Oggi ci sono davvero tanti argomenti, forse troppi, e allora andiamo un po’ più veloci del solito. Partiamo con una notizia interessante che riguarda il glifosato, che arriva pochi giorni dopo la decisione della Commissione Ue di rinnovare per altri 10 anni l’autorizzazione al potente erbicida. In pratica negli Stati Uniti un tribunale ha condannato la Bayer, che produce il RoundUp, l’erbicida più venduto al mondo, a base di glifosato, a risarcire coloro che si sono ammalati proprio a causa dell’esposizione a tale sostanza.
La società, che dal 2018 ha acquisito il colosso Monsanto che per primo ha sintetizzato la sostanza negli anni 70 (che poi in realtà l’invenzione risale a 20 anni prima ad opera di un chimico svizzero, la Monsanto l’ha riscoperto indipendentemente e commercializzato) ha subito una durissima sconfitta in una delle migliaia e migliaia di azioni legali intentate da agricoltori americani.
Leggo su Lifegate – l’articolo è a firma di Andrea Barolini – che “Un tribunale ha condannato la multinazionale tedesca a pagare oltre 1,5 miliardi di dollari (miliardi, non milioni) a tre persone che affermano di essersi ammalate di cancro a causa dell’uso del Roundup, prodotto di punta della Monsanto, proprio a base di glifosato. Riconoscendo quindi un legame fra l’utilizzo di quel prodotto e lo sviluppo della malattia.
Ovviamente i legali dell’azienda hanno annunciato un ricorso, quindi ancora non siamo alla fine del procedimento, ma si tratta comunque di un duro colpo per l’azienda. E considerate che sono circa 160mila i processi intentati contro la Bayer. Che ha accantonato 16 miliardi di dollari per far fronte alle richieste di risarcimento, ma a occhio e croce potrebbero essere un po’ pochi.
Fra l’altro la notizia arriva in un momento delicato per Bayer. Oltre alla multa, due giorni fa la società tedesca ha dichiarato di aver concluso un test in fase avanzata per un farmaco antitrombotico a causa della mancanza di efficacia.
Questi due eventi messi assieme, come racconta Laura Cavestri sul Sole 24 Ore, hanno causato un crollo in borsa di oltre il 18%, il peggiore negli ultimi 10 anni per la società, che già non se la passava benissimo: il colosso chimico-farmaceutico tedesco infatti nel terzo trimestre registra un rosso di 4,6 miliardi di euro.
Ora, sento già in voi, e in me, quel friccichio (come dicono a Roma) di quando una multinazionale brutta e cattiva si trova in difficoltà. E per carità, Bayer ha tutte le carte in regola per giocare il ruolo della multinazionale brutta e cattiva. Qui però non è quello secondo me l’aspetto interessante. L’aspetto interessante è chiedersi: la crisi di Bayer simboleggia la crisi di un intero settore, (parlo di quello chimico, applicato all’agricoltura, non di quello farmaceutico in questo caso, che ha logiche diverse)? Oppure è un caso isolato?
Secondo i dati riportati nell’ultimo Atlante dei pesticidi, sembrerebbe più il secondo caso. Il mercato globale dei pesticidi ha raggiunto un valore di 84,5 miliardi di dollari nel 2019, con un tasso di crescita annuo di oltre il 4% dal 2015. Si stima che, nel 2023, il valore totale di tutti i pesticidi usati crescerà a un tasso dell’11,5%, sfiorando i 130,7 miliardi di dollari”, scrivono gli autori dell’Atlante. Al tempo stesso, ci sono alcuni segnali che ci sia una qualche inversione di tendenza in corso. Perlomeno in Europa. Non ho dati, per cui prendete questa affermazione con le pinze. Staremo a vedere.
Abbiamo raccontato più volte come una delle caratteristiche di questo governo (non solo di questo eh, ma questo la porta all’estremo) sia quella di legiferare sull’onda delle emozioni dettate dai fatti di cronaca. C’è un disastro in mare? Legge antoscafisti. C’è un grave incidente d’auto? Revisione del codice della strada. E così via. Che non è in genere il modo migliore per legiferare. È un po’ come fare la spesa al supermercato quando hai fame: non sei lucido e torni a casa con un sacco di roba inutile.
In questi giorni il caso di cronaca in Italia è quello del femminicidio, l’ennesimo, di Giulia Cecchettin, di cui abbiamo parlato anche qui. E in molto hanno fatto notare la necessità di intervenire a livello educativo. Ed ecco che ieri mattina, mercoledì, il ministro dell’Istruzione Giuseppe Valditara ha presentato un piano del governo per migliorare l’educazione affettiva e alle relazioni nelle scuole, con l’obiettivo dichiarato di contrastare la violenza degli uomini nei confronti delle donne partendo dalla formazione e dalla cultura.
Il che è di per sé un’ottima cosa, intendiamoci. Solo che le disposizioni che contiene questo piano appaiono superficiali e non molto coerenti rispetto agli obiettivi ambiziosi che si propone. Leggo da un articolo del Post: “Il piano si chiama “Educare alle relazioni” e prevede che i licei e le scuole superiori possano inserire in modo facoltativo – e qui sta uno degli aspetti appunto poco incisivi del piano – un certo numero di ore in cui gli studenti si riuniscono in «gruppi di discussione» per parlare di temi affettivi e relazioni, con la moderazione di un insegnante”.
Il contenuto del progetto, poi, è descritto in maniera un po’ vaga in una direttiva ministeriale firmata mercoledì da Valditara: essendo una direttiva non ha valore prescrittivo, e si limita a offrire delle linee guida per le scuole che vogliono aderire. Concretamente però mette a disposizione 15 milioni di euro finanziati con i fondi europei PON (Programma Operativo Nazionale).
Oltre a non essere obbligatorio, il programma non potrà essere attuato senza il consenso dei genitori degli studenti e quello degli studenti stessi. Ogni classe dovrà avere un insegnante che faccia da moderatore al «gruppo di discussione», che verrà formato in un apposito programma del ministero dell’Istruzione su cui però per il momento non sono stati forniti dettagli. E infine, le ore eventualmente dedicate a questo progetto saranno in ogni caso extracurricolari, cioè fuori dal normale orario scolastico.
Quindi, ecco, la struttura del tutto appare un po’ deboluccio. A parziale giustificazione del ministro, e come dichiarato da ministro stesso, “questo piano è una sperimentazione che potrà essere ampliata se le cose dovessero funzionare”. Ad esempio per il momento quindi partirà con licei e scuole superiori, ma in futuro potrebbe essere esteso a elementari e medie”.
Sempre a margine della vicenda di cronaca dell’omicidio di Giulia Cecchettin, c’è un altro fatto che al tempo stesso mi da un po’ di speranza e un po’ di desolazione. L’attrice Paola Cortellesi, protagonista e autrice del film di successo “C’è ancora domani” ha lanciato un appello alle due donne leader di quelli che al momento sono, secondo i sondaggi, i due principali partiti del nostro paese a collaborare e mettere da parte le differenze ideologiche.
Questa cosa è successa, come documenta Repubblica Elly Schlein e Giorgia Meloni si sono sentite per un confronto. Tuttavia, successivamente, a discutere l’esame del disegno di legge del governo contro la violenza alle donne, l’aula di Palazzo Madama è semideserta. Quasi vuoti gli scranni di maggioranza e opposizione. E ai banchi del governo è seduta solo la ministra per le Pari Opportunità Eugenia Roccella.
Torniamo a parlare di gaza e dintorni. Nella prima mattinata di ieri è diventata ufficiale la tregua fra Israele e Hamas. Vediamo quali sono i principali punti dell’accordo, li prendo da Avvenire:
1) Tre in cambio di uno
Israele si impegna a rilasciare 3 detenuti palestinesi, che non si siano macchiati di omicidio, per ogni ostaggio liberato da Hamas. Il numero effettivo su cui le parti si sono accordate sarebbe di 150 detenuti per 50 ostaggi.
2) Donne e bambini
Da entrambe le parti, l’impegno è a rilasciare per primi donne e minori. Sono esclusi i soldati.
3) Quattro giorni di tregua
Si contrattava fra i 3 e i 5 giorni di tregua nella Striscia di Gaza: niente fuoco e neppure il sorvolo dei droni. Alla fine l’accordo si è chiuso su 4 giorni. Una clausola lega il prolungamento della tregua al rilascio di ulteriori gruppi di ostaggi da parte di Hamas.
4) 24 ore di tempo prima di entrare in vigore
L’accordo dovrebbe entrare in vigore oggi, giovedì 23 novembre, alle 10 ora locale. A partire dall’approvazione, si è infatti aperta in Israele una finestra di 24 ore durante la quale chi lo ritiene può opporsi al rilascio dei detenuti e fare ricorso alla Corte Suprema, che in breve tempo deve decidere se accettare o respingere la petizione. L’Associazione israeliana delle vittime del terrorismo Almagor (una ong di destra) ha già annunciato che presenterà una petizione alla Corte Suprema.
5) L’ingresso di aiuti umanitari
L’accordo di tregua consentirà a centinaia di camion di aiuti umanitari, medici e di carburante di entrare a Gaza. Israele si è impegnata a non attaccare o arrestare nessuno in tutta la Striscia durante il periodo di pausa.
6) La clausola incentivo
Una clausola prevede che per ogni 10 ostaggi aggiuntivi rilasciati da Hamas, la tregua sarà prolungata di un giorno. Ma in questo caso non si fa menzione dell’ulteriore rilascio di prigionieri palestinesi.
L’accordo è stato accolto con favore da diversi governi del mondo, fra cui Ue, Russia e Cina. Anche se il premier israeliano Netanyahu ha precisato che si tratta di una tregua e non di un cessate il fuoco, i paesi che hanno fatto da mediatori, in particolare Egitto, Qatar e Giordania, sperano che apra le porte a dei veri colloqui di pace.
Vedremo. Intanto ieri c’è stato anche il G20, e Putin ha partecipato in via telematica. Ha fatto abbastanza notizia il suo intervento in cui ha detto che è necessario pensare a come fermare “la tragedia” del conflitto in Ucraina e che la Russia non ha mai rifiutato di partecipare ai colloqui di pace con Kiev. Il che da una parte mi sembra un segnale di apertura, dall’altro fa un po’ ridere che Putin dica che quel conflitto è una tragedia mentre continua a bombardare le città ucraine. Ma vabbe.
Torniamo a parlare, ancora, della strana vicenda di OpenAI, e di intelligenza artificlae più in generale. L’ultimo aggiornamento da OpenAI, la società che produce ChatGpt, è che il suo ex Ceo, silurato pochi giorni fa in maniera abbastanza goffa e confusionaria dal board, è stato reintegrato e rimesso in sella all’azienda, mentre è stato fatto fuori il board, dopo che Microsoft, la principale investitore della società, aveva mostrato un certo malumore e addirittura 700 dipendenti su 770 avevano detto di essere pronti a passare in massa a Microsoft se Altman non fosse stato reintegrato.
Dalle ultime indiscrezioni, sembra che il motivo principale dello screzio fosse la velocità di sviluppo dei sistemi di AI. Mentre parte del board voleva un approccio più cauto nella diffusione dei sistemi di AI all’interno della società, favorendo una sorte di principio di precauzione, Altman sembrava interessato a sfruttare il più possibile la grande visibilità ottenuta da OpenAI e ChatGPT nell’ultimo anno per attirare nuovi investimenti ed espandersi. In questo caso, sembrerebbe aver vinto lo squalo.
Segnalo anche un’altra notizia interessante che riguarda l’IA. La Federal Trade Commission, un’agenzia governativa statunitense che ha il compito di promuovere la tutela dei consumatori e della libera concorrenza, ha approvato una risoluzione che rende più facile indagare sulle aziende o i prodotti che utilizzano l’IA.
Leggo dal comunicato della stessa agenzia che fra le motivazioni c’è il fatto che “Sebbene l’IA, compresa l’IA generativa (ovvero quella utilizzata per generare testi o immagini, o altro), offra molti utilizzi vantaggiosi, può anche essere utilizzata per mettere in atto frodi, inganni, violazioni della privacy e altre pratiche sleali, che possono violare la legge. Allo stesso tempo, l’IA può sollevare problemi di concorrenza in vari modi, ad esempio se una o poche aziende controllano i fattori di produzione o le tecnologie essenziali alla base dell’IA”.
Insomma, l’utilizzo sempre più diffuso e indiscriminato dell’IA sta sollevando una serie di interrogativi enormi a livello legale. A questo proposito vi segnalo anche una interessante intervista di Wired Us a Matthew Butterick, l’avvocato americano che, titola il pezzo, “guida la resistenza umana contro l’AI”.
Mi sposto su GreenMe, articolo a firma di Rebecca Manzi, dove leggo che “L’Unione Europea introdurrà un divieto sulle esportazioni di rifiuti di plastica verso i Paesi più poveri non appartenenti all’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE). Questa decisione è stata raggiunta in seguito a un accordo tra il Parlamento Europeo e i governi degli stati membri dell’Unione”.
È una normativa interessante, che “mira a prevenire il rischio che la plastica esportata per il riciclaggio possa essere gestita in modo inadeguato nei Paesi di destinazione a causa di carenze infrastrutturali o legislative, finendo per essere dispersa nell’ambiente e dunque contaminandolo”.
Il divieto si applicherà ai Paesi che non fanno parte dell’OCSE, un’organizzazione che comprende 38 dei paesi più ricchi del mondo. Allo stesso tempo saranno implementati controlli più rigorosi sulle esportazioni di plastica anche verso i paesi dell’OCSE.
Questa legge avrà effetti molto pratici: ad esempio l’Indonesia e la Malesia, che importano molta plastica dall’Ue ma sono anche note per il loro contributo significativo all’inquinamento marino da plastica, dal 2026, non potranno più importare plastica dai paesi dell’Unione Europea.
Per entrare in vigore, il nuovo provvedimento dovrà essere approvato ufficialmente dal Consiglio dell’Unione Europea e dal Parlamento Europeo, ma il testo è stato concordato e l’approvazione definitiva sembra essere una formalità.
Che dire, è una legge molto interessante che mostra un impegno reale e non solo di facciata da parte dell’Ue nella lotta all’inquinamento da plastica. Spesso ci lamentiamo che i paesi ricchi nascondono le esternalità negative del proprio stile di vita nei paesi poveri. Ecco, almeno sulla plastica questa cosa non sarà più legalmente ammesso.
Sempre su GreenMe, Germana Carillo ci racconta di un disastro naturale di cui si sta parlando pochissimo: “Oltre 4milioni di litri di petrolio sono stati scaricati nel Golfo del Messico da un sistema di oleodotti al largo della costa sud-orientale della Louisiana.
A diramare la notizia è la Guardia costiera degli Stati Uniti. Per il momento, l’oleodotto interessato, vicino al sistema di oleodotti della compagnia Main Pass Oil Gathering (MPOG), è stato chiuso ma le autorità stanno ancora cercando di determinare la posizione esatta e la causa della perdita.
Finora il petrolio non avrebbe raggiunto la terraferma, anche se non si escludono effetti sulla fauna selvatica, soprattutto in base al fatto che due pellicani zuppi di petrolio sono stati avvistati al largo della costa della Louisiana. Conslude la giornalista: “Ancora una volta, quindi, nel silenzio generale, animali, terra e mare sotto assedio da parte di un’industria soggetta a sversamenti che mette il profitto davanti a tutto”.
Io invece concludo segnalandovi – ma non ho il tempo di commentarlo, un articolo di Andrea Siccardo su AltrEconomia che racconta le grandi contraddizioni dell’amministrazione Biden sulla transizione energetica. parla in particolare del famoso Inflation Reductio Act, presentato in pompa magna circa un anno fa “come una enorme riforma incentrata sulla giustizia climatica, ma che alla prova pratica avrebbe invece favorito l’espansione delle fonti fossili. Minacciando così non solo il clima e l’ambiente ma anche le popolazioni già marginalizzate che abitano le cosiddette “zone di sacrificio” del Paese”.
Anche oggi la parola al nostro caporedattore Francesco Bevilacqua che ci racconta gli articoli più interessanti usciti oggi su Italia che Cambia.
Audio disponibile nel video / podcast
#Bayer
Il Sole 24 Ore – Il crollo a Francoforte (il peggiore in dieci anni) dovuto all’interruzione dei test su uno dei farmaci più promettenti e una sentenza sfavorevole in Usa su un diserbante
Lifegate – Glifosato, maxi-condanna per la Bayer: 1,5 miliardi di dollari a tre agricoltori
#relazioni #scuola
il Post – Il piano “Educare alle relazioni” è molto generico e sarà facoltativo per le scuole
la Repubblica – Violenza contro le donne, Schlein chiama Meloni: “Cerchiamo terreno comune sulla prevenzione”. Ma il Senato è semideserto durante l’esame del ddl
Ehabitat – Atlante dei pesticidi, in aumento la chimica in agricoltura
Italia che Cambia – Pesticidi, qual è la situazione reale? E come fare a mangiare senza avvelenarsi? – A tu per tu + #10
#Gaza
il Post – Israele e Hamas hanno raggiunto un accordo per una tregua di quattro giorni
Avvenire – Israele-Hamas. C’è l’accordo per la tregua a Gaza. Ecco cosa prevede
#Ucraina
la Repubblica – Guerra Ucraina – Russia, le news di oggi. Putin: “Non abbiamo mai rifiutato colloqui di pace”. Meloni: “Dimostratelo ritirando le truppe”
#AI
Federal Trade Commission – FTC Authorizes Compulsory Process for AI-related Products and Services
il Post – Sam Altman tornerà a capo di OpenAI
Wired – Meet the Lawyer Leading the Human Resistance Against AI
#plastica
greenMe – L’Unione Europea vieterà l’esportazione dei rifiuti di plastica verso i Paesi più poveri
#petrolio
greenMe – Disastro ambientale nel Golfo del Messico: maxi sversamento di petrolio, nel silenzio generale
AltrEconomia – Le ombre fossili che oscurano la strategia per l’energia e il clima di Joe Biden
#lagiornatadICC
Italia che Cambia – La Scugnizzeria, la casa degli scugnizzi che ha rivoluzionato Scampia