15 Lug 2024

Attentato a Trump: cosa sappiamo e cosa cambia adesso – #966

Scritto da: Andrea Degl'Innocenti
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C’è stato un attentato all’ex presidente Usa Donald Trump, che è stato ferito con un colpo di arma da fuoco all’orecchio destro, un colpo che per pochissimi centimetri non è stato letale. Capiamo cosa sappiamo e cosa succede adesso. Parliamo anche del vertice NATO di Washington che è stato sulle prime pagine dei giornali per tanti tanti motivi, dall’Ucraina, alla Cina, alle ennesime gaffes di Biden alle smorfie di Meloni, del tremendo attacco israeliano al sud della striscia di Gaza, in un’area di sicurezza dove erano stati fatti convogliare gli sfollati e infine della vittoria di alcune tribù indigene in Colombia in un progetto legato ai crediti di carbonio.

Spesso mi trovo a riflettere su quale notizia mettere in apertura della rassegna, e spesso sono indeciso. In alcuni casi però capita che ci sia una notizia che monopolizza i giornali italiani o addirittura, come in questo caso, del mondo.

La notizia in questione, immagino l’avrete sentita, è quella dell’attentato a Donald Trump, che è stato ferito con un colpo da arma da fuoco durante un comizio e per pochi centimetri non ci restava secco.

Vi provo a riassumere cosa sappiamo fin qui del fatto, innanzitutto, prendendo spunto da un articolo del Post che come al solito fa un buon lavoro nel ripulire e mettere in fila le cose in maniera chiara. Nella notte italiana tra sabato e domenica Donald Trump, che come saprete è ex presidente degli Stati Uniti nonché candidato alla presidenza alle prossime elezioni di novembre, è stato ferito mentre stava parlando in un comizio elettorale a Butler, una cittadina a nord di Pittsburgh, in Pennsylvania.

Essendo un comizio pubblico, ci sono molti filmati che mostrano l’accaduto. In pratica Trump stava parlando quando improvvisamente si sono sentiti degli spari, si è toccato l’orecchio destro e si è rapidamente abbassato a terra. A quel punto un gruppo di agenti della sicurezza si è buttato sopra di lui per proteggerlo. Poco dopo si è rialzato. Aveva sangue sul volto e soprattutto sull’orecchio, ma ha alzato più volte il pugno verso il pubblico mostrando di stare bene, mentre gli agenti di sicurezza lo scortavano per portarlo in ospedale.

Come si è capito quasi subito, un uomo gli ha sparato diversi colpi di arma da fuoco, uomo che poi è stato ucciso dagli agenti del Secret Service, l’agenzia governativa che si occupa della sicurezza del presidente, del vice e degli ex presidenti. 

Trump è stato ferito in maniera piuttosto lieve ed è fuori pericolo, è stato ricoverato in un ospedale locale ma quasi subito dimesso. Sono state colpite anche alcune persone che stavano partecipando al comizio: un uomo è morto e altri due sono stati feriti gravemente e portati in ospedale.

Nelle ore successive sono iniziati ad emergere alcuni dettagli in più sull’accaduto. innanzitutto, chi è l’attentatore? L’FBI ha detto che si chiama Thomas Matthew Crooks, che ha – anzi aveva – 20 anni e veniva da una cittadina della Pennsylvania, Bethel Park.

L’FBI non ha dato altre informazioni personali sull’uomo, ma a partire dal nome e dal cognome è stato possibile far emergere alcune cose: per esempio il fatto che era iscritto alle liste elettorali come elettore del Partito Repubblicano (negli Stati Uniti bisogna indicarlo esplicitamente), ma aveva donato 15 dollari a un gruppo che sosteneva la campagna del Partito Democratico.

Poi, sulla dinamica dell’evento. Un portavoce del Secret Service ha detto che l’attentatore ha sparato da «una posizione sopraelevata» poco fuori dal luogo in cui si stava tenendo il comizio. Un testimone ha detto alla BBC di aver visto un uomo salire sul tetto di un edificio con un fucile dopo alcuni minuti dall’inizio del discorso di Trump. Ha detto di aver cercato di avvertire le forze dell’ordine ma senza successo. Alcuni video pubblicati sui social network e verificati dai giornali statunitensi, tra cui il New York Times, mostrano un uomo sdraiato immobile sul tetto di un piccolo edificio a poco più di cento metri dal podio su cui si trovava Trump. Probabilmente è l’attentatore poco dopo essere stato ucciso.

Dopo il fatto, sono arrivati come sempre messaggi di vicinanza da parte di molti personaggi politici, fra cui lo stesso Presidente Joe Biden, che ha detto «essere grato di sapere che [Trump] è al sicuro e sta bene» e che ha provato a chiamare Trump e che spera di parlarci presto, aggiungendo: «Non c’è posto in America per questo tipo di violenza».

Dopo essere stato dimesso dall’ospedale Trump è tornato in aereo nella sua casa in New Jersey per la notte. Una sua collaboratrice, Margo Martin, ha pubblicato un video del suo arrivo in aeroporto: lo si vede scendere dall’aereo in modo molto tranquillo e sembra stare bene.

Lunedì 15 luglio inizierà a Milwaukee, nel Wisconsin, la convention dei Repubblicani, l’evento in cui Donald Trump sarà ufficialmente nominato come candidato alla presidenza del partito: il comitato della campagna elettorale di Trump e il partito hanno detto che si terrà regolarmente.

In tutto ciò, la macchina elettorale di Trump non si è comunque fermata, anzi, questo fatto sta in qualche misura aumentando la sua aura eroica e di invincibilità. C’è una foto in particolare, scattata da Evan Vucci, fotografo premio Pulitzer di Associated Press, che sta circolando moltissimo ed è già diventata simbolo dell’accaduto.

Si vede Trump con il pugno alzato e del sangue sul lato destro della faccia, mentre quattro agenti del Secret Service cercano di proteggerlo e allontanarlo dal palco subito dopo gli spari. Sullo sfondo si vede anche una grande bandiera statunitense.

Restano comunque ancora tanti punti interrogativi, innanzitutto sul movente del gesto. Sembra probabile che ci sia una motivazione politica, anche se devo dirvi forse la cosa che mi colpisce di più di questa vicenda è la giovanissima età dell’attentatore, 20 anni appunto. Comunque, è presto per fare congetture o analisi, intanto la notizia ve l’ho data vediamo cosa scopriamo nei prossimi giorni.

C’è stato anche un importante vertice NATO, a Washington, la scorsa settimana, e tocca almeno accennarne perché sono uscite tante cose di cui i giornali hanno parlato per giorni. Forse la cosa di cui si è più parlato, legata al vertice, è qualcosa che non ha niente a che fare con il vertice né con la NATO: E sono, ancora, le condizioni del Presidente Usa Joe Biden. 

Che ha infilato l’ennesima serie di strafalcioni che hanno ulteriormente angosciato i Dem. Prima ha presentato Zelensky sul palco chiamandolo Putin, poi ha detto ha confuso la sua vice Kamala Harris nientemeno che con Trump. Ormai la situazione è talmente fuori controllo che persino Trump, quando gli è stato chiesto di commentare, non ha infierito e ha detto che alla fine non era andato malissimo.

Comunque, dopo le ultime sortite Biden è stato scaricato praticamente da tutti, incluso Barak Obama e i vertici del partito. Sembra essere rimasto l’unico convinto di poter andare avanti, ma sembra plausibile che ciò non accadrà. 

L’altra notizia, che questa volta è una non notizia trasformata, credo abbastanza furbescamente, in notizia, sono di nuovo le facce e le smorfie di Meloni, infastidita dal ritardo di Biden al vertice. Si vede in diverse immagini la nostra premier insofferente che guarda l’orologio e poi fa una serie di smorfie tipo quelle che fece in parlamento mesi fa. Vedendo il video è abbastanza evidente, perlomeno pare evidente a me, che Meloni sappia di essere ripresa, si vede anche a un certo punto che di sfuggita guarda in camera. Quindi immagino che le smorfie facciano parte di una strategia comunicativa fra il simpatico e l’irriverente della Premier, che forse vuol far arrivare il messaggio che non è il cagnolino di Biden, accusa più volte rivoltale anche da destra.

Comunque, veniamo ai contenuti del vertice che in realtà sono stati molto densi. Il vertice era sia operativo che celebrativo dei 75 anni dell’Alleanza e arrivava in un momento che sappiamo essere critico non solo perché per la prima volta da diverso tempo ci sono due conflitti in fase di escalation che coinvolgono piuttosto direttamente i paesi Nato, ma anche perché è in corso un riassestamento degli equilibri globali, riassestamento di cui anche questi conflitti sono parte, e chye rischia di trasformarsi in un terremoto.

E la NAto inizia a soffrire della sindrome dell’accerchiamento, che è un po’ un paradosso perché è la stessa paura di uci soffriva Putin prima dell’invasione dell’Ucraina. 

Come racconta Andrea Lavazza su Avvenire, preoccupano innanzitutto i rapporti sempre più tesi con la Cina, accusata per il sostengo alla Russia. Il governo cinese è accusato di avere una posizione ambivalente, da un lato presentandosi come forza di pace ma dall’altro trasferendo – questo è perlomeno il sospetto, non confermato – a Mosca tecnologia per droni e missili nonché immagini satellitari. 

Oltre a fornire circa il 70% delle macchine utensili e il 90% della microelettronica che la Russia importa. 

Ma non si tratta solo della Cina. Anche il premier indiano Narendra Modi appena rieletto è volato a Mosca per incontrare Vladimir Putin: forse voleva parlare di un piano di pace, ma l’effetto è stato di segno opposto, e ha alimentato i timori dei vertici Nato. Si è intanto saputo che l’Arabia Saudita si è messa di traverso sul progetto di confisca dei 300 miliardi di beni russi congelati in Europa. 

Insomma, il mondo moderno è un mondo disallineato, dove gli equilibri cambiano in fretta e continuamente. Comunque, in questo contesto si è parlato molto, ovviamente, di Russia e Ucraina.

Su questo il vertice NATO ha mostrato un fronte interno abbastanza compatto (escluso Orban) nel continuare con il sostegno militare all’esercito ucraino. Altri 40 miliardi di aiuti sono stati promessi. Ed è arrivata anche, in realtà, e un po’ diversamente da quanto si poteva sospettare, una promessa di irreversibilità del percorso di adesione dell’Ucraina alla NATO. Senza una scadenza temporale, però comunque la parola irreversibile è un chiaro segnale a Putin che non si vuole trattare, né aprire al dialogo, perché l’Ucraina fuori dalla NATO è forse la principale e irrinunciabile richiesta del leader russo. 

Sul fronte armamenti, arriveranno batterie antimissile e alcuni F-16 tanto richiesti da Kiev, nel tentativo di fermare le violente offensive dal cielo dell’esercito russo. 

Come commenta il giornalista di Avvenire, sono però misure che “non cambieranno l’inerzia della guerra. Potranno rallentare ulteriormente l’avanzata russa, proteggere meglio le città e limitare i danni alle infrastrutture energetiche, messe sotto forte stress in vista delle stagioni fredde. Non si vede tuttavia una strategia di più lungo termine. L’Ucraina che vede restringersi la propria riserva di soldati regge l’urto delle Forze armate del Cremlino solo grazie all’appoggio della Nato”. 

Dal vertice è arrivata anche la richiesta di posizionare missili a lungo raggio in Germania e a corto raggio in Italia per aumentare la strategia di difesa e deterrenza. All’Italia arriva anche l’ennesima richiesta di aumentare la spesa militare, richiesta che stavolta sembra esssere stata colta positivamente da Meloni, cosa che sta causando una frattura nel governo con la Lega. Fatto sta che secondo le indiscrezioni il nuovo Documento di Programmazione Pluriennale per le spese militari che sta per essere presentato dal Ministro Guido Crosetto prevederebbe da qui al 2026, una vera cascata di miliardi che supererà ogni primato toccando subito l’1,6 del Pil.

Comunque, mi sembra chiaro che la postura del vertice e dell’Alleanza è attualmente una postura molto aggressiva e belligerante, che vuole fare da contraltare all’aggressività russa usando la stessa carta. Un processo che però inevitabilmente porta all’escalation.

A confermare questa tesi è anche il comunicato finale del vertice che usa un linguaggio insolitamente molto aggressivo nei confronti della Cina. Come racconta Pierre Hasky su France Inter, tradotto su Internazionale, “ll comunicato chiama direttamente in causa la Cina definendola un “facilitatore decisivo” nella guerra russa in Ucraina. L’alleanza atlantica chiede a Pechino di “interrompere qualsiasi sostegno materiale e politico allo sforzo bellico russo”.

Il giorno dopo, l’11 luglio, un portavoce cinese ha accusato la Nato di essere “una reliquia della guerra fredda”, definendo il comunicato finale del vertice di Washington “parziale, diffamatorio e provocatorio”. Tutto ciò fra l’altro si inserisce nel tentativo della NATO, che in teoria è l’alleanza atlantica, di aumentare la propria influenza anche sul Pacifico.

Insomma, la situazione resta molto complessa. E su tutto ciò incombe l’incognita Trump, che è una sorta di pallottola impazzita nello scacchiere attuale, che potrebbe ribaltare le decisioni prese fin qui. Sappiamo che la NATO è sempre stata perlopiù un’emanazione degli Usa, una sorta di braccio lungo di Washington per controllare il mondo. I governi europei, volenti o nolenti, si sono sempre fatti andare bene questa invasione di campo e hanno più o meno sempre e con rare eccezioni seguito le indicazioni Usa. Cosa succede però se nel mezzo di un conflitto in Europa venisse meno la protezione americana? 

Siamo sicuri che con tutte le incertezze del caso, e con questo enorme punto interrogativo che aleggia, sia il caso di andare convinti verso lo scontro frontale non solo con la Russia, ma con buona parte del resto del mondo? 

Intanto a Gaza si è compiuto l’ennesimo, tremendo, massacro. Racconta Rai News che sabato mattina l’esercito israeliano ha compito una serie di raid aerei nella regione di al-Mawasi, a ovest di Khan Younis: il ministero della Sanità di Gaza riferisce di almeno 90 morti, metà dei quali donne e bambini. 

L’agenzia di stampa palestinese Wafa parla anche di 300 di feriti, con decine di persone ancora intrappolate sotto le macerie degli edifici colpiti. Al-Mawasi ospita migliaia di sfollati palestinesi, fuggiti dopo l’avvio dell’operazione israeliana nella Striscia di Gaza: l’area era stata designata dalla stesso esercito israeliano come ‘zona umanitaria sicura’. Insomma, gli sfollati sono stati fatti convogliare lì, e poi bombardati. 

Come al solito, c’era un obiettivo di Hamas, anzi due, ovvero Mohammed Deif, il capo dell’ala militare dell’organizzazione, e il comandante della brigata Khan Yunis di Hamas, Rafàa Salameh. 

Obiettivo che non si capisce se sia stato raggiunto o meno, nel frattempo quello che è sicuro è la strage di civili in un luogo che doveva essere sicuro, a detta dei militari.

Ovviamente, oltre ad essere un crimine di guerra atrice, questo attacco complica ulteriormente i negoziati di pace in corso. Hamas ha subito invitato tutti i palestinesi della Cisgiordania e di Gerusalemme Est a “mobilitarsi” in risposta all’attacco israeliano di sabato mattina e a “manifestare massicciamente contro l’occupazione sionista criminale e i coloni terroristi che stanno creando scompiglio nei villaggi e nelle città, e a impegnarsi in scontri in difesa della nostra terra e del nostro diritto alla libertà e all’indipendenza”.

Chiudiamo con una notizia piuttosto diversa, la definirei una buona notizia anche se spalanca ulteriormente gli occhi sui rischi di come stiamo gestendo la transizione energetica. La notizia è che, riporta Internazionale, il 10 luglio la giustizia colombiana ha annullato un accordo sui crediti di carbonio tra due aziende e sei comunità amazzoniche del sudest della Colombia a causa di “manovre fraudolente” nei negoziati.

La corte ha accolto il ricorso presentato da sei comunità indigene della foresta tropicale Pirá Paraná, nel dipartimento di Vaupés, contro l’azienda statunitense Ruby Canyon Environmental e quella colombiana Masbosques. Le comunità indigene accusavano le due aziende di aver negoziato la vendita di crediti di carbonio per il loro territorio con persone che non avevano l’autorità per farlo. In pratica con dei falsi leader indigeni.

Saprete forse che i crediti di carbonio sono al centro della strategia globale per uscire dai combustibili fossili. In pratica le aziende possono o smettere di inquinare, che sarebbe ovviamente la cosa più logica, oppure acquistare dei crediti di carbonio, quindi pagare per sostenere progetti che sequestrano CO2 in atmosfera, quindi ad esempio di riforestazione o tutela della biodiversità. Ci sono già stati diversi scandali, ad esempio un’inchiesta del Guardian di circa 1 anno fa aveva mostrato che il 90% di questi progetti sono fuffa. 

Quest’ultima notizia conferma questa tesi, ma mostra anche che grazie alla proattività delle comunità indigene in questo caso, un progetto fuffa può essere fermato. Nello specifico le due aziende hanno negoziato i crediti per una cifra di circa 3,8 milioni di dollari, che sostengono di aver versato alle comunità indigene coinvolte in cambio dell’impegno a preservare un’area di foresta amazzonica di 7.100 chilometri quadrati.

In seguito le comunità avevano però presentato ricorso sostenendo che l’accordo fosse stato firmato da falsi leader indigeni. Adesso la corte ha dato 6 mesi di tempo per trovare un nuovo accordo, che stavolta coinvolga le vere comunità indigene. Se gli indigeni non autorizzeranno il nuovo accordo, le autorità dovranno bloccare definitivamente il progetto, conosciuto come “Baka Rokaire”.

Qualche informazione per concludere, sui prossimi giorni. Come vi ho anticipato, INMR entra in una fase di rallentamento estivo. Nelle prossime settimane usciranno 2-3 puntate a settimana, poi ad agosto ci fermeremo per qualche giorno per ripartire con costanza a settembre.

Nello specifico, la prossima puntata sarà giovedì, e sarà una puntata speciale, legata alle novità dal mondo scientifico. Però mercoledì ci sarà invece la rassegna di Sicilia che Cambia e venerdì come al solito quella dalla Sardegna. 

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