CACCIA SELVAGGIA NELLA LEGGE DI BILANCIO
Ieri abbiamo iniziato a parlare della legge di bilancio, e allora proseguiamo sulla scia perché c’è una novità dell’ultimo minuto, una nuova proposta di integrazione che non è proprio bellissima e che riguarda la liberalizzazione della caccia in città e nelle aree protette, notizia che peraltro mi avete segnalato ieri nei commenti del video su YT, dandomi modo di approfondire. Ve la racconto nelle parole di Carlotta De Leo, della redazione romana del Corriere della Sera.
“Sempre più presenti nelle aree verdi a ridosso delle città – e assidui frequentatori di strade e viali trafficati alla ricerca di cibo – i cinghiali (e non solo) sono al centro della polemica politica. Un emendamento alla Legge di bilancio firmato da Fratelli d’Italia, infatti, è sotto accusa da parte di Verdi e Sinistra Italiana per l’apertura ad abbattimenti di fauna selvatica «per motivi di sicurezza stradale» anche in «città e nelle aree protette». Immediata la mobilitazione delle associazioni animaliste che gridano alla «caccia selvaggia» e temono il «rischio Far West».
Vediamo meglio cosa prevede l’emendamento, poi passiamo alle reazioni. L’emendamento – secondo quanto riportato dall’agenzia Ansa – prevede la possibilità di «abbattimenti di fauna selvatica» anche per «motivi di sicurezza stradale» nelle zone vietate alla caccia, comprese le aree protette e le aree urbane. Gli animali «se superano le analisi igienico sanitarie, possono anche essere destinati al consumo alimentare». L’emendamento, a prima firma del capogruppo di Fdi alla Camera, Tommaso Foti, inizialmente giudicato inammissibile è stato poi riammesso tra i «segnalati». La proposta include anche l’adozione di un Piano straordinario quinquennale per la gestione e il contenimento della fauna selvatica attuabile «mediante abbattimento e cattura».
Come spiega la giornalista, la proposta sta sollevando un polverone in parlamento, mentre sui giornali se ne parla poco se non pochissimo. Angelo Bonelli, Eleonora Evi e Luana Zanella, deputati di Alleanza Verdi e Sinistra annunciano battaglia: «Se dovesse essere approvato, sarebbe ‘caccia selvaggia’ e verrebbe autorizzata una strage di animali selvatici nelle aree protette dove oggi, per legge, è vietato cacciare». Inoltre chiedono l’intervento del presidente della Camera contro un «emendamento illegittimo» sostenendo«Cosa c’entra la caccia selvaggia, per lo più da svolgere nei parchi, con la legge di Bilancio?».
Anche varie organizzazioni ambientaliste in queste ore stanno rilasciando comunicati. Ad esempio Enpa, Lac, Lav, Legambiente, Lipu e Wwf hanno rilasciato un comunicato congiunto in cui affermano: «Spari nei parchi e nelle aree protette, spari in città, spari a tutti gli animali selvatici a qualunque ora del giorno e della notte, e in qualsiasi periodo dell’anno». Ai loro occhi l’emendamento sarebbe un modo per dare seguito «alle promesse di deregulation venatoria fatte in campagna elettorale, trasformando l’Italia in una vera polveriera».
Mi pare che ci siano di fondo due questioni, forse tre. C’è una questione etica più generale che riguarda la caccia, in ogni sua forma. E anche una riflessione interessante da fare sul fatto che la fauna selvatica si stia riappropriando delle nostre città. Ma lasciamola da parte, per adesso, per vedere quelle più specifiche di questo emendamento.
C’è una questione di metodo, che è: cosa c’entra questo emendamento con la legge di bilancio? Non saremo un po’ fuori squadra? Perché la legge di bilancio serve a dichiarare come si investiranno e spenderanno i soldi, non come si uccideranno gli animali.
E poi c’è una questione di merito, che veramente mi lascia perplesso. Ma come si può pensare che sia una cosa intelligente far sparare con dei fucili da caccia in città per ammazzare i cinghiali? Capita con una certa frequenza che i cacciatori si feriscano da soli o in piccoli gruppi in mezzo ai boschi, immaginiamoci in città!
Infatti, commenta giustamente Massimo Comparotto, presidente dell’Organizzazione internazionale protezione degli animali (Oipa): «Siamo al Far West. Un emendamento del genere apre alla mattanza indiscriminata della fauna, mettendo inoltre a rischio la pubblica sicurezza e incolumità. Ogni anno, a fine stagione venatoria, si contano morti e feriti anche tra gli umani, cacciatori e non. Battute di caccia in aree protette, in città e in qualsiasi giorno dell’anno, moltiplicherebbe il fenomeno».
Per concludere, vi condivido una riflessione, o per meglio dire un sospetto. A me sembra così assurda questa trovata, e così improbabile che passi – a meno che non si siano bevuti il cervello – che mi viene da pensare che sia una di quelle proposte che a volte i politici fanno perché se ne parli, per dimostrare al proprio elettorato che loro ci hanno provato, e insomma per mantenere formalmente delle promesse fatte, sapendo fin dal principio che non andrà da nessuna parte. Sperso che sia questo il caso, e in tal caso mi scuso per aver preso parte a questo teatrino, parlandone, ma nel dubbio… non si sa mai.
COP 15 RISCHIA DI DERAGLIARE?
Forse ricorderete che in questi giorni si sta svolgendo Cop 15, la conferenza delle parti delle nazioni unite sulla biodiversità. L’incontro si tiene a Montreal, anche se è la Cina formalmente il paese ospitante, ma poi ha passato la palla al Canada per via delle politiche restrittive sul Covid, è iniziato il 7 dicembre e terminerà il 19. Questo Summit vorrebbe raggiungere un accordo equivalente all’accordo di Parigi sul clima, ma riguardo la tutela della natura e della biodiversità. Solo che le cose non stanno andando proprio benissimo.
Raccontano Patrick Greenfield e Phebe Weston sul Guardian che c’è stata una grande protesta dei paesi più poveri che mercoledì hanno abbandonato i tavoli delle trattative in segno di protesta. Il motivo di questa manifestazione inusuale sono come spesso accade i soldi, e l’annosa domanda: chi deve pagare per proteggere la biodiversità?
Si tratta di una questione simile a quella discussa alla Cop 27 egiziana sul tema del fondo per le perdite e danni causate dai cambiamenti climatici. Sul tavolo delle trattative, in questo caso, c’è l’istituzione di un nuovo fondo legato proprio al finanziamento della tutela della biodiversità. Il concetto di fondo è che la biodiversità è distribuita in maniera disomogenea sul pianeta e ci sono alcuni paesi che ne hanno moltissima, ad esempio il Brasile, l’Indonesia e altre nazioni che hanno foreste pluviali, o vergini.
La cosa paradossale è che il fatto di avere tanta biodiversità, in questo mondo un po’ al contrario, viene considerato un limite. O meglio è un limite averla e non poterla “sfruttare”, leggi anche distruggere. Spesso le foreste primarie sono anche importanti serbatoi di metalli preziosi, legname, gas, petrolio e tante altre materie prime. Quindi la richiesta di alcuni paesi è all’incirca questa: visto che noi avremmo un sacco di ricchezza a cui rinunciamo, per tutelare la biodiversità, voi paesi ricchi che siete i principali inquinatori e responsabili della distruzione ambientale nel mondo, dovete pagarci. E fin qui il ragionamento ci sta anche. il problema come spesso avviene è “chi deve pagare chi e come?”.
Al momento c’è già un programma di finanziamento ONU, chiamato Fondo mondiale per l’ambiente, i cui fondi sono destinati a regioni chiave per proteggere gli ecosistemi vitali e fermare i danni in corso. Cina, Brasile, India, Messico e Indonesia sono i primi cinque beneficiari storici di questo fondo e saranno tra i primi cinque per il prossimo ciclo di finanziamenti da 5,3 miliardi di dollari dal 2022 al 2026. Molte nazioni ricche di biodiversità dell’Africa, dell’Asia e dell’America Latina sostengono però che dovrebbero ricevere più soldi per pagare la conservazione.
Come accaduto anche per Cop27, è il ruolo della Cina a far discutere, e stavolta anche quello del Brasile. I due paesi sono due principali beneficiari degli aiuti e spingono per esserlo anche in caso di creazione di un nuovo fondo, mentre i paesi europei e nordamericani spingono per escludere questi due paesi, e anzi frli rientrare fra i donatori in quanto si tratta di economie molto grandi.
Insomma, la questione è tutt’altro che semplice e c’è il forte rischio che tutto l’incontro si riveli un buco nell’acqua. Oscar Soria, direttore della campagna dell’organizzazione attivista Avaaz prova a vedere il bicchiere mezzo pieno e dichiara: “Dopo settimane in cui ci si è comportati come se le discussioni potessero andare avanti senza affrontare adeguatamente la questione delle risorse finanziarie, ora le parti hanno finalmente smesso di fingere. La partita è finalmente aperta”. Vediamo che succede.
CROLLO INSETTI E CERRADO BRASILIANO
Sapete che quando ci sono queste grandi conferenze è anche il momento in cui vengono pubblicati molti studi, perché le riviste sanno che è un momento in cui i riflettori puntati su quel tema. E allora, a proposito di biodiversità, sempre sul Guardian questa volta Patrick Barkham racconta di un recente studio curioso e preoccupante al tempo stesso, che mostra per l’ennesima volta uno dei sintomi di quel fenomeno che gli scienziati hanno chiamato l’apocalisse degli insetti. “Secondo un’indagine – scrive il giornalista – il numero di insetti spiaccicati sulle targhe dei veicoli in Gran Bretagna è diminuito del 64% tra il 2004 e il 2022.
È il risultato di un’indagine di citizen science, ovvero di raccolta dati attraverso la collaborazione dei cittadini: ogni estate i cittadini registrano su un’app il numero di insetti spiaccicati sulle loro targhe dopo un viaggio. L’ultimo rapporto Bugs Matter, prodotto da Kent Wildlife Trust e Buglife, ha rilevato un ulteriore calo nel 2022 rispetto al 2021, con una diminuzione a lungo termine di cinque punti percentuali.
L’indagine supporta altri studi scientifici che dimostrano un calo importante e continuo degli insetti volanti nell’Europa occidentale in questo secolo, che potenzialmente mette a rischio le catene alimentari, l’impollinazione delle piante e delle colture e, in ultima analisi, la vita sulla Terra.
Andrew Whitehouse di Buglife ha dichiarato: “Per il secondo anno consecutivo, Bugs Matter ha mostrato cali potenzialmente catastrofici nell’abbondanza di insetti volanti. È necessaria un’azione urgente per affrontare la perdita della diversità e dell’abbondanza della vita degli insetti. Ci rivolgeremo ai nostri leader alla Cop15 per un’azione decisiva per ripristinare la natura su scala – sia per la fauna selvatica che per la salute e il benessere delle generazioni future”.
Su Rinnovabili.it invece si parla della devastazione della selva del Cerrado brasiliano. “In appena un anno, la savana tropicale più ricca di biodiversità al mondo si è ristretta di più di 10.000 km2. Un’area grande all’incirca come Cipro o il Qatar. La devastazione del Cerrado brasiliano tra agosto 2021 e luglio 2022 ha toccato il record da 7 anni a questa parte, con una crescita anno su anno della distruzione della vegetazione nativa di più del 25%.
I dati sono quelli dell’Inpe, l’Agenzia nazionale brasiliana per la ricerca spaziale che monitora via satellite la deforestazione dell’Amazzonia e il degrado degli altri biomi. Oltre a segnare il record di devastazione dal 2015, il 2022 del Cerrado brasiliano è anche il terzo anno di fila in cui i dati sul degrado del bioma sono in aumento. Una tendenza che non si era mai verificata negli ultimi 22 anni, vale a dire da quando esistono le serie storiche. Nei quattro anni di governo Bolsonaro, la superficie complessiva distrutta nella savana tropicale brasiliana è di 33.444 km2, un’area grande come Piemonte, Valle d’Aosta e Liguria messe insieme. Vediamo se in questo il neoeletto Lula riuscirà a ripristinare una situazione di buon senso.
ANCORA SUL QATARGATE
Noi abbiamo scelto di aprire con due notizie poco considerate minori, ma sui giornali continua a tenere banco la questione Qatargate. In particolare la novità di ieri è che il ruolo del Marocco, che sembrava essere più marginale rispetto al Qatar, è stato invece centrale. La parte più interessante della notizia però riguarda le richieste dei servizi segreti marocchini, il motivo della corruzione, perché ha a che fare con una delle situazioni più critiche a livello di diritti sociali, e anche più ignorate del pianeta.
Ecco come Antonio Massari e Giuseppe pipitone raccontano la faccenda sul fatto Quotidiano:
“Non è solo una storia di mazzette pagate per parlare bene dei mondiali in Qatar. L’inchiesta che sta terremotando Bruxelles è qualcosa di molto più grosso. Una spy story che sembra uscita dalla penna di John le Carré. Ma che invece nasce da un’operazione del “Vsse”, il servizio segreto del Belgio: esiste dal 1830 ed è la più antica agenzia d’intelligence dopo quella del Vaticano. Sono stati gli 007 di Bruxelles, in collaborazione con quelli di altri 5 Paesi europei, a scoprire l’esistenza di una rete che puntava a interferire nei processi decisionali della più alta istituzione comunitaria, corrompendo politici in posti chiave. E che faceva capo a una cellula di agenti segreti del Marocco. I giornali l’hanno ribattezzata “Qatargate”, ma l’emirato del Golfo persico non è l’unico Paese finito al centro delle operazioni. Anzi: nella storia delle “euromazzette” il ruolo di Doha potrebbe essere persino secondario”.
Ma se per il Qatar le richieste sono abbastanza note e riguardano il fatto di parlar bene del paese e glissare sul mancato rispetto dei diritti in concomitanza con i Mondiali di Calcio, cosa chiedeva il Marocco? Ecco, pare che la monarchia marocchina non volesse grane su come sta gestendo la questione migranti e soprattutto su come gestisce e intende gestire la situazione nel Sahara occidentale.
È una questione di cui mi sono personalmente occupato tempo fa in un articolo per il manifesto, è una delle occupazioni più atroci che conosca, simile per alcuni versi alla situazione dei palestinesi nei territori occupati.
Il Sahara Occidentale è una ex colonia spagnola, per la quale la Spagna non ha mai avviato un processo di decolonizzazione. Nel 1975, l’allora re Juan Carlos preferì invitare i paesi vicini, Marocco, Mauritania e Algeria, a spartirsi il territorio, con il tacito accordo che favorissero le imprese spagnole. Solo l’Algeria rifiutò, mentre Marocco e Mauritania accettarono di buon grado».
Iniziò così un’occupazione militare che ben presto sfociò in una sanguinosa guerra fra gli occupanti e le popolazioni locali, riunite sotto la sigla di Fronte Polisario (acronimo che sta per Fronte di Liberazione Popolare di Saguia el Hamra e del Río de Oro). La guerra terminerà solo nel 1991 con la sottoscrizione del Piano di pace, voluto da Nazioni unite e Unione africana, fra Fronte Polisario e Marocco (la Mauritania si era ritirata dal conflitto, sconfitta, già nel 1979). Tale accordo prevedeva, fra le altre cose, un referendum sull’autodeterminazione del popolo saharawi. Che però non è mai arrivato.
Quei territori sono ancora occupati, anzi adesso il marozzo ha persino costruito un muro difensivo lungo 2700 km (il secondo più lungo al mondo, dopo la Muraglia cinese), circondato da una zona militare con bunker, fossati, reticolati di filo spinato e campi minati. «Lo chiamano il Muro della vergogna, ancora oggi è presidiato da 150 mila soldati e circondato da 5-10 milioni di mine, che ogni tanto uccidono qualcuno».
Ecco, giusto per sapere meglio a cosa servivano i soldi con cui sono stati corrotti gli eurodeputati del Qatargate.
MORTE DEL GIORNALISTA GRANT WAHL: È STATO UN ANEURISMA
Torniamo brevemente sulla questione delle strane morti dei giornalisti in Qatar. Pare che la morte considerata più sospetta, quella di Grant Wahl, il cui fratello aveva sostenuto poche ore dopo trattarsi di omicidio, sia in realtà dovuta a cause naturali.
A confermarlo è stata la moglie del giornalista, che è una dottoressa, al termine di un’autopsia effettuata dal medico legale della città di New York. “Si è trattato di un aneurisma dell’aorta ascendente non rilevato”. Non ci sono novità sugli altri casi, ma a questo punto mi pare che prenda corpo la tesi di una serie di sfortunate coincidenze.
ANNO NERO PER I GIORNALISTI
Al netto di ciò, non è che i giornalisti se la passino così bene eh. Maurizio Bongioanni su Lifegate racconta che è uscito il nuovo round-up di Reporter senza frontiere (Rsf) e le notizie che riguardano il mondo dell’informazione non sono un granché: c’è stato un aumento del numero di giornalisti uccisi (57), in particolare a causa della guerra in Ucraina, ma soprattutto il 2022 è stato l’anno record di giornalisti incarcerati per aver svolto il proprio lavoro: raccontare i fatti.
Sono 533, infatti, i giornalisti finiti dietro le sbarre per aver svolto il proprio lavoro, circa 40 in più rispetto allo scorso anno, quando si era già segnato un livello storico. È la Cina a detenere il maggior numero di operatori dell’informazione in carcere: dei 533, infatti, 110 si trovano nello stato cinese. A seguire Birmania (62), Iran (47), Vietnam (39) e Bielorussia (31).
RACCONTARE LA DISABILITA’
Voglio chiudere sempre parlando di giornalismo, ma con una vena più positiva. Voi saprete forse che nel giornalismo esistono le carte, che sono degli accordi deontologici su come trattare un certo argomento o determinati soggetti.
Esiste La Carta di Treviso, (sui diritti dei bambini); la Carta di Perugia (sulla modalità di trattare argomenti di comunicazione sulla salute), la Carta di Roma (sui richiedenti asilo, rifugiati, vittime della tratta e migranti), la Carta di Milano (per i giornalisti che trattano notizie che riguardano carceri, persone in esecuzione penale, detenuti o ex detenuti).
Ecco, da qualche giorno esiste – anche se deve ancora essere ufficialmente ratificata dall’Ordine – la Carta di Olbia, che da una serie di indicazioni per parlare correttamente di disabilità.
Scrive Sabina Pignataro su Vita: “Nelle notizie che riguardano o coinvolgono persone con disabilità sono ancora molto presenti terminologie scorrette, discriminatorie e non rispondenti alle attuali conoscenze scientifiche, narrazioni che oscillano tra il pietismo e il sensazionalismo. Lo testimoniano le numerose osservazioni di associazioni, attivisti e attiviste, professionisti e professioniste che si occupano di disabilità. Per “Combattere gli stereotipi, i pregiudizi e le pratiche dannose concernenti le persone con disabilità, compresi quelli fondati sul sesso e sull’ età, in tutti gli ambiti” e incoraggiare “Tutti i mezzi di comunicazione a rappresentare le persone con disabilità in modo conforme” nasce quindi una nuova Carta Deontologica, la Carta Olbia”.
Non commento oltre perché siamo fuori tempo massimo, ma… mi sembra una bella cosa.
#caccia
Corriere della Sera – Animali selvatici, «caccia anche in città e nelle aree protette». Gli animalisti contro l’emendamento di FdI
#Cop15
The Guardian – Walkouts and tensions as row over finance threatens to derail Cop15 talks
#insetti
The Guardian – Flying insect numbers plunge 64% since 2004, UK survey finds
#biomi
Rinnovabili.it – Cerrado brasiliano, la devastazione corre nella savana che ospita il 5% della biodiversità mondiale
#Qatargate
Il Fatto Quotidiano – Rabat dietro il caso Qatar. Tre italiani pagati dagli 007
Il manifesto – «I fosfati si trovano nelle terre abitate dai saharawi»
#giornalisti
Lifegate – Reporter senza frontiere (Rsf), il 2022 è anno record di giornalisti in carcere
#disabilità
Vita – Come raccontare la disabilità sui media? I giornalisti si danno una regola(ta)
#Pakistan
Vita – Pakistan, accordo per la sicurezza nelle fabbriche tessili
#nucleare
Valori – La verità sul “passo avanti” sulla fusione nucleare. Al servizio delle armi
Il Fatto Quotidiano – Fusione nucleare, una svolta che svolta non è: lasciamo perdere i sogni impossibili
#siccità
Greenreport – Ancora siccità in Italia, mancano all’appello almeno 50 miliardi di metri cubi d’acqua
#deposito cauzionale
Economia circolare – “Il Regolamento Ue promuove il deposito cauzionale: serve anche in Italia”