazioni di tutto il mondo hanno deciso di affrontare il problema della crisi climatica. Hanno preso il via con il Summit della Terra di Rio del 1992 e da allora all’incirca ogni anno gli stati di tutto il mondo si riuniscono per cercare di accordarsi su come diminuire le emissioni di CO2. Nel frattempo le emissioni mondiali di CO2 annuali sono praticamente raddoppiate, passando da circa 22 miliardi di tonnellate nel 1992 ai 40,6 miliardi nel 2022, la concentrazione di CO2 (o anidride carbonica) in atmosfera è passata da quasi 360 ppm nel 1992 a quasi 420 ppm quest’anno.
Insomma, non stanno funzionando poi moltissimo. Quest’ultima conferenza sul clima, la numero 27 appunto, si teneva a Sharm El Sheik, e già questo fatto aveva suscitato una serie di polemiche di cui abbiam già parlato nelle scorse puntate, legate alla scarsa attenzione ai diritti umani e all’attivismo (anche) climatico da parte del regime di Al Sisi. Oggi però ci occupiamo dei risultati di questa conferenza. Che cosa si è deciso alla fine? Cosa prevede il documento finale?
Ci arriviamo subito. Prima però vi ricordo che questo mercoledì 23 novembre uscirà in esclusiva per gli abbonati e le abbonate di Italia che Cambia la nuova puntata di INMR+ proprio sulla Cop 27, in compagnia di Sergio Ferraris, uno dei giornalisti ambientali più preparati ed esperti che abbiamo in Italia, con cui rifletteremo più a fondo sul senso del documento finale emerso proprio dalla conferenza, ma anche più in generale sul senso di questo tipo di conferenza. Quindi non perdetevela se siete abbonati, e abbonatevi se ancora non lo siete.
Detto ciò veniamo all’accordo finale. Che non è esattamente incoraggiante. Come riassume amaramente Bill McGuire, professore emerito di geofisica e clima alla Harvard University, “ancora una volta, non c’è stato alcun impegno a tagliare le emissioni che stanno accelerando la crisi, senza le quali questo accordo non è altro che un “anticipo sul disastro”. Nessun osservatore esperto ritiene che il mondo sia oggi più vicino ad affrontare seriamente l’emergenza climatica. Anzi, la vera eredità della Cop27 potrebbe essere quella di smascherare il vertice sul clima per quello che è diventato, un gonfio circo itinerante che si allestisce una volta all’anno e dal quale emergono solo parole”.
Comunque, vediamo più nel dettaglio il documento finale, poi torniamo sui commenti. Lo facciamo seguendo un altro articolo del Guardian stavolta a firma dell’inviata a Sharm El Sheikh Fiona Harvey.
Partiamo da Loss and damage, perdite e danni. Era uno dei filoni più attesi ed è l’unico punto su cui effettivamente si è smosso qualcosa. Con Loss&damage si intende quel meccanismo attraverso i paesi più ricchi del mondo che sono anche i maggiori responsabili della crisi climatica dovrebbero finanziare attraverso un fondo dedicato i paesi più poveri che sono anche quelli, ironia del destino, che statisticamente subiscono i maggiori danni a causa della crisi climatica (inondazioni, uragani, siccità estrema, carestie, o persino finire sommersi dalle acque).
Da quasi tre decenni i Paesi cosiddetti in via di sviluppo chiedono assistenza finanziaria per le perdite e i danni dovuti al clima, ovvero il denaro necessario per salvare e ricostruire le infrastrutture fisiche e sociali devastate da fenomeni meteorologici estremi. Per la prima volta a Cop 27 si è raggiunto un accordo sul fatto che un fondo di questo genere si farà. Risultato interessante in una certa misura, ma col problema che come spesso accade i paesi non si sono accordati sul come funzionerà. Non si è deciso quali saranno i paesi finanziatori, né quelli finanziati, né come verranno erogati questi finanziamenti. C’è un grosso punto interrogativo sulla Cina ad esempio, che i paesi Occidentali vorrebbero rientrasse nei paesi finanziatori in quanto primo emettitore mondiale, ma che invece vorrebbe essere esclusa da quest’onere tenendo conto dello storico delle emissioni (visto che la crescita delle emissioni cinesi è cosa recente) e di un calcolo alternativo basato sulle emissioni pro capite.
Inoltre come mi fa notare lo stesso Sergio Ferraris dal commento dell’inviato speciale sul Clima americano John Kerry emerge una certa confusione sulle modalità del fondo stesso. Dice Kerry, dopo aver premesso che gli Usa saranno lieti di sostenere questo fondo: “Il fondo, che sarà una delle tante vie disponibili per il finanziamento volontario, dovrebbe essere progettato per essere efficace e per attrarre una base di donatori ampliata”. Una dichiarazione con cui di fatto il delegato Usa mette molto le mani avanti dicendo che questo fondo per come lo vedono gli Usa sarà una roba volontaria, una delle tante fra l’altro, insomma niente di importante. Resta comunque un passaggio importante aver dato voce e potere contrattuale ai paesi più poveri del mondo. C’è il rischio che resti una cosa più simbolica che altro.
Ma veniamo al tema della mitigazione e all’obiettivo del grado e mezzo di innalzamento medio della temperatura globale al 2100, che era l’obiettivo ottimale da perseguire secondo l’accordo di Parigi del 2015. Ora, diciamocelo francamente, già da un pezzo era abbastanza evidente che il grado e mezzo è pura utopia, un obiettivo politico più che scientifico. Oggi diversi commentatori annunciano che quell’obiettivo è ufficialmente morto. Scrive sempre sul Guardian (scusate la ridondanza ma in fatto di clima il quotidiano britannico è una sicurezza) Damian Carrington: “Quando si scriverà la storia della crisi climatica, in qualsiasi mondo ci attenda, la Cop27 sarà vista come il momento in cui il sogno di mantenere il riscaldamento globale al di sotto di 1,5°C è morto”.
È andata così: ogni anno gli stati hanno concordato di rafforzare gli obiettivi di riduzione delle emissioni, un processo noto come “ratchet”. Alla Cop27, alcuni Paesi hanno cercato di rinnegare l’obiettivo di 1,5 C e di abolire il ratchet. Non ci sono riusciti del tutto, ma nei fatti è scomparsa dal documento finale una risoluzione che prevedeva il picco delle emissioni entro il 2025. Al suo posto si parla, al punto 11, di “Riconoscere che limitare il riscaldamento globale a +1,5°C richiede rapide, profonde e sostenute riduzioni delle emissioni globali climalteranti del 43% entro il 2030 rispetto ai livelli del 2019”. Un obiettivo che secondo gli scienziati non ci porterebbe nemmeno vicini al grado e mezzo, per stare entro il quale dovremmo perlomeno dimezzare le emissioni da qui al 2030.
Ma proseguiamo. Sempre Harvey spiega che “Il testo finale della Cop27 contiene una disposizione per promuovere “l’energia a basse emissioni”. Basse emissioni. Una dicitura che potrebbe significare molte cose, dai parchi eolici e solari ai reattori nucleari e alle centrali elettriche a carbone dotate di cattura e stoccaggio del carbonio. Potrebbe anche essere interpretato come il gas, che ha emissioni inferiori al carbone, ma è ancora un importante combustibile fossile. Molti Paesi presenti alla Cop27, in particolare quelli africani con grandi riserve da sfruttare, sono venuti a Sharm el-Sheikh sperando di concludere lucrosi accordi sul gas. E questa dicitura apre degli scenari inquietanti.
In generale sul tema dei combustibili fossili, che sono la fonte principale (quasi unica) di gas climalteranti questa Cop è stata un buco nell’acqua. L’anno scorso a Glasgow era stato concordato un impegno a ridurre gradualmente l’uso del carbone. È stata la prima volta che una risoluzione sui combustibili fossili è stata inclusa nel testo finale – qualcuno direbbe, incredibilmente, in 30 anni di conferenze sul cambiamento climatico. Alla Cop27, alcuni Paesi – guidati dall’India – volevano andare oltre e includere l’impegno a ridurre gradualmente tutti i combustibili fossili. Questo punto è stato oggetto di intense discussioni fino a sabato sera, ma alla fine non è stato accolto e la risoluzione inclusa è stata la stessa di Glasgow.
Infine c’è un ultimo punto a cui dobbiamo fare almeno un accenno: la proposta di riforma della Banca Mondiale. Un numero crescente di Paesi chiede urgenti cambiamenti alla Banca Mondiale e ad altre istituzioni finanziarie pubbliche in modo che possano fornire i finanziamenti necessari per aiutare i Paesi poveri a ridurre le emissioni di gas serra e ad adattarsi agli impatti della crisi climatica. Quindi, per chiarire, qui non parliamo di fondi per riparare i danni (come nel loss and damage), ma per facilitare la transizione e quindi in un certo senso prevenirli. Ma onestamente a quanto mi pare di capire, non si sono raggiunti accordi, niente di concreto.
Insomma, venendo a una sorta di commento, i risultati sono stati piuttosto miseri, di fronte a una situazione climatica che inizia a farsi spaventosa. Gli avvertimenti scientifici prima della Cop27 non avrebbero potuto essere più forti: siamo sull’orlo di un collasso climatico irreversibile. Ma dietro le porte chiuse del vertice gli Stati produttori di combustibili fossili e un numero irragionevole di lobbisti di carbone, petrolio e gas hanno costretto molti Paesi a lottare con le unghie e con i denti solo per preservare l’inadeguato status quo.
E dato che il vertice delle Nazioni Unite sul clima del prossimo anno sarà ospitato da uno Stato petrolifero, gli Emirati Arabi Uniti, è difficile immaginare che arriverà lì.
Non so, l’impressione – la mia – è che si sia toccato un po’ il fondo e che perlomeno adesso sia chiaro che la soluzione alla crisi climatica non arriverà da questi incontri e va cercata altrove. Torno un’ultima volta su pezzo di Damian Carrington sul Guardian, che scrive: “L’industria dei combustibili fossili e i suoi inconcepibili piani di espansione dovranno essere combattuti altrove. Il primo luogo è la mente [potremmo tradurlo anche con “l’immaginario]. Negli ultimi 50 anni, l’industria globale del petrolio e del gas ha incassato in media l’equivalente di 1 miliardo di dollari all’anno, sfruttando una risorsa naturale che appartiene ai cittadini. Immaginate di reindirizzare questa potenza di fuoco finanziaria per decarbonizzare il mondo.
L’industria dei combustibili fossili può essere combattuta anche nelle strade, con proteste pacifiche e nelle terre depredate da sua stessa espansione. I Paesi potrebbero evitare i petrostati formando un “club del clima”, una proposta del G7 per consentire agli ambiziosi di correre avanti e penalizzare i ritardatari. Un trattato di non proliferazione dei combustibili fossili fornirebbe un modo trasparente per mantenere intatte le rimanenti riserve di carbone, petrolio e gas. Anche un divieto di pubblicità sui combustibili fossili in stile tabacco, già sostenuto dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, sarebbe d’aiuto. Tutto questo, e molto altro, sarà necessario”.
Infine voglio chiudere questo capitolo con un’opinione diversa da quelle che ho espresso finora, più ricca di speranza, su questa Cop27. Che risiede nelle parole di Kathy Jetn̄il-Kijiner, poetessa e inviata per il clima delle Isole Marshall, che ha detto: “Vorrei che avessimo ottenuto il phase-out dei combustibili fossili. Ma con il fondo per le perdite e i danni abbiamo dimostrato che possiamo fare l’impossibile. Quindi sappiamo che possiamo tornare [alla Cop] l’anno prossimo e liberarci dei combustibili fossili una volta per tutte”. Staremo a vedere, fra un anno. Nel frattempo, non per sfiducia, ma tocca iniziare noi, tutte e tutti, collettivamente, qualunque sia il nostro mestiere e il nostro posto nel mondo.
Ah, no, scusatemi. Prima di chiudere permettetemi una piccola nota di colore (si fa per dire) relativa alla presenza italiana all’incontro. Il Fatto Quotidiano dedica alla Cop un interessante articolo a firma di Luisiana Gaita sul fatto che il nostro Ministro dell’Ambiente e della Sicurezza energetica Gilberto Pichetto Fratin ha sparato a zero sui risultati della Cop, accusando alcuni paesi di aver remato contro. Peccato che… non c’era: se n’è andato a cinque giorni dalla fine dei negoziati come gran parte della rappresentanza istituzionale italiana. Tant’è che il nostro paese è stato definito il grande assente di questo incontro.
SONO INIZIATI I MONDIALI IN QATAR
Cambiamo argomento, ma nemmeno troppo. Sono iniziati i mondiali in Qatar, fra mille polemiche. Abbiamo già parlato varie volte di tutte le critiche che la scelta della Fifa di accettare la candidatura del Qatar a ospitare la competizione ha scatenato. È morto un numero indefinito di lavoratori irregolari (un numero che si aggira fra i 6500 e i 15mila), immigrati da alcuni paesi più poveri del pianeta per costruire gli stadi e gli impianti. Impianti che necessitano una quantità di acqua e di energia folli, ma che sono presentati come 100% sostenibili, a emissioni zero, basati sulle energie rinnovabili. E il clima che si respira pare sia abbastanza asfissiante, anche a livello di libertà di stampa.
Il Fatto commenta le tante contraddizioni ecologiche di questo mondiale presentato come il primo “Carbon neutral” della storia. Una dicitura di sicuro richiamo ma palesemente falsa. Come scrive Andrea Romano: “Secondo gli organizzatori i trenta giorni della competizione avranno un impatto sul clima “nullo o trascurabile”. È una balla: la competizione produrrà 3.6 milioni di tonnellate di biossido di carbonio, ossia quanto emette tutta l’Italia in un mese per riscaldare gli appartamenti. Per non parlare dello sfruttamento inusitato dell’acqua, degli impianti mostruosi di aria condizionata che rinfrescherà gli stadi e del fatto che per raggiungere il Paese non c’è altro mezzo se non il super inquinante aereo”.
Ma ho trovato interessante l’accostamento che per qualche ora ha fatto il Fatto Quotidiano sulla sua homepage (me lo ha segnalato Daniel Tarozzi) fra questi Mondiali del greenwashing e appunto la conferenza sul clima appena conclusa.
La sensazione è che tutti i grandi eventi, che siano un mondiale, un’olimpiade, una Cop, stiano diventando delle enormi fiere del Greenwashing, dell’ecologismo finto e di facciata. L’impegno per l’ambiente è diventato per i Paesi, quello che era già da decenni per le aziende. Un modo per mostrare al mondo quanto si è bravi, buoni, attenti, continuando poi a fare esattamente le stesse cose di prima. E la cosa paradossale è che gli eventi in cui questa propaganda diventa più evidente sono spesso anche gli eventi di per sé più inquinanti. Credo che fra le tante cose serva anche un regolamento internazionale più severo sul Greenwashing di stato.
Sempre su questo tema vi segnalo anche l’articolo di Lorenzo Vendemiale sempre sul Fatto Quotidiano che ricostruisce la votazione con cui si decise, circa dieci anni fa, che i mondiali 2022 sarebbero stati proprio in Qatar.
Scrive Vendemiale: “Un mondiale di calcio nel deserto, dove le temperature possono raggiungere i 45 gradi e raramente scendono sotto i 30 nei periodi più freddi, il sole ti annebbia la vista, l’umidità ti si appiccica addosso e giocare a pallone è l’ultimo dei tuoi pensieri. Una follia partorita una decina d’anni fa in una delle votazioni più controverse (e probabilmente corrotte) della storia, in cui una ventina di boiardi del pallone decisero che fosse una buona idea portare la Coppa del Mondo in Qatar. E anzi, furono talmente pazzi o in malafede da pensare che si potesse fare addirittura d’estate, prima che il buon senso piegasse la storia alla realtà di un finale già scritto: lo spostamento del torneo a dicembre, sotto Natale, al costo di devastare i calendari di tutte le altre competizioni nazionali e internazionali”.
TRUMP È DI NUOVO SU TWITTER
La notizia era nell’aria, ed è arrivata ieri. L’account Twitter dell’ex presidente degli Stati Uniti Donald Trump è stato ripristinato dopo quasi due anni di sospensione. Ne parla, fra gli altri, il Post. Lo ha deciso il nuovo proprietario di Twitter, Elon Musk, con una modalità un po’ particolare. Venerdì pomeriggio infatti ha pubblicato un sondaggio sul suo social network per chiedere agli utenti se secondo loro l’account di Trump dovesse essere riattivato. Dai risultati visibili sulla piattaforma, 15 milioni di utenti avevano risposto e poco più della metà di loro aveva votato per il sì.
Trump era stato bloccato da Twitter come da quasi tutti i social a gennaio del 2021, poco dopo l’attacco al Congresso degli Stati Uniti compiuto dai suoi sostenitori. Dopodiché aveva fondato il suo proprio social network, chiamato con grande modestia Truth (Verità).
Dopo i risultati del sondaggio Musk ha ufficialmente riammesso Trump, dichiarando che il popolo (di Twitter) ha parlato. Nel giro di poche ore Trump ha riconquistato i suoi 85 milioni di follower, all’incirca quelli che aveva quando era stato bannato. L’ex Presidente ha mantenuto un profilo ambiguo riguardo alla notizia, si è detto indifferente, ha detto che comunque lui sarebbe rimasto sul suo social Truth, al tempo stesso su Truth ha invitato gli utenti a votare il sondaggio di Twitter.
Ora, ci sono varie cose interessanti da dire. Innanzitutto che lo stesso Musk, che ha detto il popolo ha parlato, in un altro tweet ha dato per scontato che molti dei voti del sondaggio provenissero da bot (ovvero da meccanismo automatici, non persone), intendendo però – lo si capisce leggendo il thread, bot di sinistra (insomma, programmati dal partito democratico, no credo intendesse che proprio i bot erano di sinistra).
Inoltre in passato Musk aveva già detto che se fosse diventato capo di Twitter avrebbe riabilitato l’account di Trump. Metteteci anche che qualche mese fa Musk ha detto che non avrebbe più votato il partito democraticoe che avrebbe votato repubblicano, e che la riabilitazione del profilo di Trump arriva a pochi giorni dall’annuncio dell’ex presidente che si sarebbe ricandidato, quindi sembra essere un po’ un volano della sua candidatura, visto che Trump aveva costruito in buona parte su Twitter proprio il suo elettorato.
Al tempo stesso credo di trovarmi abbastanza in accordo con l’affermazione dello stesso Musk fatta a maggio scorso: «Penso che non sia stato giusto bloccare Donald Trump perché questo ha alienato gran parte del paese». Cioè, per quanto Trump sia una delle persone più lontane da me che possano esistere, non credo che impedirgli di parlare sia una buona cosa, non solo a livello etico, ma proprio a livello pratico, perché rafforza le convinzioni di una certa parte della società americana (e non solo) che ci sia una congiura alle spalle del tycoon e che quindi abbia ragione, radicalizza parte del suo elettorato e crea ulteriori presupposti per una miscela esplosiva. Io non so quale sia la ricetta per tenere assieme libertà di espressione e ancoraggio alla realtà/controllo dei fatti sui social. Ma credo che se vogliamo trovare una soluzione dobbiamo trovarla andando in questa direzione qua.
LA PROPOSTA DEL GOVERNO SULLA CACCIA
Tornando in Italia e alle questioni ambientali legate al nuovo governo, segnalo un post Facebook dello storico leader dei verdi Angelo Bonelli che denuncia una proposta di legge che arriva da Fratelli d’Italia legata al tema della caccia. L’oggetto del post è una proposta di legge scritta dal Senatore di FdI Sergio Berlato, che presenterà a breve in Parlamento, con la quale l’On Berlato (e presumibilmente il governo) vuole modificare la legge 157/92, che è la legge che appunto regolamenta la caccia in Italia. Obiettivi di questa modifica, scrive Bonelli, sono:
– ridurre i perimetri dei parchi per destinare nuove aree, protette, alla caccia
– allungare i periodi di caccia
– aumentare il numero di specie cacciabili
– concedere licenza di caccia ai 16 anni
– consentire il trasporto di armi nei parchi
– consentire la caccia su terreno innevati e nelle zone allagate dalle piene dei fiumi
– prevedere la depenalizzazione dei reati commessi contro la fauna
Piccolo disclaimer: non sono riuscito a verificare personalmente – per questioni di tempo – tutti i punti citati nel post di Bonelli, e il post stesso sembra, da come è scritto, essere stato ripreso da una campagna contro questa legge. Ho comunque ritenuto interessante darvi questa notizia, e Bonelli è abitualmente una fonte molto attendibile su questi temi, ma per correttezza devo dirvi questa cosa.
INFORMAZIONE DI SERVIZIO
Prima di chiudere una informazione di servizio. Questa settimana INMR andrà in onda solamente giovedì, perché praticamente tutta la redazione di ICC è impegnata in varie attività. Io sarò via tutta la settimana per un progetto legato all’educazione climatica nelle scuole superiori in Europa, di cui vi parlerò presto. Quindi domani, mercoledì e venerdì niente puntata, mentre giovedì mi sostituirà Francesco Bevilacqua.
Noi ci risentiamo lunedì prossimo, quindi.
FONTI E ARTICOLI
#Cop27
Il Fatto Quotidiano – Clima, a Sharm si chiude la conferenza del compromesso: via libera al fondo per i Paesi più vulnerabili. Ma nessun accordo sulla riduzione delle fonti fossili
Il Fatto Quotidiano – Clima, il marginale contributo dell’Italia. Pichetto Fratin critica i risultati di Cop27, ma se n’è andato giorni prima che finisse
The Guardian – The 1.5C climate goal died at Cop27 – but hope must not
The Guardian – What are the key outcomes of Cop27 climate summit?
The Guardian – ‘We can do the impossible’: how key players reacted to end of Cop27 climate summit
The Guardian – Revealed: oil sector’s ‘staggering’ $3bn-a-day profits for last 50 years
The Guardian – The big takeaway from Cop27? These climate conferences just aren’t working
#Qatar
Il Fatto Quotidiano – Qatar 2022, il mondiale del greenwashing. Altro che “carbon neutral”: inquinerà il doppio di Russia 2018 e otto volte in più di Euro 2020
Il Fatto Quotidiano – Qatar 2022, così si è arrivati alla truffa del Mondiale d’inverno: quel voto del 2010 che ignorò il parere negativo degli ispettori Fifa
#Trump #Twitter
il Post – Donald Trump è stato infine riammesso su Twitter