12 Apr 2024

Il diritto all’aborto fa (molto) discutere in Europa e negli Usa – #913

Scritto da: Andrea Degl'Innocenti
Salva nei preferiti

Seguici su:

Mentre il Parlamento Ue ha approvato una risoluzione per chiedere di inserire il diritto all’Aborto nella carta dei diritti europea, in Arizona potrebbe tornare in vigore una legge di fine 800, fra le più restrittive al mondo. Il tema dell’aborto è tornato centrale nel dibattito politico mondiale. Ma come mai? Parliamo anche delle sorprendenti elezioni in Corea del Sud e delle possibili ripercussioni geopolitiche, dell’incontro fra il Presidente cinese e un ex presidente di Taiwan, dell’avanzata delle truppe antigovernative in Myanmar e del divieto di associazione politica introdotto in Mali. E ancora di comunità energetiche e novità dalla Sardegna che Cambia.

L’Europarlamento che approva una risoluzione per inserire l’aborto nella carta dei diritti europea, l’Arizona che è sulla strada del divieto totale, Trump che annuncia che se diventasse presidente non vorrebbe fare leggi più restriuttive. 

Insomma, comunque la si pensi, il diritto all’aborto è tornato ad essere un tema molto caldo in tante parti del mondo. A parte che sarebbe interessante capire come mai, proprio adesso, e in maniera così trasversale a tante società diverse. Ma intanto oggi vorrei farvi una panoramica del fenomeno, che assume forme diverse e anche tendenze diverse a seconda del luogo, ma che ha una centralità abbastanza trasversale.

Circa un mese fa raccontavamo della Francia che il 4 marzo ha inserito il diritto all’aborto in costituzione, fra plausi e polemiche. L’aspetto forse più interessante di quella deicisione voluta fortemente dal governo Macron, è che persino il partito di estrema destra di Marine Le Pen (Rassemblement National) si è espresso a favore dell’ingresso del diritto all’aborto nella Costituzione. 

Di segno opposto invece le recenti vicende di Ungheria e Polonia, dove si è assistito a una recente significativa riduzione dei diritti alla salute sessuale e riproduttiva. Nell’Ungheria di Orbán – come racconta AdnKronos – l’aborto è legale ma fortemente ostacolato da lunghe attese e trattamenti umilianti, come quello che dal 15 settembre 2022 obbliga le donne ad ascoltare il battito cardiaco del feto prima di abortire.

In Polonia invece la situazione è in evoluzione. Non è più al potere l’estrema destra di Diritto e Giustizia, ma il nuovo premier Donald Tusk sta trovando comunque molte difficoltà nel convincere la sua coalizione a cambiare la legge. Ad ora la legge polacca permette l’aborto solo in caso di stupro o incesto o se la vita della donna è a rischio.

Anche se forse la situazione più critica in assoluto, nell’Unione, è quella di Malta, dove fino all’anno scorso l’interruzione di gravidanza era vietata persino in caso di rischio di morte della madre.

Comunque, quattro giorni dopo la decisione francese, era stato lo stesso presidente francese Macron a rilanciare la sfida a livello europeo, invitando le istituzioni europee a inserire l’aborto nella Carta dei diritti fondamentali Ue. Sfida accolta dal Parlamento che appunto ieri ha votato una risoluzione per di aggiungere alla Carta dei diritti fondamentali dell’Ue l’assistenza sanitaria sessuale e riproduttiva e il diritto a un aborto sicuro e legale. Il cui obiettivo ultimo sarebbe depenalizzare pienamente l’aborto in tutti i paesi membri Ue.

Ora, vabbé, facciamo una piccola parentesi sulle decine di giornali che hanno riportato la notizia in maniera molto fuorviante. Tipo: il messaggero, che titola “Aborto, Eurocamera lo inserisce nella Carta dei diritti fondamentali dell’Ue”. Ma anche Open e tanti altri. No. Non è vero e anzi, è quasi impossibile che ci finisca davvero. Mi prendo due minuti per spiegarvi meglio questo passaggio.

In pratica il Parlamento Ue, su proposta arrivata dal gruppo Renew che è quello dei macroniani, e appoggiata da tutto il blocco di centrosinistra e dai verdi, ha approvato con un’ampia maggioranza questa risoluzione. Ma una risoluzione non è una legge, è un atto non vincolante (un po’ come se fosse una mozione, per fare un parallelo con il nostro parlamento). Quindi è una sorta di invito, all’organo competente, a fare una certa cosa.

In questo caso, visto che il tema della salute è competenza dei singoli stati l’invito è al Consiglio dell’Ue, che è l’organo che rappresenta i governi degli stati membri. Quindi, ricapitolando, con il voto di ieri il Parlamento Ue ha deciso di chiedere al Consiglio dell’Ue di inserire nella Carta dei diritti fondamentali dell’Ue il diritto all’aborto. È un po’ complicato, mi rendo conto, nel caso fatevi uno schemetto.

Ora quindi la palla passa al Consiglio dell’Ue, che però avrebbe bisogno dell’unanimità per approvare un cambiamento nella Carta. E questa cosa è impossibile, proprio per via della presenza dei governi di Malta e Ungheria, ma in misura minore anche di Polonia, Italia e Germania, che non sono pienamente d’accordo sulla questione. Quindi si tratta di una questione perlopiù simbolica. Importante, se volete, ma simbolica.

Negli Usa invece la questione dell’aborto ha tinte decisamente diverse. Giorni fa raccontavamo di come la Corte Suprema debba legiferare verso giugno per una nuova possibile restrizione dell’aborto su scala federale, restrizione che ha a che fare con le modalità di somministrazione del farmaco più usato per abortire. In attesa di quella sentenza, e dopo che un anno e mezzo fa sempre la Corte suprema americana aveva annullato la storica sentenza sull’aborto Roe contro Wade, di fatto rendendo possibile per i singoli stati decidere di proibire l’aborto, stanno intanto succedendo altre cose. 

Ad esempio, a inizio settimana la Corte Suprema dell’Arizona, uno degli stati del sud-ovest degli Stati Uniti, ha stabilito che è ancora da ritenersi “applicabile” una legge approvata nel 1864 che prevede il divieto quasi totale di aborto e pene dai due ai cinque anni di carcere per chi ne procura uno. 

Attualmente la legge dell’Arizona è già stata ridotta nel 2022 e permette di abortire solo nelle prime 15 settimane di gravidanza: qualora venisse ripristinata quella di 160 anni fa, che la Corte appunto ritiene «applicabile», l’interruzione volontaria di gravidanza sarebbe consentita solo in caso di rischio per la vita della donna incinta. E non ci sarebbero eccezioni nemmeno in caso di stupro o incesto. 

Il fatto è che come afferma la Corte la legge del 1864 non fu mai revocata. Ora non vi sto a ricostruire tutta la vicenda legale, che trovate spiegata molto bene in un articolo del Post, comunque il succo è che quella legge non era mai stata abrogata ma era difatto stata superata dalla sentenza Joe vs Wade, che aveva introdotto il diritto all’aborto a livello federale, quindi superiore. Sentenza che però è stata annullata nel 2022 e quindi quella legge è tecnicamente valida.

Ad ogni modo, non è detto, anzi forse nemmeno probabile che questa legge torni effettivamente in vigore. Adesso la legge di 150 anni fa non potrà essere applicata per altri 45 giorni, perché la Corte ha rimandato il caso a un tribunale di grado inferiore per ulteriori discussioni.

Ed è probabile che non rientri mai realmente in vigore. Infatti l’Arizona è uno degli stati statunitensi che negli ultimi vent’anni sono cresciuti di più a livello economico e quindi anche uno di quelli che sono cambiati di più, diventando più giovane, urbano e cosmopolita. L’attuale governatrice Katie Hobbs è Democratica, dopo anni di dominio repubblicano, e come ha notato NBC News, è probabile che le organizzazioni che si battono per il diritto all’aborto riusciranno a portare al voto, il prossimo novembre, una proposta di legge per istituire il “diritto di base” ad abortire fino al momento in cui il feto può sopravvivere da solo fuori dall’utero, generalmente considerato attorno alle 24 settimane, e revocare definitivamente la legge del 1864.

Intanto, restando negli Usa, ha guadagnato diversi titoli di giornale l’uscita inaspettatamente moderata di Trump, che ha detto che se vincerà non è intenzionato a modificare la normativa sull’aborto a livello federale, introducendone una più restrittiva, ma che vuole lasciare ai singoli stati la possibilità di legiferare in materia.

Ora, Trump è pazzo ma non scemo, e quindi i principali analisti hanno letto questa apparente svolta come un tentativo di abbracciare un elettorato più ampio su un tema che – e questa ne è l’ennesima riprova – è molto molto sensibile e centrale in questo momento.

Io mi fermerei qui, anche se il tema richiederebbe una trattazione molto più approfondita e sarei davvero curioso di capire come mai c’è stato questo ritorno dell’aborto come tema centrale nel dibattito. 

Aggiungo solo un elemento di riflessione, che è sempre utile ricordare quando si parla di aborto. Il tema centrale del diritto all’aborto – per come la vedo io – non è il fatto se l’aborto sia eticamente giusto o sbagliato, che è un tema molto scivoloso perché ha a che fare con delle credenze e convinzioni personali difficili da sindacare. Mi spiego: se io credo fermamente che anche un feto abbia un’anima e sia un essere umano a tutti gli effetti, è ovvio che equiparo l’aborto all’omicidio.

Il punto però, a livello legislativo è un altro ed è molto più pragmatico. È stato osservato che il diritto all’aborto non incide sulla quantità di aborti che vengono effettuati, che ad esempio in Italia sono calati di oltre il 70% negli ultimi 40 anni (magari un po’ meno se normalizziamo la percentuale con il calo della natalità, ma comunque calati), sono altre le variabili che incidono sugli aborti e sono soprattutto legati all’età, al reddito e alle condizioni psicofisiche. Il diritto all’aborto incide invece sulla salute delle donne. Cioé: le donne abortiscono comunque, e dall’altro lato non è che chi è contrario cambia idea per via del diritto, ma semplicemente chi abortisce lo fa in sicurezza e non rischia la vita. Per questo trovo poco sensato, ecco, negare questo diritto.

Mercoledì si votava in Corea del Sud per rinnovare i 300 membri dell’Assemblea nazionale, il parlamento unicamerale della Corea del Sud. E le elezioni hanno portato a un risultato abbastanza inaspettato, perlomeno per le proporzioni con cui ha vinto il partito di opposizione. Una vittoria che, in prospettiva, potrebbe avere effetti non da poco anche a livello geopolitico e di equilibri della regione. 

Vi leggo come Lorenzo Lamperti descrive i risultati su la Stampa: “Min-jun riavvolge la bandiera degli Stati Uniti e scuote la testa: «Mi aspettavo che avremmo perso, ma non così tanto». Non sono ancora le 11 di sera, ma l’epilogo delle elezioni legislative è già chiaro da un po’: la maggioranza conservatrice e filo statunitense del Partito del potere popolare ha perso. E non di poco. Sul pavimento di piazza Cheonggye, nel cuore di Seul, l’improvvisata mappa della Corea del Sud diventa sempre più blu. Segno che l’opposizione del Partito democratico ha vinto. Un gruppo di giovani con dei palloncini azzurri si muove festante verso la movida di Myeongdong”.

Il vincitore assoluto di queste elezioni è stato Lee Jae-myung, soprannominato il «Bernie Sanders sudcoreano». Il suo Partito democratico, di centrosinistra, otterrà 175 dei 300 seggi dell’Assemblea, mentre il Partito del Potere Popolare di Yoon solo 109 e il partito Ricostruire la Corea, di centrosinistra, fondato solo un mese fa ne otterrà invece 12. Secondo l’analisi della Stampa “I sudcoreani hanno votato soprattutto su questioni interne: i prezzi delle case, la maxi protesta dei medici che ha mandato gli ospedali in tilt, il crollo delle nascite (la Corea del Sud è il paese col più basso tasso di natalità al mondo)”.

Adesso che succede? Il governo di centrodestra guidato dal presidente conservatore Yoon Suk-yeol, dovrebbe comunque restare in sella per altri 3 anni, ma con un potere limitato avendo buona parte del parlamento contro che potrebbe boicottare quasi ogni legge. Anche se diversi ministri hanno presentato le loro dimissioni, e non è chiaro se il Presidente le voglia accettare o meno.

L’esito del voto potrebbe comunque già oggi avere riflessi a livello internazionale. L’attuale presidente, eletto per pochi voti nel 2022, ha rafforzato l’alleanza con Washington, ha avviato un disgelo col Giappone e adottato linea dura con la Corea del Nord. L’opposizione è invece più equidistante tra Stati Uniti e Cina e giudica il disgelo col Giappone una «umiliazione» per la rinuncia alle compensazioni per gli abusi del periodo di dominazione coloniale. 

Inoltre secondo alcuni se avesse vinto il partito dell’attuale presidente, il governo avrebbe potuto provare a cambiare le regole per l’export di armi, che al momento impediscono alla Corea l’assistenza militare ai Paesi coinvolti direttamente in conflitti (motivo per cui nonostante la pressione Usa il paese non invia armi all’Ucraina). Ora è impossibile ipotizzarlo. 

Insomma, è un voto che potrebbe avere molte ripercussioni, di certo interessanti da seguire.

Ieri, sempre a proposito di equilibri che si spostano, c’è stato un incontro davvero storico in Cina tra il presidente cinese Xi Jinping e l’ex presidente taiwanese Ma Ying-jeou (abbiate pietà di me per la pronuncia). 

Xi Jinping immagino sappiate tutti chi è, mentre Ma Ying-jeou è vero che è un ex presidente, ma come spiega Gianluca Modolo su Repubblica è “ancora oggi considerato il deus ex machina del Kuomintang, il partito attualmente all’opposizione più favorevole al dialogo con la Cina”. È la prima volta che un ex presidente di Taiwan viene ospitato dal massimo leader cinese a Pechino, pensate, dal 1949.

E Xi, con le classiche formule simboliche e metaforiche usate dalla diplomazia cinese, ha detto una roba non di poco conto. Ha detto: “Nessuna interferenza esterna potrà mai fermare la ‘riunione di famiglia’ tra le due sponde dello Stretto di Taiwan. Non c’è rancore che non possa essere risolto, non c’è problema che non possa essere discusso e non c’è forza che possa separarci”. 

Altre due notizie di politica estera interessanti le prendo da Limes, al volo. La prima è che in Mali il portavoce della giunta golpista ha detto in diretta tv che sono sospese le attività dei partiti politici. Il governo ha infatti approvato un decreto, motivandolo con ragioni di ordine pubblico, che blocca a tempo indeterminato tutte le iniziative delle “associazioni di carattere politico”. 

Non un buon segno: sembra che la giunta militare che ha preso il potere con un secondo colpo di Stato nel 2021 non sia intenzionata a onorare la promessa di ripristinare la democrazia nel paese del sahel. Le elezioni si sarebbero dovute tenere quest’anno, ma sono state rinviate “per ragioni tecniche” a data da destinarsi, suscitando l’indignazione dei vari gruppi politici. Il decreto sembra quindi finalizzato ad ammutolire le molte voci che chiedono con insistenza di andare al voto. 

In Myanmar invece le ultime notizie danno il governo militare golpista in difficoltà. Circa duecento militari dell’esercito regolare del Myanmar hanno dovuto abbandonare un ponte che conduce in Thailandia a seguito di un assalto durato giorni lanciato da un gruppo armato che combatte la giunta militare salita al potere nel 2021. 

Leggo ancora da Limes che “La città di confine di Myawaddy nello Stato sud-orientale del Karen è ora nelle mani dei ribelli anti-golpisti. Il governo militare di Naypyidaw risulta in forte affanno nel reprimere le insurrezioni armate su più fronti, subendo sovente cocenti sconfitte nelle aree di confine. La capitale stessa è stata di recente oggetto di un attacco con droni a una base militare”. 

Vabbé, ci sarebbero tante altre notizie, dal M5S che lascia la giunta Emiliano in Puglia, sancendo un ulteriore allontsanamento dall’alleanza col Pd, al ritrovamento di due corpi degli perati dispersi nel disastro di Suviana, alla morte di Oj Simpson, ma come al solito voglio lasciare un po’ di spazio alle notizie di cui abbiamo parlato quest’oggi su ICC. 

Perché oggi, fra l’altro, esce una bella intervista a Gianluca Ruggieri sulle comunità energetiche davvero interessante.

Audio disponibile nel video / podcast

Oggi è venerdì e quindi è tempo di rassegne sarde. Ho chiesto ad Alessandro Spedicati, che conduce INMR Sardegna, di mandarmi questa volta non un audio riassuntivo di tutta la rassegna ma di focalizzarsi sulla notizia sarda più interessante a livello nazionale di questa settimana. E sono curioso di scoprire quale ha scelto. Dicci un po’ Ale.

Audio disponibile nel video / podcast

Mappa

Newsletter

Visione2040

Mi piace


Dopo i droni, le radiazioni: che succede negli Usa? – #1034

|

Il Comitato per la liberazione di Assange: “Julian è libero, ma l’informazione no”

|

A Campobello di Licata c’è un forno di comunità in cui lavora tutto il paese

|

Buon Natale globale, tra riti solstiziali e consumismo moderno

|

L’archeologia lo mostra: la cura è stata centrale nella storia della civiltà

|

I rifiuti elettronici sono un grosso problema. La soluzione? Riparare invece che ricomprare

|

Perché dire basta ai botti di Capodanno: petizioni e proposte sostenibili

|

Smartphone, pc, elettrodomestici: ripararli è possibile con “The Restart Project” – Soluscions #4

string(9) "nazionale"