16 Ott 2023

A Gaza è crisi umanitaria, bombardati ospedali, l’audio della volontaria – #812

Scritto da: Andrea Degl'Innocenti
Salva nei preferiti

Seguici su:

A Gaza ormai è crisi umanitaria, con i bombardamenti di Israele che colpiscono a tappeto, comprese infrastrutture chiave e ospedali. Parliamo anche del glifosato, la cui autorizzazione non è stata autorizzata in prima battuta in Europa, dei risultati a sorpresa delle elezioni in Polonia ed Ecuador, dell’accordo del Burkina Faso con la Russia per costruire una centrale nucleare e dell’Australia che con un referendum nega i diritti degli aborigeni. 

Venerdì abbiamo dedicato una puntata abbastanza lunga e densa a spiegare le ragioni del conflitto israelo-palestinese in questa sua ultima versione estremamente cruenta e drammatica. Al terribile attacco terroristico di Hamas il governo israeliano sta rispondendo con una violenza impressionante, in barba al diritto internazionale. 

E di questo abbiamo una testimonianza diretta di una persona che è lì sul campo. Una persona che non conosco direttamente, questo lo dico per correttezza giornalistica, ma il cui messaggio vocale mi è arrivato da persone che invece conosco bene e che la conoscono direttamente, e inoltre mi è arrivato corredato da un video che documenta la situazione nella striscia di Gaza, e sono immagini strazianti.

Comunque, vi faccio ascoltare innanzitutto il suo messaggio, che è anche un po’ un appello e una denuncia dell’atteggiamento del nostro governo.

AUDIO DISPONIBILE NEL VIDEO/PODCAST

Le parole che avete ascoltato sono di una volontaria di un’associazione italiana che si chiama Gazzella Onlus, un’associazione senza fini di lucro che si occupa di assistenza, cura e riabilitazione dei bambini palestinesi feriti da armi da guerra.

Già, perché i bambini sono tantissimi, fra i feriti, così come fra i morti. Lo ha raccontato la reporter di guerra Francesca Mannocchi nel suo racconto venerdì a Propaganda Live, in cui ha denunciato la strategia bellica spietata del governo di Israele, che di fatto ha dato ordine di evacuazione alle persone dal nord della striscia ma al tempo stesso ha bombardato il confine di Gaza con l’Egitto – che aveva chiesto una tregua di sei ore per mandare aiuti – proprio per impedire che entrassero rifornimenti, che ha messo tutto il territorio sotto assedio, impedendo i rifornimenti di acqua cibo ed energia, il che vuol dire blackout continui e ospedali già al collasso che devono staccare la spina ai feriti.

Su questo ci sono due brevi aggiornamenti, diciamo positivi. Il primo è che ieri sono ripresi i rifornimenti di sola acqua, e solo nella parte meridionale della striscia.. Il secondo è che – ma la notizia non ha avuto conferme ufficiali fin qui – un rappresentante dell’ambasciata palestinese negli Stati Uniti ha detto alla NBC che il valico di Rafah, ovvero il famoso unico passaggio via terra attivo tra la Striscia di Gaza e l’Egitto, aprirà questa mattina, lunedì, alle 9 israeliane (le 8 in Italia). 

Fine delle notizie positive. Il resto è la cronaca di un disastro umanitario, con i bilanci di morti e feriti che continuano a salire. Già venerdì Ilaria Cicinelli e Nebal Hajjo raccontavano su Euronews che il 60% dei morti e dei feriti sono donne e bambini. Venerdì dei circa 1600 morti 500 erano bambini. Non c’è neanche più posto negli obitori. E intanto il bilancio delle vittime sale, e sale. Ieri sera erano erano 2.670 i palestinesi uccisi dagli attacchi di Israele nella Striscia di Gaza, altre 1000 i dispersi, i feriti 9.600. Stanotte fra l’altro sono stati bombardati anche gli ospedali. 

Ad oggi circa seicentomila palestinesi avrebbero abbandonato le loro abitazioni nel nord della Striscia e a Gaza City e, seguendo le istruzioni giunte da Israele, avrebbero oltrepassato il Wadi Gaza, nel settore centrale, per mettersi al riparo dai combattimenti e quindi andare verso Sud. Dove però dovrebbero andare, fisicamente, nessuno lo sa. Al sud della striscia non ci sono grandi centri o città in grado di accogliere tutte queste persone. 

Insomma, questa è la situazione. Nel frattempo sono successe un po’ di cose. L’esercito israeliano ha detto di aver ucciso due leader di Hamas. Hamas continua a rifiutarsi di consegnare gli ostaggi, ma questo è in linea se è vero con quanto molti analisti sostenevano già subito dopo gli attentati, ovvero che l’obiettivo dell’attacco terroristico di Hamas fosse quello di causare una risposta il più violenta possibile per creare una nuova spaccatura fra Israele e mondo arabo e magari persino far allargare il conflitto. 

Ecco, anche su quest’ultimo fronte ci sono segnali preoccupanti. Dal Libano è partito il lancio di missili anti-tank verso Israele, missili che hanno causato un morto in una pattuglia dell’esercito israeliano che operava al confine, e successivamente l’esercito israeliano ha fatto sapere di aver “attaccato obiettivi militari” di Hezbollah. Come scrive l’inviato di guerra di Repubblica Daniele Raineri, “A questo punto i segnali di un allargamento della guerra dalla Striscia di Gaza ai due fronti del Nord – quello libanese e quello siriano – sono troppo forti per escludere un conflitto totale”.

Comunque, se volete continuare a comprendere il conflitto vi lascio anche qualche altro articolo interessante, ad esempio il Corriere traduce un pezzo dello storico israeliano Yuval Noah Harari, molto critico verso l’operato del governo di Netanyahu, e come sempre molto interessante. 

Ricorderete forse che si votava venerdì scorso sul rinnovo dell’autorizzazione del glifosato nei paesi membri Ue. Quindi come è andata? Be’, è andata che per adesso l’autorizzazione non è stata concessa per assenza della maggioranza necessaria e ed è tutto rimandato a novembre. 

Vi rifaccio un brevissimo riassunto: il glifosato è l’erbicida più diffuso al mondo, era stato brevettato dalla Monsanto più di mezzo secolo fa, Monsanto che lo vendeva assieme alle sue sementa ogm che erano le uniche in grado di reggerlo, e quindi i contadini lo sprizzavano a pioggia sui campi, lasciando in vita solo le coltivazioni volontarie. Il glifosato però è anche stato classificato come probabilmente cancerogeno, si sospettano legami con malattie degenerative, inoltre causa parecchi danni agli ecosistemi naturali.

Perciò alcuni paesi europei già lo proibiscono parzialmente o totalmente. L’Ue invece lo consente, lasciando libera scelta ai paesi membri se autorizzarlo o meno. L’autorizzazione europea però scade a dicembre di quest’anno e diverse aziende produttrici (da quando è scaduto il brevetto, oltre a Bayer, che ha acquisito Monsanto, sono in diverse a produrre glifosato) hanno fatto richiesta di rinovo presso la Commissione, che di fatto ha accolto la richiesta proponendo di rinnovarla per altri 10 anni (scatenando le proteste di parte della società civile e di molte organizzazioni ambientaliste che invece ne chiedevano il bando). 

Questa proposta doveva essere votata dai rappresentanti degli stati membri, riuniti all’interno della commissione SCoPAFF (Standing Committee on Plants, Animals, Food and Feed) e serviva una maggioranza qualificata con il sì di 15 paesi membri su 27, rappresentanti almeno il 65% della popolazione UE.

Ecco, questa maggioranza non è arrivata. Vediamo meglio chi ha votato cosa, anche cosa ha votato il nostro governo, e poi capiamo cosa succede adesso seguendo un articolo di Ludovica Jona sul Fatto Quotidiano: “Il governo italiano ha votato sì alla proposta della Commissione Europea di continuare a utilizzare il glifosato, ma la posizione contraria di Austria, Croazia e Lussemburgo e l’astensione di Germania, Francia, Belgio, Bulgaria, Paesi Bassi e Malta hanno bloccato – per ora – la proroga dell’autorizzazione per altri 10 anni del pesticida definito “probabile cancerogeno” da Airc. 

Dopo il voto, gli Stati dell’Ue saranno invitati a votare nuovamente sulla proposta di riautorizzazione in una commmissione di appello nelle prossime settimane. Si prevede che la Commissione modifichi la proposta. “Se anche in questo caso non si raggiungerà la maggioranza qualificata, spetterà alla Commissione decidere autonomamente”, spiegano da Isde Italia. In quel caso, si presuppone che la Commissione tenga conto del parere espresso dagli stati. 

Comunque, ci riaggiorniamo, ma forse conviene spendere due parole sul voto favorevole del nostro governo, che Greenpeace definisce “paradossale”. “Nel nostro Paese si protesta contro le importazioni di frumento dal Canada perché contiene residui di glifosato, ma al tempo stesso il governo vota sì al rinnovo per irrorare i nostri campi con questo pericoloso pesticida», dichiara Federica Ferrario, responsabile campagna Agricoltura di Greenpeace Italia. “Chiediamo al governo italiano di ripensarci e di impedire un’ulteriore autorizzazione del glifosato nell’Ue, come aveva già fatto in occasione del precedente rinnovo, nel 2017. 

Altra cosa interessante riportata dall’articolo è che “Un recente sondaggio IPSOS condotto in sei paesi dell’Ue (Danimarca, Francia, Germania, Polonia, Romania e Spagna) ha mostrato che solo solo il 14% dei cittadini è favorevole all’uso prolungato del glifosato, mentre quasi due terzi (62%) degli intervistati sostengono la messa al bando del pesticida”. 

In Ecuador invece c’è stato il ballottaggio per le presidenziali e il paese ha un nuovo presidente, Anche qui la sorpresa regna sovrana, perché fino a un mesetto fa sembrava quasi scontata la vittoria della erede di Rafael Correa Luisa Gonzalez, mentre alla fine ha avuto la meglio il suo avversario politico, Daniel Noboa, candidato di destra molto giovane (ha 35 anni e sarà il presidnete più giovane della storia del paese) che punta tutto su sicurezza e provatizzazioni.

A dominare comunque il dibattito politico in Ecuador è il tema della sicurezza. Come scrive Michele Bertelli sul manifesto, “Tutti concordano su come la sicurezza sia la priorità. Un tempo uno dei paesi più pacifici dell’America latina, l’Ecuador potrebbe diventare il terzo più violento, dopo Honduras e Venezuela. Nei primi sei mesi dell’anno, ci sono già stati 4374 omicidi, circa 19 al giorno. E anche durante la recente campagna elettorale non sono mancati i momenti drammatici, con l’uccisione del consigliere comunale Bolívar Vera nella città di Duran e l’esplosione di due autobombe a Quito, che fortunatamente non hanno mietuto vittime”.

Ma è ancora l’assassinio del candidato anticorruzione Fernando Villavicencio, avvenuto lo scorso 9 agosto al termine di un comizio, a proiettare un’ombra sul dibattito elettorale: la settima scorsa, infatti, sette degli imputati sono stati uccisi in carcere prima che potessero affrontare il processo. Per combattere la dilagante violenza dovuta all’espandersi del narcotraffico, Noboa ha proposto di creare una centrale di intelligence che coordini le indagini, mentre Gonzaléz voleva militarizzare confini e carceri.

Spostiamoci nell’area del Sahel, in Africa, dove il governo del Burkina Faso ha annunciato di aver firmato un accordo con la Russia per la costruzione di una centrale nucleare. Ne parla il Post: “La giunta militare che governa il paese dal colpo di stato del 2022 si è avvicinata sempre di più alla Russia per il supporto economico e militare, prendendo le distanze dai paesi occidentali. Ibrahim Traoré, leader della giunta, aveva chiesto al presidente russo Vladimir Putin assistenza nella costruzione della centrale durante un incontro a San Pietroburgo a luglio.

In Burkina Faso solo il 23 per cento della popolazione ha accesso all’elettricità, uno dei tassi più bassi del mondo. La centrale nucleare, che sarà costruita dall’agenzia nucleare russa Rosatom, servirà a «soddisfare il bisogno energetico del paese»: secondo gli obiettivi del governo burkinabé, il 95 per cento della popolazione urbana e il 50 per cento della popolazione rurale dovrà avere accesso all’elettricità entro il 2030. Costruire una centrale nucleare è un’operazione lunga e complessa, occorrono vari anni di progettazione e costruzione: l’accordo al momento non prevede una tabella di marcia e non è detto che la costruzione della centrale sia completata entro il 2030.

Al momento, l’unico paese africano a produrre energia nucleare è il Sudafrica, ma alcuni altri stati si trovano in varie fasi del processo per costruire una centrale: nel 2017 l’Egitto ha firmato con la Russia un accordo per costruire una centrale nel paese dal valore di 28,5 miliardi di euro. Nello stesso anno anche la Nigeria ha firmato un accordo con la Russia, ma il progetto non è ancora iniziato. Il Ruanda a settembre invece ha firmato un accordo con una compagnia tedesca-canadese per costruire una centrale entro il 2028. Il Kenya ha annunciato un progetto per una centrale da ultimare entro il 2027, ma non ha ancora detto se avrà un partner internazionale nella costruzione. Io non so se queste centrali si faranno mai, diciamo che se da un lato capisco ovviamente il bisogno di sovranitò energetica di questi paesi, puntare sul nucleare, peraltro in paesi dalla fortissima instabilità politica, potrebbe non essere un’idea geniale. 

La situazione politica e geopolitica nel Sahel si fa sempre più complessa, fra colpi di stato, interessi stranieri, sia economici che strategici, e tante tante tante altre cose. Ve lo dico con questa sicurezza perché la situazione in Sahel (quindi Burkina Faso, Niger, Mali, ecc) è stato oggetto della nuova puntata di INMR+ uscita sabato. Vi assicuro che ne ho scoperte delle belle, si fa per dire. 

Vince il “no” in tutti e sei gli Stati federali al referendum in Australia sui diritti degli Indigeni del Paese oceanico. La proposta, sostenuta dal leader labourista Anthony Albanese chiedeva il riconoscimento ufficiale nella Costituzione Australiana per Aborigeni e degli Indigeni delle isole dello stretto di Torres, insieme alla creazione di un organo consultivo indipendente per i cittadini delle First Nations, ovvero gli indigeni discendenti dalle popolazioni locali prima della colonizzazione britannica nel consultivo per gli Indigeni di Australia.

Si sarebbe dovuto chiamare “la voce del Parlamento”, così come proposto nella dichiarazione del Uluru del 2017 con cui i leader delle diverse comunità indigene del Paese hanno tracciato un possibile percorso di riconciliazione con gli australiani di altre etnie. Ma con oltre il 70% dei voti contati gli australiani hanno deciso di mantenere lo status quo e le proiezioni della rete australiana ABC fanno presente che il voto contrario ci sarà in tutti e sei gli Stati . 

Per passare serviva la maggioranza nazionale e la maggioranza dei “sì” tra gli Stati federali. Secondo quanto riportano i media australiani, il risultato potrebbe essere stato influenzato anche dalla campagna di disinformazione diffusa sui social che dipingeva “La voce del Parlamento” come una terza Camera del legislativo australiano, invece che un semplice organo consultivo quale sarebbe dovuto essere. In Australia nessun referendum ha mai vinto senza il supporto bipartisan e quello appena chiuso è il primo referendum Costituzionale per il Paese in 24 anni.

Il risultato del referendum è stato un duro colpo per la leadership di Albanese, che aveva fatto di questo referendum la punta di diamante del suo mandato. Durante i mesi di campagna per i diritti degli Indigeni australiani, l’opposizione ha fortemente criticato la misura, dichiarandola un referendum “di cui l’Australia non aveva bisogno. 

La popolazione indigena in Australia conta il 3,8% dei 26milioni di cittadini e abita i territori dell’isola oceanica da circa 65mila anni. Ciò nonostante il loro ruolo e la loro presenza non è mai stata riconosciuta nella Costituzione del Paese. Gli indigeni australiani sono la parte della popolazione che storicamente vive in condizioni di disagio, con un tasso di povertà superiore alla media e una generale difficoltà di integrazione nel tessuto socio-economico del Paese.

In chiusura, do la parola al direttore Daniel Tarozzi per la consueta rubrica La giornata di Italia che Cambia. Solo che oggi di consueto c’è poco in questa rubrica, perché Daniel si trova in un posto poco consueto, ma lascio che sia lui a raccontarvelo.

#Gaza
La 7 – Gaza, Francesca Mannocchi: “L’assedio non è iniziato una settimana fa, ma nel 2007” 13/10/2023
AGI – La reazione di Israele si allarga al Libano, un razzo colpisce la sede dell’Unifil
Euronews – Gaza, ospedale Al-Shifa verso il collasso: il 60% dei morti e feriti sono donne e bambini

#glifosato
il Fatto Quotidiano – Glifosato, l’Italia vota a favore della proroga per l’utilizzo del pesticida ma il provvedimento non passa: manca la maggioranza

#Polonia
Ansa – Noboa presidente dell’Ecuador, il più giovane della storia
il Post – In Polonia gli exit poll danno avanti l’opposizione

#Ecuador
il manifesto – Ecuador, l’erede di Correa contro l’erede delle banane

#Burkina Faso
il Fatto Quotidiano – Il Burkina Faso ha firmato un accordo con la Russia per la costruzione di una centrale nucleare nel proprio territorio

#Sahel
Italia che Cambia – Colpi di stato, Jihad, interessi geopolitici: che succede nel Sahel? – Io non mi rassegno + 12

#Afghanistan
il Post – Ci sono stati altri due forti terremoti nell’ovest dell’Afghanistan

#lagiornatadICC
Italia che Cambia – A tu per tu con il nostro cane: al via un percorso che unisce saperi scientifici e intuitivi
Italia che Cambia – Narges Mohammadi: un Nobel per la pace e per la libertà delle donne iraniane
Italia che Cambia – Cooperativa NoE.: il Comune le vuole revocare il bene confiscato alla mafia che gestisce dal 1998
Italia che Cambia – Ricorso al Tar sulle servitù militari, ma in Sardegna si continua a sparare
Italia che Cambia – Parco San Laise, lo spazio donato dalla Fondazione Campania Welfare ai bambini di Bagnoli

Mappa

Newsletter

Visione2040

Mi piace


Il boom dei fast food e la fine dell’identità – INMR Sardegna #58

|

Smartphone, pc, elettrodomestici: ripararli è possibile con “The Restart Project” – Soluscions #4

|

Terapie psichedeliche: una soluzione ancestrale ai disturbi mentali?

|

Il futuro del vino tra crisi climatica e innovazione

|

Dalla crisi ecologica alla disumanizzazione delle guerre, l’amore è la risposta

|

Lo storyteller dell’acqua Zach Weiss e il nuovo paradigma per mitigare clima, siccità e alluvioni

|

Tyrrhenian Link: “La nostra lotta continua oltre lo sgombero del presidio degli ulivi”

|

Luana Cotena e il suo concetto rivoluzionario di capo d’abbigliamento

string(9) "nazionale"