Bombardamenti russi, missili Usa, la telefonata di Scholz: Ucraina fra escalation e disgelo – #1021
Stanno succedendo cose sul fronte ucraino.
Ieri mattina molto presto l’esercito russo ha effettuato una serie di attacchi missilistici su Kiev e altre città dell’Ucraina, particolarmente violenti, come non se ne vedevano almeno da agosto. E in serata sono arrivate indiscrezioni da funzionari Usa al NYT e al WP che l’amministrazione Biden avrebbe autorizzato per la prima volta l’utilizzo dei famosi missili a lungo raggio, gli ATACMS, in territorio russo.
Sintomi di una ulteriore escalation, che però vanno di pari passo con segnali diametralmente opposti, segnale del fatto che probabilmente il conflitto è arrivato a un punto di svolta. C’è da capire bene in quale direzione.
Partiamo dagli attacchi russi di ieri. L’obiettivo principale dei nuovi attacchi, spiegano vari giornali, erano le infrastrutture energetiche, quindi centrali di produzione e alla distribuzione dell’energia elettrica. In diverse aree intorno a Kiev sono stati segnalati blackout, mentre non è ancora nota l’entità dei danni causati dalle esplosioni né si sa quante persone siano state uccise o ferite. Ci siano state segnalazioni di almeno 7 morti ma plausibilmente saranno molti di più.
Era un attacco in parte atteso, perché anche lo scorso anno c’era stato un attacco simile all’inizio della stagione fredda, con l’obiettivo interrompere le forniture di energia elettrica e quindi di lasciare gli usraini, già provati da quasi mille giorni di guerra, al freddo. E considerate che quando parliamo di freddo in Ucraina, parliamo di temperature che arrivano facilmente anche a -20.
Stavolta però, l’attacco russo e in generale un’intensificazione dell’offensiva potrebbe avere un’altra valenza, secondo molti analisti. Ovvero quella di arrivare all’inizio del 2025, quando si insedierà Trump, in una posizione dominante. Perché sembra plausibile che Trump proverà già dall’inizio del suo mandato di fare sedere Zelenski e Putin a un tavolo, e Putin vuole arrivare a quel tavolo appunto in una posizione di forza.
Al tempo stesso -questa è una mia interpretazione – l’amministrazione Biden vuole evitare che questo succeda proprio in questi ultimi mesi e quindi in extremis concede all’esercito ucraino di utilizzare la sua arma più pericolosa anche in territorio russo.
Per ora ci sono poche informazioni certe sulla decisione di Biden, riportata dai media statunitensi, di autorizzare l’uso dei missili ATACMS in Russia. Si parla di attacchi mirati come risposta alla presenza di soldati nordcoreani nella regione di Kursk, ma mancano conferme ufficiali.
La regione di Kursk, nel sud-ovest della Russia vicino al confine ucraino, è stata conquistata dagli ucraini lo scorso agosto con un’operazione lampo che ha colto di sorpresa le forze russe. Ora, però, Mosca starebbe preparando una controffensiva con circa 50mila soldati, supportati anche da truppe nordcoreane.
Intanto, secondo Le Figaro, Francia e Regno Unito avrebbero dato il via libera all’Ucraina per usare missili a lungo raggio di loro produzione direttamente in territorio russo, aggiungendo ulteriore pressione in questo scenario già teso.
Tutto questo fa pensare a un’intensificazione del conflitto, a una importante escalation. Visto che di fatto sia la Corea del Nord, che anche gli Usa e forse Francia e Uk giocano ora un ruolo più attivo nella guerra. Tuttavia in parallelo avvengono anche altre cose. La sensazione è che l’elezione di Trump abbia smosso le acque e adesso i vari attori di questo conflitto si stiano in qualche modo riposizionando e succedono cose inaspettate.
Ad esempio il cancelliere tedesco Olaf Scholz ha chiamato al telefono Vladimir Putin per la prima volta da oltre due anni – creando fra l’altro un mezzo caso diplomatico con la nostra premier Meloni che non era stata informata, nonostante sia attualmente la presidente del G7. Secondo il Corriere Scholz avrebbe avrebbe concordato la telefonata con il Presidente Usa Biden, con quello francese Macron e con il premier britannico Starmer. E poi avrebbe sentito anche Tusk, il premier polacco, prima di chiamare Putin.
Nella chiamata, secondo quanto riportato, Scholz ha detto a Putin di fermare immediatamente l’aggressione, mentre pare che Putin abbia fatto delle aperture sul gas russo all’Europa. Alla Germania in particolare. Ma al di là di quello che si sono detti, il senso della telefonata era soprattutto quello di parlarsi, di mandare un segnale di apertura.
Poco dopo è arrivata una dichiarazione a sorpresa del premier ucraino Zelensky che ha detto che con Trump alla Casa Bianca la guerra finirà prima del previsto e che l’obiettivo del governo ucraino è far finire il conflitto entro il 2025 per via diplomatica. Una dichiarazione abbastanza anomala, che forse è un tentativo di ingraziarsi il nuovo inquilino della Casa Bianca. Ed è sicuramente una posizione molto lontana dal piano per la vittoria di giusto qualche mese fa.
Insomma, la mia sensazione è che entrambe le parti stiano provando a forzare la mano in vista di un possibile negoziato, che verrà nei fatti imposto dall’amministrazione Trump al governo ucraino. Certo c’è anche il rischio che si forzi troppo la mano e che la cosa degeneri nel frattempo al punto da rendere un negoziato impossibile. Così come è possibile che far degenerare la situazione e rendere impossibile il negoziato sia una strategia, dell’una o dell’altra parte. Questo non so dirlo. Di certo pare che la fase di stallo del conflitto sia definitivamente rotta.
Comunque, a proposito di pace possibile, vi segnalo una bella intervista che parla proprio del conflitto in Ucraina da un punto di vista pacifista, scritto da Laura Tussi su ICC.
Intanto sono arrivate, una dopo l’altra, molte delle tanto attese nomine di Donald Trump, che ha reso noto chi farà parte del suo team. Anche se il sistema americano è piuttosto diverso da quello italiano, possiamo considerare queste persone una specie di squadra di governo, come se fossero dei ministri ecco.
Partiamo dall’ultima, che è quella che personalmente mi preoccupa di più, egoisticamente, in ottica globale. Ieri, domenica, Trump ha nominato Chris Wright, amministratore delegato di Liberty Energy, come nuovo Segretario per l’Energia. Wright è un uomo d’affari senza esperienza politica, ma con una carriera consolidata nel settore del petrolio e del gas, in particolare nel fracking. È noto per le sue posizioni negazioniste sul cambiamento climatico, che considera un’esagerazione, e per il suo forte sostegno ai combustibili fossili, visti come la chiave per la prosperità economica e la lotta contro la povertà.
Wright fra l’altro è un grosso finanziatore di Trump e quest’ultimo lo ha presentato in squadra come l’uomo giusto per guidare una nuova “età dell’oro” dell’energia americana, promettendo meno burocrazia e maggiore produzione petrolifera, con l’obiettivo di opporsi alle politiche climatiche globali e, probabilmente, ritirare di nuovo gli Stati Uniti dagli accordi di Parigi. Benissimo quindi. Non che non ce lo aspettassimo eh. Però, ecco, ci è andato giù pesante con la nomina.
E non è l’unica nomina che sta facendo discutere. Prima di questa, altre 4 erano state molto chiacchierate e criticate. Il Post, le aveva definite spregiudicate. In pratica Trump ha nominato 4 personaggi fortemente eversivi e antisistema in 4 ruoli chiave. Soprattutto in quelle agenzie che, secondo lui e i suoi sostenitori, lo avevano ostacolato di più durante il primo mandato.
Quella più clamorosa ha a che fare proprio con la situazione in Ucraina di cui parlavamo poco fa ed è la nomina di Tulsi Gabbard, ex deputata democratica, molto isolazionista in politica estera, a direttrice della National Intelligence. La sua nomina, da confermare al Senato, è controversa per le sue posizioni considerate da molti media filorusse e filo-Assad, nonché per episodi come la diffusione di notizie poi rivelatesi false sui laboratori biologici in Ucraina. Questo ruolo strategico, creato dopo l’11 settembre, coordina 17 agenzie di intelligence, inclusa la CIA e l’NSA.
Inoltre Trump e Gabbard condividono una visione critica verso le agenzie di intelligence, accusate di aver agito contro l’ex presidente. Quindi la leader dell’intelligence è una che sostanzialmente farà la guerra all’intelligence dall’interno, almeno sulla carta.
Stesso discorso per quanti riguarda la sanità. L’ultima nomina di Trump in ordine temporale è stata infatti quella di Robert Kennedy Jr. a segretario alla Salute. Una persona – fra l’altro correva anche come presidente prima di ritirarsi e appoggiare Trump – sicuramente invisa al sistema e alle case farmaceutiche, spesso accusato di complottismo e antivaccinismo.
Poi, Trump ha nominato Matt Gaetz, deputato della Florida come procuratore generale (che sarebbe una specie di ministro della Giustizia ma con più poteri.
Anche qui Gaetz è una figura controversa perché è stato oggetto di un’indagine del dipartimento di Giustizia (che ora dovrebbe guidare) per presunta tratta di persone minorenni a scopo sessuale. L’indagine è stata chiusa senza accuse formali, però capite che è una roba grossa.
Inoltre era sotto indagine dal comitato etico della Camera per molestie sessuali, uso di droghe illegali e accettazione di regali non consentiti. Indagine che è stata chiusa dopo la sua recente dimissione da deputato, poco dopo la nomina.
In generale è famoso per essere stato spesso a capo di frange estremiste dei repubblicani, ad esempio ha guidato il gruppo di deputati Repubblicani che rimosse Kevin McCarthy dalla carica di speaker della Camera, accusandolo di compromessi con i Democratici. E ha spesso sfruttato le indagini su di lui per presentarsi come vittima dei “poteri forti”, una narrativa simile a quella di Trump. La sua nomina però è stata criticata anche da esponenti Repubblicani, che ritengono improbabile che ottenga l’approvazione del Senato.
Infine Trump ha nominato il presentatore TV Pete Hegseth come segretario alla Difesa, quindi a capo dell’esercito. Molti commentatori sostengono che Hegseth manchi di esperienza, perché sebbene Hegseth sia un veterano dell’esercito con esperienza in Iraq e Afghanistan, non ha mai ricoperto posizioni di vertice nel settore della difesa e la sua carriera si è concentrata principalmente come commentatore televisivo per Fox News.
Inoltre Hegseth è noto per le sue opinioni molto conservatrici e per la critica alle iniziative di diversità e inclusione all’interno delle forze armate, ha espresso l’intenzione di rimuovere i generali che supportano tali programmi, suscitando preoccupazioni riguardo a una possibile politicizzazione delle forze armate.
Tutte queste 4 nomine sono considerate molto radicali e hanno fatto capire di voler distruggere dall’interno le istituzioni e le agenzie che guideranno. Non tutte le nomine sono però state estreme. Ad esempio al dipartimento di Stato, racconta ancora il Post, è stato nominato Marco Rubio, un senatore molto conservatore ma esperto di politica estera, mentre la nuova capa di gabinetto sarà Susie Wiles, una stratega politica di lungo corso.
Ma, come racconta il Post, “ forze armate, intelligence e settore giudiziario sono tutti e tre visti da Trump come nemici interni e ostacoli da abbattere. E perciò a capo di ciascuna di queste istituzioni sono state messe persone rabbiosamente fedeli e convinte che la loro priorità sia quella di abbattere il “deep state”, cioè quel coordinamento nascosto di funzionari e burocrati che, secondo i trumpiani, avrebbe ostacolato Trump quando era presidente.
Durante il primo mandato di Trump le forze armate e l’intelligence ostacolarono vari piani eversivi dell’allora presidente, e soprattutto gli fecero capire che avrebbero disobbedito se, come si temeva allora, Trump avesse cercato di usare l’esercito per sovvertire il risultato delle elezioni del 2020. Il settore giudiziario non si piegò a molte delle richieste di Trump di aprire indagini contro i suoi nemici politici, e anzi continuò a indagare sulle relazioni tra Trump e la Russia, creando molti problemi e imbarazzi al presidente.
Al contrario, le persone nominate negli ultimi giorni hanno ambizioni e obiettivi personali che coincidono con il desiderio di Trump di distruggere dall’interno le istituzioni considerate nemiche. Staremo a vedere.
Prima di chiudere sul discorso nomine, non possiamo non citare la nomina di Elon Musk a capo del dipartimento per l’efficienza del governo, un ente con compiti di consulenza sull’ottimizzazione delle spese delle agenzie federali.
Musk in pratica dovrà tagliare le spese federali, identificare inefficienze e sprechi nelle operazioni governative ma anche fare proposte sull’Innovazione tecnologica nel settore pubblico, quindi promuovere l’utilizzo di tecnologie avanzate per migliorare i servizi pubblici.
e infine ridurre la burocrazia.
Come spiega Marco Montemagno in un suo video, è abbastanza facile intuire cosa farà Musk: farà quello che ha sempre fatto ovunque. Licenzierà un botto di gente, terrà solo persone che lui considera valide, assumerà poche persone mirate e con – questo lo ha già detto – un QI molto alto.
Anche la nomina di Musk sta facendo discutere, un po’ per il suo stile di leadership che consiste in decisioni rapide e a volte impulsive, un po’ pe ri tanti possibili conflitti d’interessi con le sue attività imprenditoriali, che comprendono contratti con il governo come quelli di SpaceX con la NASA.
Ne riparleremo.
Sono stati giorni caldi per il governo Meloni e per le piazze italiane. Venerdì migliaia di studenti sono scesi in piazza in tutta Italia per il “No Meloni Day”, una protesta contro le politiche del governo Meloni.
Le manifestazioni si sono svolte in tutte le principali città, da Torino a Milano, da Napoli a Roma, passando per Genova e Bologna. I giovani hanno contestato i tagli a scuola e università, accusando il governo di subordinare l’istruzione pubblica agli interessi economici e bellici. Ma a ciò si sono affiancate anche proteste diciamo più internazionali, con molte bandiere della Palestina e slogan contro il conflitto israelo-palestinese che hanno colorato i cortei. Insomma una forte critica all’appoggio italiano a Israele e la richiesta della fine della guerra a Gaza.
A Torino la tensione è esplosa davanti alla Prefettura, dove ci sono stati tafferugli tra manifestanti e polizia in assetto antisommossa. Alcuni studenti hanno cercato di sfondare il cordone delle forze dell’ordine e sono stati respinti, mentre altri hanno lanciato petardi e bombe carta, causando il ferimento leggero di 20 agenti. La situazione si è surriscaldata anche davanti alla sede Rai, dove sono stati danneggiati mezzi della polizia, e alla Mole Antonelliana, dove è stata esposta una bandiera palestinese e si sono registrati atti vandalici. Giorgia Meloni ha condannato duramente questi episodi, definendoli “scene inaccettabili”.
Anche in altre città la protesta è stata molto visibile. A Bologna e Roma sono stati imbrattati manifesti con i volti della premier Meloni e di alcuni ministri, accusati di “fomentare guerre”. Gli studenti hanno usato vernice rossa per simboleggiare il sangue e hanno chiesto l’abolizione dell’alternanza scuola-lavoro, definendola pericolosa per i giovani. A Milano, vicino al consolato USA, alcuni attivisti hanno inscenato una parodia di leader politici internazionali, portando fucili di cartone e fumogeni.
Come spesso accade il dibattito in tv si è concentrato soprattutto sugli atti di vandalismo, che pure ci sono stati, e molto poco sui temi sollevati, che sono questioni cruciali come l’accesso all’istruzione, la rappresentanza degli studenti e il ruolo dell’Italia nei conflitti internazionali.
Il weekend caldo del governo non è dovuto solo alle manifestazioni. È arrivata anche una bella stangata dalla Corte Costituzionale sulla misura bandiera voluta dalla Lega: L’autonomia differenziata.
La sentenza della Corte ha definito l’autonomia differenziata parzialmente incostituzionale. e questo avrà conseguenze importanti sia sul piano legislativo che politico. In sostanza, la riforma promossa dalla Lega non è stata bocciata del tutto, ma alcune parti sono state eliminate, altre devono essere interpretate diversamente e molte altre ancora vanno riviste dal Parlamento. Questo, nei fatti, rallenta tutto il processo.
Ora, è motlo difficile riassumere l’autonomia differenziata in poche parole,, ci provo ma vi rimando a una puntata specifica di INMR che la spiegava per esteso, se vi interessa capirla bene. Comunque è una legge che trasferisce alle regioni che lo richiedono la competenza su alcune materie chiave come come istruzione, energia e tante altre, purché in tutto il territorio italiano vengano garantiti dei livelli minimi del servizio (i cosiddetti LEP).
Con questa parziale bocciatura, le regioni che speravano di ottenere presto nuove competenze, come Veneto e Lombardia, dovranno aspettare ancora parecchio. Non sarà possibile trasferire intere materie alle regioni, ma solo funzioni specifiche, e ogni passo dovrà essere giustificato secondo il principio di sussidiarietà, cioè tenendo conto del bene comune e dei diritti di tutti i cittadini, indipendentemente dalla regione in cui vivono. Insomma, niente trasferimenti generali su temi come istruzione o energia, ma solo su aspetti particolari, come la gestione del personale scolastico o le tariffe di alcuni servizi.
C’è poi il nodo dei LEP, i livelli essenziali delle prestazioni, quei servizi minimi che lo Stato deve garantire ovunque. La Corte ha detto che non basta un comitato tecnico nominato dal governo per definirli: serve il coinvolgimento diretto del Parlamento. Questo significa che aspetti fondamentali, come quanti posti letto d’ospedale servono o quale deve essere la copertura degli asili nido, dovranno essere decisi con procedure più trasparenti e condivise.
Questa decisione della Corte ha anche messo in crisi i referendum promossi dalle opposizioni contro la riforma. I quesiti referendari si basavano sul testo originale della legge, ma con le modifiche apportate dalla Corte è tutto da vedere se quei quesiti saranno ancora validi. La Corte di Cassazione dovrà esprimersi entro dicembre, ma c’è il rischio che parte del lavoro fatto per raccogliere le firme vada sprecato.
Sul piano politico, la sentenza crea non pochi problemi alla Lega, che spingeva per un’attuazione rapida dell’autonomia differenziata. Nella maggioranza, Forza Italia e alcuni esponenti di Fratelli d’Italia non erano mai stati troppo convinti di questa riforma, e ora hanno un motivo in più per frenare. Secondo gli analisti politici di Repubblica Giorgia Meloni, che già non sembrava avere fretta, userà probabilmente la decisione della Corte per prendere tempo e ridimensionare le ambizioni di Matteo Salvini.
Ieri si è votato in Emilia Romagna ed Umbria e oggi si continua a votare dalle 7 alle 15. Domani probabilmente apriremo con la notizia del nuovo governatore dell’ER e della nuova governatrice dell’Umbria. Oggi abbiamo un unico dato che è quello parziale sull’affluenza, che alle 23 di ieri sera era bassa in entrambe le regioni. Non vi dico granché altro, domani ne parliamo meglio.
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