11 Ott 2023

Sembra agosto (ma è ottobre) – #809

Scritto da: Andrea Degl'Innocenti
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Farebbe un clima fantastico, se fosse agosto. invece è ottobre, e forse è il caso che ne parliamo. Parliamo anche delle ultime vicissitudini a gaza e in Israele e dell’inquinamento causato dalle navi da crociera, e alla fine inauguriamo una nuova rubrica in cui il nostro direttore Daniel Tarozzi ci racconta il meglio dei contenuto del giorno su Italia che Cambia.

I venti di guerra che arrivano da Gaza hanno fatto passare un po’ in secondo piano – anche all’interno di questo format – il fatto che stanno proseguendo le anomalie climatiche. Al punto che è difficile parlare ancora di anomali. Come scrive Rosita Cipolla su GreenMe, “Lo scorso 23 settembre abbiamo accolto l’autunno, ma di questa stagione al momento non c’è neanche l’ombra. Da Nord a Sud, la gente va in giro in maniche corte e c’è chi ancora utilizza ventilatori in casa. Qualcuno lo scorso fine settimana ne ha persino approfittato per fare un bagno al mare o al lago. Invece di mangiare castagne e cachi, tanti stanno continuando a gustare angurie e pesche”.

Quella che stiamo vivendo è un’estate senza fine: l’anticiclone africano, che sta insistendo sulla nostra penisola, ha fatto schizzare le temperature, che sono superiori di circa 10°C rispetto alla media del periodo.

Prosegue l’articolo: “A soffocare maggiormente per il caldo è l’Italia settentrionale, dove sono stati superati diversi record. La scorsa domenica a Milano sono stati raggiunti i 30,3°C: un valore così alto non era mai stato registrato nel capoluogo lombardo a ottobre. Il primato risaliva al 24 ottobre del 2018, quando l’osservatorio storico di Milano Brera – attivo al 1763 – aveva segnato i 28,1°C”.

Anche a Torino si continua a sudare senza tregua a causa dell’afa: qui la Stazione Arpa Piemonte di via della Consolata ha registrato ben 30,7°C,  superando il precedente record di 30,2°C del 12 ottobre 2011. In altre città del Nord le temperature sono state davvero roventi. È il caso di Alessandria, dove la colonnina di mercurio ha raggiunto addirittura 34.1°C, mentre a Novara sono stati toccati 32.1°C e a Cuneo 32°C.

Anche spostandoci verso il Centro e il Sud sembra ancora di essere ad agosto. Nella capitale le temperature si stanno mantenendo sopra i 30°C. In alcune aree di Roma, come l’Eur, i termometri hanno segnato 33,9 °C, mentre nella valle del Tevere ben 34°C.

Ora, diciamoci la verità. L’articolo, come fanno in molti, usa toni piuttosto allarmistici, e ci sta, ma secondo me sbaglia un po’ mira. A differenza delle giornate di luglio, in cui effettivamente si soffocava dal caldo, adesso in molte zone d’Italia si sta molto bene. Potremmo definirlo un clima ideale, se non fosse ottobre. 

Quindi, probabilmente, più che il focus su quanto fa caldo a livello di benessere individuale, credo che sia interessante capire quali conseguenze ha questo caldo anomalo, ad esempio sugli equilibri degli ecosistemi, o su altri fattori chiave per noi.

Più avanti l’articolo prova a farlo, almeno in parte: “Questa ondata di calore anomala sta mettendo in ginocchio il settore agricolo, che ha fatto i conti con un’estate all’insegna della siccità alternata a violente alluvioni.

Ho cercato allora altri articoli che illustrassero le conseguenze di questo caldo anomalo sui nostri ecosistemi e ho trovato in generale uno sproposito di articoli incentrati sulle conseguenze sulla salute umana e poco o nulla sulle conseguenze ecosistemiche. Comunque, qualcosa ho trovato Ad esempio: Alberto Salmè su Il Corriere della città scrive che “alcune specie di animali, che in questo mese entrano solitamente in letargo, ritarderanno la preparazione dei loro giacigli e le scorte di cibo al fine di accumulare grasso per l’inverno. Il bioritmo stagionale, insomma, si sposterà in avanti con conseguenze sull’ecosistema che può subire una paralisi temporale. Il periodo di riposo o di letargo si accorcerà drasticamente e in modo rischioso”.

Ovviamente poi c’è la questione della meno neve accumulata e della superficie dei ghiacciai che si riduce, che influenza la disponibilità d’acqua. Più difficile da interpretare la situazione delle piante: Giorgio Vacchiano, professore associato di gestione e pianificazione forestale all’Università di Milano, dice a L’Eco di Bergamo che «Di per sé, una temperatura più elevata prolunga la fotosintesi e la durata della stagione vegetativa delle piante. (il che, traduco, è un bene perché la fotosintesi cattura Co2 dall’atmosfera). Tuttavia, alcuni studi associano un eccesso di calore autunnale con un’entrata anticipata in dormienza da parte delle piante che, quindi, potrebbero avere meno tempo a disposizione per accumulare le sostanze di riserva. Una temperatura più elevata, inoltre, incide anche sulle perdite di carbonio dal suolo, che in autunno rischiano di superare il potenziale assorbimento garantito dalla fotosintesi “extra”, impoverendo, e non potenziando, il carbonio sequestrato dagli ecosistemi, soprattutto alle latitudini settentrionali».

Poi, sempre fra i rischi per le piante, c’è l’allungamento della stagione degli incendi e la pullulazione degli insetti parassiti, che non vengono uccisi dal freddo.

Insomma, come spesso ricordiamo il clima è un sistema complesso e influenza l’equilibrio degli ecosistemi in miliardi di modi diversi molti dei quali non siamo proprio in grado di prevedere e calcolare. Quindi, mentre ci godiamo questo caldo e questi ultimi bagni, comunque piacevoli, ricordiamoci che dobbiamo smettere di bruciare qualsiasi cosa, e farlo il prima possibile.

A proposito di cambiamento climatico e lotta al cambiamento climatico, vi segnalo che abbiamo pubblicato su ICC l’appello dei ragazzi e le ragazze di Ultima Generazione a sostenerli. Vi leggo solo l’inizio dell’appello, ma vi invito caldamente ad approfondire:

“Care amiche e amici, vi scriviamo per mettere sotto i vostri occhi qualcosa che già vi si trova, ma forse in una luce diversa da quella che vorremmo mostrarvi. Ci riferiamo all’impegno instancabile, appassionato e coraggioso di alcuni nostri concittadini, oggi noti come gli Imbrattatori – ma che forse meglio sarebbe chiamare i Macchiaioli –, che da diversi mesi dedicano concretamente il loro tempo a lanciare un appello di allerta, a risvegliarci dall’inerzia e a scuoterci.

Lo fanno affinché prendiamo finalmente sul serio la minaccia terribile di cui cominciamo a vedere gli spaventosi effetti in maniera sempre più frequente: dalle alluvioni in Emilia Romagna alle tempeste a Milano, dalla grandine come palle da tennis alla situazione in Sicilia, che si trova senza acqua né elettricità e via dicendo. È la crisi climatica”.

Trovate l’appello completo sotto Fonti e articoli.

Torniamo ad aggiornarci su quella che continua ad essere “la notizia” su praticamente tutti i giornali del mondo. La crisi fra Israele e Gaza, seguita all’attacco ad Israele da parte di Hamas e proseguita con una violentissima ritorsione israeliana, che ha staccato i rifornimenti di cibo, acqua ed energia a tutti gli abitanti della striscia. 

Leggo su Limes: “Gaza si prepara all’assedio totale annunciato dalle Forze armate di Israele (Tsahal). Con un comunicato apparso sul canale televisivo arabo Al-Hadath, il gruppo paramilitare palestinese Ḥamās (Hamas) ha minacciato di uccidere gli ostaggi catturati durante l’incursione del 7-8 ottobre nei territori israeliani adiacenti alla Striscia: “L’esecuzione sarà la risposta agli attacchi di Tsahal (l’esercito israeliano) contro gli edifici residenziali e le strutture civili”. I membri del “Movimento islamico di resistenza” hanno quindi minacciato di realizzare video delle esecuzioni da diffondere sulle piattaforme social. Tra gli ostaggi in mano ad Hamas si registrano anche diversi stranieri.

Nel frattempo, l’operazione israeliana Spade di Ferro (Swords of Iron) ha preso il via. I carri armati israeliani si stanno dispiegando a ridosso dei confini della Striscia di Gaza tenendosi prontai a una penetrazione, mentre sono stati condotti i primi bombardamenti aerei contro l’exclave palestinese (colpita anche una moschea). Con l’inizio della rappresaglia di Israele – che ha richiamato 300 mila riservisti.

Intanto c’è stato un vertice a 5, online, presieduto dal presidente degli Stati Uniti Joe Biden assieme al primo ministro inglese Rishi Sunak, al presidente francese Emmanuel Macron, al cancelliere tedesco Olaf Scholz e alla premier italiana Giorgia Meloni. I 5 leader hanno parlato di “fermo e unitario sostegno allo Stato di Israele” nonché sulla “condanna inequivocabile degli spaventosi atti di terrorismo di Hamas”.

I cinque hanno quindi concordato di dare priorità al dossier degli ostaggi ritenuti da Hamas, tra i quali sembrano esservi due italo-israeliani. Biden ha poi suggerito agli alleati di tenere a bada sul proprio territorio le formazioni partitiche antisioniste: “Non è il momento in cui partiti ostili a Israele possano sfruttare gli attacchi per cercare un vantaggio politico”.

Insomma il blocco dei paesi occidentali sembra schierarsi apertamente a fianco di Israele. E, come abbiamo già commentato, i giornali fanno perlopiù lo stesso. Su questo ho trovato interessante il commento di Andrew Mitrovica, editorialista di Al Jazeera, che è apertamente schierato dall’altro lato, ma ciononostante – o forse proprio per questo – ci aiuta ad osservare la faziosità di molti media occidentali: 

“Israele ha condotto una guerra contro i palestinesi per decenni. Questo fatto potrebbe essere una sorpresa per molte persone la cui percezione del mondo è influenzata dal consumo esclusivo di media occidentali. Le profonde e durature conseguenze umane della terrificante guerra perpetua di Israele contro i palestinesi – condotta con indiscriminata crudeltà da un esercito di occupazione e dai suoi procuratori de facto, le milizie di coloni fanatici – sono state evidenti per chiunque vedere, per generazioni.

Innumerevoli vite perse e mutilate nel corpo e nello spirito. Terre e case rubate. I mezzi di sussistenza e le antiche tradizioni distrutte. Il ciclo estenuante di dover ricostruire, per poi vedere tutte le promesse e le possibilità trasformarsi in un attimo in polvere. La prigionia di massa di un popolo rinchiuso come un bestiame dietro mura e recinzioni di filo spinato, dove acqua ed elettricità, cibo e carburante vengono attivati e disattivati a piacimento di una potenza coloniale.

Ma, naturalmente, la maggior parte dei media occidentali non riconosce questi fatti e questi oltraggi. Questo perché molti dei giornalisti e degli editorialisti ora attanagliati dall’ultima esplosione di follia omicida in Palestina e Israele hanno sempre interpretato gli eventi attraverso un prisma dettato principalmente da Israele – che siano disposti ad ammetterlo o meno.

In questo calcolo miope, Israele è sempre la vittima, mai il colpevole. La comprensione della storia da parte di Israele conta; la lettura del passato da parte dei palestinesi, ma anche del presente e del futuro, non conta. E, cosa forse più indecente di tutte, le vite e le morti israeliane contano, quelle palestinesi no.

Salto tutta la parte centrale dell’articolo per leggere più avanti: “Nei terribili giorni, settimane e potenzialmente mesi a venire, una galleria di scrittori si schiererà senza dubbio retoricamente al fianco del Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu e dei suoi terribili appelli a imporre un blocco totale su Gaza e a ridurla a un'”isola deserta” sulla scia dello spietato assalto di Hamas.

L’agghiacciante voto di Netanyahu di cancellare Gaza e il suo avvertimento ai 2 milioni di palestinesi che vivono in quella sottile striscia di terra di “andarsene” sono l’inevitabile espressione dell’apartheid, che si basa sulla disumanizzazione di un intero popolo.

Come ha spiegato lo scrittore palestinese-americano Ra’fat Al-Dajani, la disumanizzazione dei palestinesi si basa su due principi largamente diffusi nei media occidentali: “I palestinesi sono violenti per quello che sono, per qualcosa di intrinseco alla loro natura e cultura”, ha scritto Dajani, piuttosto che “per l’oppressione e la violenza dell’occupazione israeliana”. 

Come corollario, “poiché i palestinesi non hanno standard morali di base… l’unico modo per interagire con loro è l’uso della forza, sia che si tratti di forze di sicurezza israeliane sponsorizzate dallo Stato, sia che si tratti di attori non statali come i coloni israeliani. La forza è l’unico linguaggio che capiscono”. Ricordate le dichiarazioni di Yoav Galant, capo dell’esercito israeliano ed ex ministro della difesa, che ha definito i palestinesi bestie umane.

Mi fermo qui. Ora: non vi ho letto questo commento perché condivida al 100% tutto quello che dice. Personalmente sono sempre stato simpatizzante della causa palestinese, ma nonostante il bias sia dietro l’angolo in questi casi posso riconoscere che si tratta comunque di una versione schierata. E non credo che due versioni schierate ci restituiscano magicamente una visione reale: ma leggere anche cosa si dice su media non allineati alle posizioni occidentali è importante soprattutto per riconoscere come in situazioni come questa molto di quello che leggiamo, su qualunque fonte, sia distorto dagli occhiali della partigianeria e dagli interessi geopolitici.

Una delle forme di inquinamento di cui si parla di meno in assoluto, o perlomeno di cui si parla poco rispetto alla sua reale entità, è quella dovuta alle navi da crociera. Le navi da crociera sono delle vere e proprie macchine da inquinamento ambulanti, al punto che le crociere sono considerate la tipologia di viaggio più impattante in assoluto. Adesso una serie di dati raccolti da un gruppo di cittadini quantifica questo inquinamento in una zona ben precisa, quella del porto di Trieste.

Ne parla Stefano Tieri sul Fatto Quotidiano: “Picchi di particolato fino a dieci volte più alti rispetto a dove l’aria può considerarsi pulita, valori di “black carbon” oltre dieci volte quelli nelle aree non esposte agli inquinanti, punte di biossido di azoto che raggiungono livelli superiori di quattro volte rispetto ai limiti di salvaguardia per la salute umana stabiliti dall’OMS. Tutto ciò in prossimità delle navi da crociera approdate a Trieste. È quanto emerge dal monitoraggio compiuto da Cittadini per l’Aria in collaborazione con le realtà ambientaliste locali e grazie al supporto tecnico del ricercatore Axel Friedrich, tra i massimi esperti nel settore e che, in Germania, ha contribuito con il suo istituto a portare alla luce il Dieselgate.

Perché Trieste? Primo porto in Italia per traffico merci, la città negli ultimi anni sta vedendo crescere considerevolmente il numero delle navi da crociera: sono stati 182 gli scali registrati nel 2022, almeno 50 in più rispetto all’anno precedente; mentre per il 2023 sono attualmente in programma 150 approdi. Numeri importanti, considerando che la prima nave da crociera ha attraccato a Trieste soltanto nel 2006.

Il rovescio della medaglia è però l’inquinamento, a cominciare da quello atmosferico: secondo uno studio pubblicato recentemente dalla prestigiosa rivista Lancet l’inquinamento navale, nel capoluogo giuliano, provoca la morte prematura di quasi 80 persone all’anno. 

Come spiega Anna Gerometta, presidente del comitato Cittadini per l’Aria, “Gli inquinanti atmosferici emessi dalle navi come particolato, fuliggine, ossidi di zolfo e di azoto danneggiano la salute umana, l’ambiente e il clima. L’esposizione della popolazione al particolato e al biossido di azoto è associata a gravi problemi di salute come malattie cardiovascolari e respiratorie, ictus e cancro. 

Fra l’altro, l’inquinamento non scompare nemmeno spostandosi lontani dal porto e tutta la città viene colpita dalle emissioni navali.

Ma quindi? Bisogna quindi rinunciare ai turisti? Non per forza. Di certo bisogna iniziare a disincentivare un certo tipo di turismo. Come afferma un comunicato di Fridays for Future Trieste: “Invece del turismo mordi e fuggi delle crociere vogliamo un modello di turismo lento, che valorizzi il territorio e la sua cultura. Occorre informare la cittadinanza e organizzare la mobilitazione ben sapendo che il problema non si risolve spostando le navi da un porto all’altro: il loro impatto è negativo dovunque si trovino”.

Concludiamo questa puntata con una novità, ovvero inaugurando una nuova rubrica che si chiama “La giornata di ICC”, in cui il nostro direttore Daniel Tarozzi ci racconta in breve gli articoli più interessanti che troverete oggi su Italia che Cambia. A te la parola Daniel:

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