Clima, gli impegni della Cina sono davvero peggiori dei nostri? – #404
Cina, clima e COP26
Torniamo a parlare di COP26: questa mattina esce su Italia che Cambia un nuovo articolo che aggiorna su quello che sta succedendo in Scozia, sulle nuove decisioni prese, sull’oceanica manifestazione per il clima di sabato scorso.
Lì trovate tutte le novità sulla COP26, perciò qui vorrei concentrarmi su un aspetto più specifico, che è il ruolo della Cina all’interno della COP e più in generale della lotta ai cambiamenti climatici. Perché sul Guardian di ieri è uscita un’intervista a un membro importante della delegazione cinese alla COP26 che afferma che la narrazione che si fa della Cina come il “grande cattivo” degli inquinatori globali non è corretta.
Innanzitutto partiamo da un po’ di dati e notizie. La Cina è oggi il più grande emettitore di CO2 – ovvero anidride carbonica – che è quel gas frutto della combustione ed è il principale responsabile dei cambiamenti climatici. Questo è un fatto, anche se già qui dobbiamo stare attenti alle proporzioni. É il principale emettitore ma è anche il paese più popoloso al mondo e in più è un grande esportatore. Se parametriamo le emissioni alla popolazione e, ancora di più, ai consumi, la Cina viene molto dopo gli Usa, ma anche dopo l’Europa e altri paesi.
Allo stesso modo, se analizziamo lo storico e teniamo presente che la CO2 presente adesso in atmosfera è ancora quella di duecento, cento o cinquanta anni fa – già, perché la CO2 permane centinaia di anni in atmosfera – la Cina ha un ruolo marginale su quei 420 ppm di anidride carbonica rilevati oggi. Perché? Semplice: perché ha iniziato a inquinare molto dopo.
Comunque lasciamo da parte queste considerazioni, che sono sì importanti, ma forse ci distraggono dal dato di fatto principale: al di là delle colpe e dei pregressi, se vogliamo continuare ad abitare questo paese dobbiamo smettere di bruciare qualsiasi cosa, tutti. Poi magari troveremo altri modi per compensare i torti subiti in passato, in modo da evitare la nostra estinzione di massa.
Quindi tornando al fatto che dobbiamo raggiungere le emissioni zero, su questo l’impegno della Cina è considerato scarso, perché fa ancora troppo affidamento sul carbone e ha annunciato che il picco dell’utilizzo di questa risorsa si verificherà nel 2030 e quindi fino ad allora la produzione aumenterà. E le emissioni nette zero? Saranno raggiunte solo nel 2060, che è un po’ tardi.
In più ci sono state tutte le polemiche sul fatto che Xi Jing Ping non è andato a Glasgow ed è stato per questo accusato pubblicamente da Biden di prendere la questione climatica sottogamba.
Quindi, come stanno realmente le cose? Nell’articolo che citavo in apertura pubblicato dal Guardian, Wang Yi – consulente chiave della strategia cinese sulla decarbonizzazione e sulla stesura del Piano quinquennale e parte della delegazione presente a Glasgow – dice la sua.
In sintesi dichiara che “a differenza degli altri paesi che fanno solo proclami, in Cina le cose le facciamo davvero, abbiamo i nostri piani dettagliati in cui c’è scritto esattamente come faremo a raggiungere ciascuno degli obiettivi che ci siamo dati. Solo che non li legge nessuno. Perciò le nostre proposte non sono annunci, ma azioni molto concrete”.
A riprova di questo fatto, Wang spiega come dal una lettura attenta del piano cinese per il phase out dal carbone si capisce che il picco vero sarà nel 2025 e non nel 2030, come riportano i giornali. Questa informazione non è riportata nero su bianco da nessuna parte, ma secondo lui dovrebbe dedurre dal complesso. Al tempo stesso dice che secondo i loro calcoli non c’è niente che lasci presagire, com’è stato invece affermato durante la COP26, che i nuovi impegni annunciati dai leader siano sufficienti a mantenere entro gli 1,8°C il surriscaldamento globale.
A riprova di quanto afferma porta anche il fatto che la carenza di energia che la Cina sta affrontando è dovuta anche alle politiche di addio al Carbone. Perché se è vero che la Cina è tornata a rifugiarsi nel carbone in via emergenziale nel post Covid, questo non toglie che il piano economico resti lo stesso e la strada a medio termine della uscita dal carbone resti in piedi.
E un po’ di ragione Wang ce l’ha, perché la Cina ha un tipo di economia fortemente centralizzata e pianificata dallo Stato, il quale decide esattamente dove investire e quando. Quindi se gli apparati statali dichiarano qualcosa devono anche avere ben chiaro come fare a raggiungere quegli obiettivi. Discorso un po’ diverso rispetto agli stati occidentali – anzi, alla maggioranza degli Stati del mondo – che invece affidano le loro economie quasi esclusivamente ai mercati, per cui lo Stato può intervenire solo fino a un certo. Quindi fra una dichiarazione di un Xi Jing Ping che dice con certezza che la Cina raggiungerà la neutralità climatica nel 2060 e un piano di un Biden o di un Draghi che affermano che la raggiungeranno un decennio prima – ma non hanno idea di come fare – cosa è meglio? O cosa è meno peggio?
C’è anche un altro passaggio interessante nell’intervista: quando gli viene chiesto del target di 1,5°C, Wang dice raggiungerlo “è possibile, ma comporterebbe un costo sociale ed economico enorme” aggiungendo che in sostanza la Cina preferisce mantenersi sui 2°. E conferma che già così: “Per raggiungere questi obiettivi, il Governo ha delineato un cambiamento nell’intero sistema, non solo nel settore energetico, ma nella società e nell’economia. E nessuno lo sa”. Insomma, un discorso molto pragmatico, forse miope o forse realistico. Ma di nuovo, la Cina sembra essere il paese che ha più chiaro cosa comporta raggiungere la neutralità climatica. Per davvero. Perché ha dovuto fare i conti.
Rivisitare la storia?
Restando sempre in Cina, un articolo di Internazionale parla della sesta assemblea plenaria del Partito comunista cinese, che per quattro giorni riunirà circa 400 quadri dirigenti sotto la direzione del numero uno Xi Jinping. É iniziato ieri – aggiunge Repubblica – nell’inaccessibile albergone bianco in stile sovietico nel distretto di Haidian, presidiato a ogni angolo dai soldati in alta uniforme dell’Esercito di liberazione, a due passi dal Museo militare e dal Ministero della Difesa. Un “conclave rosso” che già si preannuncia “storico” e che catapulterà ufficialmente la Cina nella Nuova Era. Ovviamente, quella di Xi Jinping.
L’assemblea plenaria – scrive Pierre Haski – è un rituale della vita del partito che permette di inviare importanti messaggi in un momento segnato dal conflitto sempre più intenso con gli Stati Uniti, dall’aumento delle tensioni su Taiwan, dall’inasprimento politico interno e da un’economia che solleva diversi interrogativi.
E – continua Internazionale – tutto lascia pensare che Xi farà approvare dal partito una “risoluzione sulla storia”. Che è in pratica una riscrittura della storia stessa da un’angolatura favorevole all’attuale leader. Potrebbe sembrare banale, ma in realtà sarebbe solo la terza volta in cento anni che il partito adotta una simile mozione.
La prima volta è accaduto sotto la direzione di Mao Zedong nel 1945, mentre la seconda è stata nel 1981, sotto la direzione di Deng Xiaoping. La terza sarebbe quella di Xi, che in questo modo si pone sullo stesso piano dei due giganti della storia del comunismo cinese e si impone come centro del potere senza alcuna opposizione.
È un fatto più rilevante di quanto sembri, che va ben oltre il simbolismo e la vanità di un dirigente. Rivendicando il suo posto nella storia, Xi dimostra di conservare un’autorità assoluta sul partito, un aspetto molto significativo in questi tempi burrascosi.
Articoli e fonti
#COP26
Valori – «La City di Londra diventerà verde». Davvero?
Italia che Cambia – La coalizione pro-bici ai governi della Cop26: la crisi climatica si batte su due ruote
The Guardian – Cop26: what’s still to be resolved in the week ahead
il Post – Alla COP26 è arrivato il momento del “come”
#Cina
The Guardian – China calls for concrete action not distant targets in last week of Cop26
Internazionale – Xi Jinping vuole riscrivere la storia per consolidare il proprio potere
#multinazionali
Valori – Multinazionali sempre più ricche. A loro un terzo del Pil mondiale
il Post – Elon Musk ha chiesto a Twitter se vendere il 10% delle sue azioni di Tesla
#idrogeno
Il Fatto Quotidiano – Auto a idrogeno, una tecnologia del futuro: nel frattempo c’è una soluzione migliore
#eutanasia
euronews – Nuova Zelanda, entra in vigore l’eutanasia. E’ il settimo paese a legalizzare la dolce morte
#’ndrangheta
il Post – Ci sono state 70 condanne nel processo “Rinascita Scott” sulla ‘ndrangheta calabrese