Chi sarà il prossimo Papa? L’elenco dei papabili e l’ipotesi “carolingia” – 24/4/2025
Toto-papa, balene e codici Ateco: parliamo del conclave, della sospensione della caccia alle balene in Islanda e dell’inquadramento fiscale della prostituzione.

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Fonti
#papa
il Post – I cardinali considerati più papabili, letteralmente
Le Grand Continent – L’opzione carolingia
#balene
Italia che Cambia – L’Islanda ferma la caccia alle balene: stop confermato per l’estate 2025
#prostituzione
Sky tg 24 – Prostituzione ed escort hanno il proprio codice Ateco
Sui giornali, nelle analisi, nei sussurri dei corridoi vaticani, ha ripreso a circolare una parola che solitamente si usa in senso figurato ma che in questo contesto va presa alla lettera: papabile. Letteralmente: chi può diventare papa.
Tecnicamente, chiunque sia maschio, battezzato e celibe può essere eletto. Ma nella prassi, il papa viene sempre scelto tra i cardinali, quei pochi uomini – oggi 137 – che si chiuderanno nella Cappella Sistina per scegliere il successore di Pietro.
Ecco allora che sono tornate le liste, i pronostici, le correnti. I giochi di potere ecclesiastico. Ma anche le incognite. Nel 2013 Jorge Mario Bergoglio non era praticamente in nessuna delle short list. E oggi, con un conclave ancora più composito e frammentato, i pronostici sono ancora più difficili. Francesco ha infatti nominato cardinali da ogni angolo del pianeta, molti dei quali non si conoscono fra loro, e la possibilità di formare alleanze diventa più complessa.
Tuttavia, conoscere i nomi più citati ci aiuta a intuire quali siano le forze in campo e che tipo di Chiesa potrebbero immaginare. Li vediamo leggendo e commentando un articolo del Post.
“Uno dei nomi più citati in assoluto fra i cardinali papabili è l’attuale segretario di Stato del Vaticano, cioè una specie di ministro degli Esteri della Chiesa cattolica, Pietro Parolin. Ha 70 anni, è un noto e abile diplomatico e conosce perfettamente sia la struttura interna della Chiesa sia i principali leader mondiali. Secondo alcuni a suo favore gioca il fatto che il prossimo papa dovrà occuparsi parecchio di guerre e crisi internazionali, come ha fatto papa Francesco nell’ultima parte del suo mandato.
Parolin è considerato un centrista e non appartiene a nessuna fazione particolare o ordine religioso: in passato si è espresso con grande durezza sulle persone omosessuali – nel 2015 definì «una sconfitta per l’umanità» il referendum con cui in Irlanda furono legalizzati i matrimoni gay – ma è sembrato più aperto sul celibato dei sacerdoti, un’altra enorme questione che la Chiesa dovrà affrontare nei prossimi anni. Parolin ha una frazione del carisma di papa Francesco ed è italiano: non è ancora chiaro se questi due elementi possano essere un vantaggio o uno svantaggio.
Fra i cardinali papabili ce ne sono altri due italiani, più vicini al mondo progressista: il patriarca di Gerusalemme Pierbattista Pizzaballa e Matteo Zuppi, arcivescovo di Bologna e attuale presidente della CEI, l’assemblea dei vescovi italiani.
Pizzaballa ha 60 anni e ha passato gli ultimi trenta a Gerusalemme, dove è il rispettatissimo leader della Chiesa cattolica locale. Negli ultimi tempi aveva rafforzato il suo legame con papa Francesco e guadagnato una certa notorietà internazionale quando aveva proposto a Hamas di prendere lui in ostaggio al posto delle più di cento persone rapite durante l’attentato del 7 ottobre 2023 in territorio israeliano. Pizzaballa però è praticamente sconosciuto all’interno della Chiesa e inoltre è un frate francescano, un ordine che negli anni (o meglio, nei secoli) si è attirato una certa antipatia da altri pezzi della Chiesa.
Zuppi è decisamente più noto all’interno della Chiesa per il suo incarico nella CEI. È anche più vicino di Pizzaballa al mondo progressista anche al di fuori della Chiesa, e negli anni ha coltivato un’immagine da prete “di strada”: a Bologna è noto per girare sempre in bicicletta, anche contromano, e per le sue attenzioni ai migranti. Da capo della CEI ha commissionato un rapporto sugli abusi compiuti dai sacerdoti in Italia, ritenuto però vago e poco ambizioso.
Dalla fazione progressista viene anche Luis Antonio Tagle, 67enne cardinale delle Filippine, un paese a stragrande maggioranza cattolica. È probabilmente il più a sinistra fra i cardinali papabili, anche se nel 2012 fu nominato cardinale da Benedetto XVI, che apparteneva alla corrente dei conservatori.
Tagle ha spesso criticato duramente le posizioni rigide e conservatrici della Chiesa nei confronti delle persone omosessuali e divorziate, e negli ultimi giorni è diventato virale un video del 2008 in cui parla con grande severità del capitalismo durante un evento pubblico. Non è chiaro se possa essere considerato troppo di sinistra oppure un degno successore di papa Francesco: anche lui peraltro viene da una regione che non ha mai espresso un papa, cioè il sud-est asiatico.
Fra i conservatori invece i due cardinali di cui si parla di più sono Fridolin Ambongo Besungu, 65 anni della Repubblica Democratica del Congo, e il 72enne ungherese Peter Erdo.
Ambongo è una delle figure più potenti della Chiesa cattolica in Africa; è arcivescovo di Kinshasa, la capitale della RDC, ma anche presidente del Simposio delle conferenze episcopali di Africa e Madagascar, cioè l’assemblea dei vescovi africani. Negli anni scorsi si è molto avvicinato a papa Francesco, nonostante le sue posizioni conservatrici: era membro del Consiglio dei cardinali, un’assemblea informale di 9 cardinali che il papa consultava sulle questioni più rilevanti di cui doveva occuparsi. Nel 2023 Ambongo fu uno dei cardinali più in vista a opporsi alla decisione di papa Francesco di poter benedire le coppie dello stesso sesso.
Erdo invece è da tempo uno dei candidati più spendibili dell’ala conservatrice: fu nominato cardinale da Giovanni Paolo II nel 2002, quando aveva appena 50 anni, ma col tempo ha costruito legami anche con le chiese sudamericane e africane, e ha sempre evitato di criticare in pubblico le posizioni più progressiste di papa Francesco. È piuttosto plausibile però che abbia un’idea di Chiesa molto diversa dalla sua: nel 2015 impose alla Chiesa ungherese di non ospitare le centinaia di migliaia di richiedenti asilo che stavano attraversando la cosiddetta “rotta balcanica” sostenendo che farlo sarebbe equivalso a diventare trafficanti di esseri umani.
Già nel 2013 Erdo era considerato uno dei candidati favoriti a diventare papa, sia per le sue abilità diplomatiche sia per la sua grande versatilità nelle lingue: parla o capisce l’inglese, il francese, il tedesco, lo spagnolo, l’italiano e il russo, oltre ovviamente all’ungherese.
Fra i potenziali candidati di compromesso fra le varie fazioni della Chiesa il più citato è Jean-Marc Aveline, l’arcivescovo di Marsiglia. Ha 66 anni, era considerato molto vicino a papa Francesco – che nel 2023 convinse a tenere proprio a Marsiglia un convegno sul Mediterraneo e i migranti – ma più a destra di lui sui diritti civili e i riti tradizionali, come per esempio la messa recitata in latino”.
C’è però anche un’altra ipotesi, portata avanti da Alberto Melloni, che è uno dei più noti e stimati storici del cristianesimo, che sostiene che la recente visita del vicepresidente USA J.D. Vance a Roma – in un momento cruciale, e reso ancora più simbolico dalla morte immediatamente successiva di papa Francesco – rappresenti molto più di un normale gesto diplomatico. Secondo Melloni, si tratterebbe di una calata su Roma che rievoca le ambizioni e i meccanismi politico-religiosi del Sacro Romano Impero di Carlo Magno: un’opzione che lui definisce “neo-carolingia”.
Provo a riassumervi i punti chiave della sua analisi, poi al solito trovate il pezzo completo fra le Fonti:
Melloni parte dalla celebre visita del 2017 di Trump al papa, quando papa Francesco umiliò Trump con un protocollo sofisticato e un atteggiamento freddo e accigliato, come a marcare simbolicamente l’incompatibilità tra la Chiesa e il trumpismo. Quel gesto, dice Melloni, potrebbe aver lasciato un segno profondo, stimolando la vendetta ideologica e politica della destra religiosa americana.
Vance quindi, continua l’analista, non è venuto per visitare, ma per affermare una presenza. Si presenta con l’umiltà apparente del “baby Catholic” ma porta con sé un progetto ambizioso: costruire un nuovo legame tra potere politico e autorità religiosa in cui gli USA – e la destra cristiana americana – abbiano un ruolo centrale nella direzione spirituale del mondo cattolico.
Il parallelo con Carlo Magno non è solo retorico. Vance incarna, secondo Melloni, una riedizione moderna della translatio imperii, dove la legittimità religiosa si sposta verso un Occidente dominato da un’alleanza tra politica nazionalista e religione tradizionalista. Un progetto che si oppone all’ecumenismo e alla visione universale di papa Francesco.
E in questo Vance porta a Roma una proposta politico-religiosa ma anche una velata minaccia: il sostegno e la protezione della Chiesa da parte del potere americano sono condizionati all’allineamento con una visione identitaria, nazionalista e “valoriale” del cristianesimo. Una tenaglia che può attrarre alcuni cardinali, soprattutto se spinti dalla paura o dalla convenienza.
Melloni conclude suggerendo che la vera prova per il conclave che eleggerà il prossimo papa sarà proprio questa: resistere o meno alla tentazione di accogliere – apertamente o in modo più subdolo – l’opzione neo-carolingia. Una sfida che riguarda non solo la scelta del papa, ma il futuro stesso della Chiesa e in parte anche delle società occidentali.
Insomma, Melloni ci mette in guardia: la morte di Francesco riapre uno spazio geopolitico-religioso in cui la nuova destra americana, con il volto più sofisticato di Vance, cerca di entrare prepotentemente per ridefinire l’identità stessa del cattolicesimo globale. In teoria troverà un conclave molto distante, progressista, nominato perlopiù dallo stesso Francesco. Staremo a vedere.
In Islanda quest’estate le balene non saranno cacciate. Ne abbiamo parlato ieri nelle nostre news. Per il secondo anno consecutivo, la compagnia Hvalur hf., che è l’unica attiva nel Paese nel settore della caccia commerciale ai cetacei, ha annunciato che non uscirà in mare. «Hvalur hf. non vede altra opzione che rimanere in porto e attendere tempi migliori», ha dichiarato il CEO Kristján Loftsson, citando difficoltà economiche e un mercato in contrazione per la carne di balena, soprattutto in Giappone, che ne rappresenta il principale sbocco commerciale.
Fra l’altro, piccola parentesi ma mi sembrava interessante analizzare il calo della domanda giapponese che è un fenomeno ormai consolidato e dipende da vari fattori: cambiamenti culturali e generazionali, che hanno reso la carne di balena un alimento marginale e legato più alla nostalgia che alla quotidianità alimentare; preoccupazioni sanitarie, legate alla presenza di contaminanti come il mercurio, una crescente sensibilità sui diritti degli animali e infine un eccesso di offerta rispetto alla domanda che ha portato ad avere giganteschi freezer industriali pieni e una saturazione del mercato. Nonostante i tentativi del governo di rilanciare il consumo, l’interesse delle persone resta basso, con una domanda che si è ridotta a poche decine di grammi pro capite all’anno.
La notizia è significativa, soprattutto alla luce del fatto che solo tre Paesi al mondo – Islanda, Norvegia e Giappone – autorizzano ancora la caccia commerciale alle balene. E in Islanda, peraltro, il clima sociale e politico attorno a questa pratica si sta facendo sempre più ostile: cresce l’opposizione dell’opinione pubblica e si moltiplicano le pressioni da parte di gruppi ambientalisti e animalisti.
Considerate che nel dicembre 2024 il governo islandese, allora guidato dal premier uscente Bjarni Benediktsson, aveva rinnovato i permessi per la caccia fino al 2029, autorizzando la cattura annuale di 209 balenottere comuni e 217 balenottere minori. Una decisione che aveva sollevato polemiche e mobilitazioni. Nel frattempo il governo in Islanda è cambiato, la premier attuale è Kristrún Frostadóttir, leader dell’Alleanza Socialdemocratica, sicuramente più sensibile alle tematiche ambientaliste e dei diritti animali. Un elemento che non ha giocato un ruolo diretto, ma magari culturale e indiretto sì. Fatto sta che adesso, almeno per il 2025, la stagione venatoria si ferma.
Al di là delle dinamiche economiche e politiche, questa sospensione rappresenta un importante passo avanti per la conservazione marina. Le balene non sono solo creature maestose: giocano un ruolo cruciale negli equilibri degli ecosistemi oceanici. Contribuiscono, tra le altre cose, al ciclo del carbonio – grazie alla cosiddetta “whale pump”, che arricchisce le acque superficiali di nutrienti – e quindi alla lotta contro il cambiamento climatico. Proteggerle significa proteggere la salute degli oceani e, in ultima analisi, anche la nostra.
Veniamo a una notizia piuttosto controversa, che ci avete segnalato sulla nostra chat Telegram e che riprendo volentieri. In pratica in Italia, da aprile 2025, la prostituzione ha ufficialmente un codice Ateco.
Che vuol dire? Il codice ATECO è una sigletta fatta da coppie di numeri divise da un punto, tipo 66.22.15 ed è una classificazione usata per suddividere le attività economiche in Italia. A ogni codice corrisponde un gruppo di attività. Ad esempio io che ho apertoi partita iva come giornalista ho codice ATECO 70.21.00, mentre l’ATECo di un bar è 56.30.00.
Serve all’Istat, all’Agenzia delle Entrate e ad altri enti pubblici per capire che tipo di attività svolge una persona o un’impresa, per fini fiscali, statistici e contributivi. Va indicato, per esempio, quando si apre una partita IVA, e da quel codice dipendono spesso l’accesso a bonus, bandi e agevolazioni.
Ogni codice descrive in modo sempre più preciso il tipo di lavoro. Ecco, col 2025 è uscita (e da pochi giorni è attiva) la nuova classificazione delle attività economiche stilata dall’Istat – l’Ateco 2025 – che alla divisione 96, completamente ristrutturata, introduce il codice 96.99.92, dedicato ai “Servizi di incontro ed eventi simili”. Una formula generica che, però, include esplicitamente attività di escort, organizzazione di eventi sessuali, gestione di locali di prostituzione e servizi di speed networking.
Questa mossa – puramente fiscale – punta a far emergere dal sommerso un comparto da sempre in bilico tra legalità e zona grigia. Perché in Italia la prostituzione in sé non è illegale, se praticata da adulti consenzienti. Lo sono però lo sfruttamento, il favoreggiamento e l’induzione alla prostituzione, reati che prevedono pene severe.
Quindi capite che ci muoviamo un po’ in una zona grigia. Perché da un lato questa introduzione mira a far uscire dall’ombra un’attività spesso sommersa, con potenziali benefici in termini di gettito fiscale, così come a offrire una cornice ufficiale e trasparente per chi svolge volontariamente questo tipo di attività.
Dall’altro però, osservano molti giuristi e politici, rischia di entrare in conflitto con la normativa penale vigente, andando a “regolarizzare” anche attività che la legge considera illegali.
Organizzazioni di stampo femminista come la Rete per la Parità sottolineano che l’attività economica deve essere compatibile con i valori costituzionali di dignità e libertà, e denunciano l’ambiguità di una classificazione fiscale che rischia di normalizzare comportamenti sanzionati penalmente.
Nello specifico, evidenziano:
Il rischio di legittimare indirettamente lo sfruttamento, in contrasto con la legge Merlin del 1958.
La mercificazione del corpo femminile, che molte attiviste vedono come un passo indietro in termini di parità e dignità.Il pericolo per le persone vulnerabili, in particolare donne migranti, che potrebbero essere esposte a maggiore sfruttamento sotto una copertura apparentemente legale.
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