16 Set 2024

A chi fa paura il calcio sociale? Incendiata l’auto di Massimo Vallati – #982

Scritto da: Andrea Degl'Innocenti
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Parliamo di attentati e atti intimidatori. Molto diversi fra loro. Uno è un fatto che forse vi sarà passato inosservato ma che riguarda una persona che abbiamo intervistati varie volte su ICC, Massimo Vallati, inventore del Calcio sociale, la cui auto è stata bruciata nella notte. L’altro riguarda un personaggio diametralmente opposto da tanti punti di vista, il candidato alla presidenza Usa Donald Trump, a cui hanno tentato di sparare per la seconda volta in pochi mesi. Parliamo anche della legge cosiddetta anti Gandhi approvata alla Camera, degli ambientalisti uccisi nel 2023 e dell’annullamento del processo per i reati legati all’ex Ilva di Taranto. 

È successa una cosa brutta, grave, nella notte fra venerdì e sabato a Roma. È stata incendiata un’auto. Eh vabbé, direte voi. E sticazzi, direte voi se siete di Roma. Perché di auto a Roma ne vanno a fuoco tante, senza fare particolare scalpore mediatico. Eppure l’auto andata a fuoco due notti fa era un’auto particolare. 

O meglio, l’auto in sé era abbastanza normale, una Toyota Yaris. A renderla speciale era il fatto che era l’auto di Massimo Vallati, una persona che abbiamo la fortuna di conoscere bene, è un Ashoka fellow e un amico, che con il suo lavoro si impegna quotidianamente per rendere il Corviale un luogo più umano, vivibile, inclusivo e solidale.

Corviale, per chi non lo conoscesse, è questo complesso abitativo romano nato da un esperimento architettonico fallito. Un po’ come le vele di Scampia. Il complesso è costituito da tre palazzi, di cui il più lungo è di quasi un chilometro, chiamato anche serpentone. Doveva essere un esempio di architettura sociale e invece è diventato simbolo del degrado e dell’abbandono della periferia romana, al cui interno vivono circa 6mila persone.

Ecco, in questo luogo Massimo ha avviato Calciosociale, società sportiva dilettantistica senza scopo di lucro che ha riscritto le regole del calcio: Le squadre sono miste, ad arbitrare sono i capitani, un giocatore non può segnare più di tre gol a partita e così via. E che attraverso lo sport fa inclusione e promozione della legalità. Calciosociale fornisce accoglienza e riscatto sociale ai ragazzi del quartiere, che crescono spesso in un ambiente famigliare difficile. Un luogo sicuro dove possono praticare sport, stare tranquilli e crescere con valori sani.

“Questa notte hanno dato fuoco alla mia macchina davanti al Campo dei Miracoli.

Ringrazio gli autori per l’attestato di stima e importanza nei miei confronti, una certificazione sulla bontà delle nostre politiche e azioni di inclusione e cultura della legalità attuate dai nostri formatori ai ragazzi del territorio.

La cultura della giustizia fa veramente paura.

Sappiamo chi è stato, sappiamo la sofferenza e il dolore che attanaglia i loro cuori, cresciuti in casa e fuori in ambienti tossici e degradati, vi perdoniamo ma pentitevi perché sappiamo che sapete fare azioni molto più dignitose e belle di queste.

Quanto allo stato cittadini non abbiate paura di denunciare e ribellarvi la partita la vinciamo Noi.

Quanto alle istituzioni è ora di svegliarsi il tempo è scaduto dovete solo fare quello che ci siamo detti in questi anni, farlo e farlo subito!!!

E a Noi amici che andiamo avanti sulle strade della libertà e della giustizia, vi aspettiamo lunedì 16 alle 10.15 al Campo dei Miracoli per una conferenza stampa per festeggiare l’inizio dei lavori per completare la curva ” Inglese ” del Campo dei Miracoli e il nuovo blocco spogliatoi che sarà dotato anche di vasche per il percorso caldo freddo come a Coverciano, per accogliere ancora  più ragazzi e continuare a farli sognare.

Continuiamo a costruire bellezza, quella vince su tutto.

Vi aspetto

Vince Solo Chi Custodisce”

Fra l’altro, quello di sabato notte non è il primo atto intimidatorio che si è consumato al Campo dei Miracoli. Nel novembre 2015 era stata incendiata una parte del centro sportivo (la «Casetta della Spiritualità»). Per custodire e proteggere la struttura gestita dal Calciosociale era nata allora Radio Impegno, un’emittente radiofonica notturna che si occupava di protagonismo civico, legalità, ma anche di temi più vicini ai ragazzi come il bullismo. 

Comunque, ci sono tanti elementi importanti in questa notizia. Innanzitutto: perché? È un aspetto che al momento non è noto, ma si sa che spesso, fare progetti di inclusione e integrazione in contesti molto difficili e caratterizzati da criminalità ha questo rischio.

Perché progetti come quello di Massimo hanno la capacità di cambiare l’immaginario delle persone che vivono questi luoghi, e quindi gli equilibri, e questo magari non a tutti piace. Un altro aspetto, che è naturale ma fa anche un po’ rabbia, è notare come tutti i giornali si siano affrettati a parlare di questo fatto, in occasione di questo attacco, mentre molti meno avevano raccontato in passato dei successi del calcio sociale. Comunque ne riparliamo. 

C’è stato anche un alto attentato di cui invece tutti i giornali di oggi parlano. Ovvero un secondo tentativo di attentato a Donald Trump. 

Ieri sera qualcuno ha sparato nel golf club di Donald Trump a West Palm Beach, in Florida, mentre lui giocava a golf: Steven Cheung, il portavoce della sua campagna elettorale, ha detto che Trump sta bene e non è stato colpito, senza dare altri dettagli.

La polizia ha detto che la persona sospettata di aver sparato, un uomo che poco dopo è fuggito su un SUV, è stata arrestata. Si tratta, leggo su Repubblica, di Ryan Routh, 58 originario delle Hawaii che sognava di combattere in Ucraina. L’uomo è stato identificato sulla base di un testimone oculare che lo avrebbe visto salire in macchina dopo aver sparato da alcuni cespugli vicino al golf club: nel punto in cui si trovava sono stati trovati un fucile semiautomatico AK-47 con un mirino, due zaini e una videocamera GoPro. 

Se, come sembra, si tratta di un tentativo di attentato a Trump, sarebbe il secondo tentativo, dopo che lo scorso luglio durante un comizio Trump era stato colpito a un orecchio da un colpo di fucile sparato da un uomo, poi identificato come Thomas Matthew Crooks e ucciso dagli agenti del Secret Service.

Poco dopo l’episodio di ieri Trump ha diffuso un comunicato in cui ha raccontato degli spari, ha confermato di stare bene e ha detto: «Niente mi fermerà: io NON MI ARRENDERÒ MAI». Anche Kamala Harris, candidata alla presidenza per il partito Democratico, ha commentato l’accaduto: in un post piuttosto stringato su X ha detto di essere contenta che Trump sia al sicuro e che «Non c’è spazio per la violenza in America».

Detto ciò, quando dilaga l’odio in paese dal porto d’armi facili, il rischio di attentati sale vertiginosamente.

Torniamo in Italia dove la camera dei deputati giovedì ha approvato il contestato articolo 14 del ddl sicurezza, che prevede carcere da sei mesi a due anni, senza l’alternativa della pena pecuniaria, per chi “impedisce la libera circolazione su strada ordinaria o ferrata ostruendo la stessa con il proprio corpo, se il fatto è commesso da più persone riunite”. 

Si tratta della norma battezzata dalle opposizioni e dagli attivisti “anti-Gandhi”: una volta che il provvedimento sarà approvato da entrambi i rami del Parlamento, diventeranno reato i blocchi stradali messi in atto dagli attivisti di Ultima generazione per sensibilizzare sulla crisi climatica, finora semplici illeciti amministrativi puniti con una sanzione da mille a quattromila euro. 

Se invece il blocco è messo in atto da una persona sola, la pena sarà della reclusione fino a un mese o della multa fino a trecento euro. Ovviamente la norma sta scatenando polemiche e contestazioni, perché sembra cucita su misura sugli attivisti di UG, per impedirgli di protestare e accusare il governo di inazione climatica.

Io sapevo che quando il dito indica la luna lo stolto guarda il dito. Ma come si chiama quello che il dito e il suo proprietario lo mette in carcere?

In generale, la vita dell’attivista ambientale continua ad essere un mestiere pericoloso. Il nuovo report “Missing Voices” dell’ONG britannica Global Witness, che monitora annualmente gli omicidi legati all’attivismo ecologista dal 2012, mostra che nel 2023, 196 ambientalisti sono stati uccisi a causa del loro impegno nella difesa dell’ambiente. E il numero reale potrebbe essere più alto a causa della difficoltà di ottenere informazioni in alcune aree del mondo. Gli attacchi mortali contro gli attivisti ambientali sono spesso accompagnati da violenze, intimidazioni e criminalizzazione da parte di governi, aziende e altri attori. Questi crimini avvengono in tutto il mondo, rendendo pericolosa la lotta contro deforestazioni, inquinamento e sfruttamento delle terre ovunque.

Dal 2012, il numero totale degli attivisti uccisi è salito a 2.106, con una media di oltre 260 all’anno. L’America Latina si conferma la regione più pericolosa, dove si concentra l’85% degli omicidi. La Colombia è il Paese con il maggior numero di vittime nel 2023, con 79 attivisti uccisi, seguita da Brasile, Honduras e Messico. Il governo colombiano ha attribuito questa situazione ai conflitti socio-ecologici legati al narcotraffico, alle pratiche estrattive illegali e alla riconfigurazione del conflitto armato.

Nei Paesi del cosiddetto “nord del mondo”, un rapporto dell’ONG Climate Rights International ha evidenziato misure sempre più repressive contro le proteste per il clima in Australia, Stati Uniti e molti Paesi europei. Negli ultimi mesi, si sono registrati arresti e detenzioni preventive, condanne severe per proteste non violente e approvazione di leggi che limitano le manifestazioni pacifiche. Anche l’Italia ha inasprito le sanzioni contro gli “eco-vandali” con una legge che prevede il carcere per chi blocca strade o imbratta monumenti con vernice lavabile.

Chiudiamo con una notizia che arriva da Taranto e che riguarda l’ex Ilva. Il processo “Ambiente svenduto”, che riguardava le emissioni velenose dell’ex Ilva di Taranto, è stato annullato in secondo grado, con l’intero iter giudiziario trasferito alla Procura di Potenza. Questo ribaltamento ha cancellato le condanne emesse in primo grado, nel maggio 2021, contro 26 imputati, tra cui manager, dirigenti aziendali e funzionari locali. Gli imputati erano stati accusati di reati gravissimi, come concorso in associazione per delinquere finalizzata al disastro ambientale, avvelenamento di sostanze alimentari e omissione di misure di sicurezza sui luoghi di lavoro. Il primo grado di giudizio aveva portato alla condanna a un totale di circa 270 anni di carcere e alla confisca degli impianti dell’area a caldo, sequestrati nel 2012, oltre a coinvolgere le società Riva Fire, Ilva Spa e Riva Forni Elettrici.

La decisione di annullare il processo si basa sulla tesi avanzata dai legali della difesa degli ex proprietari e dirigenti dell’Ilva, Fabio e Nicola Riva, secondo cui i giudici di Taranto erano da considerare parte lesa del disastro ambientale. Essendo residenti in aree colpite dall’inquinamento, la difesa ha sostenuto che non potevano giudicare con imparzialità. Questa tesi, respinta in primo grado, è stata invece accolta dalla Corte d’Assise d’Appello, presieduta dal giudice Antonio Del Coco. Di conseguenza, gli atti sono stati trasferiti alla Procura di Potenza, e sarà questa sede giudiziaria a dover riprendere il processo da zero.

La decisione ha suscitato reazioni contrastanti. Da un lato, la difesa degli imputati, rappresentata dall’avvocato Pasquale Annichiarico, ha accolto con soddisfazione il verdetto, sostenendo che il processo avrebbe dovuto essere spostato a Potenza già dieci anni fa, evitando di perdere tempo. Dall’altro, associazioni come Peacelink e il comitato dei “Cittadini e lavoratori liberi e pensanti” hanno espresso grande preoccupazione, sottolineando che lo spostamento del processo potrebbe portare a un allungamento dei tempi della giustizia, con il rischio concreto di prescrizione per reati gravi come la concussione e l’omicidio colposo. Secondo queste voci critiche, la decisione della Corte d’Appello “ha ammazzato Taranto un’altra volta”, negando giustizia alle vittime del disastro ambientale.

La complessità del caso ex Ilva si inserisce in un contesto ancora più ampio. Oltre al processo penale, sono in corso altre vicende giudiziarie, tra cui la scadenza del termine per la presentazione di manifestazioni di interesse per la vendita degli impianti, prevista per il 20 settembre, e la sentenza del Tribunale di Milano, attesa per il 24 ottobre, su un’azione inibitoria presentata da cittadini tarantini che chiedono la sospensione delle attività dell’ex Ilva per gravi rischi ambientali e per la salute umana.

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