12 Lug 2023

I casi La Russa e Santanchè e lo “scontro” governo-magistratura – #764

Scritto da: Andrea Degl'Innocenti
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Negli ultimi giorni due notizie hanno tenuto banco più delle altre sui giornali nostrani, quella del figlio di la Russa accusato di Stupro e quello di Santanché accusata di alcuni comportamenti illeciti legati alle sue aziende. Il governo risponde accusando la magistratura di agire come opposizione: cerchiamo di capire come stanno le cose. Intanto ci sono delle importanti novità dalla vicenda della ex GkN di Campi Bisenzio, mentre il governo ha presentato ufficialmente le modifiche al Pnrr.

In questi giorni ci sono due casi che stanno tenendo banco su tutti i giornali, uno è il caso Santanché, che riguarda le sue aziende e un possibile conflitto d’interesse, l’altro è il caso La Russa, il cui figlio è accusato di stupro. 

Ora, sono quelle notizie un po’ al limite della notizia, dal mio punto di vista. O perlomeno: la notizia in sé c’è, soprattutto quella della ministra Santanché, ma poi la dimensione che queste notizie assumono sui giornali è sproporzionata all’importanza della notizia stessa. 

Per cui sono stato un po’ combattuto se parlarne anche qui oppure no, ma alla fine ho pensato che un po’ di cose interessanti da dire c’erano. Partiamo come al solito con i fatti, che vi provo a riassumere. La prima notizia, chiamiamolo il caso La Russa, è all’incirca questa:

Venerdì 7 luglio il Corriere della Sera ha pubblicato un articolo in cui rendeva nota un’inchiesta della procura di Milano su Leonardo Apache La Russa (sì, si chiama davvero così), figlio 19enne del presidente del Senato Ignazio La Russa. Leonardo Apache è accusato di aver stuprato una ragazza di 22 anni, mentre lei era priva di sensi (il ragazzo sostiene invece che fosse consenziente), dopo una serata in discoteca. 

Ora, è ancora presto per capire come sono andate realmente le cose, anche se i dati in mano all’accusa sembrano abbastanza consistenti. Comunque dopo l’articolo del Corriere c’è stata la risposta del Presidente del Senato, che in una nota diffusa da lui stesso ha dichiarato, leggo, di avere «la certezza che mio figlio Leonardo non abbia compiuto alcun atto penalmente rilevante». Nella stessa nota critica anche il momento in cui è stata presentata la denuncia: «Di sicuro lascia molti interrogativi una denuncia presentata dopo quaranta giorni dall’avvocato estensore che – cito testualmente il giornale che ne dà notizia – occupa questo tempo per rimettere insieme i fatti. […] Lascia oggettivamente molti dubbi il racconto di una ragazza che, per sua stessa ammissione, aveva consumato cocaina prima di incontrare mio figlio. Un episodio di cui Leonardo non era a conoscenza. Una sostanza che lo stesso Leonardo sono certo non ha mai consumato in vita sua».

Ora, qui ci sono almeno tre cose interessanti da notare. La prima è un’usanza che non mi è mai piaciuta dei giornali, di destra e sinistra, di usare le famiglie per colpire i personaggi politici. La Repubblica titola un approfondimento sul caso “La Milano del clan La Russa. Tra guai e vita spericolata”, senza che poi dall’articolo esca niente di sensazionale. In generale questa notizia, in sé, non sarebbe stata una notizia così importante, se la persona in causa non fosse stato il figlio di la Russa. Intendiamoci, non dico che il fatto, se verificato, non sia gravissimo. Quello è fuori discussione. Ma che non avremmo trovato settimane intere di prime pagine di giornali. È un po’ la stessa dinamica che abbiamo visto nel caso di Ciro Grillo, figlio di Beppe.

Poi ci sono state le parole di la Russa, molto criticate perché, come spesso accade, ripropongono uno schema usato per delegittimare le donne vittime di molestie e violenze sessuali, ossia quello che accusa la donna di aver denunciato “in ritardo”. Come spiega il Post, “Da tempo associazioni, movimenti femministi e gruppi che si occupano di violenza contro le donne spiegano che questa insinuazione serve a spostare l’attenzione e il discorso pubblico sulle presunte responsabilità della donna”. Inoltre La Russa, con la sua dichiarazione, diventa di fatto un testimone di un possibile reato e si complica ulteriormente la vita da solo.

E infine, sullo sfondo ma nemmeno tanto, c’è l’accusa alla magistratura, accusata di giocare un ruolo politico, a fare l’opposizione. ma su questo ci torniamo fra un po’. perché la stessa accusa viene mossa per quanto riguarda l’altro caso di cui vi vorrei parlare, ovvero quello che coinvolge la Ministra del turismo Daniela Santanchè.

Santanché è stata accusata da una puntata di Report di aver gestito le sue aziende in modo poco trasparente, tra le altre cose licenziando dipendenti senza poi riconoscere loro il trattamento di fine rapporto e in almeno un caso imponendo a una dipendente la cassa integrazione a zero ore a sua insaputa, facendola comunque lavorare: una circostanza che se fosse verificata sarebbe un reato.

La ministra si è difesa con una audizione al Senato, ma questa settimana una nuova puntata di Report ha messo in fila molte incongruenze del discorso. Ad esempio, Santanchè nel discorso ha negato di essere indagata, salvo poi ricredersi nel giro di poche ore e ammettere in una nota l’indagine a suo carico da parte della procura di Milano, che l’accusa di falso in bilancio per la gestione della società Visibilia Editore.

Su Visibilia Report ha segnalato una serie di altre incongruenze. Ad esempio sulla dipendente che aveva denunciato di essere stata messa in cassa integrazione a sua insaputa. Al Senato Santanchè si è detta «certa che quella dipendente non abbia mai messo piede in Visibilia» durante il periodo della sua cassa integrazione, cominciata nel periodo della pandemia, ma nel servizio di Report sono stati mostrati diversi documenti che testimonierebbero il contrario. 

Altre accuse riguardano la società di distribuzione di prodotti biologici Ki Group, con diverse ex dipendenti che hanno raccontato a Report di essere state licenziate nel 2021 e di dover ancora ricevere i trattamenti di fine rapporto per decine di migliaia di euro.

In Senato Santanchè ha detto che la sua partecipazione «in Ki Group srl» non ha «mai superato il 5 per cento», che tecnicamente è vero anche se la ministra ha omesso Ki Group controllata da Bioera (altra società di distribuzione di prodotti biologici), di cui Santanchè possedeva a sua volta il 14,9 per cento attraverso una società di investimenti.

Inoltre la ministra sarebbe stata molto presente in azienda, a riunioni ecc, cosa che smentisce la sua presunta scarsa partecipazione. Così come non tornano i conti relativi ai guadagni, con Santanché che ha detto di aver incassato complessivamente molti meno soldi di quelli che risultano a Report. 

Questo è il succo della notizia, poi anche qui i giornali si sono soffermati su un miliardo di dettagli un po’ superflui a mio avviso. Ad ogni modo, qui si parla di almeno un possibile reato penale da parte di un ministro, quindi è ovvio che la notizia c’è. Solo che un po’ come per il caso la Russa, anche questo caso è diventato un po’ una partita “magistratura contro governo”. 

Vi leggo, per farvi capire il tipo di argomentazione portata dagli esponenti del governo, un pezzetto di un articolo di Fabrizio Cicchitto, ex parlamentare di FI: “Lo scontro mega galattico fra il governo e la magistratura non è scoppiato per gli ultimi fuochi d’artificio (Donzelli, Delmastro, Santanchè La Russa), ma era già sul tavolo fin da quando e’ stato fatto il governo con Carlo Nordio al ministero di Grazia e Giustizia e con un programma che conteneva l’eliminazione dell’abuso in atti d’ufficio, di quello sul traffico d’influenza, la riscrittura dell’articolo sull’avviso di garanzia e, dulcis in fundo, la separazione delle carriere.

Poi l’articolo ricostruisce le varie vicende, per arrivare a concludere: “Il problema essenziale è costituito dal fatto che in Italia c’è una situazione insostenibile determinata dal fatto che dagli anni Novanta ad oggi c’è stata una conquista esponenziale quasi assoluta del potere politico mediatico giudiziario talora spesso anche economico conquistato da alcune procure connesse ad alcuni giornali e ad alcuni cronisti giudiziari che ha smontato con le riforme delineate dal ministro Nordio in una serie di articoli, libri, interventi. Solo in questo modo l’Italia può ridiventare uno stato di diritto. 

Il riferimento, credo, è al Fatto Quotidiano e in particolare al suo direttore Marco Travaglio. Insomma, la tesi del governo è che la magistratura stia attaccando alcuni esponenti del governo stesso in maniera faziosa, per attaccare in realtà le politiche del governo stesso, con la complicità di alcuni giornali.

Ora, io non so se c’è un pezzetto di verità in questo. Probabilmente sì, nel senso che la magistratura non è esente da giochi politici, anzi esistono persino le correnti nella magistratura, e scegliere quando e come far uscire un’inchiesta sicuramente ha un peso politico. 

Al tempo stesso questa argomentazione non può essere portata come risposta quando si tratta di discutere di un reato. Perché un reato o c’è o non c’è. E se c’è, al di là del motivo per cui è emerso, chi lo ha compiuto deve assumersene le responsabilità. E parlo soprattutto, in questo caso, del caso Santanché. Questa perlomeno è l’opinione che mi sono fatto dopo aver osservato e provato a raccontarvi i fatti. Voi cosa ne pensate?

C’è una svolta molto interessante nel caso della Ex Gkn, lo stabilimento di Campi Bisenzio chiuso appunto dall’azienda Gkn in piena pandemia, con i lavoratori licenziati con una mail. Come spesso accade quell’occasione infausta è stata lo spunto per l’attivazione di un percorso molto interessante, in cui gli ex lavoratori hanno di fatto presentato un bel progetto non solo per continuare a tenere aperto e acquisire lo stabilimento, ma anche per farne una conversione ecologica con tutti i crismi, sia nei processi produttivi che nei prodotti prodotti. 

Vi racconto le novità emerse negli ultimi giorni leggendovi qualche estratto di un articolo di Lorenzo Guadagnucci su AltrEconomia: “Dal notaio sono andati in quattordici, ma dietro di loro, al momento di mettere la propria firma in calce all’atto di costituzione della “proto cooperativa”, c’erano idealmente altre migliaia di persone, quelle che negli ultimi due anni hanno seguito e sostenuto la lunga lotta degli operai della Gkn, la fabbrica di semiassi chiusa con un colpo di Pec il 9 luglio 2021.

Lunedì 10 luglio è nato infatti l’embrione di Gff, la cooperativa che si propone di fare ciò che i fondi di investimento, gli imprenditori, gli enti pubblici hanno solo detto e forse finto di volere davvero: la re-industrializzazione dello stabilimento di Campi Bisenzio. È un momento importante, sul piano economico, sociale ma anche politico e perfino emotivo. Quei quattordici -nove soci lavoratori, cinque soci sostenitori- hanno firmato l’atto costitutivo pieni di orgoglio e di emozioni, perché varcare la porta del notaio e dare il via a un nuovo progetto di lavoro è sia un punto di arrivo che un nuovo inizio.

Punto d’arrivo perché il Collettivo di fabbrica Gkn ha detto fin dall’inizio che non c’era da fidarsi di certi progetti di ripresa delle produzioni sbandierati ma sempre rimasti privi di sostanza, e perciò la prospettiva di “far da sé” è sempre stata presente, anche quando non la si dichiarava, coscienti di poterla mettere in campo solo a determinate condizioni: la coesione del gruppo operaio, il forte sostegno della società civile, la capacità di riunire attorno a sé non solo passioni ma anche qualificate competenze. E questo è avvenuto.

Gff ha messo a punto un piano industriale che poggia su due pilastri: la produzione di cargo-bike (c’è già un prototipo in servizio per le vie di Firenze) e soprattutto di pannelli solari di nuova generazione, in partnership con una startup che detiene un innovativo brevetto. Il piano è nato grazie al lavoro di un comitato tecnico-scientifico composto da ingegneri, economisti, tecnici solidali”. 

Ma che succede adesso? L’articolo lo spiega più avanti.

“La nascente Gff ha una montagna da scalare e la partenza è subito in salita e piena di incognite, come nessuno si nasconde. Ci sono ancora molti nodi da sciogliere, a cominciare dalla sede operativa: sull’area della fabbrica avrebbe messo gli occhi il consorzio genovese Abaco, che una volta acquisito lo stabilimento favorirebbe l’insediamento nel “parco industriale” di varie attività produttive, incluse quella della Gff, che affitterebbe gli spazi necessari. 

C’è poi il nodo dei finanziamenti, piuttosto ingenti, visto che si tratta di acquistare macchinari nuovi di zecca: le premesse sono buone, poiché ci sono partner pronti a intervenire e la Regione Toscana è disponibile a sostenere il progetto con ammortizzatori sociali ad hoc, ma tutte le tessere del puzzle dovranno andare al loro posto al momento giusto, in un gioco di incastri e di alleanze che avrà bisogno di grande cura. E poi c’è da pensare a tutto il resto: la costituzione della cooperativa vera e propria e il suo organigramma, con l’acquisizione di alcune competenze tecniche dall’esterno; l’avvio e il collaudo delle produzioni; la sfida del mercato.

Interessante che anche Mag Firenze e Banca Etica siano coinvolte in questo progetto. Interessante anche che il crowdfunding lanciato a sostegno delle famiglie di lavoraotir e lavoratrici abbia raccolto 174mila euro.

Insomma, la strada è ancora lunga e tortuosa. GFF avrà le spalle abbastanza solide per affrontare le sfide che ha davanti e far combaciare i pezzi del puzzle? Le premese sono buone, ma solo il tempo ci darà una risposta.

Ci sono delle novità anche sul Pnrr. Se vi ricordate giorni fa parlavamo dei ritardi del piano. Ieri è stata convocata una riunione d’urgenza a Palazzo Chigi, sede del governo, porre rimedio almeno parzialmente a questi ritardi. nella riunione sono state approvate 10 modifiche sui 27 obiettivi che avrebbero dovuto essere raggiunti entro il 30 giugno per poter ricevere la quarta rata del Pnrr. 

Rata di cui – spiega il FQ – il governo Meloni non ha ancora chiesto il pagamento perché l’Italia non ha rispettato diverse milestone e target, da quella sull’aggiudicazione di tutte le gare per gli asili nido alle stazioni di ricarica a idrogeno. “È così che la premier e il ministro per il Pnrr Raffaele Fitto cercano di uscire dall’angolo, annunciando dopo la cabina di regia che i cambiamenti sono stati “condivisi” con la Commissione europea e che “nei prossimi giorni” si potrà dunque richiedere la nuova rata da 16 miliardi senza alcun definanziamento. Nel frattempo ancora si attende il versamento della terza che ne vale 19 ed è bloccata da febbraio perché Bruxelles ha contestato diversi progetti”.

Fitto in conferenza stampa ha negato che i ritardi siano attribuibili al governo Meloni, ribadendo che le decisioni sul piano sono state prese dai predecessori, e ha sostenuto che il 30 giugno è un termine “indicativo” e non “obbligatorio”. 

Ma come ha ammesso con un certo nervosismo il ministro, “Non ci sono garanzie che i 16 miliardi arrivino entro la fine dell’anno”.

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