Il colpo di stato fallito in Perù e la prima Presidente donna – Io Non Mi Rassegno #635
LA PRIMA PRESIDENTE DONNA DEL PERU’, NEL CAOS
Il 2022 è stato un anno abbastanza sfigato per diversi aspetti, ma è anche indubbiamente l’anno delle leader donna nel mondo. L’ultima arrivata è la presidente del Perù, la prima del paese sudamericano, insediatasi l’8 dicembre. Questa volta non a seguito di elezioni ma della destituzione del Presidente uscente Pedro Castillo. E sì, mi sa che dobbiamo fare qualche passo indietro perché in Perù è successo un gran casino.
Non so se vi ricordate, ne parlammo per diversi giorni qui su INMR, dell’elezione del Presidente peruviano Pedro Castillo, ex insegnante e sindacalista, di ispirazione marxista, uno molto di sinistra che aveva sconfitto alle elezioni Keiko Fujimori, di destra, figlia dell’ex dittatore peruviano Alberto Fujimori, fra l’entusiasmo generale.
In molti vedevano la sua ascesa, assieme a quella di Gabriel Boric in Cile, di Gustavo Petro in Colombia e a quella recente di Lula in Brasile come un vero e proprio fronte socialista sudamericano. Ma qualcosa è andato storto.
Leggo dal Post: “Mercoledì pomeriggio in Perù nel giro di poche ore c’è stato un tentativo di colpo di stato da parte dell’ormai ex presidente Pedro Castillo, seguito dalla decisione del parlamento di destituirlo e dal suo arresto. Era cominciato tutto in una maniera piuttosto concitata e confusa, quando verso le 12 locali Castillo aveva pronunciato un discorso alla nazione in cui aveva ordinato lo scioglimento del Congresso (il parlamento peruviano), l’istituzione di un “governo di eccezione” e il coprifuoco in tutto il paese.
L’annuncio di Castillo era arrivato tre ore prima che il Congresso votasse per la terza volta su una richiesta di impeachment nei suoi confronti. Le due mozioni precedenti – presentate nei mesi scorsi da alcuni parlamentari di opposizione per «incapacità morale permanente» del presidente – erano state respinte perché non avevano raggiunto la maggioranza di voti necessaria. Le mozioni si basavano su alcune accuse di corruzione avanzate nei mesi scorsi nei confronti di Castillo, che lui aveva sempre definito parte di un complotto ai suoi danni.
La presidenza di Castillo, che è un ex insegnante di sinistra di ispirazione marxista, era iniziata nel luglio del 2021 e fin dall’inizio aveva avuto diversi problemi: nei primi sei mesi da presidente aveva fatto numerosi rimpasti di governo e fatto dimettere tre primi ministri. Aveva anche nominato e poi sostituito circa 80 funzionari governativi e dato ruoli decisionali ad alcuni suoi alleati politici privi di esperienza di governo. Proprio per questo su di lui, su membri della sua famiglia e su alcuni dei suoi più stretti collaboratori erano state avviate indagini per corruzione. Castillo inoltre si era avvicinato sempre più a personalità conservatrici (come l’ex presidente brasiliano Jair Bolsonaro) e tra le altre cose si era detto contrario al diritto all’aborto, ai diritti per la comunità LGBT+ e all’educazione sessuale nelle scuole.
Complice anche una situazione economica molto difficile, negli ultimi giorni c’erano state grosse e violente proteste nel paese, con l’obiettivo di far dimettere Castillo prima ancora che si votasse la terza mozione d’impeachment.
In teoria per la terza mozione le opposizioni non avrebbero avuto la maggioranza per approvarla nemmeno questa volta, e c’erano poche speranze di convincere i partiti di sinistra a votare per destituirlo. Castillo aveva però cercato ugualmente di evitare il voto, forse per il timore che partiti a lui vicini potessero votare infine per l’impeachment, e per questo motivo mercoledì aveva ordinato lo scioglimento del Congresso.
Probabilmente Castillo sperava che dopo il suo annuncio le forze armate avrebbero sostenuto il suo tentativo di colpo di stato. Al contrario, in un comunicato pubblicato poco dopo l’esercito aveva fatto sapere che il presidente non aveva l’autorità per sciogliere il parlamento.
Successivamente erano arrivate le dimissioni dei ministri dell’Economia, della Giustizia, del Lavoro e degli Esteri, e la condanna da parte della sua stessa vicepresidente, Dina Boluarte, che lo aveva accusato di aver tentato un colpo di stato. Il Congresso a quel punto si è riunito in anticipo rispetto all’orario previsto per votare la mozione d’impeachment, stavolta approvandola con 101 voti su 130, in una seduta rapidissima senza nessun dibattito preliminare.
L’articolo prosegue in una descrizione lunga e dettagliata di quello che è successo dopo, ma in sintesi, Castillo si è presentato spontaneamente alla prefettura di Lima ed è stato incarcerato preventivamente, in attesa di processo, fra l’altro nella stessa prigione dove è incarcerato l’ex dittatore Alberto Fujimori. E nel frattempo ha chiesto asilo al Messico.
Intanto come previsto dalla costituzione peruviana, i poteri sono stati trasferiti alla vicepresidente Boluarte, che poco dopo ha giurato come nuova presidente del paese. A giudicare dalle prime dichiarazioni, sembra che Boluarte non sia intenzionata a indire nuove elezioni ma voglia concludere la legislatura con la stessa maggioranza che sosteneva Castillo. Inoltre ci sono state delle grandi manifestazioni a sostegno dell’ex presidente e in cui la stessa Boularde è stata contestata per non averlo difeso e sostenuto. Insomma, un bel casino, in una situazione politica già molto divisa e una situazione economica abbastanza preoccupante.
L’UE AFFOSSA LA LEGGE SULLE IMPRESE SOSTENIBILI
C’è un progetto di legge in Europa nato con le migliori premesse, e promesse, che rischia di naufragare. Sto parlando della cosiddetta due diligence aziendale, la dovuta diligenza, ovvero una serie di regole per normare le imprese europee in tema di sostenibilità ambientale, sfruttamento del lavoro forzato, abusi aziendali, sversamenti di petrolio, accaparramento di terre e altre situazioni gravi simili.
Di questa legge avevamo già parlato qualche settimana fa, ma meglio fare un ripasso. Vi leggo alcuni estratti di un articolo di Giorgia Ceccarelli, policy advisor su diritti umani e imprese di Oxfam Italia,che ricapitola la situazione “Il 23 febbraio scorso – spiega – dopo anni di denunce da parte di ong e sindacati, la Commissione europea presentava finalmente una proposta di direttiva per rendere le imprese che operano nel vecchio continente legalmente responsabili del loro impatto sulle persone e sul pianeta e per garantire accesso alla giustizia alle vittime di abusi.
La norma definita di “due diligence”, ossia di “diligenza dovuta”, ha infatti l’obiettivo di imporre a tutte le aziende – dai giganti dei combustibili fossili e dell’agro-business, a quelli della moda e dell’hi-tech – di dotarsi di politiche e comportamenti efficaci nel garantire che i diritti umani e l’ambiente non siano violati, né dalle operazioni da loro direttamente intraprese, né all’interno delle filiere, di cui si avvalgono a livello globale.
A distanza di nove mesi – con il processo di valutazione della proposta avviato in parallelo dal Parlamento europeo e dal Consiglio – sembra però che le lobby industriali e finanziarie più conservatrici, che avevano fin dal principio provato a boicottare il processo, siano tornate a battere forte alle porte dei Ministeri dell’economia, delle attività produttive e delle finanze.
Solo così si può spiegare il voto di giovedì scorso con cui il Consiglio europeo ha adottato a maggioranza – e sotto spinte più o meno palesi di Francia, Germania, Italia e Spagna – la sua posizione negoziale sulla direttiva: un testo pessimo che rischia di vanificare tutti gli sforzi finora fatti per normare in modo efficace la condotta delle imprese verso i milioni di uomini e donne che in tutto il mondo lavorano in condizioni disumane per permettere loro di realizzare ingenti profitti e verso le comunità che abitano luoghi depredati e inquinati dai loro business”.
Faccio un inciso, per spiegare il processo legislativo europeo. In Europa l’iniziativa legislativa è nelle mani della Commissione europea, che è come se fosse un po’ il governo dell’Unione. La Commissione propone una legge che poi viene esaminata dal Parlamento Ue e dal consiglio europeo (che è il gruppo che unisce i vari capi di stato dei paesi membri). A quel punto sia il Parlamento che il Consiglio possono presentare i propri emendamenti e poi sostanzialmente inizia un dialogo, un rimbalzo della legge, finché non si arriva a un compromesso o a un testo condiviso, che quindi viene approvato.
In questo caso è stato il Consiglio europeo, che nell’architettura Ue è l’organismo che rappresenta la voce più diretta dei paesi membri, a boicottare questa iniziativa. Vediamo allora un po’ meglio qual è stata la posizione del Consiglio, sempre nelle parole di Giorgia Ceccarelli: “Sul tema dell’accesso alla giustizia la posizione del Consiglio non offre quindi alcun supporto concreto alle vittime di abusi che abbiano elementi per denunciare le imprese e chiedere loro un equo risarcimento. Nel migliore dei casi, gli Stati membri sembrano ignorare le persone e le comunità che ne subiscono gli effetti. Nel peggiore stanno cercando di rendere loro ancora più difficile la strada per un equo processo.
Anche qualora le vittime riuscissero ad intentare una causa contro un’azienda, infatti, il tentativo potrebbe essere vano perché i governi hanno spinto per restringere al minimo il campo di applicazione della direttiva. Il settore finanziario, ad esempio, potrà continuare a finanziare grandi opere infrastrutturali nocive per i popoli indigeni e l’ambiente senza essere ritenuto responsabile. Secondo il testo approvato spetterà a ciascun paese europeo scegliere se includere le banche e altri attori finanziari nel perimetro della legge. Con buona pace della narrativa dominante che vede nella finanza sostenibile la più grande leva di cambiamento verso la corporate sustainability.
Sugli obblighi di “due diligence climatica” – capitolo su cui la proposta della Commissione era già molto debole il Consiglio ha dimostrato la consueta miopia ritenendo l’attuale crisi climatica un problema secondario, invece che la più grande sfida dei nostri tempi.
Tuttavia la partita non è finita. Deve ancora esprimersi infatti il Parlamento europeo e, nonostante le lobby conservatrici ora si scateneranno su questo fronte, il gruppo dei relatori delle varie Commissioni, capitanati dall’ottima Lara Wolters (eurodeputata olandese del gruppo socialdemocratico), esprimono tutt’altra visione.
L’articolo si conclude con il richiamo all’impegno di Oxfam Italia e della campagna “Impresa 2030 – Diamoci una regolata”. “È un’occasione imperdibile per rivoluzionare i modi in cui si pensa e si fa impresa e per raggiungere gli obiettivi dell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite e degli Accordi di Parigi sul clima. E noi vogliamo lottare fino in fondo per realizzarla”. Conclude la giornalista. In effetti è uno di quei casi in cui un’alta attenzione mediatica può fare almeno in parte la differenza, perché le lobby preferiscono operare quando l’attenzione è bassa, per ragioni di immagine, ovviamente.
LA LEGGE UE SULLE DEFORESTAZIONE NON TUTELA INDIGENI E ALCUNE FORESTE
Restiamo in argomento leggi europee. Qualche giorno fa abbiamo parlato della nuova legge europea che vieta ai paesi membri dell’Unione di importare prodotti legati alla deforestazione. Che, come dicevamo, è un’ottima cosa, ma che poteva essere fatta decisamente meglio. Vi spiego perché con un articolo di Greenreport che a sua volta riporta le posizioni di Greenpeace e WWF sul tema.
“Greenpeace ha avvertito che mentre la legge proteggerà le foreste, i diritti umani delle popolazioni indigene riceveranno solo una protezione “fragile”, mentre altri tipi di ecosistemi, come le savane e le torbiere, rimangono non coperte. “Alla vigilia della COP15 delle Nazioni Unite sulla biodiversità, la decisione Europea è una svolta importante per le foreste e per tutte le persone che si sono battute per proteggerle. Non c’è dubbio che questa legge farà tacere un buon numero di motoseghe e impedirà alle aziende di trarre profitto dalla deforestazione” dichiara Federica Ferrario, responsabile della campagna agricoltura di Greenpeace Italia. “Però non tutto brilla oggi, dato che i governi dell’UE hanno infilato alcune scappatoie per le industrie del taglio del legname e non hanno protetto in modo adeguato i diritti delle popolazioni indigene, che difendono la natura anche a costo della loro stessa vita. Per questo oggi tutti gli occhi dovrebbero essere puntati sui nostri ministri e sulle nostre delegazioni alla COP15, affinché si possa finalmente ottenere un accordo globale per la protezione della natura”.
Anche per il Wwf il giudizio, complessivamente buono, presenta dei punti critici. Secondo l’Ong, “Nonostante una forte mobilitazione dei cittadini, i decisori hanno escluso alcuni elementi importanti. I negoziatori hanno deciso di non sostenere la proposta del Parlamento di estendere immediatamente il campo di applicazione ad altri terreni boschivi come le savane, anche se molti di questi sono già sottoposti a un’enorme pressione a causa della riconversione agricola.
Questi ecosistemi sono importanti depositi di carbonio e un rifugio per gli animali, oltre a fornire mezzi di sussistenza per le popolazioni indigene e le comunità locali”. “È una vergogna che altri terreni boschivi non siano stati inclusi fin dall’inizio, poiché avrebbe fatto un’enorme differenza per le regioni che sono costantemente minacciate, come il Cerrado brasiliano, che ora potrebbero subire ancora più distruzioni. La Commissione europea deve ora iniziare con urgenza a lavorare sulla valutazione d’impatto per averla pronta entro un anno al massimo”, ha aggiunto Anke Schulmeister-Oldenhove, responsabile Foreste del Wwf”.
Questo perché, come scrive Silvia Marzialetti sul Sole 24 Ore “La versione finale del provvedimento prevede la possibilità di allargare i vincoli ad altri terreni boschivi entro e non oltre un anno dall’entrata in vigore del testo”. Insomma, c’è un anno di tempo per migliorare il testo di questa legge e estenderne l’applicazione a molte più foreste rispetto alla versione attuale, che risulta ancora un po’ troppo debole.
LA GRANDE MANIFESTAZIONE A COP15
Abbiamo citato di sfuggita COP15, il summit sulla biodiversità che si concluderà proprio oggi a Montreal. Forse. nel senso che poi questi incontri spesso, come abbiamo visto per il vertice sul clima di Sharm el Sheikh COP27 durano spesso più del dovuto per provare a raggiungere un accordo.
Lo dico per mettere le mani avanti, perché di sicuro ne parleremo in maniera approfondità dell’accordo che uscirà dal summit, sempre che si esca con un accordo, ma non è detto che questo avvenga nella puntata di domani.
Comunque c’è già una bozza di accordo, che verrà discussa nelle prossime ore. Cosa prevede? Diciamo che parla di 4 obiettivi da raggiungere entro il 2050: conservazione, uso sostenibile delle risorse, condivisione equa dei benefici derivanti dalla natura, capacità tecniche e finanziarie.
Solo che per adesso mancano meccanismi reali per l’applicazione e la revisione degli impegni che i vari paesi prenderanno. Al momento siamo ancora molto lontani dall’equivalente di un Accordo di Parigi della biodiversità. Il che è abbastanza preoccupante se si pensa che dal punto di vista della lotta alla crisi climatica si è fatto ben poco nonostante l’accordo di Parigi. L’attuale testo sulla biodiversità “sollecita” solo i Paesi a tenere conto di una valutazione globale prevista tra quattro anni.
A parte ciò la novità principale notizia da Montreal è che c’è stata una enorme manifestazione. Scrive Gioia Salvatori su Euronews:
“Centinaia di manifestanti sono scesi in piazza a Montreal in Canada mentre in città si tiene la Cop15 per la biodiversità. Domandano ai delegati riuniti fino al 19 dicembre di fare di più per difendere tutta la varietà di flora e fauna del globo.
Ricordano che un milione di specie sono minacciate dall’estinzione, che un terzo della terra è gravemente degradato, che il suolo fertile sparisce e che la plastica soffoca gli oceani. Chiedono anche la difesa dei diritti delle popolazioni indigene spesso le più attente alla cura della biodiversità.
LE STRANE MORTI DEI GIORNALISTI IN QATAR
Intanto in Qatar, con l’attenzione del mondo puntata sulla coppa del mondo di calcio, succedono cose strane ai giornalisti. Ne sono morti due nel giro di poche ore, e ci sono un po’ di sospetti che aleggiano sull’organizzazione. E quando dico sospetti, dico davvero sospetti e nulla più, per adesso nessuna prova, solo alcuni indizi e questa coincidenza. Vi dico meglio la cosa poi commentiamo.
Venerdì, durante la partita Olanda Argentina, è morto il giornalista americano Grant Wahl, 49 anni. Wahl già da qualche giorno accusava dei disturbi, che aveva fatto risalire allo stress. Pare che abbia accusato una forte pressione al petto e si sia accasciato durante la partita, portato d’urgenza al pronto soccorso dove è morto. Ora, tutto lascia pensare onewstamente a un malore, ma il fratello del giornalista ha lanciato un’accusa in un video. “Lo hanno ucciso. Nei giorni precedenti aveva avuto difficoltà a entrare allo stadio con una maglia arcobaleno che portava in mio onore, perché sono gay. Grant sosteneva le battaglie della comunità Lgbtqi+ e aveva ricevuto accuse di morte per questo”.
Poi il giorno dopo, sabato, un altro giornalista è morto. Si tratta del fotoreporter Khalid Al-Misslam, di Al-Kass Tv, era impegnato nella copertura del torneo quando è venuto improvvisamente a mancare. In questo caso sono ancora ignote le cause del decesso.
In tutto ciò, sempre venerdì, lo stesso giorno in cui è morto Wahl, anche un addetto alla sicurezza, ora ricoverato in condizioni gravi ma stabili nel reparto di terapia intensiva dell’Hamad Medical Hospital, era volato giù da un atrio superiore all’esterno dello stadio al termine della partita tra Argentina e Olanda.
È vero che tre indizi fanno una prova, ma in questo caso mi sento di dire che la prova ancora non c’è, di niente, mi pare che le connessioni fra questi tre casi siano fin qui troppo deboli per ipotizzare qualcosa. Tuttavia si tratta di qualcosa su cui vale la pena continuare a tenere le antenne dritte, perché non escludo che invece non emergano nuovi dettagli che cambiano la lettura di questi fatti. In quel caso, ne riparliamo.
FONTI E ARTICOLI
#Perù
il Post – Che diamine è successo in Perù?
Ansa – Perù: formato il nuovo governo mentre le proteste proseguono
#imprese
Il Fatto Quotidiano – L’Ue affossa il progetto delle imprese sostenibili. A farne le spese saranno i lavoratori e l’ambiente
il Salvagente – Accordo Ue su legge che vieta import di prodotti frutto di deforestazione
#deforestazione
Greenreport – Legge Ue sulla deforestazione, Greenpeace: passo avanti ma protezioni fragili per popolazioni indigene, restano fuori savane e torbiere
Il Sole 24 Ore – Parlamento Ue: stop all’import di prodotti frutto della deforestazione
#Cop15
Euronews – Cop15: a Montreal centinaia in piazza per la biodiversità e i popoli indigeni
#Qatar
la Repubblica – Qatar, un altro giornalista morto ai Mondiali
la Repubblica – Mondiali, malore durante Olanda-Argentina: muore il giornalista Grant Wahl. Il fratello: “E’ stato ucciso”