Dagli Slapp al ddl Sicurezza: gli attacchi alle libertà di informare e protestare – 27/3/2025
Dal caso di Essere Animali al giornalista Carchidi, passando per il DDL sicurezza, oggi parliamo di SLAPP, repressione del dissenso e nuove norme che minacciano informazione, protesta e diritti civili.

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Fonti
#slapp
Essere Animali – Condannati a rimuovere il contenuto di due nostre indagini: faremo appello
#giornalista fermato
Italia che Cambia – A Cosenza il giornalista Gabriele Carchidi è stato immobilizzato “senza motivo” in strada dalla polizia
#ddl sicurezza
il Sole 24 Ore – Ddl sicurezza, ampliati i poteri dei servizi segreti: ecco cosa cambia
Agenda Digitale – Servizi segreti nelle università: i rischi del ddl sicurezza
#protestare
Firmiamo.it – Proteggere il diritto di protesta in Italia!
Ieri abbiamo parlato della condanna di Greenpeace per oltre 660 milioni di dollari per aver denunciato le responsabilità dell’industria fossile nella crisi climatica, negli Usa. Ma anche da noi esistono casi del genere e sono molti, magari più piccoli e che fanno meno scalpore, ma che comunque sono delle piccole intimidazioni quotidiane.
Ieri abbiamo introdotto questo concetto importante, che ci serve per comprendere meglio questi casi. Il termine SLAPP, ovvero (Strategic Lawsuits Against Public Participation), quindi quei casi in cui grandi aziende fanno causa alla società sivile, che siano attivisti, giornalisti, organizzazioni del terzo settore, con il chiaro intento intimidatorio, quindi di scoraggiare attività di protesta o di inchiesta.
Ho approfondito un po’ la questione ed è emerso un dato abbastanza allarmante. Secondo il Parlamento Europeo, l’Italia è il Paese europeo con il maggior numero di casi registrati, per distacco, pari al 25,5% del totale! Più di un quarto dei casi di SLAPP dell’intera Ue avviene in Italia.
Alcuni di questi casi sono molto noti. Ad esempio quello dello scrittore Roberto Saviano, querelato per diffamazione da Giorgia Meloni nel 2021, dopo aver criticato il suo operato in tema di migrazioni.
O come quello di Greenpeace Italia e ReCommon, colpite da una SLAPP intentata da ENI, che le ha citate in giudizio per presunta diffamazione a causa di una campagna che accusava l’azienda di greenwashing. Su questo, appuntatevelo perché il procedimento arriverà in tribunale nei prossimi mesi e ne parleremo un bel po’.
Ma sotto a questi casi più eclatanti e più dibattuti c’è tutto un substrato di casi minori, che magari non bucano le prime pagine dei giornali, ma che presi nel loro complesso creano una sorta di humus repressivo e asfissiante per l’informazione libera e l’attivismo.
A questo proposito oggi voglio raccontarvi la recente vicenda che riguarda Essere Animali. Essere Animali è un’associazione italiana per i diritti degli animali, nata proprio per documentare e contrastare gli abusi negli allevamenti intensivi e più in generale l’industria dello sfruttamento animale.
L’associazione è conosciuta soprattutto per le sue video-investigazioni sotto copertura all’interno di allevamenti, macelli e aziende zootecniche, spesso condotte da attivisti infiltrati che riprendono le condizioni reali degli animali.
Nel 2021 l’organizzazione aveva realizzato due inchieste all’interno di allevamenti che producono latte destinato anche al Grana Padano. I video documentavano pratiche che erano sì comuni e legali – come la separazione immediata dei vitelli dalle madri e il loro isolamento in recinti individuali – ma anche molto controverse, con l’obiettivo di sensibilizzare il legislatore europeo a migliorare le tutele per mucche e vitelli.
Il Consorzio del Grana Padano aveva presentato una doppia offensiva legale: una denuncia penale per diffamazione e una causa civile.
La causa penale è stata archiviata, con anzi la condanna alle spese per il Consorzio, ma quella civile si è conclusa venerdì con una sentenza parzialmente favorevole al Consorzio Grana Padano. Il tribunale di Bologna ha infatti riconosciuto un danno all’immagine, seppur molto inferiore rispetto alle richieste iniziali. Essere animali, secondo quanto recita la sentenza di primo grado del tribunale, dovrà pagare 10mila euro.
Essere Animali ha annunciato che farà ricorso in appello, rivendicando il proprio diritto di critica e informazione. “Quello che ci viene contestato – sottolinea l’associazione – non è la veridicità dei video, che documentano fatti realmente avvenuti, ma altri aspetti su cui non siamo d’accordo”. Nel frattempo però dovrà rimuovere le due inchieste dal proprio sito.
Anche qui seguiremo l’iter processuale. Ma forse più in generale dovremmo iniziare a chiedere ai nostri governi una legislazione più tutelante della libertà d’informazione e di protesta, ad esempio introducendo una legge anti SLAPP.
Sempre a proposito del clima un po’ intimidatorio che si respira, segnalo anche una news che abbiamo dato lunedì su ICC. Ovvero quella di un collega giornalista che si chiama Gabriele Carchidi, direttore del portale locale di Cosenza Iacchitè, che è stato fermato e malmenato dalla polizia a Cosenza mentre si recava in redazione, come fa quotidianamente.
C’è un video, girato da un passante, che documenta l’intera scena. Lo vedete qui accanto se state guardando il video su YT. Comunque, per chi ascolta su Spotify o altre piattaforme si vedono gli agenti che, a quanto pare dopo avergli chiesto i documenti – lo bloccano e immobilizzano violentemente a terra.
La cosa che rende il tutto diciamo un po’ più sospetto, a detta dello stesso giornalista, è che Carchidi, il giornalista, è noto per aver denunciato fatti poco chiari che coinvolgono proprio la polizia locale, come appropriazioni indebite e gestione opaca di beni sequestrati.
Successivamente il giornalista è stato identificato, fotosegnalato, obbligato a lasciare le impronte e denunciato per resistenza a pubblico ufficiale, per poi essere rilasciato dopo un’ora. Come vi dicevo il giornalista ritiene l’episodio un tentativo di intimidazione e annuncia denuncia.
Sullo sfondo di questi fatti grandi e piccoli, c’è una questione molto molto importante. Che si chiama DDL sicurezza. Che ciclicamente approda sulle prime pagine dei nostri giornali ma in maniera spesso frammentata e poco chiara.
Il cosiddetto ddl sicurezza è appunto un disegno di legge che al momento sta facendo il suo iter in Parlamento. Il ddl è stato approvato dalla Camera, poi è passato alle commissioni Affari costituzionali e Giustizia del Senato che lo hanno approvato senza modifiche (nonostante gli avvertimenti sulla sospetta incostituzionalità del Presidente della Repubblica) e ora dovrebbe approdare a giorni nell’aula del Senato, per l’approvazione definitiva.
In aula si annuncia bagarre, o perlomeno, mi aspetto di trovare la parola bagarre nei titoli dei giornali in quei giorni, poi vediamo. Comunque, i 38 articoli del DDL per come si presenta adesso, e ci sono discrete probabilità che rimangano tali, contengono parecchie cose molto problematiche proprio riguardo a ciò di cui stiamo parlando. Ne abbiamo parlato in passato, ma solo di alcuni aspetti e poi in vista del fatto che se ne parlerà molto, ci portiamo un po’ avanti.
Il quadro generale è che se prima parlavamo della necessità di offrire maggiori tutele a chi informa e a chi protesta, ecco qui la direzione sembra esattamente quella opposta. Ma vediamo un po’ a grandi linee, quali sono i punti più controversi. Perlomeno dal punto di vista della libertà di informazione e manifestazione.
Innanzitutto c’è una parte corposa di introduzione di nuovi reati e inasprimento delle pene. Si prevede l’introduzione di oltre 20 nuovi reati e l’inasprimento delle pene per diverse casistiche. Ad esempio, viene reintrodotto il reato di blocco stradale, punibile con pene detentive (una norma chiaramente rivolta ad esempi alle manifestazioni per il clima di UG e XR). E si inaspriscono le pene per chi organizza sit-in di protesta lungo binari ferroviari, strade e autostrade, che rischia il carcere da 6 mesi a 2 anni se il blocco è commesso con più persone.
C’è anche un passaggio specifico per mettere i bastoni fra le ruote a chi protesta contro le grandi opere. Leggo: La violenza o la minaccia nei confronti del pubblico ufficiale commessa per impedire “la realizzazione di un’opera pubblica o di un’ infrastruttura strategica” diventa un’aggravante e le pene possono aumentare fino a un terzo.
Pene più severe anche per chi provoca danni durante le manifestazioni, con carcere da 1 anno e 6 mesi a 5 anni e multe fino a 15mila euro.
E soprattutto si amplia l’ambito di applicazione dell’arresto in flagranza differita previsto per il reato di lesioni personali a un pubblico ufficiale in servizio anche ai casi in cui il fatto è commesso durante le manifestazioni.
Che vuol dire? Vuol dire che ad esempio, se durante un corteo qualcuno spintona un agente e il gesto viene ripreso e diffuso, le autorità possono intervenire e procedere con l’arresto entro due giorni. Mentre adesso per questo tipo di reato si poteva solo fermare le persone sul momento e non in differita. Considerate anche il contesto di società ipertecnologica e piena di telecamere e smartphone che rende questa applicazione sulla carta molto pervasiva.
Dall’altra parte invece, si aumentano le tutele per gli agenti. Leggo: “Gli agenti di pubblica sicurezza potranno portare senza licenza alcuni tipi di armi anche quando non sono in servizio. E per loro si anticipano le spese legali fino a 10mila euro, per ogni fase di giudizio, per gli atti compiuti in servizio. Potranno indossare la ‘bodycam’.”
Poi c’è il tema dei servizi segreti. Un tema che i giornali hanno trattato un po’ di striscio ma molto controverso.
In generale, leggo su Ansa, “gli 007 in nome della sicurezza potranno commettere vari reati senza doverne rispondere come la partecipazione e la direzione di associazioni terroristiche. Potranno anche avere accesso a banche dati e sistemi informatici di tutte le pubbliche amministrazioni. Gli si può attribuire la qualifica di agente di pubblica sicurezza con funzioni di polizia. Potranno mantenere la copertura anche durante eventuali procedimenti penali e potranno condurre colloqui con detenuti e internati per acquisire informazioni”.
E poi c’è un punto particolarmente controverso, come spiega un’analisi di Roberto Caso, docente di diritto privato, su Agenda Digitale, ovvero l’obbligo per università, enti pubblici di ricerca e società a partecipazione pubblica a collaborare e fornire assistenza, anche logistica e tecnica alle agenzie di intelligence (quindi le varie DIS, AISE, AISI).
Le nuove “convenzioni” che regolaeranno questa collaborazione possono prevedere la trasmissione di informazioni anche in deroga alle norme sulla riservatezza. Questo potrebbe, in teoria, significare che i servizi possono chiedere a un’università dati su studenti o ricercatori, ad esempio coinvolti in manifestazioni o proteste, oppure oggetto di attenzione per attività politiche, o ancora impegnati in ricerche su temi sensibili come ambiente, migrazioni, geopolitica, etc.
E anche se, formalmente, la protezione dei dati personali è garantita da altre norme (come il Codice della Privacy), la vaghezza della formulazione (“riservatezza”) e l’estensione dei poteri potrebbero creare zone grigie interpretative. Per questo, ad esempio, l’AISA (Associazione Italiana per la Scienza Aperta) ha chiesto di cancellare la norma.
Insomma come vedete c’è tanta roba al fuoco. In realtà ce ne sarebbe anche di più, che riguarda le carceri, i migranti, le navi Ong, la cannabis, l’antimafia, qui mi sono limitato ai punti che riguardano i diritti di manifestare e di informare. Poi degli altri ce ne occuperemo prossimamente.
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